mercoledì 13 aprile 2011

Mediazione civile, probabile incostituzionalità

T.A.R. Lazio - Roma Sezione I Ordinanza 12 aprile 2011, n. 3202

alcuni principi e criteri direttivi [lett. c); lett. n)] fanno escludere che l’obbligatorietà del previo esperimento della mediazione al fine dell’esercizio della tutela giudiziale in determinate materie possa rientrare nella discrezionalità commessa alla legislazione delegata, quale mero sviluppo o fisiologica attività di riempimento della delega, anche tenendo conto della sua ratio e finalità, nonché del contesto normativo comunitario al quale è ricollegabile.

Pertanto, si rende conseguentemente necessaria la sospensione del giudizio e la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale affinché si pronunci sulla questione
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T.A.R.

Lazio - Roma

Sezione I

Ordinanza 12 aprile 2011, n. 3202

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

...omissis...

1. Il Collegio dispone preliminarmente la riunione dei ricorsi in trattazione (n. 10937 del 2010; n. 11235 del 2010), che risultano connessi sotto il profilo oggettivo, nonchè parzialmente connessi sotto il profilo soggettivo, stante l’identità del provvedimento impugnato e delle resistenti amministrazioni della Giustizia e dello Sviluppo economico.

In particolare, con entrambi i gravami, interposti rispettivamente con atti notificati nelle date del 22 e del 27 novembre 2010 e depositati nelle date del 7 e 13 dicembre 2010, si introduce lo scrutinio di legittimità del decreto 18 ottobre 2010, n. 180 adottato dal Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, ovvero il regolamento che, in forza della previsione di cui all’art. 16 del d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28, “Attuazione dell’art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”, reca la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione, nonché l'approvazione delle indennità spettanti ai suddetti organismi.

I ricorrenti di entrambi i giudizi, nel prosieguo meglio specificati, ne domandano l’annullamento in parte qua ritenendolo lesivo degli interessi della categoria forense, nonché illegittimo perché in contrasto con il precitato d.lgs. n. 28 del 2010, con la relativa legge delega ed affetto da eccesso di potere sotto vari profili.

Nei limiti di cui all’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, ovvero incidentalmente, lo scrutinio in trattazione concerne in parte qua anche gli artt. 5 e 16 dello stesso d. lgs. n. 28 del 2010, avverso i quali i ricorrenti di entrambi i giudizi spiegano eccezione di incostituzionalità, per contrasto con i precetti di cui agli artt. 24, 76 e 77 della Costituzione.

Nello scenario investito dal gravame si innesta anche la direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea, che ha disciplinato alcuni aspetti della mediazione in materia civile e commerciale.

Ancorché, infatti, la precitata legge delega n. 69 del 2009 non menzioni specificamente la direttiva n. 2008/52/CE, l’ambito oggetto di regolazione comunitaria è pressochè coincidente con quello disciplinato dalle richiamate norme legislative nazionali ed attuato con il decreto impugnato, ed il comma 2 nonché il terzo criterio e principio direttivo della legge delega in parola (art. 60, l. n. 69 del 2009) prescrivono al legislatore delegato di disciplinare la mediazione nel rispetto ed in coerenza con la normativa comunitaria.

Tant’è che la direttiva n. 2008/52/CE è stata richiamata espressamente nel preambolo del decreto delegato 28/2010.

2. Prima di dare ingresso alla disamina delle questioni introdotte dai ricorrenti, e, segnatamente, delle questioni di legittimità costituzionale – alcune delle quali ad avviso della Sezione risultano rilevanti ai fini del decidere e non manifestamente infondate – occorre prioritariamente affrontare, com’è d’uopo, le questioni di carattere pregiudiziale.

2.1. In detto ambito, in riferimento al ricorso n. 10937 del 2010, viene in immediata evidenza l’eccezione di difetto di legittimazione attiva sollevata dai resistenti Ministero della giustizia e Ministero per lo sviluppo economico nei confronti del ricorrente Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana - O.U.A., ritenuto privo della rappresentanza istituzionale degli interessi della categoria degli avvocati, che il ricorso assume lesi.

Si osserva, al riguardo, che il gravame in parola risulta proposto, oltre che da O.U.A., da ordini esponenziali della categoria forense e da singoli avvocati ad essi iscritti.

I primi sono pacificamente legittimati a difendere in sede giurisdizionale gli interessi della categoria nel suo complesso, di cui hanno la rappresentanza istituzionale, non solo quando si tratti di violazione di norme poste a tutela della professione, ma anche ogniqualvolta si tratti di perseguire comunque, come nella fattispecie, il conseguimento di vantaggi giuridicamente riferibili alla sfera della categoria stessa (tra altre, C. Stato, V, 10 novembre 2010, n. 8006; VI, 14 giugno 2004, n. 3874; V, 7 marzo 2001, n. 1339; Tar Lazio, Roma, I, 16 maggio 2005, n. 3770). I secondi sono legittimati a difendere i propri interessi legittimi.

Ne deriva che l’eccezione – come, del resto, sembrano essere ben consapevoli gli stessi eccepenti – è suscettibile, al più, in caso di accoglimento, di condurre all’estromissione dal giudizio n. 10937 del 2010 dell’O.U.A., e giammai di paralizzare l’esame di merito delle doglianze introdotte con il ricorso – e, indi, massimamente, di quelle attinenti alla verifica di costituzionalità – in relazione alle quali permarrebbe, comunque, l’interesse ad agire degli altri ricorrenti.

Di talchè l’esame della questione attinente alla legittimazione ad agire di O.U.A., anche alla luce delle argomentazioni difensive sul punto svolte dall’Organismo [che, pur non obliando che la Corte Costituzionale ha escluso la legittimazione di O.U.A. a rappresentare e tutelare gli interessi giuridici appartenenti alla classe forense nelle sue vesti istituzionalizzate (sentenza 21 novembre 2006, n. 390), ha invocato il ruolo di organo titolare della rappresentanza politica dell’Avvocatura italiana conferitogli dall’art. 6 dello Statuto, e si è appellato all’evoluzione interpretativa-ampliativa della nozione di legittimazione attiva nel processo amministrativo], non si configura come pregiudiziale rispetto alla presente ordinanza, e, può, pertanto, essere senz’altro rinviato all’atto del pronunciamento definitivo sul gravame stesso.

2.2. Anche nel ricorso n. 11235 del 2010 i resistenti Ministero della giustizia e Ministero per lo sviluppo economico hanno spiegato eccezione di difetto di legittimazione attiva nei confronti dell’unico ricorrente, Unione Nazionale delle Camere Civili – UNCC, sostenendo che la rappresentanza istituzionale dei professionisti del settore che occupa appartiene esclusivamente al Consiglio dell’Ordine e al Consiglio Nazionale Forense.

L’eccezione deve essere respinta.

È principio giurisprudenziale pacifico che un'associazione professionale, se e in quanto ne sia comprovato un apprezzabile grado di rappresentatività, può essere legittimata ad impugnare provvedimenti lesivi, oltre che di interessi propri, di interessi collettivi della categoria, non anche di singole posizioni giuridiche degli associati (C. Stato, V, 22 ottobre 2007, n. 5498; Tar Lazio, Roma, I, 5 dicembre 2008, n. 11015).

Nella fattispecie, alla luce dello statuto dell’UNCC, la ricorrente risulta essere associazione non riconosciuta costituita tra associazioni di avvocati civilisti, avente scopo, tra altri, di promuovere iniziative dirette a conseguire un miglior funzionamento della giustizia, con particolare riguardo a quella civile (art. 2, lett. a) e di rappresentare a livello nazionale le istanze degli avvocati civilisti e degli iscritti alle Camere Civili aderenti all’Unione, nei rapporti con gli organi istituzionali dell’Avvocatura, i rappresentanti dei pubblici poteri, l’Ordine Giudiziario, le altre Associazioni forensi (art. 2, lett. g), senza che lo statuto stesso preveda una qualche limitazione dei mezzi mediante i quali realizzare i detti scopi.

Riferisce, inoltre, la ricorrente, senza essere smentita dalle eccepenti, di contare circa settemila iscritti sull’intero territorio nazionale, e di essere stata riconosciuta dal Congresso Nazionale Forense tra le associazioni maggiormente rappresentative dell’Avvocatura nel suo complesso.

2.3. Nell’ambito del ricorso n. 10937 del 2010, l’interveniente ad opponendum Associazione Avvocati per la mediazione afferma che il ricorso stesso è inammissibile per mancanza di interesse ad agire, non concretando l’atto impugnato, avente natura regolamentare, una diretta ed immediata lesione in capo ai ricorrenti.

L’eccezione va immediatamente apprezzata.

Infatti, se, per un verso, può fondatamente dubitarsi che gli interventori in un giudizio amministrativo possano formulare autonomi mezzi di gravame, sia che intervengano ad adiuvandum sia che intervengano ad opponendum, traducendosi, in questo ultimo caso, gli stessi motivi in una sorta di ricorso "incidentale" per conto dell'autorità che ha emanato l'atto impugnato (Tar Campania, Napoli, 10 agosto 1987, n. 175), per altro verso la questione proposta afferisce alla verifica della sussistenza delle condizioni della interposta azione impugnatoria, ed è pertanto rilevabile d’ufficio.

Nel merito, essa è però da respingere.

E’ vero che, secondo un principio consolidato in giurisprudenza amministrativa, le norme regolamentari, categoria cui è pacificamente ascrivibile l’impugnato decreto n. 180 del 2010, vanno impugnate unitamente all'atto applicativo, che rende concreta la lesione degli interessi di cui sono portatori i destinatari.

Ma la descritta regola è diretta conseguenza della natura, solitamente generale ed astratta, delle previsioni di fonte regolamentare, sicchè trova eccezione per i provvedimenti che, sia pur di natura regolamentare, presentano un carattere specifico e concreto, e sono idonei ad incidere direttamente nella sfera giuridica degli interessati: in tal caso sorge l'onere di immediata impugnazione, a decorrere dalla pubblicazione nelle forme previste dalla legge (C. Stato, V, 19 novembre 2009; IV, 17 aprile 2002, n. 2032).

Siffatta ultima evenienza si apprezza nella fattispecie, in cui il regolamento impugnato regola puntualmente e compiutamente l’iscrizione nel registro degli organismi di mediazione, con criteri che svelano un immediato e certo effetto precettivo ovvero conformativo in relazione alla posizione della platea dei soggetti interessati all’iscrizione.

Risulta, pertanto, pienamente ammissibile la domanda diretta ed autonoma di verifica giudiziale della conformità a legge dell’atto che li contiene, che risulta preordinata all’utilità consistente nell’evitarne l’efficacia cogente per ogni avente causa, in osservanza del termine decadenziale decorrente dalla sua pubblicazione, senza, cioè, che sia necessario rimandarne l'impugnazione al momento successivo dell’adozione dei conseguenti provvedimenti applicativi o esecutivi, che, del resto, non potrebbero che esplicare effetti meramente consequenziali rispetto all’atto stesso, che funge loro da indeclinabile presupposto.

2.4. Va ancora riferito che nel ricorso n. 10937 del 2010 hanno spiegato intervento volontario adesivo alle domande ricorsuali l’Associazione degli Avvocati Romani, l’Associazione Agire e informare, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze e il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Salerno.

Hanno, invece, spiegato intervento volontario ad opponendum, oltre alla già citata Associazione Avvocati per la mediazione, anche l’Associazione Italiana dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, l’Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti e l’Organismo di mediazione ADR Center s.p.a..

Con riferimento alla posizione di tutti i nominati intervenienti, va preliminarmente ribadito, in forza delle argomentazioni di cui ai punti che precedono, che il ricorso in parola risulta ritualmente interposto da soggetti legittimati ad agire e che il provvedimento di cui si domanda l’annullamento si configura come direttamente impugnabile dinanzi al giudice amministrativo.

Va ulteriormente osservato che le amministrazioni che hanno adottato l’atto impugnato (Giustizia e Sviluppo economico), parti necessarie della controversia, sono state regolarmente evocate in giudizio, nel quale si sono costituite in resistenza.

Tanto premesso, il Collegio ritiene, anche qui, che può essere rimandato all’atto della definizione del gravame l’approfondimento delle articolate questioni (di cui alcune sollevate, con eccezioni incrociate, dalle parti costituite) che non si rivelano direttamente ovvero immediatamente incidenti sullo scrutinio di manifesta fondatezza delle spiegate eccezioni di costituzionalità.

In detta sede, si avrà, indi, cura di delineare puntualmente i soggetti nei confronti dei quali la sentenza di merito deve e può essere resa, previa disamina della sussistenza delle condizioni legittimanti gli interventi volontari nel giudizio amministrativo.

Non appare, comunque, sin d’ora superfluo rammentare che tali condizioni consistono, per gli interventori ad adiuvandum, nella carenza di una posizione sostanziale di interesse legittimo, cui conseguirebbe, anziché la assunta posizione adesiva, la proposizione di autonomo ricorso nei prescritti termini di decadenza (C. Stato, VI, 6 settembre 2010, n. 6483), e, per gli interventori ad opponendum, nella titolarità di un interesse contrario a quello azionato dai deducenti, il quale potrebbe subire pregiudizio dall'annullamento dell'atto impugnato (Tar Lazio, Roma, I, 4 giugno 2007, n. 5149).

3. A questo punto deve necessariamente essere svolta, ancorchè sinteticamente, l’illustrazione del quadro normativo della controversia, per quanto qui di interesse.

4. In forza dell’invito formulato agli Stati membri dal Consiglio europeo nella riunione di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, delle conclusioni adottate dal Consiglio nel maggio 2000 sui metodi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale, nonché del Libro verde presentato dalla Commissione nell’aprile del 2002, relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie nelle predette materie, la direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea ha disciplinato alcuni aspetti della mediazione in materia civile e commerciale.

Come sempre in tema di diritto comunitario, i “considerando” della direttiva delineano la generale impostazione conferita all’oggetto della regolazione, sia quanto alle finalità, sia quanto alle caratteristiche.

La direttiva chiarisce innanzitutto che l’obiettivo di garantire un miglior accesso alla giustizia sia giudiziale che extragiudiziale, e, segnatamente, la disponibilità del servizio di mediazione, nel contesto della politica dell’Unione europea volta a istituire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, è un importante contributo al corretto funzionamento del mercato interno (quinto considerando).

Alla luce del sesto considerando della direttiva, la mediazione è, infatti, ritenuta una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale, poiché le relative procedure sono concepite in base alle esigenze delle parti, e gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente, oltre a preservare più facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti, benefici che diventano anche più evidenti nelle questioni di portata transfrontaliera.

La direttiva intende indi delinearne gli elementi chiave, per rendere certo il relativo contesto giuridico (settimo considerando).

Sotto il profilo sostanziale, in positivo, si afferma che la direttiva dovrebbe applicarsi alle controversie transfrontaliere, ma che nulla dovrebbe vietare agli Stati membri di estenderla ai “procedimenti di mediazione interni” (ottavo considerando).

In negativo, si afferma che la mediazione non dovrebbe applicarsi: “ai diritti e agli obblighi su cui le parti non hanno la facoltà di decidere da sole in base alla pertinente legge applicabile. Tali diritti ed obblighi sono particolarmente frequenti in materia di diritti di famiglia e del lavoro” (decimo considerando);

“alle trattative precontrattuali o ai procedimenti di natura arbitrale quali talune forme di conciliazione dinanzi ad un organo giurisdizionale, i reclami dei consumatori, l’arbitrato e la valutazione di periti o i procedimenti gestiti da persone od organismi che emettono una raccomandazione formale, sia essa legalmente vincolante o meno, per la risoluzione della controversia” (undicesimo considerando).

Quanto agli elementi chiave della mediazione, vengono in evidenza, sempre tra i considerando, la differenza tra mediatore e giudice (dodicesimo considerando), la possibilità di rendere il ricorso alla mediazione obbligatorio ovvero soggetto a incentivi o sanzioni, purchè non venga impedita alle parti “di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario” (quattordicesimo considerando) ovvero non si impedisca alle parti, nell’incoraggiare la mediazione, in relazione ai termini di prescrizione e di decadenza, “di adire un organo giurisdizionale o di ricorrere all’arbitrato in caso di infruttuoso tentativo di mediazione” (ventiquattresimo considerando), la fissazione di un termine al processo di mediazione (tredicesimo considerando), la riservatezza del relativo procedimento, anche in relazione all’eventuale successivo procedimento giudiziario od arbitrale (ventitreesimo considerando), l’esecutività dell’accordo scritto raggiunto, fatta salva l’ipotesi di contrasto tra lo stesso e il diritto nazionale ovvero quella che l’obbligo contemplato nell’accordo non possa essere per sua natura reso esecutivo (diciannovesimo considerando); ai fini erariali, la tendenziale neutralità finanziaria in relazione agli stati membri della mediazione, che può includere “il ricorso a soluzioni basate sul mercato”(diciassettesimo considerando).

Viene inoltre in rilievo l’assistenza del mediatore (decimo considerando), la sua formazione e l’introduzione di efficaci meccanismi di controllo della qualità della fornitura del servizio (sedicesimo considerando), la flessibilità del procedimento di mediazione e l’autonomia delle parti, nonché l’efficacia l’imparzialità e la competenza della mediazione (diciassettesimo considerando).

4.1. La direttiva 2008/52/CE regola indi la materia con 14 articoli.

In particolare:

- l’art. 1 enuncia l’obiettivo della regolazione (“…facilitare l’accesso alla risoluzione alternativa delle controversie e di promuovere la composizione amichevole delle medesime incoraggiando il ricorso alla mediazione e garantendo un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario”) e ne delinea il campo di applicazione [“…controversie transfrontaliere, in materia civile e commerciale tranne per i diritti e gli obblighi non riconosciuti alle parti dalla pertinente legge applicabile. Essa non si estende, in particolare, alla materia fiscale, doganale e amministrativa né alla responsabilità dello Stato per atti o omissioni nell’esercizio di pubblici poteri (acta iure imperii)].

- l’art. 3, dedicato alle definizioni, dispone che per mediazione, al di là della denominazione, si intende un procedimento strutturato ove “…due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un mediatore.

Tale procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto di diritto da uno Stato membro”;

- lo stesso art. 3 esplicita che per mediatore si intende “…qualunque terzo cui è chiesto di condurre la mediazione in modo efficace, imparziale e competente, indipendentemente dalla denominazione o dalla professione di questo terzo nello Stato membro interessato…” (lett. b), che comunque incoraggia “…la formazione iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di garantire che la mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti” (par. 2).

- l’art. 5, dedicato al ricorso alla mediazione, esplicitando l’intendimento già anticipato dal preambolo, prevede che “L’organo giurisdizionale investito di una causa può, se lo ritiene appropriato e tenuto conto di tutte le circostanze del caso, invitare le parti a ricorrere alla mediazione allo scopo di dirimere la controversia…” e che “La presente direttiva lascia impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l’inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario”.

- l’art. 6 delinea la esecutività degli accordi risultanti dalla mediazione, che è, peraltro, esclusa laddove “…il contenuto dell’accordo è contrario alla legge dello Stato membro in cui viene presentata la richiesta o se la legge di detto Stato membro non ne prevede l’esecutività”;

- l’art. 8 dispone che “Gli Stati membri provvedono affinché alle parti che scelgono la mediazione nel tentativo di dirimere una controversia non sia successivamente impedito di avviare un procedimento giudiziario o di arbitrato in relazione a tale controversia per il fatto che durante il procedimento di mediazione siano scaduti i termini di prescrizione o decadenza”.

5. Con la legge 18 giugno 2009, n. 69, titolata “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”, e, segnatamente, con l’art. 60, il legislatore nazionale ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale (comma 1), nel rispetto e in coerenza con la normativa comunitaria e in conformità ai principi e criteri direttivi enunciati al comma 3 (comma 2).

Tra questi ultimi, sono attinenti alla materia dell’odierno contendere i principi e criteri direttivi dettati dalle lettere:

“a) prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia;

b) prevedere che la mediazione sia svolta da organismi professionali e indipendenti, stabilmente destinati all’erogazione del servizio di conciliazione;

c) disciplinare la mediazione, nel rispetto della normativa comunitaria, anche attraverso l’estensione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e in ogni caso attraverso l’istituzione, presso il Ministero della giustizia, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di un Registro degli organismi di conciliazione…;

d) prevedere che i requisiti per l’iscrizione nel Registro e per la sua conservazione siano stabiliti con decreto del Ministro della giustizia;

e) prevedere la possibilità, per i consigli degli ordini degli avvocati, di istituire, presso i tribunali, organismi di conciliazione che, per il loro funzionamento, si avvalgono del personale degli stessi consigli;

f) prevedere che gli organismi di conciliazione istituiti presso i tribunali siano iscritti di diritto nel Registro;

g) prevedere, per le controversie in particolari materie, la facoltà di istituire organismi di conciliazione presso i consigli degli ordini professionali;

h) prevedere che gli organismi di conciliazione di cui alla lettera g) siano iscritti di diritto nel Registro;

n) prevedere il dovere dell’avvocato di informare il cliente, prima dell’instaurazione del giudizio, della possibilità di avvalersi dell’istituto della conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione;

p) prevedere, nei casi in cui il provvedimento che chiude il processo corrisponda interamente al contenuto dell’accordo proposto in sede di procedimento di conciliazione, che il giudice possa escludere la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che ha rifiutato l’accordo successivamente alla proposta dello stesso, condannandolo altresì, e nella stessa misura, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente… e, inoltre, che possa condannare il vincitore al pagamento di un’ulteriore somma a titolo di contributo unificato...;

q) prevedere che il procedimento di conciliazione non possa avere una durata eccedente i quattro mesi;

r) prevedere, nel rispetto del codice deontologico, un regime di incompatibilità tale da garantire la neutralità, l’indipendenza e l’imparzialità del conciliatore nello svolgimento delle sue funzioni;

s) prevedere che il verbale di conciliazione abbia efficacia esecutiva per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e costituisca titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale”.

6. La delega in parola è stata esercitata con il d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28.

L’art. 2 del d. lgs. 28/2010 recita che “1. Chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto”.

L’art. 4 chiarisce che “1. La domanda di mediazione…è presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo…2. L'istanza deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa. 3. All'atto del conferimento dell'incarico, l'avvocato è tenuto a informare l'assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20.

L'avvocato informa altresì l'assistito dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale...”.

E’ bene a questo punto illustrare l’art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010, che, in continuità logica con l’ultima disposizione appena richiamata, sancisce al comma 1 che “Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazioneai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell'articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L 'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

L'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza…”.

Esclusa, ai sensi dell’ultimo periodo del ridetto comma 1 dell’art. 5 la sua applicazione alle azioni previste dagli artt. 37, 140 e 140-bis del codice del consumo (d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206), il successivo comma 4 dispone ancora che lo stesso comma 1 (nonché il comma 2) non si applica:

“a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;

b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'articolo 667 del codice di procedura civile;

c) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;

d) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata;

e) nei procedimenti in camera di consiglio;

f) nell'azione civile esercitata nel processo penale”.

Regolati, poi, agli artt. 6, 8, 11, 12 e 13, il procedimento di mediazione, anche sotto il profilo temporale (art. 6: durata massima di quattro mesi), gli effetti dalla legge ricondotti ai suoi possibili esiti [a) mancata partecipazione senza giustificato motivo, art. 8, comma 5; b) raggiungimento dell’accordo amichevole, formazione del relativo processo verbale anche sulla base di una proposta di mediazione, ed efficacia esecutiva ed esecuzione dell’accordo, non contrario all’ordine pubblico e a norme imperative, previa omologazione, art. 11, commi 1, 2, 3 e art. 12; c) mancato raggiungimento dell’accordo, art. 11, comma 4], nonché le spese dell’eventuale giudizio che fa seguito al procedimento di mediazione nel quale non si è raggiunto un accordo (art. 13), il capo III del d. lgs. 28/2010 è dedicato agli organismi di mediazione.

Al riguardo, viene in rilievo la previsione dell’art. 16, comma 1, della costituzione da parte di enti pubblici o privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza, di organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione nelle materie di cui all'art. 2.

Tali organismi devono essere iscritti nel registro, con separate sezioni, disciplinato da appositi decreti del Ministro della giustizia, di concerto, relativamente alla materia del consumo, con il Ministro dello sviluppo economico, che regola anche le indennità loro spettanti (art. 16, commi 1 e 2).

Dette amministrazioni costituiscono, per la parte di competenza, le autorità vigilanti sul registro (art. 16, comma 4).

Ai fini dell’iscrizione, secondo il comma 3 dello stesso art. 16, gli organismi, unitamente alla relativa domanda, sono tenuti a depositare il proprio regolamento di procedura, la cui idoneità forma oggetto di specifica valutazione da parte del Ministero della giustizia, e il codice etico. Al regolamento devono inoltre essere allegate le tabelle delle indennità spettanti agli organismi costituiti da enti privati, che sono a loro volta proposte per l'approvazione, a norma del successivo art. 17.

Invero, l’art. 17, disposto ai commi 2 e 3 che tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall'imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura, e che il verbale di accordo è esente dall'imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro (altrimenti l'imposta è dovuta per la parte eccedente), prevede al comma 4 che con il decreto di cui all'art. 16, comma 2, sono determinati:

“a) l'ammontare minimo e massimo delle indennità spettanti agli organismi pubblici, il criterio di calcolo e le modalità di ripartizione tra le parti;

b) i criteri per l'approvazione delle tabelle delle indennità proposte dagli organismi costituiti da enti privati;

c) le maggiorazioni massime delle indennità dovute, non superiori al venticinque per cento, nell'ipotesi di successo della mediazione;

d) le riduzioni minime delle indennità dovute nelle ipotesi in cui la mediazione è condizione di procedibilità ai sensi dell'articolo 5, comma 1”.

La disposizione di cui alla appena citata lett. d) si correla al comma 5, che dispone che, quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell'art. 5, comma 1, all'organismo non è dovuta alcuna indennità dalla parte che si trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

7. Con decreto 18 ottobre 2010, n. 180 il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, ha adottato il regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell'elenco dei formatori per la mediazione, nonché l'approvazione delle indennità spettanti agli organismi.

8. Come già sopra anticipato, il decreto n. 180 del 2010 è l’atto di cui in questa sede i ricorrenti domandano l’annullamento in parte qua, per le ragioni che si passa sinteticamente ad illustrare.

8.1. Nell’ambito del ricorso, n. 10937 del 2010 (O.U.A. ed altri), il primo ed il secondo motivo di gravame (entrambi titolati: violazione di legge; violazione art. 16, d. lgs. 28/10; erronea interpretazione; eccesso di potere; difetto di presupposto; illogicità; arbitrarietà) racchiudono i tratti salienti dell’interesse azionato in giudizio e investono anche questioni di rilevanza costituzionale.

Di essi si tratterà più diffusamente nell’immediato prosieguo.

Il terzo motivo di ricorso (violazione di legge; violazione art. 16, d. lgs. 28/10;

violazione art. 60, l. 69/09; erronea interpretazione; difetto di presupposto;

eccesso di potere; arbitrarietà; illogicità; sviamento) è diretto avverso l’art. 4, comma 4 del regolamento, che, nel subordinare l’iscrizione degli organismi costituiti dai consigli dell’ordine degli avvocati nel registro degli organismi di mediazione alla presentazione di una polizza assicurativa di importo non inferiore a € 500.000,00, introduce, secondo i ricorrenti, una limitazione all’accesso all’attività di mediazione di tipo economico e finanziario che è illegittima, in quanto non prevista né dalla legge delega 69/09 né dal decreto delegato 28/10.

Con lo stesso terzo motivo i ricorrenti avversano anche la disposizione transitoria di cui all’art. 20 del regolamento, che consente l’iscrizione di diritto nel registro degli organismi di mediazione degli organismi già iscritti nel registro di cui al decreto del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222, rappresentando che tale previsione risulta del tutto arbitraria, tenendo conto sia dell’art. 16, comma 2, del d. lgs. n. 28 del 2010, che aveva previsto l’operatività di detti organismi solo fino al momento dell’entrata in vigore del regolamento, sia dell’art. 60, comma 3, lett. e) ed f) della l. n. 69 del 2009, che collega piuttosto l’immediata operatività dei procedimenti di mediazione all’iscrizione di diritto nel relativo registro dei soli organismi eventualmente costituiti dai consigli dell’ordine presso i tribunali.

Con il quarto motivo di ricorso (violazione di legge; violazione art. 17, d. lgs.

28/10; erronea interpretazione; difetto di presupposto; eccesso di potere;

sviamento) i ricorrenti lamentano che l’art. 16 del regolamento, disattendendo l’art. 17 del d. lgs. 28/2010: a) non prevede la determinazione dell’importo minimo delle indennità spettanti agli organismi di mediazione in relazione al primo scaglione e non individua il criterio di calcolo e le modalità di ripartizione tra le parti; b) non appronta i criteri per l’approvazione delle tabelle delle indennità proposte dagli organismi costituiti dagli enti privati; c) non indica le maggiorazioni massime delle indennità dovute; d) non prevede la riduzione minima dell’indennità nell’ipotesi in cui la mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

8.2. Come si desume da quanto appena riferito, mentre la disamina della fondatezza delle doglianze di cui al terzo e quarto motivo di ricorso non investe l’apprezzamento di questioni di legittimità costituzionale, e può essere rimandata all’atto della definizione del gravame, analoga condizione non si ravvisa per le due prime doglianze, che vanno, pertanto, illustrate in dettaglio.

8.3. Mediante le censure dedotte al primo ed al secondo motivo del gravame n. 10937 del 2010 i ricorrenti lamentano che il decreto 180/2010 non reca alcun criterio volto a individuare e a selezionare gli organismi di mediazione in ragione dell’attività squisitamente giuridica che essi andranno ad effettuare, e che è richiesto sia dalla normativa comunitaria [laddove dispone che la mediazione “sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti” (art. 4 direttiva 2008/52/CE)], sia dalla legge delega [art. 60, lett. b), l. n. 69 del 2009: “prevedere che la mediazione sia svolta da organismi professionali ed indipendenti, stabilmente destinati all’erogazione del servizio di conciliazione”].

A sostegno della censura, viene ulteriormente osservato che l’art. 4 del regolamento n. 180 del 2010, nel disciplinare l’iscrizione, a domanda, degli organismi di mediazione, che possono essere costituiti sia da enti pubblici che da enti privati, si limita a prevedere, al comma 2, una serie di parametri di tipo amministrativo-economico-finanziario (tra cui la capacità finanziaria e organizzativa, il possesso di polizza assicurativa, la trasparenza amministrativa e contabile), poi a prescrivere, al comma 3, una verificazione di tipo

“aggiuntivo” sui requisiti di qualificazione dei mediatori, che viene demandata al responsabile del procedimento (“Il responsabile verifica altresì i requisiti di qualificazione dei mediatori”), senza essere in alcun modo correlata con le competenze giuridiche oggettivamente richieste dall’attività di mediazione.

A tale ultimo riguardo, i ricorrenti O.U.A. ed altri escludono che il criterio selettivo di cui lamentano la carenza possa essere costituito dalla previsione di cui all’art. 4, comma 3, del regolamento impugnato, che prevede, alla lett. a), che il mediatore deve essere in possesso di “un titolo di studio non inferiore al diploma di laurea universitaria triennale” ovvero, in alternativa, essere iscritto

“ad un ordine o collegio professionale” e, alla lett. b), che il mediatore abbia

“una specifica formazione e…uno specifico aggiornamento almeno biennale, acquisiti presso gli enti di formazione” regolati al successivo art. 18.

Ciò in quanto, secondo i ricorrenti, tutti tali elementi, essendo sprovvisti dell’indicazione di una specifica professionalità, delineano un’area generica, attinente al solo ambito della formazione culturale, e che risulta, pertanto, priva di quegli agganci ad una precipua qualificazione e perizia nell’ambito giuridico e processuale – senza la quale l’attività formativa specifica prevista, peraltro esigua, non può raggiungere utili scopi – che essi ritengono invece necessaria in ragione della tipologia della prestazione che deve essere resa. E ciò soprattutto considerando che, alla luce dell’art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010, per le materie ivi previste, l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, ovvero si pone come alternativa al sistema giudiziale o quale funzione stragiudiziale di soddisfazione di pretese giuridiche.

L’assunto secondo il quale il procedimento di mediazione non può che essere gestito con l’ausilio dei soggetti svolgenti la professione legale viene dai ricorrenti affidata anche alla considerazione che:

- il procedimento di mediazione non positivamente concluso incide sulle spese del successivo giudizio [art. 13, d. lgs. 28/10; art. 60, lett. p), l. 69/09];

- il verbale dell’accordo conclusivo del procedimento di mediazione, non contrario all’ordine pubblico o a norme imperative, nonché sottoposto ad omologazione, ha efficacia di titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale (art. 12, d. lgs. 28/10);

- l’avvocato ha l’obbligo di informare il proprio assistito, all’atto del conferimento dell’incarico, della possibilità di avvalersi della mediazione [art. 4, comma 3, d. lgs. 28/10; art. 60, lett. n), l. 69/09], nonostante lo svolgimento della relativa attività sia, poi, demandato ad altre categorie professionali.

Proseguendo nel descritto ambito argomentativo, i ricorrenti pervengono, infine, alla conclusione che l’intero corpo sistematico delle fonti di disciplina del procedimento di mediazione faccia emergere evidenti profili di contraddittorietà, ed, in particolare, che la mancata previsione di idonei criteri di valutazione della competenza degli organismi di mediazione ponga il regolamento impugnato in palese contrasto non tanto con l’art. 16 del d.lgs. 28/2010, ma piuttosto con i principi generali e l’insieme delle disposizioni dell’intero impianto legislativo considerato.

8.4. Sempre nell’ambito del ricorso n. 10937 del 2010, i ricorrenti espongono che gli artt. 5 e 16 del d. lgs. 28/2010 non sfuggirebbero a censure di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 77 e 24 della Costituzione.

In particolare:

a) l’art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010, nel prevedere che l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità, rilevabile anche d’ufficio, della domanda giudiziale in riferimento alle controversie nelle previste materie (condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, responsabilità medica e diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari), precluderebbe l’accesso diretto alla giustizia, disattendendo espressamente le previsioni della legge delega, art. 60 della l. n. 69 del 2009, e, segnatamente, il principio e criterio direttivo di cui alla lett. a), che lo tutela specificamente;

b) l’art. 16 del d. lgs. n. 28 del 2010, ponendo quali criteri di selezione degli organismi abilitati alla mediazione esclusivamente la “serietà ed efficienza”, liberalizzerebbe il settore, contravvenendo sia all’art. 4 della direttiva 2008/52/CE, sia alla citata legge di delega, lett. b), che fanno riferimento, rispettivamente, ai criteri della competenza e della professionalità.

8.5. Passando all’illustrazione del ricorso n. 11235 del 2010, si rileva che esso consta di tre censure.

Con la prima (illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale degli artt. 5 e 17 del d. lgs. 28/2010 in relazione agli artt. 24, 76 e 77 della Costituzione) la ricorrente UNCC sostiene che il legislatore delegato è incorso in eccesso di delega laddove ha introdotto l’obbligatorietà della mediazione e l’improcedibilità del giudizio interposto senza il previo esperimento della mediazione, entrambi non previsti dalla legge delega.

Con la seconda (illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale dell’art. 8 del d. lgs. 28/2010 in relazione agli artt. 24, 76 e 77 della Costituzione) la ricorrente sostiene che, poiché nella logica del decreto delegato, le scelte che la parte è chiamata ad effettuare nel procedimento di mediazione sono suscettibili di condizionare l’esito del successivo processo, per un verso la mancata previsione nel procedimento stesso della obbligatorietà dell’assistenza del difensore viola l’art. 24 della Costituzione (nonché favorisce le classi più abbienti, facoltizzate ad avvalersene), per altro verso l’introduzione della possibilità di acquisire elementi di prova in assenza di difesa tecnica, non prevista dalla legge delega, concreta eccesso di delega ex art. 76 Cost..

Con il terzo motivo di gravame [violazione dell’art. 60, comma III, lett. b) della l. n. 69 del 2009 e dell’art. 16 del d. lgs. 20/2010 – eccesso di potere per irragionevolezza - illegittimità derivata dalla illegittimità costituzionale dell’art. 16 del d. lgs. 28/2010 in relazione agli artt. 76 e 77 della Costituzione] la ricorrente lamenta che, laddove la legge delega pone il requisito dell’indipendenza sia in capo agli organismi di mediazione sia in capo ai singoli mediatori, l’art. 4 del decreto impugnato assicura tale indipendenza in misura molto minore, riferendola esclusivamente “allo svolgimento del servizio di mediazione”.

9. A questo punto va subito chiarito che le eccezioni di costituzionalità relative alla mancata previsione nel procedimento di mediazione della obbligatorietà dell’assistenza del difensore nonché alla mancata esplicitazione in capo agli organismi di mediazione del requisito della indipendenza, sollevate esclusivamente nel ricorso n. 11235 del 2010, si profilano non rilevanti ai fini del presente giudizio.

La prima in quanto priva di qualsiasi collegamento diretto od indiretto con la domanda demolitoria del regolamento impugnato avanzata innanzi a questa sede; la seconda in quanto afferisce esclusivamente allo scrutinio di legittimità dell’art. 4 del regolamento stesso.

10. Ritiene, invece, il Collegio che le altre questioni di costituzionalità sollevate dai ricorrenti sono rilevanti ai fini della decisione del gravame e non si profilano manifestamente infondate.

Esse investono, precisamente:

- l’art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010, comma 1, primo periodo (che introduce a carico di chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa alle controversie nelle materie espressamente elencate l’obbligo del previo esperimento del procedimento di mediazione), secondo periodo (che prevede che l’esperimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale), terzo periodo (che dispone che l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza);

- l’art. 16 del d. lgs. n. 28 del 2010, comma 1, laddove dispone che sono abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione gli enti pubblici e privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza.

11. Va, quindi, ora immediatamente affrontato il profilo della rilevanza ai fini della decisione della presente controversia delle questioni di cui al precedente punto 10.

Punto centrale della stessa, nonché qualificante espressione dell’interesse sostanziale dedotto in giudizio, alla luce della prima e dalla seconda doglianza di cui al ricorso n. 10937 del 2010, è la dedotta omissione, da parte dell’art. 4 dell’impugnato regolamento 180/2010, di criteri volti a delineare i requisiti attinenti alla specifica professionalità giuridico-processuale del mediatore.

L’illegittimità di siffatta omissione, precisano i ricorrenti, non si apprezza che in relazione alle previsioni contenute nell’art. 4 della direttiva 2008/52/CE e nell’art. 60 della l. n. 69 del 2009, che appunto prevedono, rispettivamente, che la mediazione debba essere svolta con competenza e professionalità.

Ciò in quanto l’art. 16 del d. lgs. n. 28 del 2010, di cui il regolamento costituisce attuazione, e in relazione al quale i ricorrenti introducono il sospetto di incostituzionalità, ha obliato la valenza di detti requisiti (si ripete, competenza e professionalità), sostituendoli con altri (serietà ed efficienza), che il regolamento impugnato ha fatto propri, ma che non soddisfano, però, secondo i ricorrenti, le esigenze considerate dal legislatore comunitario e da quello nazionale delegante.

Tali ultime esigenze i ricorrenti ritengono, invece, insopprimibili, soprattutto osservando che, per un vasto ventaglio di materie, l’art. 5 dello stesso d.lgs. 28/2010, pure dai ricorrenti sospettato di incostituzionalità, rende l’esperimento della mediazione condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

E allora, per effettuare in questa sede autonomamente e compiutamente la disamina della eventuale fondatezza di un siffatto impianto argomentativo – prescindendo, cioè, dalle questioni di costituzionalità – il Collegio dovrebbe sottoporre l’art. 60 della l. n. 69 del 2009 e l’art. 16 del d. lgs. n. 28 del 2010 ad una interpretazione costituzionalmente orientata, che tenga conto della necessità di una stretta continuità e coerenza delle disposizioni, tra di esse ed in relazione all’art. 4 della direttiva 2008/52/CE.

Ciò al fine di risolvere ermeneuticamente il problema consistente nella non sovrapponibilità dei concetti di “competenza”, “professionalità”, nonché “serietà ed efficienza”, alternativamente utilizzati dalle fonti regolatrici della materia (rispettivamente, direttiva, legge delega e decreto delegato), individuando, anche alla luce degli scopi e dei principi fondanti che esse assumono, il parametro normativo specifico in relazione al quale apprezzare se la disposizione regolamentare impugnata (art. 4) presenti le caratteristiche della completezza e della congruenza.

In tal modo, non solo non si porrebbe la necessità di scrutinare in via incidentale l’art. 16 del d. lgs. 28/2010, ma anche l’art. 5 dello stesso d.lgs. 28/2010 rimarrebbe sullo sfondo della controversia, senza essere direttamente investito dalla sua definizione.

Ma il Collegio ritiene che una siffatta impostazione non sia oggettivamente perseguibile.

Ciò in quanto essa non esaurirebbe che in una misura molto limitata l’ambito delle questioni sottoposte a giudizio, lasciando, in particolare, aperto l’interrogativo di quale sia il ruolo che l’ordinamento giuridico nazionale intende effettivamente affidare alla mediazione.

Laddove, invece, è proprio la puntuale individuazione di tale ruolo ad essere imprescindibilmente pregiudiziale all’apprezzamento dei requisiti che, in via attuativa-amministrativa, è legittimo richiedere al mediatore ovvero da cui è legittimamente consentito prescindere.

E’infatti intuitivo, anche sotto il profilo del grado di affidamento da ingenerarsi verso l’esterno in relazione alla figura del mediatore, e che si riflette nella professionalità che in capo al medesimo l’amministrazione è tenuta a verificare, che:

- una cosa è la costruzione della mediazione come strumento cui lo Stato in un vasto ambito di materie obbligatoriamente e preventivamente rimandi per l’esercizio del diritto di difesa in giudizio;

- altra cosa è la costruzione della mediazione come strumento generale normativamente predisposto, di cui lo Stato incoraggi o favorisca l’utilizzo, lasciando purtuttavia impregiudicata la libertà nell’apprezzamento dell’interesse del privato ad adirla ed a sopportarne i relativi effetti e costi.

In altre parole, non pare potersi porre fondatamente in dubbio che la disamina rimessa a questa sede in ordine alla valutazione della fondatezza delle descritte doglianze, in relazione alle norme del regolamento n. 180 del 2010 interessate dalla domanda demolitoria nei sensi sopra precisati, non possa prescindere dall’accertamento della correttezza, in raffronto ai criteri della legge delega ed ai precetti costituzionali, e tenuto conto delle disposizioni comunitarie, delle scelte operate dal legislatore delegato laddove:

- all’art. 16, ha conformato gli organismi di conciliazione a parametri, o meglio a qualità, che attengono esclusivamente ed essenzialmente all’aspetto della funzionalità generica, e che, per contro, sono scevri da qualsiasi riferimento a canoni tipologici tecnici o professionali di carattere qualificatorio ovvero strutturale;

- al contempo, all’art. 5, ha configurato, per le materie ivi previste, l’attività da questi posta in essere come insopprimibile fase pre-processuale, cui altre norme del decreto assicurano effetti rinforzati, ed, in quanto tale, suscettibile, in ogni suo possibile sviluppo, o di conformare definitivamente i diritti soggettivi da essa coinvolti, o di incidervi, comunque, anche laddove ne residui la giustiziabilità nelle sedi istituzionali e si intenda adire la tutela giudiziale.

E ciò anche tenendo particolarmente conto, sotto un profilo più generale, del fatto che nel decreto legislativo n. 28 del 2010 si rinvengono, come al Collegio sembra palese, elementi che fanno emergere due scelte di fondo che, in relazione ai diritti disponibili e nelle materie considerate, in misura inversamente proporzionale, ma biunivocamente, mirano, con forza cogente, l’una, alla de-istituzionalizzazione e de-tecnicizzazione della giustizia civile e commerciale nelle materie stesse, e, l’altra, alla enfatizzazione di un procedimento para-volontario di componimento delle controversie nelle materie stesse, che, però, per come strutturate, non risultano omogenee con una ulteriore scelta pure ivi operata.

Che consiste nel disporre che l’atto che conclude la mediazione, sottoposto ad omologazione, possa acquistare efficacia di titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale (art. 12, d. lgs. 28/10) – rientrando, così, a pieno titolo tra gli atti aventi gli stessi effetti giuridici tipici delle statuizioni giurisdizionali – laddove, nel corso della mediazione, ed ai sensi decreto legislativo stesso, il profilo della competenza tecnica del mediatore sbiadisce, e, vieppiù, anche il diritto positivo viene in evidenza solo sullo sfondo, come cornice esterna ovvero come generale limite alla convenibilità delle posizioni giuridiche in essa coinvolte (divieto di omologare accordi contrari all’ordine pubblico o a norme imperative, art. 12 del d. lgs. n. 28 del 2010).

E allora, per assicurare la certezza della fattibilità del descritto meccanismo, al fine di escludere che lo stesso ridondi in danno del diritto di difesa in giudizio garantito dall’art. 24 Cost., risulta insopprimibile la necessità che l’interpretazione dell’art. 16 del d. lgs. 28/2010 [propedeutica alla disamina della impugnata disposizione regolamentare dell’art. 4)] sia correlata con quanto previsto dall’art. 5 dello stesso decreto (entrambi nelle parti precisate al punto 9), il cui combinato disposto costituisce il vero perno della regolazione delegata.

Tale ultima norma, però, per le ragioni che si passa ad illustrare, non risulta al Collegio trovare una rispondenza nella legge delega, con conseguente violazione dell’art. 77 Cost..

12. Nell’illustrare il complessivo quadro normativo della fattispecie, si è dato conto che la direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE è chiara nell’affermare, all’ottavo considerando ed all’art. 1, che il campo privilegiato di applicazione delle disposizioni comunitarie sulla mediazione in materia civile e commerciale è rappresentato dalle controversie transfrontaliere, ma che nulla dovrebbe vietare agli Stati membri di estenderla ai “procedimenti di mediazione interni”.

L’intento della direttiva sul punto è chiaro.

La immediata disponibilità nell’ambito dell’Unione europea del servizio di mediazione in relazione alle controversie transfrontaliere nelle materie civili e commerciali risponde, infatti, con efficacia apprezzabile a prima vista, alla necessità di superare le problematiche solitamente e squisitamente proprie di tali tipologie di controversie, quali l’individuazione dell’ordinamento statale applicabile e del giudice compente, contribuendo, così, ad una soluzione rapida ed efficace delle ragioni del contendere, che altrettanto indubitabilmente manifesta il ruolo di elemento necessario al corretto funzionamento del mercato interno, anche tenuto conto che la materia degli scambi commerciali non è ontologicamente estranea alla composizione amichevole delle controversie.

Al contempo, il legislatore comunitario esprime evidentemente l’avviso che nulla osta a che la mediazione, quale strumento tendenzialmente generale di risoluzione delle controversie, sia valorizzata dalle singole legislazioni nazionali, mediante l’esercizio di un’opzione estensiva dell’istituto, come delineato nei tratti salienti dalla direttiva, che ne comporti l’applicazione anche a quelle che esulano dal campo dei rapporti transfrontalieri, e che ricadono interamente nell’ambito degli ordinamenti interni degli Stati membri.

Secondo le attribuzioni proprie dell’ordinamento nazionale vigente, l’eventuale adesione, di carattere pacificamente discrezionale, a siffatta ipotesi ampliativa, e, conseguentemente, la competenza ad esercitare opzione nei detti sensi, non può che essere individuata che in capo alla fonte normativa primaria [art. 111 Cost.; art. 117, lett. l) ed m) Cost.;].

E ciò anche perché, come meglio in seguito, essa non esaurisce le scelte da compiersi, ma costituisce il presupposto da cui scaturisce la necessità di operare altre scelte, che ineriscono, se così si può dire, ai massimi livelli del sistema nazionale della “giustizia” in materia civile.

Si pone, indi, la necessità di verificare se le scelte effettuate dal legislatore delegato, con specifico riferimento alle prime tre disposizioni dell’art. 5 del d.lgs. 28/2010, possano essere ascritte, nelle parti fondanti, all’art. 60 della più volte richiamata l. n. 69 del 2009.

E’ il caso di chiarire che ad analoga necessità condurrebbe anche l’eventualità che l’art. 60 della l. n. 69 del 2009, oltre a porsi in continuità con la direttiva 21 maggio 2008, n. 2008/52/CE – come sembra al Collegio palese ancorché la stessa non venga richiamata nel testo dell’articolo, che rimanda però al

“rispetto” ed alla “coerenza” con la normativa comunitaria [comma 2 e comma 3, lett. c)], e come è in effetti sembrato palese anche al legislatore delegato, che l’ha citata nel preambolo – esprima anche l’ulteriore ed autonomo intendimento del legislatore di approntare soluzioni volte a fronteggiare le note problematiche connesse nel nostro ordinamento al processo civile.

In tale ultimo senso sembrano, per vero, militare sia l’inserimento dell’art. 60 non nella legge comunitaria annuale bensì in un corpus normativo per “lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile”, sia la dizione utilizzata dal comma 2 dello stesso articolo, che qualifica la delega conferita al Governo ai sensi del comma 1 che lo precede (“in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale”) quale “riforma”.

Infatti, quand’anche ci si trovasse di fronte ad una autonoma “riforma” di carattere ordinamentale, meramente occasionata dall’obbligo di recepire la direttiva n. 2008/52/CE, da cui mutua il contenuto essenziale, ma senza che l’intento recettivo esaurisca le intenzioni del legislatore, a maggior ragione si imporrebbe l’indagine sull’oggetto che costituisce il reale ambito della delega, che non potrebbe essere sic et simpliciter derivato dalle disposizioni comunitarie in corso di recepimento.

13. Ma il Collegio non rinviene nella legge delega alcun elemento che consenta di ritenere che la regolazione della materia andasse effettuata nei sensi prescelti dalle prime tre previsioni dell’art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010.

E ciò per le ragioni che si passa ad illustrare.

13.1. Va subito chiarito che, laddove indubitabilmente è ascrivibile al più volte nominato art. 60 della l. 60/09 la scelta di ampliare il ricorso alla mediazione nelle controversie interne in ambito civile e commerciale, nessuno dei criteri e principi direttivi previsti e nessuna altra disposizione dell’articolo espressamente assume l’intento deflattivo del contenzioso giurisdizionale o configura l’istituto della mediazione quale fase pre-processuale obbligatoria.

Né detto tema può ritenersi rientrante nell’ambito di libertà, ovvero nell’area di discrezionalità commessa alla legislazione delegata, esso non costituendo, per quanto sopra riferito e per quanto in seguito, né un mero sviluppo delle scelte effettuate in sede di delega nè una fisiologica attività di riempimento o di coordinamento normativo, sia che si tratti di recepire la direttiva comunitaria n. 2008/52/CE sia che si tratti della riforma del processo civile.

Ne consegue che, ai fini della positiva valutazione della costituzionalità della previsione, tenendo conto del silenzio serbato dal legislatore delegante sullo specifico tema, occorrerebbe almeno che l’art. 60 lasci trasparire elementi in tal senso univoci e concludenti.

Ma così non è.

13.2. Va poi anche escluso che l’art. 60 della legge n. 69 del 2009, con la locuzione del relativo comma 2 (regolare la riforma “nel rispetto e in coerenza con la normativa comunitaria”), ovvero con il principio e criterio direttivo posto alla lett. c) del comma 3 (“disciplinare la mediazione nel rispetto della normativa comunitaria”) possa essere inteso quale delega al Governo a compiere ogni e qualsivoglia scelta latamente occasionata dalla direttiva comunitaria n. 2008/52/CE, che, come sopra si è rilevato, il Governo non è stato neanche espressamente chiamato a recepire.

Ma, sul punto, come già sopra accennato, è ancor più decisivo osservare che varie sono le opzioni da considerare a termini della direttiva in parola.

La prima e la più significativa, nonchè quella chiaramente compiuta dall’art. 60, è indubbiamente quella relativa alla estensione dell’applicazione delle disposizioni comunitarie sulla mediazione anche ai procedimenti interamente ricadenti nell’ordinamento nazionale, per i quali essa non è originariamente ed obbligatoriamente prevista.

La seconda è quella di valutare se il procedimento di mediazione debba essere “avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro” [art. 3, lett. a), direttiva n. 2008/52/CE].

La terza, logicamente conseguente all’ultima delle opzioni della seconda, è quella di apprezzare se, dinamicamente, lasciare “impregiudicata la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l’inizio del procedimento giudiziario” (art. 5, par. 2, direttiva n. 2008/52/CE).

Il tutto, tenendo comunque conto del limite costituito dalla necessità di non impedire “alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario” (art. 5, par. 2, direttiva n. 2008/52/CE).

I ricaschi della scelta estensiva dell’istituto della mediazione dal campo privilegiato delle controversie transfontaliere a quello dei procedimenti interamente ricadenti nell’ordinamento interno sono, indi, molteplici, ed attengono precipuamente alle varie modalità con cui tale estensione, salvaguardando l’accesso alla giustizia, può essere effettuata nei singoli ordinamenti, ed, in primis, all’opzione di rendere il ricorso alla mediazione (prescritto dal diritto”, indi “obbligatorio” e “soggetto a sanzioni”.

Quand’anche, pertanto, dovesse ritenersi che l’art. 60 si ponga un intento integralmente recettivo della direttiva n. 2008/52/CE, il silenzio del legislatore delegante su tali ultime opzioni non ha, né può avere, alla luce della doverosa interpretazione della delega in conformità agli artt. 24 e 77 Cost., il significato di assentire la meccanica introduzione nell’ordinamento statale delle opzioni comunitarie che, rispetto al diritto di difesa come scolpito dall’art. 24 Cost., appaiono le più estreme, ovvero la “prescrizione di diritto” per talune materie dell’obbligatorietà del ricorso alla mediazione, e la predisposizione della massima “sanzione” per il suo eventuale inadempimento, quale è l’improcedibilità rilevabile anche d’ufficio, come, al contempo, ha fatto l’art. 5 del decreto delegato.

13.3. Va, altresì, chiarito che nessun elemento decisivo, sempre ai fini in parola, è ricavabile dal principio e criterio direttivo previsto dalla lett. a) della legge delega, laddove si dispone che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, “senza precludere l’accesso alla giustizia”.

Tale principio e criterio direttivo, infatti, nella dinamica della delega, non sembra assumere altro ruolo che quello di richiamare l’attenzione sulla necessità di rispettare un principio assoluto e primario dell’ordinamento nazionale (art. 24 della Costituzione) e di quello comunitario.

Ciò posto, è vero che l’accesso alla giustizia potrebbe non ritenersi ex se precluso dalla previsione di una fase pre-processuale, che, ancorché obbligatoria, lasci comunque aperta la facoltà di adire la via giurisdizionale.

Infatti, secondo il costante insegnamento del Giudice delle leggi, l'art. 24 Cost.

non impone che il cittadino possa conseguire la tutela giurisdizionale sempre allo stesso modo e con i medesimi effetti, e non vieta quindi che la legge possa subordinare l'esercizio dei diritti a controlli o condizioni, purché non vengano imposti oneri tali o non vengano prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l'esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell'attività processuale (Corte Cost., 21 gennaio 1988, n. 73; 13 aprile 1977, n. 63; sul punto, non può non richiamarsi anche la recente sentenza della Corte di Giustizia CE, IV, 18 marzo 2010).

Ma è altresì vero:

- sia che, proprio in forza delle statuizioni appena citate, le modalità di una siffatta previsione non sono ininfluenti al fine di valutarne la conformità a Costituzione;

- sia che nell’ordinamento giuridico vigente, e specificamente in quello che regola la delega legislativa, non tutto ciò che è in via generale permesso all’autorità delegante può ritenersi anche assentito alla sede delegata.

Di talchè, anche potendosi ammettere che le prime tre disposizioni del comma 1 dell’art. 5 del d. lgs. 28/2010, isolatamente considerate, possano non essere in contrasto con il principio costituzionale del diritto alla difesa, alla stessa conclusione potrebbe non pervenirsi tenendo conto degli effetti del loro coordinamento con altre disposizioni dello stesso d. lgs., e, segnatamente, con l’art. 16. In ogni caso, poi, attesa la natura della fonte, occorrerebbe rinvenirne il fondamento in un altro principio e criterio direttivo della delega.

Ma, come si è già accennato, ciò non è dato.

13.4. Atteso, quindi, che i principi e criteri direttivi appena esaminati appaiono neutrali al fine di apprezzare la rispondenza dell’art. 5 del d. lgs. 28/10 alla legge delega, va osservato, vieppiù, che ben due principi e criteri direttivi depongono, invece, a favore della non rispondenza.

13.4.1. Con il principio e criterio direttivo previsto dall’art. 60, lett. c), si prevede che la mediazione sia disciplinata anche “attraverso l’estensione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5”.

Il decreto legislativo 5/2003 reca la “Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell'articolo 12 della l. 3 ottobre 2001, n. 366”, e nel titolo VI, dedica(va) alla conciliazione stragiudiziale gli artt. da 38 a 40, ora abrogati proprio dall’art. 23 del d. lgs. n. 28 del 2010.

Il richiamo dell’art. 60 in parola al d. lgs. 5/2003 fa escludere che la puntuale scelta operata dal comma 1 dell’art. 5 del d. lgs. 28/2010 possa essere ascritta al legislatore delegante.

Infatti, il d. lgs. 5/2003, segnatamente, all’art. 40, comma 6, molto più limitatamente di quanto previsto dal ridetto art. 5, e solo nello scenario in cui

“il contratto ovvero lo statuto della società prevedano una clausola di conciliazione e il tentativo non risulti esperito”, prevede che “il giudice, su istanza della parte interessata proposta nella prima difesa dispone la sospensione del procedimento pendente davanti a lui fissando un termine di durata compresa tra trenta e sessanta giorni per il deposito dell'istanza di conciliazione davanti ad un organismo di conciliazione ovvero quello indicato dal contratto o dallo statuto”.

Il modello legale valorizzato dall’art. 60 della l. 69/90 mediante il richiamo al d.lgs. 5/2003 è quello, quindi, in cui si versa innanzitutto in un ambito già delineato da norme di fonte volontaria privata (contratto o statuto sociale).

In tale quadro, è comunque rimesso ad un altro momento volontario privato, ovvero alla facoltà della parte che vi ha interesse, e non alla forza cogente della legge, far constare nel giudizio già interposto, ed entro termini prestabiliti, la sussistenza di una clausola conciliativa ed il mancato esperimento della conciliazione.

Ed anche qualora la parte ritenga di avvalersi di tale facoltà, il procedimento giudiziale non si estingue, ma, molto più limitatamente, deve essere sospeso per il periodo necessario ad esperire la conciliazione.

Il decreto legislativo 5/2003 delinea, dunque, una fattispecie nella quale l’esistenza di un modulo normativo di composizione delle controversie alternativo alla giurisdizione, di cui l’interessato non si sia avvalso, né pospone de iure il suo diritto di difesa in giudizio né lo rende, eventualmente, inutiliter esercitato, come, invece, fanno le prime tre disposizioni del comma 1 dell’art. 5 del d. lgs. 28/2010.

E’ bene aggiungere che nulla muta, poi, considerando che il decreto delegato n. 28 del 2010, al comma 2 dello stesso art. 5, affianca al meccanismo sospetto di incostituzionalità di cui al comma 1 anche un meccanismo coincidente a quello appena descritto, ascrivibile al modello richiamato dal legislatore delegante (d.lgs. 5/2003), in forza del quale è il giudice adito, anche in sede di appello, che, valutati una serie di elementi, invita le parti a procedere alla mediazione e differisce la decisione giurisdizionale: tale disposizione, infatti, tiene comunque

“Fermo quanto previsto dal comma 1…”.

Anzi, il comma 2 dell’art. 5 lumeggia maggiormente la incisività della diversa scelta compiuta dal legislatore delegato al comma 1 dello stesso articolo, di subordinare nelle materie ivi previste il diritto di difesa in giudizio all’esperimento della mediazione, rendendo ancor più pressante l’esigenza che di una siffatta scelta si individui il preciso fondamento nella legge delega.

13.4.2. A sua volta, la lett. n) del più volte richiamato art. 60 prevede il dovere dell’avvocato di informare il cliente, prima dell’instaurazione del giudizio, della “possibilità”, e non dell’obbligo, di avvalersi dell’istituto della conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione.

Anche tale disposizione non consente di ritenere che l’art. 5 del d. lgs. 20/10, al comma 1, nelle tre prime disposizioni, trovi un riscontro nella legge delega 69/09.

Infatti, la possibilità è, per definizione, diversa dall’obbligatorietà, e l’accentuazione di tale differenza non può ritenersi superflua, vertendosi nel campo della deontologia professionale, ovvero in un complesso di obblighi e doveri la cui inosservanza può determinare conseguenze pregiudizievoli in base all’ordinamento civile (risarcimento del danno), amministrativo (sanzioni disciplinari) e pubblicistico (art. 4, comma 4, d. lgs. 28/2010), che richiedono l’esatta individuazione del precetto presidiato dalle sanzioni.

Tant’è che lo stesso decreto delegato 28/2010 ha dovuto differenziare, al comma 4 dell’art. 4, l’ipotesi in cui l’avvocato omette di informare il cliente della “possibilità” di avvalersi della mediazione, da quella in cui l’omissione informativa concerne i casi in cui “l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”.

E ciò ancorché poi, alquanto sorprendentemente, l’art. 4, comma 4 in parola non diversifichi la sanzione correlata alle due fattispecie, che sono state entrambe ricondotte alla unica categoria della “violazione degli obblighi di informazione” e all’annullabilità del contratto intercorso tra l’avvocato e l’assistito, nonostante la assai maggior pregiudizievolezza della seconda.

14. Nessuna delle problematiche di rilievo costituzionale sopra evidenziate viene risolta dalle difese formulate dalle amministrazioni resistenti.

14.1. Si opina che lo schema procedimentale seguito è quello dell’art. 46 della l. 3 maggio 1982, n. 203, in tema di controversie agrarie.

L’argomentazione non è satisfattiva.

Detta risalente legge, che effettivamente configura un meccanismo in forza del quale il previo esperimento del tentativo di conciliazione assume la condizione di presupposto processuale, la cui carenza preclude al giudice eventualmente adito di pronunciare nel merito della domanda (Cass. SS.UU, 20 dicembre 1985, n. 6517), oltre a concernere le limitatissime (rispetto alle materie di cui all’art. 5, comma 1, del d. lgs. n. 28 del 2010) ipotesi dei contratti agrari, non figura menzionata in alcuna parte della legge delega, che richiama, invece, la completamente diversa fattispecie normativa del già citato d. lgs. n. 5 del 2003, sopra illustrata.

14.2. L’assunzione di finalità deflative del contenzioso giudiziale, l’apprezzamento dell’equilibrio della soluzione prescelta e delle eccezioni previste rispetto all’esercizio del diritto di azione ex art. 24 Cost. e all’interesse generale alla sollecita definizione della giustizia ed al contenimento “dell’abuso del diritto alla tutela giurisdizionale” – posto che una siffatta tipologia di “abuso” possa essere legittimamente e genericamente visualizzata, a termini dell’ordinamento nazionale vigente, unico parametro lecito nella prospettiva propria dell’argomentazione, solo sulla scorta del dato costituito dal numero di contenziosi civili pendenti – non sono qui in discussione.

Si tratta, infatti, di questioni di merito sottratte all’ambito proprio del giudizio amministrativo, laddove, invece, più a monte, occorre verificare, in osservanza delle regole proprie dello scrutinio incidentale di costituzionalità di cui all’art. 1 della l. cost. n. 1 del 1948, se trattasi di scelte che il Governo era legittimato ad attuare, e con le previste modalità, in forza delle attribuzioni delegate dal Parlamento.

14.3. E’ fuori tema e non coglie comunque nel segno, per le stesse ragioni appena riferite e per quanto al punto 13.3., ogni questione attinente alle indicazioni ricavabili dalla giurisprudenza comunitaria in tema di telecomunicazioni invocata dalle parti resistenti in relazione alla astratta possibilità per il legislatore nazionale di sottoporre l’esercizio dei diritti fondamentali a restrizioni compatibili con obiettivi di interesse generale, a condizione che essi siano perseguiti in modo non sproporzionato o inaccettabile, ed alla verifica del rispetto di siffatte condizioni da parte delle norme delegate.

14.4. Non è vero, per quanto pure in precedenza riferito, che l’unico limite posto al decreto delegato è quello del rispetto della possibilità di accesso alla giustizia.

Si è infatti sopra dato conto che nell’art. 60 della l. n. 69 del 2009 sussistono alcuni elementi di carattere positivo univoci e concludenti, tra cui primariamente il richiamo alle già illustrate disposizioni di cui al decreto legislativo n. 5 del 2003 (artt. da 38 a 40, ora abrogati dall’art. 23 del d. lgs. n. 28 del 2010), che, nel rapporto tra mediazione e processo, delineano un equilibrio molto diverso da quello assunto dal comma 1 dell’art. 5.

Né è conducente, per quanto sopra pure diffusamente esposto (13.2), affermare che la normativa comunitaria fa esplicito riferimento all’ipotesi di mediazione obbligatoria anche negli specifici termini estremi fatti propri dal legislatore delegato (e non, si ribadisce, dalla legge delega), atteso che essi, nel contesto comunitario, come sopra acclarato, costituiscono previsioni via via “facoltizzate”.

Quanto all’affermazione che, ai fini dell’introduzione della obbligatorietà della mediazione, sono state prescelte controversie che traggono origine da rapporti particolarmente conflittuali, quali quelle attinenti al risarcimento del danno, e che sono caratterizzate da maggior complessità e durata, essa, oltre a inverare ancora un giudizio di merito non consono alla presente sede, sembra deporre a favore delle tesi ricorsuali, più che confutarle.

Il problematico contesto sopra considerato non muta, infine, tenendo conto delle materie (d. lgs. 8 settembre 2007, n. 179, Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob; art. 128-bis del d. lgs. 1° settembre 1993, n. 385 e s.m.i., t.u. in materia bancaria e creditizia, risoluzione stragiudiziale delle controversie tra le banche e gli intermediari finanziari e la clientela), per le quali è già previsto un procedimento conciliativo, trattandosi, anche qui, di elementi che si profilano di assoluta neutralità in relazione alle questioni dibattute in questa sede.

15. Tutto quanto sin qui argomentato giustifica la valutazione di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale:

- dell’art. 5 del d. lgs. n. 28 del 2010, comma 1, primo periodo (che introduce a carico di chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa alle controversie nelle materie espressamente elencate l’obbligo del previo esperimento del procedimento di mediazione), secondo periodo (che prevede che l’esperimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale), terzo periodo (che dispone che l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto o rilevata d’ufficio dal giudice);

- dell’art. 16 del d. lgs. n. 28 del 2010, comma 1, laddove dispone che abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione sono gli enti pubblici e privati, che diano garanzie di “serietà ed efficienza”.

15.1. In particolare, le disposizioni di cui sopra risultano in contrasto con l’art. 24 Cost. nella misura in cui determinano, nelle considerate materie, una incisiva influenza da parte di situazioni preliminari e pregiudiziali sull’azionabilità in giudizio di diritti soggettivi e sulla successiva funzione giurisdizionale statuale, su cui lo svolgimento della mediazione variamente influisce.

Ciò in quanto esse non garantiscono, mediante un’adeguata conformazione della figura del mediatore, che i privati non subiscano irreversibili pregiudizi derivanti dalla non coincidenza degli elementi loro offerti in valutazione per assentire o rifiutare l’accordo conciliativo, rispetto a quelli suscettibili, nel prosieguo, di essere evocati in giudizio.

15.2. Le disposizioni in parola risultano altresì in contrasto con l’art. 77 Cost., atteso il silenzio serbato dal legislatore delegante in tema di obbligatorietà del previo esperimento della mediazione al fine dell’esercizio della tutela giudiziale in determinate materie, nonché tenuto conto del grado di specificità di alcuni principi e criteri direttivi fissati dalla legge delega, art. 60 della l. 69/09, che risultano stridenti con le disposizioni stesse.

In particolare, alcuni principi e criteri direttivi [lett. c); lett. n)] fanno escludere che l’obbligatorietà del previo esperimento della mediazione al fine dell’esercizio della tutela giudiziale in determinate materie possa rientrare nella discrezionalità commessa alla legislazione delegata, quale mero sviluppo o fisiologica attività di riempimento della delega, anche tenendo conto della sua ratio e finalità, nonché del contesto normativo comunitario al quale è ricollegabile.

15.3. Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del giudizio e la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale affinché si pronunci sulla questione.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

interlocutoriamente pronunciando sui ricorsi di cui in epigrafe, così dispone:

1) riunisce i ricorsi n. 10937 del 2010 e n. 11235 del 2010, connessi oggettivamente e parzialmente connessi soggettivamente;

2) dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 24 e 77 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010, comma 1, primo periodo (che introduce a carico di chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa alle controversie nelle materie espressamente elencate l’obbligo del previo esperimento del procedimento di mediazione), secondo periodo (che prevede che l’esperimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale), terzo periodo (che dispone che l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto o rilevata d’ufficio dal giudice);

3) dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 24 e 77 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 16 del d.lgs. n. 28 del 2010, comma 1, laddove dispone che abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione sono gli enti pubblici e privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza;

4) dispone la sospensione del presente giudizio e ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale;

5) ordina che, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti costituite e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:

Giorgio Giovannini, Presidente
Roberto Politi, Consigliere
Anna Bottiglieri, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 12/04/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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