lunedì 24 settembre 2007

Vendita o permuta?

Cassazione civile , sez. II, sentenza 16.04.2007 n° 9088

Qualificazione negoziale [Artt. 1346, 1362, 1363 e 1369 c.c.]

Agli effetti della qualificazione del contratto, è necessario pertanto ricostruire gli interessi comuni e personali, che le parti avevano inteso regolare con il negozio, ed accertare se i contraenti avessero voluto cedere un bene in natura contro una somma di denaro, che per ragioni di opportunità avevano parzialmente commutata in un altro bene, ovvero avessero concordato lo scambio tra loro di due beni in natura e fossero ricorsi all'integrazione in denaro soltanto per colmare la differenza di valore tra i beni stessi.




SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

Sentenza 16 aprile 2007, n. 9088

Svolgimento del processo

La S.r.l. X. con atto notificato nel dicembre 1997 convenne S.G., B.P. e l'Istituto Salesiano Giovanni Bosco davanti al Tribunale di Brescia e, esposto che il S. ed il B. - promissari della vendita di un terreno in Brescia della superficie di mq 7283 con sovrastante fabbricato, denominato "Cascina Magnolie", in forza di preliminare stipulato con l'Istituto Salesiano Don Bosco - con contratto del 28 novembre 1996 avevano promesso di far sì che l'Istituto entro il 31 dicembre 1996 cedesse e vendesse l'immobile oggetto del preliminare a essa attrice al prezzo di L. 800.000.000, da corrispondere in parte in denaro ed in parte con permuta di 160 degli 861,5 mq di appartamenti che sarebbero stati ricavati dalla ristrutturazione della cascina, e che i convenuti, nonostante il decorso del termine e l'invito a stipulare il contratto definitivo, non avevano adempiuto all'obbligazione assunta, domandò la pronuncia di una sentenza che producesse, ex art. 2932 c.c., gli effetti traslativi della proprietà degli immobili previsti dalla promessa di vendita dell'Istituto Salesiano Don Bosco al S. ed al B. e dal preliminare stipulato da questi ultimi con la società o, in subordine la risoluzione del preliminare per inadempimento dei convenuti e la loro condanna al risarcimento dei danni.

Resisterono il S. ed il B. ed il Tribunale con sentenza n. 443/2001 respinse le domande della società sul rilievo che l'unico atto sul quale la società aveva fondato le sue pretese, avendo i promittenti nel corso del processo conseguito la proprietà dell'immobile, integrava una semplice minuta, o puntuazione, priva di efficacia contrattuale.

La decisione, gravata dalla società X., venne confermata il 13 giugno 2003 dalla Corte di Brescia il 28 novembre 1996, che rigettò l'impugnazione.

Premesso che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado (e dalle stesse parti), l'atto sottoscritto il 28 novembre 1996 andava qualificato come un preliminare di permuta di cosa presente con la cosa futura - costituita dai mq 160 degli appartamenti contornati di blu nell'allegato C - e conguaglio a carico della società, osservò il giudice di secondo grado che doveva essere rilevata d'ufficio la nullità del contratto per non essere determinato nè determinabile l'oggetto della permuta, in quanto l'allegato C non risultava sottoscritto dagli appellati e le planimetrie che dovevano costituirlo non risultavano neppure contornate di blu, e che la nullità non era esclusa dalla clausola che riconosceva all'acquirente la possibilità di corrispondere l'equivalente monetario degli appartamenti, atteso che il contratto di permuta sarebbe stato snaturato dalla originaria eseguibilità soltanto della obbligazione del pagamento di un prezzo e, in ogni caso, la clausola non evidenziava l'esistenza di una obbligazione alternativa, ma di una facoltà di adempimento alternativo ad una obbligazione semplice.

La società X. è ricorsa con due motivi per la cassazione della sentenza e gli intimati S. e B. hanno resistito con controricorso notificato il 9 dicembre 2003, illustrato da successiva memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, il ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., e l'omessa o insufficiente motivazione, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in punto di interpretazione e qualificazione del contratto intervenuto tra le parti come preliminare di permuta e non come preliminare di compravendita.

La sentenza impugnata, nell'indagare sulla comune volontà delle parti, aveva eluso i criteri ermeneutici di interpretazione del contratto secondo il senso letterale delle parole adoperate e delle singole clausole "le une per mezzo delle altre", non tenendo conto che l'atto era stato titolato "contratto preliminare di compravendita" e che, in coerenza con la titolazione, il suo testo indicava le parti come "venditori" ed "acquirente", l'atto definitivo come "compravendita" ed il "prezzo" (di totali L. 800.000.000) quale corrispettivo del terreno, ricomprendendo tra le modalità del suo pagamento la corresponsione di L. 400.000.000 mediante la permuta di parte degli appartamenti ricavati dalla ristrutturazione della cascina ovvero, a scelta dell'acquirente, mediante corrispondente versamento in denaro.

Aveva poi arbitrariamente affermato che senza la permuta degli alloggi le parti non avrebbero concluso il contratto, costituendo una petizione di principio la deduzione che la permuta costituiva l'unica obbligazione dedotta in quanto rappresentava il 50% dell'operazione, e non aveva considerato che gli appartamenti da trasferire erano stati descritti nel preliminare in relazione al loro estensione e valore commerciale e non alle res di per sè stesse ed i promittenti si erano dichiarati pronti a ricevere in denaro l'intero corrispettivo della cessione dei terreni.

Nell'individuare il concorso tra le due obbligazioni, infine, aveva malamente applicato la disciplina delle obbligazioni facoltative, giacchè la previsione della facoltà di corrispondere in denaro anche l'altra metà del prezzo in una postilla manoscritta in calce al testo dattiloscritto del contratto, evidenziava che la clausola era stata frutto di un preciso accordo e ritenuta rilevante dalle parti ai fini della definizione delle rispettive obbligazioni.

Con il secondo motivo, deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 1346 e 1369 c.c., nonchè dell'art. 1367 c.c., e l'omessa o insufficiente motivazione, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, in punto di indeterminatezza ed indeterminabilità degli appartamenti oggetto della permuta.

Il riferimento nel contratto alla sola superficie degli immobili da permutare, nonchè al prezzo unitario convenzionale di L. 2.500.000 al mq, e la possibilità, di apportare ad essi le modifiche volute tanto dai promittenti quanto dalla promissaria e quelle rese necessarie dalle limitazioni imposte per il rilascio della concessione edilizia, con proporzionale riduzione del prezzo e scelta di altri appartamenti, chiarivano che i cespiti erano stati individuati dai contraenti per genere e che per i promittenti non era rilevante il trasferimento di specifici immobili.

Pur in assenza di sottoscrizione dell'allegato C e di individuazione in esso con un contorno blu degli immobili da trasferire, il principio della conservazione del contratto imponeva, dunque, di attribuire validità alla determinazione della res debita in quota percentuale delle costruzioni da eseguire sull'area che sarebbe stata trasferita alla promissaria ed il giudice nel dare attuazione del preliminare poteva operare un intervento riequilibrativo delle contrapposte pretazioni per consentire all'atto la realizzazione di effetti sostanzialmente conformi a quelli voluti e previsti dalle parti.

I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono entrambi fondati.

Un contratto traslativo della proprietà, nel quale la controprestazione abbia cumulativamente ad oggetto una cosa in natura ed una somma di denaro, ove venga superata la ravvisabilità di una duplicità di negozi, di cui uno di adempimento mediante datio in solutum, o, in virtù del criterio dell'assorbimento, l'ipotesi di un unico negozio a causa mista, può realizzare tanto la fattispecie di una compravendita con integrazione del prezzo in natura quanto quella di permuta con supplemento in denaro e, in tale ultimo caso, la questione dell'individuazione del negozio in concreto voluto e posto in essere dalle parti non può essere risolta con il mero richiamo all'equivalenza (o anche prevalenza) economica del valore del bene in natura o della somma di denaro che unitamente costituiscono la controprestazione, dovendo invece essere determinata in ragione della prevalenza giuridica dell'una o dell'altra prestazione.

Agli effetti della qualificazione del contratto, è necessario pertanto ricostruire gli interessi comuni e personali, che le parti avevano inteso regolare con il negozio, ed accertare se i contraenti avessero voluto cedere un bene in natura contro una somma di denaro, che per ragioni di opportunità avevano parzialmente commutata in un altro bene, ovvero avessero concordato lo scambio tra loro di due beni in natura e fossero ricorsi all'integrazione in denaro soltanto per colmare la differenza di valore tra i beni stessi.

Di detto accertamento era onerata la sentenza di merito, che, oltre a dovere a tale fine applicare le comuni regole di ermeneutica contrattuale e, in primo luogo, le norme cd. strettamente interpretative, che danno rilievo al senso letterale delle parole adoperate, al comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto, ed al significato delle varie clausole valutate nel loro complesso, aveva anche l'obbligo di consentire, mediante l'esposizione di ragioni idonee, la ricostruzione del percorso logico seguito per giungere ad attribuire all'atto negoziale la qualificazione, tra le altre possibili, di preliminare di permuta con supplemento in denaro. A tale obbligo non ha però adempiuto, giacchè non appare argomento adeguato a sostenere la qualificazione data al contratto la mera e sola constatazione che l'acquirente si era impegnata, da una parte, a permutare 160 mq, valutati L. 400.000.000 "di appartamenti che l'acquirente costruirà ristrutturando la cascina Magnolie ..." e dall'altra, a corrispondere altre L. 400.000.000, da pagare quanto a L. 350.000.000, in due rate mensili, mentre i restanti L. 50.000.000 venivano corrisposti "a titolo di caparra" al momento della sottoscrizione del suddetto atto.

La decisione non esamina, infatti, e non risponde ai rilievi decisivi della ricorrente che nel contratto, titolato "preliminare di compravendita", il corrispettivo del trasferimento del terreno era stato qualificato come prezzo e quantificato in complessive L. 800.000.000, ricomprendendo la permuta di immobili del valore di L. 400.000.000 tra le modalità del suo pagamento, e che la clausola manoscritta in calce al contratto, secondo cui l'acquirente poteva monetizzare i beni da permutare alla data prevista per la loro consegna, lasciava intendere, che la cessione di beni in natura era stata prevista dalle parti per motivi di opportunità del compratore e non per un significativo interesse dei venditori all'acquisto degli immobili.

Circostanza, quest'ultima, che poteva trovare riscontro nella quantificazione della superficie degli appartamenti e nell'indicazione del valore unitario di detta superficie, nella genericità del riferimento alla loro inclusione tra quelli contornati di blu nella planimetria allegata al contratto, nella possibilità di una loro modifica da parte dell'acquirente o dei venditori e nella stessa mancata sottoscrizione dell'allegato C, che, negata dalla sentenza la natura di minuta, o puntuazione, riconosciuta dal giudice di primo grado, non avrebbe potuto essere recuperata quale motivo di nullità del contratto senza una disamina della possibilità di attribuire a tale circostanza, in virtù del principio di conservazione del negozio giuridico sancito dall'articolo 1367 c.c., il valore sintomatico, unitamente alle altre elencate, di una volontà delle parti di ritenere sufficiente ai fini dell'individuabilità della prestazione la ricomprensione degli immobili nel genus limitatum costituito dagli appartamenti che sarebbero stati ricavati dalla ristrutturazione e di rimettere al momento dell'adempimento la concreta individuazione della prestazione, considerata la facoltà di scelta che le parti si erano riservata, quella attribuita al debitore dall'art. 1286 c.c., comma 1, e, eventualmente, l'opzione monetaria riconosciuta all'acquirente.

Alla fondatezza dei motivi di ricorso attinenti al vizio di motivazione in ordine alla qualificazione del contratto ed alla determinabilità del suo oggetto segue la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, anche per le spese del giudizio di legittimità, con assorbimento della questione relativa alla natura alternativa o facoltativa dell'obbligazione del pagamento dell'equivalente in denaro.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2007.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2007.

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