mercoledì 31 gennaio 2007

ingiunzione a demolire ed obbligo ex art. 7 L. 7.8.1990, n. 241

ingiunzione a demolire: la giurisprudenza, a più riprese, ha avuto modo di affermare che: è’ illegittimo l’ordine di demolizione di un manufatto se non preceduto dall’avviso dell’avvio del relativo procedimento, ai sensi dell’art. 7 L. 7.8.1990, n. 241


n. 10359/06 Reg. Sent.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale

della Campania

Sezione Seconda

composto dai Signori Magistrati:

dr. ANTONIO ONORATO Presidente

dr.ssa ANNA PAPPALARDO Consigliere.

dr. UMBERTO MAIELLO Primo Ref. , relatore

ha pronunciato all’udienza camerale del 23.11.2006 la seguente

DECISIONE IN FORMA SEMPLIFICATA

Sul ricorso n. 6318.2006 proposto dalla soc. CLP Project – Clean Power Project s.r.l. -, in persona del legale rappresentante pro – tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Maria Annunziata Chiarizio ed elettivamente domiciliata in Napoli presso la Segreteria T.A.R.;

contro

il Comune di ROCCARAINOLA, in persona del Sindaco pro – tempore, non costituito

per l’annullamento

1) dell’ordinanza di demolizione n°40 del 25.5.2006;

2) della relazione tecnica prot.llo 3552 del 5.4.2006 e di ogni altro atto preordinato e connesso;

Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;

Vista la domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dal ricorrente;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;

Udito il relatore Primo Referendario dr. UMBERTO MAIELLO

Uditi altresì per le parti gli avvocati come da verbale di udienza;

Visto l'articolo 21 nono comma della legge 6 dicembre 1971, n.1034, nel testo sostituito dall'art. 3, primo comma, della Legge 21 luglio 2000 n. 205, che facoltizza, in sede di decisione della domanda cautelare, il Tribunale Amministrativo Regionale, accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria, a definire il giudizio nel merito a norma dell'articolo 26 della legge della legge 6 dicembre 1971, n.1034,.

Rilevato che, nella specie, il presente giudizio può essere definito con decisione in forma semplificata ai sensi dell'articolo 26 della legge della legge 6 dicembre 1971, n.1034, come modificato dall'art. 9 della Legge 21 luglio 2000 n. 205, stante la completezza del contraddittorio e della documentazione di causa, oltre che la manifesta fondatezza del ricorso,

Sentiti sul punto i difensori delle parti costituite, come da verbale d'udienza;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto;

FATTO E DIRITTO

Con il provvedimento oggetto di gravame è stata contestata alla ricorrente l’esecuzione di opere abusive consistenti in: n°8 plinti in cemento armato…”

Il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto.

Segnatamente, vanno, anzitutto, condivise le censure con cui parte ricorrente lamenta la violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento.

Com’è noto, l’art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241 nell’imporre alle Pubbliche Amministrazioni l’obbligo della comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre l’effetto finale, ha recepito un nuovo criterio di regolamentazione dell’azione dei pubblici poteri, incentrato sulla valorizzazione del metodo dialettico come forma inderogabile di esercizio della funzione amministrativa.

Tanto in ragione dell’auspicata partecipazione al procedimento dei soggetti direttamente interessati, con evidenti positive ricadute in relazione all’attuazione degli obiettivi di massima trasparenza nei rapporti tra cittadini e Pubblica Amministrazione, garantita dalla piena ed immediata ostensione del potere amministrativo nello stesso momento della sua formazione.

D’altronde, il rispetto del principio in esame, nel momento stesso in cui promuove l’emersione di tutti gli interessi coinvolti ed attua la ponderata comparazione degli stessi, risulta in stretta correlazione con i canoni di rango costituzionale dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa, e, quindi, assicura la cura ottimale dell’interesse pubblico ed, in via tendenziale, un’anticipata composizione dei conflitti.

Orbene, sulla scorta delle suddette premesse deve riconoscersi alle garanzie di partecipazione in argomento la dignità giuridica di principio generale dell’ordinamento, con conseguente natura eccezionale di ogni disposizione derogatoria che escluda o limiti tale diritto.

Un ulteriore corollario di tale affermazione si coglie, in aderenza ad un orientamento già espresso dalla Sezione ( cfr. ex multis Tar Campania, Seconda Sezione n°9737/2004), sul punto conforme ad autorevoli pronunce giurisprudenziali (Cass. SS. UU, 1.4.2000, n. 82; C. di S., sez. I, 6.4.2000, n. 286; C. di DS., Sez. V, 9.10.1997, n. 1131; C. di S., Sez. V, 23.4.1998, n. 474), rispetto alla portata precettiva della disposizione in commento, da intendersi estesa fino a ricomprendere i provvedimenti vincolati e basati su presupposto verificabili in modo immediato ed univoco.

In definitiva, deve concludersi nel senso che la regola in commento non patisce eccezione nel caso di esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi: con più specifico riferimento all’ingiunzione a demolire, la giurisprudenza, anche di questa Sezione, a più riprese ha avuto modo di affermare che: << è’ illegittimo l’ordine di demolizione di un manufatto se non preceduto dall’avviso dell’avvio del relativo procedimento, ai sensi dell’art. 7 L. 7.8.1990, n. 241 >> (cfr. Tar Campania, Seconda Sezione n°9737/2004; Tar Campania – Sezione Seconda 5353/2005; 5559/2005 Consiglio di stato, Sez. V, 26 febbraio 2003, n. 1095; T.A.R. Liguria, Sez. I, 28.3.2002, n. 306 ; T.A.R. Calabria, Catanzaro, 10.12.2001, n. 1991).

Tale orientamento ha trovato vieppiù conferma nelle recenti modifiche introdotte dalla legge 11 febbraio 2005 che, nel ribadire la necessità di assicurare effettività alle garanzie di partecipazione procedimentale, già evincibile dall’originario impianto normativo, si è limitata ad introdurre, in via di eccezione, una deroga al regime di annullabilità dell’atto per vizi formali, inibendo la pronuncia di decisioni a contenuto demolitorio qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Inoltre, proprio in relazione al vizio derivante comunicazione dell'avvio del procedimento, il legislatore ha espressamente stabilito che il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Orbene, la piana lettura delle disposizioni in commento riflette con assoluta evidenza la chiara intenzione del legislatore di estendere in via ordinaria – così come già evidenziato da questa Sezione - l’applicazione del regime procedimentale definito agli artt. 7 e ss. della legge 241/1990 anche agli atti a contenuto vincolato, rimanendo ininfluente un’eventuale violazione delle garanzie di partecipazione nei soli casi di evidente superfluità, da un punto di vista fattuale e/o giuridico, di ogni apporto collaborativo rispetto al contenuto precettivo delle determinazioni da assumere.

Sotto il suddetto profilo, mette conto evidenziare che l'amministrazione intimata, nemmeno costituita in giudizio, non ha dimostrato – in ossequio al nuovo schema probatorio introdotto dal legislatore con la recente novella normativa ( legge 15/2005) - che “il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” ( cfr. Tar Campania, Seconda Sezione, 20463/2005).

La rilevata mancanza è vieppiù significativa nel caso di specie essendo rimasti inesplorati i profili di doglianza dedotti dal ricorrente a sostegno del proposto gravame, segnatamente in ordine alla esatta ubicazione dell’intervento, agli effetti della comunicazione di inizio attività presentata dalla società ricorrente, al regime giuridico delle opere in contestazione.

Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso va accolto e, per l’effetto, s’impone l’annullamento dell’atto impugnato.

Resta esclusa ogni valutazione sulla sanabilità dell’opera, che l’Amministrazione è tenuta ad effettuare nel rispetto delle divisate garanzie partecipative.

Sussistono nondimeno giusti motivi per compensare le spese processuali.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, sede di Napoli, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione venga eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella Camera di Consiglio del 23 novembre 2006.

Il Primo Ref. Estensore

Il Presidente

domenica 28 gennaio 2007

Distanza legale fra le costruzioniI

a) articoli 873 al 907 del codice civile

1) Edifici, costruzioni che non siano costruiti in aderenza o appoggio; 3 metri.
2) Muro di cinta la cui altezza misura meno di 3 metri di altezza; 0 metri.
3) Muro di cinta la cui altezza misura più di 3 metri di altezza; 3 metri.
4) Travi, tasselli, tubi interni in muro divisorio comune a due proprietari; 5 cm dalla superficie della parete del vicino.
5) Pozzi, cisterne, fosse latrine; 2 metri.
6) Tubi esterni, condutture (acqua, gas ecc.); 1 metro.
7) Forni, camini, stalle, casotti caldaia; in base ai regolamenti o in loro mancanza in base alla distanza di sicurezza.
8) Canale o fosso; distanza uguale alla profondità del fosso.
9) Alberi di alto fusto; 3 metri.
10) Alberi a basso fusto, inferiore a 3 metri di altezza; 1,5 metri.
11) Viti, arbusti, sieti vive, piante da frutto (con una altezza inferiore a 2,5 metri);1 metro.

b) distanze tra finestre e pareti secondo il DM del 1968 n. 1444 considerando fabbricati che non abbiano in mezzo una strada a traffico veicolare;

1) Nuovi edifici; 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, anche non finestrate.
2) Nuovi complessi insediati in zone a bassa edificazione c.d. zone C; distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto tra pareti con finestre o tra un'unica parete con finestre e un'altra senza che si fronteggino per più di 12 metri.
3) Centri storici c.d. zona A; ristrutturazioni totali a distanze non inferiori a quelle esistenti, senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale.

c) distanze tra finestre e pareti secondo il DM del 1968 n. 1444 considerando fabbricati che abbiano in mezzo una strada a traffico veicolare;

1) Strade con una larghezza minore di 7 metri; larghezza più di 5 metri per lato.
2) Strade con una larghezza compresa fra 7 e 15 metri; larghezza più di 7,5 metri per lato.
3) Strade di larghezza superiore a 15 metri; larghezza più di 10 metri per lato.

d) distanze secondo quanto è disposto dal Codice della Strada fuori dai centri abitati;

1) Autostrade; 60 m. edifici in generale; 30 m. edifici in zone previste come edificabili; 5 m. muri di cinta.
2) Strade extraurbane principali; 40 m. edifici in generale; 20 m. edifici in zone previste come edificabili; 5 m. muri di cinta.
3) Strade extraurbane secondarie; 30 m. edifici in generale; 10 m. edifici in zone previste come edificabili; 3 m. muri di cinta.
4) Strade locali; 20 m. edifici in generale; non previste edifici in zone previste come edificabili; 3 m. muri di cinta.
5) Strade vicinali; 10 m. edifici in generale; non previste edifici in zone previste come edificabili; non previste muri di cinta.

e) distanze secondo quanto è disposto dal Codice della Strada nei centri abitati;

1) Autostrade; 30 m. edifici in generale; 30 m. edifici quando manca uno strumento urbanistico vigente; 3 m. muri di cinta.
2) Strade urbane di scorrimento; 20 m. edifici in generale; 20 m. quando manca uno strumento urbanistico vigente; 2 m. muri di cinta.
3) Strade urbane di quartiere; non previste per gli edifici in generale; 20 m. quando manca uno strumento urbanistico vigente; 2 m. muri di cinta.
4) Strade locali; non previste per gli edifici in generale; 10 m. quando manca uno strumento urbanistico vigente; non previste per i muri di cinta.


f) normativa speciale:

Legge dello Stato 24/03/1989 n. 122
Disposizioni in materia di parcheggi, programma triennale per le aree urbane maggiormente popolate, nonché modificazioni di alcune norme del testo unico sulla disciplina della circolazione stradale. (c.d. Legge Tognoli)
(Gazzetta ufficiale 06/04/1989 n. 80)

Decreto Ministeriale 02/04/1968 n. 1444
Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi, da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765.

g) codice della strada

Decreto Legislativo 30/04/1992 n. 285
Nuovo codice della strada.
(Suppl. ordinario G.U. 18/05/1992 n. 114)

vedi il regolamento attuativo

Decreto Pres. Repubblica 16/12/1992 n. 495
Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo codice della strada.
(Gazzetta ufficiale 28/12/1992 n. s.o. 303)


mercoledì 24 gennaio 2007

Scaricare da server non è reato se manca il fine di lucro

Cassazione , sez. III penale, sentenza 09.01.2007 n° 149

Secondo la sezione terza penale della Cassazione l’espressione “a fini di lucro” contenuta nella fattispecie criminosa di cui all'art. 171 ter della legge sul diritto d'autore (L. 633/41) deve intendersi "un fine di guadagno economicamente apprezzabile o di incremento patrimoniale da parte dell’autore del fatto, che non può identificarsi con un qualsiasi vantaggio di altro genere; né l’incremento patrimoniale può identificarsi con il mero risparmio di spesa derivante dall’uso di copie non autorizzate di programmi o altre opere dell’ingegno, al di fuori dello svolgimento di un’attività economica da parte dell’autore del fatto, anche se di diversa natura, che connoti l’abuso".

REPUBBLICA ITALIANA

NEL NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

III SEZIONE PENALE

SENTENZA 9 GENNAIO 2007 n. 149

(Pres. Vitalone – est. Lombardi)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Torino ha confermato la pronuncia di colpevolezza di R. Eugenio e F. Claudio in ordine ai reati: a) e d) di cui all’articolo 171 bis della legge 633/41; b) di cui all’articolo 171 ter lettera a) e b) della legge 633/41, loro ascritti per avere, a fine di lucro, duplicato abusivamente, utilizzando un computer configurato come server Ftp, e distribuito programmi per elaborare illecitamente duplicati, giochi per psx, video Cd (capo a); per avere, a fine di lucro, abusivamente duplicato su supporto informatico opere cinematografiche, mettendole poi a disposizione sul server ftp, dal quale potevano essere scaricate da utenti abilitati all’accesso tramite un codice identificativo e relativa password a fronte del conferimento di materiali informatici sul predetto server ftp (capo b) nonché il R. per avere detenuto a scopo commerciale programmi destinati a consentire o facilitare la rimozione dei dispositivi di protezione applicati a programmi per elaboratore (capo d).

I giudice di merito hanno accertato in punto di fatto che gli imputati avevano creato, gestito e curato la manutenzione di un sito ftp mediante un computer esistente presso l’associazione studentesca del Politecnico di Torino, sul quale venivano scaricati (download) programmi tutelati dalle norme sul diritto d’autore. Successivamente tali programmi potevano essere prelevati da determinati utenti che avevano accesso al server in cambio del conferimento a loro volta di materiale informatico, nonché il solo R. per avere detenuto presso la sua abitazione programmi destinati a consentire o facilitare la rimozione dei dispositivi di protezione applicati ai programmi per elaboratore.

La sentenza ha rigettato i motivi di gravame con i quali il F. aveva dedotto la propria estraneità ai fatti ed entrambi gli imputati la non configurabilità delle fattispecie criminose di cui alla contestazione prima della riforma di cui alla legge 248/00 e successive modificazioni.

La sentenza su tale ultimo punto, in sintesi, ha affermato che le operazioni descritte integrano le ipotesi delittuose di cui api di imputazione, pur nella previsione normativa antecedente alla legge di riforma citata, osservando che l’attività posta in essere dagli imputati implica necessariamente la duplicazione dei programmi ed altri files relativi ad opere musicali o cinematografiche protetti dal diritto d’autore e che lo scambio del materiale informatico integra l’ipotesi della duplicazione del predetto materiale a fine di lucro richiesta per la configurabilità delle fattispecie criminose di cui alla contestazione, nella loro formulazione normativa antecedente alla riforma.

Si è osservato sul punto, in relazione alle differenze terminologiche adoperate dalla legge di riforma (“scopo di profitto” invece di “scopi di lucro” – “detenzione per scopo commerciale o imprenditoriale” invece di “detenzione per scopo commerciale”), che le stesse si congiurano quale interpretazione autentica del legislatore, finalizzata a superare le questioni interpretative correlate ad ipotesi di vantaggio non immediatamente patrimoniale; interpretazione che non ha ampliato l’ambito della punibilità della fattispecie delittuose precedenti.

Avverso la sentenza hanno proposto ricorso il difensore del R. ed il F. di persona, che la denunciando per violazione di legge.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con un unico motivo di gravame la difesa del R. denuncia la violazione ed errata applicazione degli articoli 171bis e 171ter della legge 633/41 nel testo vigente all’epoca dei fatti ed in relazione alle modifiche apportata a detti articoli dalla legge 248/00, dal D.Lgs 68/2003, dal Dl 72/2004, convertito in legge 128/04, e dal Dl 7/2005, convertito con modificazioni dalla legge 43/2005.

Si deduce, in sintesi, che l’interpretazione delle norme incriminatici effettuata dalla corte territoriale viola i principi della tipicità e della tassatività delle fattispecie criminose di cui alle disposizioni citate.

Si osserva in proposito, sempre in sintesi, che le differenze terminologiche adoperate dal legislatore nelle varie formulazioni degli articoli 171bis e 171ter della legge 633/41 non sono esclusivamente finalizzate ad assicurare una sempre più adeguata tutela del diritto d’autore, dettata dalla necessità di determinare la rispondenza del quadro normativo al progresso tecnologico, bensì anche dalla finalità di contemperare le predette esigenze di tutela con quella di garantire la circolazione delle opere dell’ingegno, quale strumento di progresso sociale e culturale.

Si deduce, quindi, che le differenze terminologiche adoperate nel testo legislativo tra “scopo di lucro” e “scopo di profitto”, peraltro generalmente connesse alla necessità di adeguare la legislazione nazionale al Trattato dell’Ompi sul diritto d’autore ed alle direttive comunitarie ad esso correlate, sono conseguenza del diverso approccio del legislatore alla indicata esigenza di contemperare contrapposti interessi, di cui costituiscono evidente espressione le modificazioni subite in breve arco di tempo dall’articolo 171ter della legge 633/41 con riferimento all’elemento soggettivo del reato, la cui soglia di punibilità è stata da ultimo nuovamente innalzata al perseguimento di un fine di lucro da parte dell’autore della violazione.

Si deduce, quindi, con specifico riferimento alla pronuncia impugnata che i giudici di merito hanno erroneamente attribuito all’imputato una attività di duplicazione dei programmi e di opere dell’ingegno protette dalla legge sul diritto d’autore, poiché la duplicazione in effetti avveniva ad opera dei soggetti che si collegavano con il sito ftp e da essa in piena autonomia prelevavano i files e nello stesso ne scaricavano altri. Si aggiunge che, in ogni caso, doveva essere esclusa l’esistenza di un fine di lucro da parte del R. non potendosene ravvisare gli estremi nella mera attività di scambio dei files posta in essere; che la condotta dell’imputato, quanto meno con riferimento alle opere musicali e cinematografiche, potrebbe ritenersi solo attualmente sanzionata dall’articolo 171ter, comma 1 lettera abis), aggiunto dal Dl 72/2004, convertito in legge 128/04; che, anche con riferimento al programma detenuto dall’imputato nella propria abitazione, doveva escludersi la detenzione a fini commerciali e lucrativi dello stesso, scopo in ordine al quale, peraltro, nulla è stato affermato dai giudici di merito.

Con un unico motivo di gravame a sua volta il F. denuncia la violazione ed errata applicazione degli articoli 171bis e 171ter della legge 633/41.

Anche il secondo ricorrente denuncia l’errata interpretazione dei giudici di merito circa la sussistenza nel caso in esame del fine di lucro, che deve concretizzarsi nel perseguimento di un vantaggio economicamente apprezzabile; elemento da escludersi nel caso in esame in cui è stato accertato che lo scambio di software avveniva esclusivamente a titolo gratuito, né era connesso a forme di pubblicità o ad altra utilità economica che ne potessero trarre i creatori del sito ftp.

I ricorso sono fondati.

È opportuno premettere che appare pienamente condivisibile, con riferimento all’elemento materiale della fattispecie delittuosa principale, l’affermazione della impugnata sentenza, secondo la quale le operazioni di download sul server ftp e dallo stesso sui computer delle persone che si collegavano al sito, implica necessariamente la duplicazione del materiale informativo e, più in generale, delle opere dell’ingegno protette dal diritto d’autore oggetto dell’operazione, sicché sotto il citato profilo vi è sostanziale coincidenza tra i fatti ascritti agli imputati e le ipotesi criminose ritenute dai giudici di merito.

La questione nodale circa l’applicabilità, nel caso in esame, delle fattispecie criminose di cui agli articoli 171bis della legge 633/41, introdotto dall’articolo 10 del D.Lgs 518/92 e 171ter della medesima legge, introdotto dall’articolo 17 del D.Lgs 685/94, nella loro formulazione antecedente alla legge di riforma 248/00 è, pertanto, costituita dalla interpretazione del termine “scopo di lucro”, adoperato nel testo delle norme vigenti all’epoca dei fatti, rispetto all’espressione “scopo di profitto” introdotto dalla legge di riforma, con la conseguente individuazione del diverso ambito di applicazione della fattispecie per effetto delle citate differenze terminologiche.

In proposito non si palesa certamente condivisibile l’affermazione della sentenza impugnata, secondo la quale le diverse espressioni con le quali il legislatore ha, di volta in volta, individuato il citato elemento soggettivo del reato costituiscono mera estrinsecazione di una interpretazione autentica dello stesso concetto, semplicemente riformulato in termini più esaustivi nella successive modificazione della norma per un migliore adeguatamente terminologico della tutela penale alla evoluzione dei fenomeni di violazione del diritto d’autore.

Contrasta con tale interpretazione il diverso valore che le predette espressioni assumono nella loro comune accezione e che il legislatore ha indubbiamente attribuito ad esse, sia nella utilizzazione in materia di reati contro il patrimonio, al posto di quella afferente al lucro, al fine di estendere la sfera di applicabilità della tutela penale, sia con riferimento alle modifiche legislative che hanno interessato proprio la legge sul diritto d’autore.

È stato esattamente evidenziato in proposito dalla difesa del R. che l’espressione “fini di lucro”, contenuta nel testo attuale dell’articolo 171ter, comma 1, della legge 633/41 è stata dapprima sostituita con quella “per trarne profitto” dall’articolo 1 comma 2 del Dl 72/2004, convertito con modificazioni dalla legge 128/04, e successivamente reinserita al posto di quella “per trarne profitto” dall’articolo 3 comma 3quinquies, del Dl 7/2005, convertito con modificazioni dalla legge 43/2005.

Orbene, tali modifiche non possono essere altrimenti interpretate che quale espressione dello specifico intento del legislatore di modificare la soglia di punibilità della condotta descritta dalla norma, a seconda del prevalere di interessi di salvaguardia del diritto d’autore o di quello contrapposto, afferente alla libera circolazione delle opere dell’ingegno, incidendo direttamente sulla qualificazione del dolo specifico richiesto per la configurazione del rato.

Né appare molto conferente, a sostegno della tesi interpretativa sostenuta nella sentenza impugnata, il riferimento alla pronuncia di questa Suprema Corte (Sezione terza, 33896/01, Furci, rc 220344), che si è occupata della diversa espressione, “a scopo commerciale”, contenuta nell’articolo 171bis della legge 633/41, precisando che per scopo commerciale non deve intendesi necessariamente la destinazione alla vendita delle copie non autorizzate dei programmi per elaboratore, in quanto tale scopo può configurarsi mediante qualsiasi utilizzazione imprenditoriale del materiale abusivo.

La citata pronuncia, invero, si riferisce ad un diverso dato normativo, che afferisce precipuamente alla delimitazione della materialità della condotta criminosa, con riferimento ad una specifica categoria di soggetti esercenti attività economica (imprenditoriale) e non alla individuazione dell’ambito di operatività della norma penale nel suo riferimento all’elemento soggettivo del reato, oggetto delle modificazioni che qui interessano.

Non appare, pertanto, dubbio che le differenti espressioni adoperate dal legislatore nella diversa formulazione degli articoli 171 bis e ter abbiano esplicato la funzione di modificare la soglia di punibilità del medesimo fatto, ampliandola allorché è stata utilizzata l’espressione “a scopo di profitto” e restringendola allorché il fatto è stato previsto come reato solo se commesso a “fini di lucro” (cfr. Sezione terza, 33303/01, Ashour ed altri, rv 219683).

Con tale ultima espressione, infatti, deve intendersi un fine di guadagno economicamente apprezzabile o di incremento patrimoniale da parte dell’autore del fatto, che non può identificarsi con un qualsiasi vantaggio di altro genere; né l’incremento patrimoniale può identificarsi con il mero risparmio di spesa derivante dall’uso di copie non autorizzate di programmi o altre opere dell’ingegno, al di fuori dello svolgimento di un’attività economica da parte dell’autore del fatto, anche se di diversa natura, che connoti l’abuso, come nel caso esaminato dalla pronuncia citata in precedenza.

Tale interpretazione, peraltro, trova riscontro nella stessa legge sul diritto d’autore che nell’articolo 174ter, come da ultimo modificato dall’articolo 23 del D.Lgs 63/2003 non attribuisce rilevanza penale alla duplicazione, riproduzione, acquisto o noleggio di supporti non conformi alle prescrizioni della medesima legge a fini meramente personali, allorché, cioè, la riproduzione o l’acquisto non concorrano con i reati previsti dall’articolo 171 e ss. e non sia destinato all’immissione in commercio di detto materiale (cfr. SS.UU., 47164/05 Marino).

Nella ipotesi esaminata viene, infatti, escluso dall’ambito della fattispecie criminosa il comportamento dettato dalla mera finalità di un risparmio di spesa, che indubbiamente deriva dall’acquisto di supporti duplicati o riprodotti abusivamente.

Va ancora rilevato che la condotta attribuita agli imputati è attualmente descritta in termini più puntuali dall’articolo 171ter comma 2 lettera abis), della legge 633/41, introdotto dall’articolo 1 comma 3 del Dl 72/2004, convertito con modificazioni della legge 128/04, ma sempre con la delimitazione della soglia di punibilità mediante il riferimento all’ipotesi che il fatto venga commesso “a fini di lucro”.

Passando quindi all’esame dei fatti di cui alla pronuncia di condanna degli imputati deve essere escluso, nel caso in esame, che la condotta degli autori della violazione sia stata determinata da fini di lucro, emergendo dell’accertamento di merito che gli imputati non avevano tratto alcun vantaggio economico della predisposizione del server ftp, mentre dalla utilizzazione dello stesso traevano sostanzialmente profitto, nei sensi opra precisati, si soli utenti del server medesimo.

Anche con riferimento alla detenzione da parte del R. di un programma destinato a consentire la rimozione o l’elusione di dispositivi di protezione di programmi non emerge dall’accertamento di merito la finalità lucrativa cui sarebbe stata destinata la detenzione e, tanto meno, un eventuale fine di commercio della stessa.

Gli imputati devono essere, pertanto, prosciolti dalle imputazioni loro ascritte perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, con il conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Così deciso in Roma nella pubblica udienza del 22.11.2006.

IL PRESIDENTE

IL CONSIGLIERE RELATORE

IL CANCELLIERE

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 9 GEN 2007.

Relazione CNF e Codice deontologico forense


Relazione sulle modifiche al codice deontologico forense dopo il decreto Bersani
Relazione CNF 18.01.2007


RELAZIONE SULLE MODIFICHE APPORTATE AL CODICE DEONTOLOGICO FORENSE IN APPLICAZIONE DEL D.L. 4 LUGLIO 2006, N. 223, CONVERTITO CON MODIFICAZIONI DALLA LEGGE 4 AGOSTO 2006, N. 248.

A distanza di poco più di un anno dalla conclusione dei lavori che avevano condotto il Consiglio nazionale forense a modificare alcune disposizioni del vigente codice deontologico, con il fine, per un verso, di adeguarle al mutamento delle esigenze di una professione destinata ad operare in un contesto sociale e territoriale mutato rispetto a quello in cui il codice fu in origine concepito e, per altro verso, di adeguare le norme deontologiche alle esigenze imposte dalle normative più recenti ed ai principi emergenti in sede comunitaria, e, infine, di eliminarne le incongruenze interpretative emerse nell'applicazione giurisprudenziale, il Consiglio nazionale forense ha dovuto compiere un ulteriore intervento di modifica, per adeguare il codice alle disposizioni contenute nella legge n. 248/2006.

Come è noto, l'art. 1 della legge richiamata indica le finalità e l'ambito dell'intervento del legislatore, precisando che le norme adottate recano misure necessarie e urgenti «in relazione all'improcrastinabile esigenza di rafforzare la libertà di scelta del cittadino consumatore e la promozione di assetti di mercato maggiormente concorrenziali, anche al fine di favorire il rilancio dell'economia e dell'occupazione, attraverso la liberalizzazione di attività imprenditoriali e la creazione di nuovi posti di lavoro».

L'art. 2 della stessa legge, richiamando i principi comunitari di libera concorrenza e di libertà di circolazione dei servizi ed indicando l'obiettivo di «assicurare agli utenti un'effettiva facoltà di scelta nell'esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato», ha disposto l'abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari che prevedono:

l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime o il divieto di parametrare il compenso al raggiungimento degli obiettivi perseguiti;

il divieto, anche parziale di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché i costi complessivi delle prestazioni, precisando tuttavia che il messaggio deve rispettare criteri di trasparenza e veridicità, il cui controllo è affidato all'Ordine professionale;

c) il divieto di fornire all'utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, che abbiano ad oggetto esclusivo l'attività libero professionale, con il limite che ciascun professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità.

Il comma 2-bis del medesimo art. 2 sostituisce il comma terzo dell'art. 2233 del codice civile con la seguente disposizione:

«Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali».

Infine, l'art. 2, al comma 3, prevede che le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina che contengono le prescrizioni di cui al comma 1 siano adeguate, anche con l'adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali, entro il 1° gennaio 2007, sancendo di nullità le norme che non siano state adeguate e che si pongano in contrasto con le disposizioni contenute al comma 1.

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Il testo normativo sopra richiamato ha dettato un percorso sufficientemente rigido ed ha previsto un limite temporale preciso entro il quale le norme deontologiche debbono essere adeguate ai canoni dettati dal legislatore. Sebbene sia opinabile che le misure imposte rappresentino uno strumento adeguato al perseguimento dei fini enunciati dal testo normativo e nonostante sia criticabile l'assoggettamento di una professione di rango costituzionale, la cui funzione è quella della difesa dei diritti;, ai principi di tutela della concorrenza che regolano l'attività delle imprese, le norme del codice deontologico forense sono state modificate, in rigorosa aderenza ai criteri stabiliti dalle norme in precedenza richiamate.

In particolare, l'adeguamento ha riguardato i tre settori incisi dalle disposizioni contenute nella legge n. 248 del 2006, che concernono l'abrogazione:

del divieto di violare i minimi tariffari e quello di pattuire compensi parametrati al raggiungimento di obiettivi perseguiti;

del divieto di svolgere pubblicità informativa su titoli e specializzazioni professionali, sulle caratteristiche del servizio offerto, nonché sui costi complessivi delle prestazioni;

c) del divieto di stipulare con il cliente patti di quota-lite. In proposito va precisato che:

1) l'inderogabilità dei minimi tariffari per le prestazioni degli avvocati era prevista dall'art. 24 della legge 13 giugno 1942, n. 794, che sanzionava di nullità ogni contraria convenzione. Il codice deontologico forense conteneva, in proposito, una sola disposizione ~ quella contenuta all'art. 43, canone V ~ che consentiva all'avvocato di concordare onorari forfetari per le prestazioni continuative solo in caso di consulenza e assistenza stragiudiziale, disponendo, tuttavia, a tutela della parte assistita, che essi dovessero essere proporzionali al prevedibile impegno. Poiché la norma limitava la facoltà di pattuire un compenso forfetario al solo caso dell'attività stragiudiziale e poiché il suo contenuto avrebbe potuto ritenersi in contrasto con la facoltà, espressamente prevista dal legislatore, di convenire compensi parametrati al raggiungimento del risultato perseguito, essa è stata abrogata.

Immutato è rimasto, per il resto, il testo dell'art. 43 del codice deontologico forense, la cui formulazione aveva ad oggetto la tutela del cliente.

2) L'abrogazione del divieto di convenire compensi "parametrati" al raggiungimento del risultato perseguito e l'abrogazione della disposizione contenuta nell'art. 2233, comma 3, c.c., a norma della quale «gli avvocati, i procuratori e i patrocinatori non possono, neppure per interposta persona, stipulare con i loro clienti alcun patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio, sotto pena di nullità e dei danni», e la sua sostituzione con la formulazione: «Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali», hanno determinato l'esigenza di compiere un intervento più incisivo sul codice deontologico.

In primo luogo, le norme introdotte dal legislatore hanno imposto l'abrogazione del canone II dell'art. 10 del vigente codice, per il quale costituiva infrazione disciplinare la stipulazione di patti attinenti al recupero crediti con soggetti che esercitano tale attività per conto terzi. Il canone richiamato, inserito nella norma che codifica il dovere di indipendenza del professionista legale e il suo dovere di mantenersi estraneo agli interessi economici della parte assistita, era stato formulato alla luce dei numerosi precedenti giurisprudenziali, che avevano ritenuto lesiva della dignità e del decoro della professione la collaborazione del professionista con società od organizzazioni di recupero crediti, se esplicata con abitualità e costanza, quasi fosse un rapporto di collaborazione dipendente, o svolta negli stessi uffici, con comunanza di targhe e telefoni, raccolta di deleghe in bianco, assenza di controllo nella gestione del denaro recuperato e, quindi, nell'assoluta assenza di un rapporto diretto con la parte che rilascia il mandato. In secondo luogo, le stesse norme hanno determinato l'esigenza di modificare l'art. 35 del codice deontologico, posto a tutela del rapporto di fiducia fra cliente e professionista, che al canone II imponeva all'avvocato di astenersi, dopo il conferimento del mandato, dallo stabilire con l'assistito rapporti di natura economica, patrimoniale o commerciale che potessero in qualunque modo influire sul rapporto professionale. Nella sua attuale formulazione il canone sopra indicato, pur mantenendo, a carico del professionista, il divieto di stabilire rapporti con il cliente che ne possano limitare l'indipendenza, fa salva la disposizione prevista dal successivo art. 45.

Tale ultima norma è stata radicalmente modificata: è stata, infatti, integralmente abrogata la disposizione precedente, che vietava espressamente il patto di quota lite, ma consentiva la pattuizione scritta di un supplemento di compenso (il cosiddetto palmario), in caso di esito favorevole della lite, purché contenuto in limiti ragionevoli rispetto al risultato conseguito ed è stata sostituita con la nuova formulazione che risulta dall'allegata tabella che riporta, in testo a fronte, le norme precedenti e quelle risultanti dopo l'adeguamento alle nuove disposizioni della legge n. 248 del 2006.

Il nuovo testo dell'art. 45 è stato formulato tenendo conto che la legge sopra richiamata ha abrogato l'art 2233, comma 3, c.c., ma non ha toccato la disposizione contenuta nell'art. 1261 c.c., che fa divieto ad altri soggetti ed anche agli avvocati e ai patrocinatori legali di «rendersi cessionari di diritti sui quali è sorta contestazione davanti all'autorità giudiziaria (...) nella cui giurisdizione esercitano le loro funzioni, sotto pena di nullità e dei danni» Dall'insieme delle norme richiamate si deve ritenere che:

- il patto di quota lite, inteso come patto col quale si stabilisce un compenso correlato al risultato pratico dell'attività svolta e comunque in ragione di una percentuale sul valore dei beni o degli interessi litigiosi, deve ritenersi legittimo;

- il patto di quota lite, nella configurazione definibile come classica e, quindi, come patto inteso alla cessione di diritti oggetto di contestazione davanti all'Autorità giudiziaria, deve ritenersi tuttora nullo ex art. 1418 c.c., nella misura in cui il suo assetto concreto replica la previsione dell'art. 1261 c.c. e cioè ogniqualvolta esso realizzi, in via diretta o indiretta, la cessione del credito o del bene litigioso.

In conclusione, quindi, il nuovo testo dell'art. 45 del codice deontologico, sotto la rubrica «accordi sulla definizione del compenso» consente all'avvocato ed al patrocinatore di determinare il compenso parametrandolo ai risultati perseguiti, fermo il divieto di cui all'art. 1261 c.c. e fermo restando che, nell'interesse del cliente, tali compensi debbono essere comunque sempre proporzionati all'attività svolta.

3) L'abrogazione del divieto di svolgere pubblicità informativa su titoli e specializzazioni professionali, sulle caratteristiche del servizio offerto e sui costi complessivi delle prestazioni ha, in particolare, riguardato il disposto degli artt. 17 e 17 bis del codice deontologico. In proposito, è bene rammentare che la nuova disciplina ha rimosso un divieto (anche parziale) i cui contenuti erano, in buona parte, già stati soppressi con la precedente riforma del codice deontologico, che aveva, appunto, consentito di dare informazione sia sui titoli conseguiti, sia sui diplomi di specializzazione, che, come è noto, sono conseguiti mediante appositi percorsi post-universitari disciplinati dalla legge, non potendosi annoverare tra le specializzazioni il semplice esercizio in misura prevalente di attività professionale in una specifica branca del diritto.

La norma, invece, ha innovato, ammettendo la «pubblicità informativa» sulle caratteristiche del servizio offerto e sui costi delle prestazioni, precisando tuttavia che il messaggio deve rispettare criteri di trasparenza e veridicità ed affidandone il controllo all'Ordine professionale.

Conseguentemente, si è reso necessario modificare il testo dell'art. 17, in aderenza al disposto normativo, prevedendo che il contenuto e la forma dell'informazione debbano essere coerenti con la finalità della tutela dell'affidamento della collettività e debbano rispondere a criteri di trasparenza e veridicità, il rispetto dei quali è verificato dal competente Consiglio dell'Ordine, mentre i canoni II e III del medesimo art. 17, il primo dei quali prevede che sia vietato offrire, sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in generale, in luoghi pubblici o aperti al pubblico ed il secondo dei quali fa divieto all'avvocato di offrire, senza esserne richiesto, una prestazione personalizzata e, cioè, rivolta a una persona determinata sono stati inseriti nell'art. 19, che concerne il divieto di accaparramento della clientela. L'art. 17 bis è stato, innanzi tutto, modificato nella rubrica, che ora titola "Modalità dell'informazione'' e non più "Mezzi di informazione consentiti", essendosi provveduto, in sede di modifica, ad eliminare le limitazioni concernenti i mezzi di informazione utilizzabili, fermo restando, ovviamente, che questi dovranno essere adeguati al decoro della professione.

Inoltre, e coerentemente, è stata abolita la analitica elencazione tassativa dei mezzi di informazione consentiti, ma sono state conservate, come obbligatorie, quelle indicazioni che possono essere effettivamente utili, se non necessarie, a fornire notizie che possano agevolare la scelta del professionista, quali la sede, l'Ordine di iscrizione, il luogo di esercizio, i titoli, le specializzazioni, i settori di attività prevalente, e così via. La scelta di imporre al professionista legale il dovere di dare informazioni specifiche sulla propria sede, sull'albo di iscrizione, sulla struttura e la composizione dello studio si è rivelata opportuna, alla luce delle disposizioni contenute nella direttiva 2006/123/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, che, all'art. 22, fa carico agli Stati membri di prevedere che anche i prestatori di servizi iscritti ad albi professionali mettano a disposizione del destinatario notizie quali, appunto, quelle sopra indicate.

Resta soltanto da aggiungere, con riferimento alla disposizione contenuta nell'art. 2, comma 3, della legge richiamata, secondo la quale i codici deontologici debbono essere adeguati «anche con l'adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali», che il Consiglio nazionale, forense, già in occasione delle precedenti riforme, ha introdotto nel codice deontologico la norma che prevede il dovere di aggiornamento professionale e quello, ad esso correlato, di rispettare i regolamenti concernenti gli obblighi e i programmi formativi e che è, ormai, imminente la definitiva approvazione di un regolamento che disciplina le modalità della formazione professionale continua.




Testo del Codice deontologico forense così come modificato dalla delibera del Consiglio Nazionale Forense del 18 gennaio 2007 che lo adegua alle disposizioni previste dalla riforma Bersani (D.L. 223/2006).

Le principali novità riguardano i minimi tariffari, il patto quota lite e la pubblicità informativa


IL CODICE DEONTOLOGICO FORENSE

(Testo approvato dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 17 aprile 1997 ed aggiornato con le modifiche introdotte il 16 ottobre 1999, il 26 ottobre 2002, il 27 gennaio 2006 e il 18 gennaio 2007)

PREAMBOLO

L’avvocato esercita la propria attività in piena libertà, autonomia ed indipendenza, per tutelare i diritti e gli interessi della persona, assicurando la conoscenza delle leggi e contribuendo in tal modo all’attuazione dell’ordinamento per i fini della giustizia.

Nell’esercizio della sua funzione, l’avvocato vigila sulla conformità delle leggi ai principi della Costituzione, nel rispetto della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e dell’Ordinamento comunitario; garantisce il diritto alla libertà e sicurezza e l’inviolabilità della difesa; assicura la regolarità del giudizio e del contraddittorio.

Le norme deontologiche sono essenziali per la realizzazione e la tutela di questi valori.



TITOLO I - PRINCIPI GENERALI

ART. 1. - Ambito di applicazione.

Le norme deontologiche si applicano a tutti gli avvocati e praticanti nella loro attività, nei loro reciproci rapporti e nei confronti dei terzi.


ART. 2. - Potestà disciplinare.

Spetta agli organi disciplinari la potestà di infliggere le sanzioni adeguate e proporzionate alla violazione delle norme deontologiche.

Le sanzioni devono essere adeguate alla gravità dei fatti e devono tener conto della reiterazione dei comportamenti nonché delle specifiche circostanze, soggettive e oggettive, che hanno concorso a determinare l’infrazione.


ART. 3. - Volontarietà dell’azione.

La responsabilità disciplinare discende dalla inosservanza dei doveri e dalla volontarietà della condotta, anche se omissiva.

Oggetto di valutazione è il comportamento complessivo dell’incolpato.

Quando siano mossi vari addebiti nell’ambito di uno stesso procedimento la sanzione deve essere unica.


ART. 4. - Attività all’estero e attività in Italia dello straniero.

Nell’esercizio di attività professionali all’estero, che siano consentite dalle disposizioni in vigore, l’avvocato italiano è tenuto al rispetto delle norme deontologiche del paese in cui viene svolta l’attività.

Del pari l’avvocato straniero, nell’esercizio dell’attività professionale in Italia, quando questa sia consentita, è tenuto al rispetto delle norme deontologiche italiane.


ART. 5. - Doveri di probità, dignità e decoro.

L’avvocato deve ispirare la propria condotta all’osservanza dei doveri di probità, dignità e decoro.

I - Deve essere sottoposto a procedimento disciplinare l’avvocato cui sia imputabile un comportamento non colposo che abbia violato la legge penale, salva ogni autonoma valutazione sul fatto commesso.

II - L’avvocato è soggetto a procedimento disciplinare per fatti anche non riguardanti l’attività forense quando si riflettano sulla sua reputazione professionale o compromettano l’immagine della classe forense.

III - L’avvocato che sia indagato o imputato in un procedimento penale non può assumere o mantenere la difesa di altra parte nello stesso procedimento.


ART. 6. - Doveri di lealtà e correttezza.

L’avvocato deve svolgere la propria attività professionale con lealtà e correttezza.

I - L’avvocato non deve proporre azioni o assumere iniziative in giudizio con mala fede o colpa grave.


ART. 7. - Dovere di fedeltà.

E' dovere dell'avvocato svolgere con fedeltà la propria attività professionale.

I. Costituisce infrazione disciplinare il comportamento dell'avvocato che compia consapevolmente atti contrari all'interesse del proprio assistito.

II. L'avvocato deve esercitare la sua attività anche nel rispetto dei doveri che la sua funzione gli impone verso la collettività per la salvaguardia dei diritti dell'uomo nei confronti dello Stato e di ogni altro potere.


ART. 8. - Dovere di diligenza.

L’avvocato deve adempiere i propri doveri professionali con diligenza.


ART. 9. - Dovere di segretezza e riservatezza

È dovere, oltreché diritto, primario e fondamentale dell’avvocato mantenere il segreto sull’attività prestata e su tutte le informazioni che siano a lui fornite dalla parte assistita o di cui sia venuto a conoscenza in dipendenza del mandato.

I - L’avvocato è tenuto al dovere di segretezza e riservatezza anche nei confronti degli ex?clienti, sia per l’attività giudiziale che per l’attività stragiudiziale.

II - La segretezza deve essere rispettata anche nei confronti di colui che si rivolga all’avvocato per chiedere assistenza senza che il mandato sia accettato.

III - L’avvocato è tenuto a richiedere il rispetto del segreto professionale anche ai propri collaboratori e dipendenti e a tutte le persone che cooperano nello svolgimento dell’attività professionale.

IV - Costituiscono eccezione alla regola generale i casi in cui la divulgazione di alcune informazioni relative alla parte assistita sia necessaria:
a) per lo svolgimento delle attività di difesa;
b) al fine di impedire la commissione da parte dello stesso assistito di un reato di particolare gravità;
c) al fine di allegare circostanze di fatto in una controversia tra avvocato e assistito;
d) in un procedimento concernente le modalità della difesa degli interessi dell’assistito.
In ogni caso la divulgazione dovrà essere limitata a quanto strettamente necessario per il fine tutelato.

ART. 10. - Dovere di indipendenza.

Nell'esercizio dell'attività professionale l'avvocato ha il dovere di conservare la propria indipendenza e difendere la propria libertà da pressioni o condizionamenti esterni.

I. L'avvocato non deve tener conto di interessi riguardanti la propria sfera personale.

[II. Costituisce infrazione disciplinare il comportamento dell'avvocato che stipuli con soggetti che esercitano il recupero crediti per conto terzi patti attinenti a detta attività.] (1)

(1) Canone abrogato dal CNF con la delibera del 18 gennaio 2007.

ART. 11. - Dovere di difesa.

L’avvocato deve prestare la propria attività difensiva anche quando ne sia richiesto dagli organi giudiziari in base alle leggi vigenti.

I - L’avvocato che venga nominato difensore d’ufficio deve, quando ciò sia possibile, comunicare all’assistito che ha facoltà di scegliersi un difensore di fiducia, e deve informarlo, ove intenda richiedere un compenso, che anche il difensore d’ufficio deve essere retribuito a norma di legge.

II - Costituisce infrazione disciplinare il rifiuto ingiustificato di prestare attività di gratuito patrocinio o la richiesta all’assistito di un compenso per la prestazione di tale attività.


ART. 12. - Dovere di competenza.

L’avvocato non deve accettare incarichi che sappia di non poter svolgere con adeguata competenza.

I - L’avvocato deve comunicare all’assistito le circostanze impeditive alla prestazione dell’attività richiesta, valutando, per il caso di controversie di particolare impegno e complessità, l’opportunità della integrazione della difesa con altro collega.

II - L’accettazione di un determinato incarico professionale fa presumere la competenza a svolgere quell’incarico.

ART. 13. - Dovere di aggiornamento professionale.

E' dovere dell'avvocato curare costantemente la propria preparazione professionale, conservando e accrescendo le conoscenze con particolare riferimento ai settori nei quali svolga l'attività.

I. L'avvocato realizza la propria formazione permanente con lo studio individuale e la partecipazione a iniziative culturali in campo giuridico e forense.

II. E' dovere deontologico dell'avvocato quello di rispettare i regolamenti del Consiglio Nazionale Forense e del Consiglio dell'ordine di appartenenza concernenti gli obblighi e i programmi formativi.

ART. 14. - Dovere di verità.

Le dichiarazioni in giudizio relative alla esistenza o inesistenza di fatti obiettivi, che siano presupposto specifico per un provvedimento del magistrato, e di cui l'avvocato abbia diretta conoscenza, devono essere vere e comunque tali da non indurre il giudice in errore.

I. L'avvocato non può introdurre intenzionalmente nel processo prove false. In particolare, il difensore non può assumere a verbale né introdurre dichiarazioni di persone informate sui fatti che sappia essere false.

II. L'avvocato è tenuto a menzionare i provvedimenti già ottenuti o il rigetto dei provvedimento richiesti, nella presentazione di istanze o richieste sul presupposto della medesima situazione di fatto.

ART. 15. - Dovere di adempimento previdenziale e fiscale.

L'avvocato deve provvedere regolarmente e tempestivamente agli adempimenti dovuti agli organi forensi nonché agli adempimenti previdenziali e fiscali a suo carico, secondo le norme vigenti.

ART. 16. - Dovere di evitare incompatibilità.

E' dovere dell'avvocato evitare situazioni di incompatibilità ostative alla permanenza nell'albo, e, comunque nel dubbio, richiedere il parere del proprio Consiglio dell'ordine.

I. L'avvocato non deve porre in essere attività commerciale o di mediazione.

II. Costituisce infrazione disciplinare l'avere richiesto l'iscrizione all'albo in pendenza di cause di incompatibilità, non dichiarate, ancorché queste siano venute meno.

ART. 17. - Informazioni sull'attività professionale.

L'avvocato può dare informazioni sulla propria attività professionale.

Il contenuto e la forma dell'informazione devono essere coerenti con la finalità della tutela dell'affidamento della collettività e rispondere a criteri di trasparenza e veridicità, il rispetto dei quali è verificato dal competente Consiglio dell'ordine. (1)

Quanto al contenuto, l'informazione deve essere conforme a verità e correttezza e non può avere ad oggetto notizie riservate o coperte dal segreto professionale. L'avvocato non può rivelare al pubblico il nome dei propri clienti, ancorché questi vi consentano.

Quanto alla forma e alle modalità, l'informazione deve rispettare la dignità e il decoro della professione.

In ogni caso, l'informazione non deve assumere i connotati della pubblicità ingannevole, elogiativa, comparativa.

I - Sono consentite, a fini non lucrativi, l'organizzazione e la sponsorizzazione di seminari di studio, di corsi di formazione professionale e di convegni in discipline attinenti alla professione forense da parte di avvocati o di società o di associazioni di avvocati. (1)

[II - E' vietato offrire, sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in generale, in luoghi pubblici o aperti al pubblico.

III - E' altresì vietato all'avvocato offrire, senza esserne richiesto, una prestazione personalizzata e, cioè, rivolta a una persona determinata per un specifico affare.] (3)

II - E' consentita l'indicazione del nome di un avvocato defunto, che abbia fatto parte dello studio, purché il professionista a suo tempo lo abbia espressamente previsto o abbia disposto per testamento in tal senso, ovvero vi sia il consenso unanime dei suoi eredi.

(1) Periodo così modificato dal CNF con la delibera del 18 gennaio 2007. La precedente versione così recitava: "Il contenuto e la forma dell'informazione devono essere coerenti con la finalità della tutela dell'affidamento della collettività".
(2) Canone così modificato dal CNF con la delibera del 18 gennaio 2007. La precedente versione così recitava: "I - Sono consentite, a fini non lucrativi, l'organizzazione e la sponsorizzazione di seminari di studio, di corsi di formazione professionale e di convegni in discipline attinenti alla professione forense da parte di avvocati o di società o di associazioni di avvocati, previa approvazione del Consiglio dell'ordine del luogo di svolgimento dell'evento".
(3) Canoni abrogati dal CNF con la delibera del 18 gennaio 2007.

ART. 17 bis. - Mezzi di informazione consentiti. (1)

L’avvocato che intende dare informazione sulla propria attività professionale deve indicare:

•) la denominazione dello studio, con la indicazione dei nominativi dei professionisti che lo compongono qualora l’esercizio della professione sia svolto in forma associata o societaria;
•) il Consiglio dell’Ordine presso il quale è iscritto ciascuno dei componenti lo studio;
•) la sede principale di esercizio, le eventuali sedi secondarie ed i recapiti, con l’indicazione di indirizzo, numeri telefonici, fax, e-mail e del sito web, se attivato.
•) il titolo professionale che consente all’avvocato straniero l’esercizio in Italia, o che consenta all’avvocato italiano l’esercizio all’estero, della professione di avvocato in conformità delle direttive comunitarie.

Può indicare:

•) i titoli accademici;
•) i diplomi di specializzazione conseguiti presso gli istituti universitari;
•) l’abilitazione a esercitare avanti alle giurisdizioni superiori;
•) i settori di esercizio dell’attività professionale e, nell’ambito di questi, eventuali materie di attività prevalente;
•) le lingue conosciute;
•) il logo dello studio;
•) gli estremi della polizza assicurativa per la responsabilità professionale;
•) l’eventuale certificazione di qualità dello studio; l’avvocato che intenda fare menzione di una certificazione di qualità deve depositare presso il Consiglio dell’Ordine il giustificativo della certificazione in corso di validità e l’indicazione completa del certificatore e del campo di applicazione della certificazione ufficialmente riconosciuta dallo Stato;
•) i settori di esercizio dell’attività professionale e, nell’ambito di questi, eventuali materie di attività prevalente;
•) le lingue conosciute;
•) il logo dello studio;
•) gli estremi della polizza assicurativa per la responsabilità professionale;
•) l’eventuale certificazione di qualità dello studio; l’avvocato che intenda fare menzione di una certificazione di qualità deve depositare presso il Consiglio dell’Ordine il giustificativo della certificazione in corso di validità e l’indicazione completa del certificatore e del campo di applicazione della certificazione ufficialmente riconosciuta dallo Stato.

L’avvocato può utilizzare esclusivamente i siti web con domini propri e direttamente riconducibili a sé, allo studio legale associato o alla società di avvocati alla quale partecipa, previa comunicazione al Consiglio dell’Ordine di appartenenza della forma e del contenuto in cui è espresso.

Il professionista è responsabile del contenuto del sito e in esso deve indicare i dati previsti dal primo comma.

Il sito non può contenere riferimenti commerciali e/o pubblicitari mediante l’indicazione diretta o tramite banner o pop-up di alcun tipo.

(1) Articolo così modificato dal CNF con la delibera del 18 gennaio 2007.

ART. 18. - Rapporti con la stampa.

Nei rapporti con la stampa e con gli altri mezzi di diffusione l'avvocato deve ispirarsi a criteri di equilibrio e misura nel rilasciare interviste, per il rispetto dei doveri di discrezione e riservatezza.

I - II difensore, con il consenso del proprio assistito e nell'esclusivo interesse dello stesso, può fornire agli organi di informazione e di stampa notizie che non siano coperte dal segreto di indagine.

II - In ogni caso, nei rapporti con gli organi di informazione e con gli altri mezzi di diffusione, è fatto divieto all'avvocato di enfatizzare la propria capacità professionale, di spendere il nome dei propri clienti, di sollecitare articoli di stampa o interviste sia su organi di informazione sia su altri mezzi di diffusione; è fatto divieto altresì di convocare conferenze stampa fatte salve le esigenze di difesa del cliente.

III - E' consentito all'avvocato, previo parere favorevole del Consiglio dell'ordine di appartenenza, di tenere o curare rubriche fisse su organi di stampa con l'indicazione del proprio nome e di partecipare a rubriche fisse televisive o radiofoniche.

ART. 19. - Divieto di accaparramento di clientela

È vietata ogni condotta diretta all’acquisizione di rapporti di clientela a mezzo di agenzie o procacciatori o con modi non conformi alla correttezza e decoro. (1)

I - L’avvocato non deve corrispondere ad un collega, o ad un altro soggetto, un onorario, una provvigione o qualsiasi altro compenso quale corrispettivo per la presentazione di un cliente.

II - Costituisce infrazione disciplinare l’offerta di omaggi o di prestazioni a terzi ovvero la corresponsione o la promessa di vantaggi per ottenere difese o incarichi.

III E’ vietato offrire, sia direttamente che per interposta persona, le proprie prestazioni professionali al domicilio degli utenti, nei luoghi di lavoro, di riposo, di svago e, in generale, in luoghi pubblici o aperti al pubblico. (2)

IV E’ altresì vietato all’avvocato offrire, senza esserne richiesto, una prestazione personalizzata e, cioè, rivolta a una persona determinata per un specifico affare. (2)

(1) Periodo così modificato dal CNF con la delibera del 18 gennaio 2007. La precedente versione così recitava: "È vietata l’offerta di prestazioni professionali a terzi e in genere ogni attività diretta all’acquisizione di rapporti di clientela, a mezzo di agenzie o procacciatori o altri mezzi illeciti.".
(2) Canone aggiunto dal CNF con la delibera del 18 gennaio 2007.

ART. 20. - Divieto di uso di espressioni sconvenienti od offensive.

Indipendentemente dalle disposizioni civili e penali, l'avvocato deve evitare di usare espressioni sconvenienti od offensive negli scritti in giudizio e nell'attività professionale in genere, sia nei confronti dei colleghi che nei confronti dei magistrati, delle controparti e dei terzi.

I. La ritorsione o la provocazione o la reciprocità delle offese non escludono l'infrazione della regola deontologica.

ART. 21. - Divieto di attività professionale senza titolo o di uso di titoli inesistenti.

L'iscrizione all'albo costituisce presupposto per l'esercizio dell'attività giudiziale e stragiudiziale di assistenza e consulenza in materia legale e per l'utilizzo del relativo titolo.

I - Costituisce illecito disciplinare l'uso di un titolo professionale non conseguito ovvero lo svolgimento di attività in mancanza di titolo o in periodo di sospensione.

II — Costituisce altresì illecito disciplinare il comportamento dell'avvocato che agevoli, o, in qualsiasi altro modo diretto o indiretto, renda possibile a soggetti non abilitati o sospesi l'esercizio abusivo dell'attività di avvocato o consenta che tali soggetti ne possano ricavare benefici economici, anche se limitatamente al periodo di eventuale sospensione dall'esercizio.

III - L'avvocato può utilizzare il titolo accademico di professore solo se sia docente universitario di materie giuridiche. In ogni caso dovrà specificare la qualifica, la materia di insegnamento e la facoltà.

IV - L'iscritto nel registro dei praticanti avvocati può usare esclusivamente e per esteso il titolo di "praticante avvocato", con l'eventuale indicazione di "abilitato al patrocinio" qualora abbia conseguito tale abilitazione.

TITOLO II - RAPPORTI CON I COLLEGHI

ART. 22 - Rapporto di colleganza.

L'avvocato deve mantenere sempre nei confronti dei colleghi un comportamento ispirato a correttezza e lealtà.

I. L'avvocato che collabori con altro collega è tenuto a rispondere con sollecitudine alle sue richieste di informativa.

II. L'avvocato che intenda promuovere un giudizio nei confronti di un collega per fatti attinenti all'esercizio della professione deve dargliene preventiva comunicazione per iscritto, tranne che l'avviso possa pregiudicare il diritto da tutelare.

III - L'avvocato non può registrare una conversazione telefonica con il collega. La registrazione, nel corso di una riunione, è consentita soltanto con il consenso di tutti i presenti.

ART. 23. - Rapporto di colleganza e dovere di difesa nel processo.

Nell'attività giudiziale l'avvocato deve ispirare la propria condotta all'osservanza del dovere di difesa, salvaguardando in quanto possibile il rapporto di colleganza.

I - L'avvocato è tenuto a rispettare la puntualità alle udienze e in ogni altra occasione di incontro con i colleghi.

II - L'avvocato deve opporsi a qualunque istanza, irrituale o ingiustificata, formulata nel processo dalle controparti che comporti pregiudizio per la parte assistita.

III - II difensore, che riceva l'incarico di fiducia dall'imputato, è tenuto a comunicare tempestivamente con mezzi idonei al collega, già nominato d'ufficio, il mandato ricevuto e, senza pregiudizio per il diritto di difesa, deve raccomandare alla parte di provvedere al pagamento di quanto è dovuto al difensore d'ufficio per l'attività professionale eventualmente già svolta.

IV - Nell'esercizio del mandato l'avvocato può collaborare con i difensori delle altre parti, anche scambiando informazioni, atti e documenti, nell'interesse della parte assistita e nel rispetto della legge.

V - Nei casi di difesa congiunta, è dovere del difensore consultare il co-difensore in ordine ad ogni scelta processuale ed informarlo del contenuto dei colloqui con il comune assistito, al fine della effettiva condivisione della strategia processuale.

VI - L'interruzione delle trattative stragiudiziali, nella prospettiva di dare inizio ad azioni giudiziarie, deve essere comunicata al collega avversario.

ART. 24. - Rapporti con il Consiglio dell'ordine

L'avvocato ha il dovere di collaborare con il Consiglio dell'ordine di appartenenza, o con altro che ne faccia richiesta, per l'attuazione delle finalità istituzionali osservando scrupolosamente il dovere di verità. A tal fine ogni iscritto è tenuto a riferire al Consiglio fatti a sua conoscenza relativi alla vita forense o alla amministrazione della giustizia, che richiedano iniziative o interventi collegiali.

I - Nell'ambito di un procedimento disciplinare, la mancata risposta dell'iscritto agli addebiti comunicatigli e la mancata presentazione di osservazioni e difese non costituisce autonomo illecito disciplinare, pur potendo tali comportamenti essere valutati dall'organo giudicante nella formazione del proprio libero convincimento.

II - Qualora il Consiglio dell'ordine richieda all'iscritto chiarimenti, notizie o adempimenti in relazione ad un esposto presentato da una parte o da un collega tendente ad ottenere notizie o adempimenti nell'interesse dello stesso reclamante, la mancata sollecita risposta dell'iscritto costituisce illecito disciplinare.

III - L'avvocato chiamato a far parte del Consiglio dell'ordine deve adempiere l'incarico con diligenza, imparzialità e nell'interesse generale.

IV - L'avvocato ha il dovere di comunicare senza ritardo al Consiglio dell'ordine di appartenenza ed eventualmente a quello competente per territorio, la costituzione di associazioni o società professionali e i successivi eventi modificativi, nonché l'apertura di studi principali, secondari e anche recapiti professionali.


ART. 25 - Rapporti con i collaboratori dello studio.

L’avvocato deve consentire ai propri collaboratori di migliorare la preparazione professionale, compensandone la collaborazione in proporzione all’apporto ricevuto.


ART. 26 - Rapporti con i praticanti.

L’avvocato è tenuto verso i praticanti ad assicurare la effettività ed a favorire la proficuità della pratica forense al fine di consentire un’adeguata formazione.

I - L’avvocato deve fornire al praticante un adeguato ambiente di lavoro, riconoscendo allo stesso, dopo un periodo iniziale, un compenso proporzionato all’apporto professionale ricevuto.

II - L’avvocato deve attestare la veridicità delle annotazioni contenute nel libretto di pratica solo in seguito ad un adeguato controllo e senza indulgere a motivi di favore o di amicizia.

III - È responsabile disciplinarmente l’avvocato che dia incarico ai praticanti di svolgere attività difensiva non consentita.


ART. 27. - Obbligo di corrispondere con il collega.

L’avvocato non può mettersi in contatto diretto con la controparte che sia assistita da altro legale.

I - Soltanto in casi particolari, per richiedere determinati comportamenti o intimare messe in mora od evitare prescrizioni o decadenze, la corrispondenza può essere indirizzata direttamente alla controparte, sempre peraltro inviandone copia per conoscenza al legale avversario.

II - Costituisce illecito disciplinare il comportamento dell’avvocato che accetti di ricevere la controparte, sapendo che essa è assistita da un collega, senza informare quest’ultimo e ottenerne il consenso.


ART. 28. - Divieto di produrre la corrispondenza scambiata con il collega.

Non possono essere prodotte o riferite in giudizio le lettere qualificate riservate e comunque la corrispondenza contenente proposte transattive scambiate con i colleghi.

I. E' producibile la corrispondenza intercorsa tra colleghi quando sia stato perfezionato un accordo, di cui la stessa corrispondenza costituisca attuazione.

II. E' producibile la corrispondenza dell'avvocato che assicuri l'adempimento delle prestazioni richieste.

III. L'avvocato non deve consegnare all'assistito la corrispondenza riservata tra colleghi, ma può, qualora venga meno il mandato professionale, consegnarla al professionista che gli succede, il quale è tenuto ad osservare i medesimi criteri di riservatezza.

ART. 29. - Notizie riguardanti il collega.

L'esibizione in giudizio di documenti relativi alla posizione personale del collega avversario e l'utilizzazione di notizie relative alla sua persona sono vietate, salvo che egli sia parte di un giudizio e che l'uso di tali notizie sia necessario alla tutela di un diritto.
I - L'avvocato deve astenersi dall'esprimere apprezzamenti denigratori sull'attività professionale di un collega.

ART. 30. - Obbligo di soddisfare le prestazioni affidate ad altro collega.

L'avvocato che scelga e incarichi direttamente altro collega di esercitare le funzioni di rappresentanza o assistenza deve provvedere a retribuirlo, ove non adempia la parte assistita, tranne che dimostri di essersi inutilmente attivato, anche postergando il proprio credito, per ottenere l'adempimento.

ART. 31. - Obbligo di dare istruzioni al collega e obbligo di informativa.

L’avvocato è tenuto a dare tempestive istruzioni al collega corrispondente. Quest’ultimo, del pari, è tenuto a dare tempestivamente al collega informazioni dettagliate sull’attività svolta e da svolgere.

I - L’elezione di domicilio presso altro collega deve essere preventivamente comunicata e consentita.

II - È fatto divieto all’avvocato corrispondente di definire direttamente una controversia, in via transattiva, senza informare il collega che gli ha affidato l’incarico.

III - L’avvocato corrispondente, in difetto di istruzioni, deve adoperarsi nel modo più opportuno per la tutela degli interessi della parte, informando non appena possibile il collega che gli ha affidato l’incarico.

ART. 32. - Divieto di impugnazione della transazione raggiunta con il collega.

L’avvocato che abbia raggiunto con il patrono avversario un accordo transattivo accettato dalle parti deve astenersi dal proporre impugnativa giudiziale della transazione intervenuta, salvo che l’impugnazione sia giustificata da fatti particolari non conosciuti o sopravvenuti.


ART. 33. - Sostituzione del collega nell’attività di difesa.

Nel caso di sostituzione di un collega nel corso di un giudizio, per revoca dell’incarico o rinuncia, il nuovo legale dovrà rendere nota la propria nomina al collega sostituito, adoperandosi, senza pregiudizio per l’attività difensiva, perché siano soddisfatte le legittime richieste per le prestazioni svolte.

I - L’avvocato sostituito deve adoperarsi affinché la successione nel mandato avvenga senza danni per l’assistito, fornendo al nuovo difensore tutti gli elementi per facilitargli la prosecuzione della difesa.

ART. 34. - Responsabilità dei collaboratori, sostituti e associati.

Salvo che il fatto integri un’autonoma responsabilità, i collaboratori, sostituti e ausiliari non sono disciplinarmente responsabili per il compimento di atti per incarichi specifici ricevuti.

I - Nel caso di associazione professionale, è disciplinarmente responsabile soltanto l’avvocato o gli avvocati a cui si riferiscano i fatti specifici commessi.

TITOLO III - RAPPORTI CON LA PARTE ASSISTITA

ART. 35. - Rapporto di fiducia.

Il rapporto con la parte assistita è fondato sulla fiducia.

I - L’incarico deve essere conferito dalla parte assistita o da altro avvocato che la difenda. Qualora sia conferito da un terzo, che intenda tutelare l’interesse della parte assistita ovvero anche un proprio interesse, l’incarico può essere accettato soltanto con il consenso della parte assistita.

II - L’avvocato deve astenersi, dopo il conferimento del mandato, dallo stabilire con l’assistito rapporti di natura economica, patrimoniale o commerciale che in qualunque modo possano influire sul rapporto professionale, salvo quanto previsto nell'art. 45. (1)

(1) Canone così modificato dal CNF con la delibera del 18 gennaio 2007. La precedente versione così recitava: "II - L’avvocato deve astenersi, dopo il conferimento del mandato, dallo stabilire con l’assistito rapporti di natura economica, patrimoniale o commerciale che in qualunque modo possano influire sul rapporto professionale".

ART. 36. - Autonomia del rapporto.

L’avvocato ha l’obbligo di difendere gli interessi della parte assistita nel miglior modo possibile nei limiti del mandato e nell’osservanza della legge e dei principi deontologici.

I - L’avvocato non deve consapevolmente consigliare azioni inutilmente gravose, né suggerire comportamenti, atti o negozi illeciti, fraudolenti o colpiti da nullità.

II - L’avvocato, prima di accettare l’incarico, deve accertare l’identità del cliente e dell’eventuale suo rappresentante.

III - In ogni caso, nel rispetto dei doveri professionali anche per quanto attiene al segreto, l’avvocato deve rifiutare di ricevere o gestire fondi che non siano riferibili a un cliente esattamente individuato.

IV - L’avvocato deve rifiutare di prestare la propria attività quando dagli elementi conosciuti possa fondatamente desumere che essa sia finalizzata alla realizzazione di una operazione illecita.

ART. 37. - Conflitto di interessi.

L'avvocato ha l'obbligo di astenersi dal prestare attività professionale quando questa determini un conflitto con gli interessi di un proprio assistito o interferisca con lo svolgimento di altro incarico anche non professionale.

I - Sussiste conflitto di interessi anche nel caso in cui l'espletamento di un nuovo mandato determini la violazione del segreto sulle informazioni fornite da altro assistito, ovvero quando la conoscenza degli affari di una parte possa avvantaggiare ingiustamente un altro assistito, ovvero quando lo svolgimento di un precedente mandato limiti l'indipendenza dell'avvocato nello svolgimento di un nuovo incarico.

II - L'obbligo di astensione opera altresì se le parti aventi interessi configgenti si rivolgano ad avvocati che siano partecipi di una stessa società di avvocati o associazione professionale o che esercitino negli stessi locali.

ART. 38. - Inadempimento al mandato.

Costituisce violazione dei doveri professionali, il mancato, ritardato o negligente compimento di atti inerenti al mandato quando derivi da non scusabile e rilevante trascuratezza degli interessi della parte assistita.

I - Il difensore d’ufficio deve assolvere l’incarico con diligenza e sollecitudine; ove sia impedito di partecipare a singole attività processuali deve darne tempestiva e motivata comunicazione all’autorità procedente ovvero incaricare della difesa un collega, il quale, ove accetti, è responsabile dell’adempimento dell’incarico.

ART. 39. - Astensione dalle udienze.

L’avvocato ha diritto di partecipare alla astensione dalle udienze proclamata dagli organi forensi in conformità con le disposizioni del codice di autoregolamentazione e delle norme in vigore.

I - L’avvocato che eserciti il proprio diritto di non aderire alla astensione deve informare preventivamente gli altri difensori costituiti.

II - Non è consentito aderire o dissociarsi dalla proclamata astensione a seconda delle proprie contingenti convenienze. L’avvocato che aderisca all’astensione non può dissociarsene con riferimento a singole giornate o a proprie specifiche attività, così come l’avvocato che se ne dissoci non può aderirvi parzialmente, in certi giorni o per particolari proprie attività professionali.

ART. 40. - Obbligo di informazione.

L'avvocato è tenuto ad informare chiaramente il proprio assistito all'atto dell'incarico delle caratteristiche e dell'importanza della controversia o delle attività da espletare, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzione possibili. L'avvocato è tenuto altresì ad informare il proprio assistito sullo svolgimento del mandato affidatogli, quando lo reputi opportuno e ogni qualvolta l'assistito ne faccia richiesta.

I. Se richiesto, è obbligo dell'avvocato informare la parte assistita sulle previsioni di massima inerenti alla durata e ai costi presumibili del processo.

II. E' obbligo dell'avvocato comunicare alla parte assistita la necessità del compimento di determinanti atti al fine di evitare prescrizioni, decadenze o altri effetti pregiudizievoli relativamente agli incarichi in corso di trattazione.

III. Il difensore ha l'obbligo di riferire al proprio assistito il contenuto di quanto appreso nell'esercizio del mandato se utile all'interesse di questi.

ART. 41. - Gestione di denaro altrui.

L’avvocato deve comportarsi con puntualità e diligenza nella gestione del denaro ricevuto dal proprio assistito o da terzi per determinati affari ovvero ricevuto per conto della parte assistita, ed ha l’obbligo di renderne sollecitamente conto.

I - Costituisce infrazione disciplinare trattenere oltre il tempo strettamente necessario le somme ricevute per conto della parte assistita.

II - In caso di deposito fiduciario l’avvocato è obbligato a richiedere istruzioni scritte e ad attenervisi.

ART. 42. - Restituzione di documenti.

L’avvocato è in ogni caso obbligato a restituire senza ritardo alla parte assistita la documentazione dalla stessa ricevuta per l’espletamento del mandato quando questa ne faccia richiesta.

I - L’avvocato può trattenere copia della documentazione, senza il consenso della parte assistita, solo quando ciò sia necessario ai fini della liquidazione del compenso e non oltre l’avvenuto pagamento.

ART. 43. - Richiesta di pagamento.

Durante lo svolgimento del rapporto professionale l'avvocato può chiedere la corresponsione di anticipi ragguagliati alle spese sostenute ed a quelle prevedibili e di acconti sulle prestazioni professionali, commisurati alla quantità e complessità delle prestazioni richieste per lo svolgimento dell'incarico.

1 - L'avvocato deve tenere la contabilità delle spese sostenute e degli acconti ricevuti ed è tenuto a consegnare, a richiesta del cliente, la nota dettagliata delle somme anticipate e delle spese sostenute per le prestazioni eseguite e degli onorari per le prestazioni svolte.

II - L'avvocato non deve richiedere compensi manifestamente sproporzionati all'attività svolta.

III - L'avvocato non può richiedere un compenso maggiore di quello già indicato, in caso di mancato spontaneo pagamento, salvo che ne abbia fatto espressa riserva.

IV - L'avvocato non può condizionare al riconoscimento dei propri diritti o all'adempimento di prestazioni professionali il versamento alla parte assistita delle somme riscosse per conto di questa.

[V - E' consentito all'avvocato concordare onorari forfettari per le prestazioni continuative solo in caso di consulenza e assistenza stragiudiziale, purché siano proporzionali al prevedibile impegno.] (1)

(1) Canone abrogato dal CNF con la delibera del 18 gennaio 2007.

ART. 44. - Compensazione.

L'avvocato ha diritto di trattenere le somme che gli siano pervenute dalla parte assistita o da terzi a rimborso delle spese sostenute, dandone avviso al cliente; può anche trattenere le somme ricevute, a titolo di pagamento dei propri onorari, quando vi sia il consenso della parte assistita ovvero quando si tratti di somme liquidate in sentenza a carico della controparte a titolo di diritti e onorari ed egli non le abbia ancora ricevute dalla parte assistita, ovvero quando abbia già formulato una richiesta di pagamento espressamente accettata dalla parte assistita.

I - In ogni altro caso, l'avvocato è tenuto a mettere immediatamente a disposizione della parte assistita le somme riscosse per conto di questa.

ART. 45. - Accordi sulla definizione del compenso. (1)

E’ consentito all’avvocato pattuire con il cliente compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, fermo il divieto dell’articolo 1261 c.c. e sempre che i compensi siano proporzionati all’attività svolta.

(1) Articolo così modificato dal CNF con la delibera del 18 gennaio 2007. La precedente versione così recitava: "Art. 45. - Divieto di patto di quota lite.
È vietata la pattuizione diretta ad ottenere, a titolo di corrispettivo della prestazione professionale, una percentuale del bene controverso ovvero una percentuale rapportata al valore della lite.
I - È consentita la pattuizione scritta di un supplemento di compenso, in aggiunta a quello previsto, in caso di esito favorevole della lite, purché sia contenuto in limiti ragionevoli e sia giustificato dal risultato conseguito."

ART. 46. - Azioni contro la parte assistita per il pagamento del compenso.

L’avvocato può agire giudizialmente nei confronti della parte assistita per il pagamento delle proprie prestazioni professionali, previa rinuncia al mandato.

ART. 47. - Rinuncia al mandato.

L’avvocato ha diritto di rinunciare al mandato.

I - In caso di rinuncia al mandato l’avvocato deve dare alla parte assistita un preavviso adeguato alle circostanze, e deve informarla di quanto è necessario fare per non pregiudicare la difesa.

II - Qualora la parte assistita non provveda in tempi ragionevoli alla nomina di un altro difensore, nel rispetto degli obblighi di legge l’avvocato non è responsabile per la mancata successiva assistenza, pur essendo tenuto ad informare la parte delle comunicazioni che dovessero pervenirgli.

III - In caso di irreperibilità, l’avvocato deve comunicare la rinuncia al mandato con lettera raccomandata alla parte assistita all’indirizzo anagrafico e all’ultimo domicilio conosciuto. Con l’adempimento di tale formalità, fermi restando gli obblighi di legge, l’avvocato è esonerato da ogni altra attività, indipendentemente dal fatto che l’assistito abbia effettivamente ricevuto tale comunicazione.

TITOLO IV - RAPPORTO CON LA CONTROPARTE, I MAGISTRATI E I TERZI

ART. 48. - Minaccia di azioni alla controparte.

L'intimazione fatta dall'avvocato alla controparte tendente ad ottenere particolari adempimenti sotto comminatoria di azioni, istanze fallimentari, denunce o altre sanzioni, è consentita quando tenda a rendere avvertita la controparte delle possibili iniziative giudiziarie in corso o da intraprendere; è deontologicamente scorretta, invece, tale intimazione quando siano minacciate azioni od iniziative sproporzionate o vessatorie.

I - Qualora ritenga di invitare la controparte ad un colloquio nel proprio studio, prima di iniziare un giudizio, l'avvocato deve precisarle che può essere accompagnata da un legale di fiducia.

II - L'addebito alla controparte di competenze e spese per l'attività prestata in sede stragiudiziale è ammesso, purché la richiesta di pagamento sia fatta a favore del proprio assistito.

ART. 49. - Pluralità di azioni nei confronti della controparte.

L’avvocato non deve aggravare con onerose o plurime iniziative giudiziali la situazione debitoria della controparte quando ciò non corrisponda ad effettive ragioni di tutela della parte assistita.

ART. 50. - Richiesta di compenso professionale alla controparte.

È vietato richiedere alla controparte il pagamento del proprio compenso professionale, salvo che ciò sia oggetto di specifica pattuizione, con l’accordo del proprio assistito, e in ogni altro caso previsto dalla legge.

I - In particolare è consentito all’avvocato chiedere alla controparte il pagamento del proprio compenso professionale nel caso di avvenuta transazione giudiziale e di inadempimento del proprio cliente.

ART. 51. - Assunzione di incarichi contro ex-clienti.

L'assunzione di un incarico professionale contro un ex-cliente è ammessa quando sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale e l'oggetto del nuovo incarico sia estraneo a quello espletato in precedenza. In ogni caso è fatto divieto all'avvocato di utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto professionale già esaurito.

I - L'avvocato che abbia assistito congiuntamente i coniugi in controversie familiari deve astenersi dal prestare, in favore di uno di essi, la propria assistenza in controversie successive tra i medesimi.

ART. 52. - Rapporti con i testimoni.

L’avvocato deve evitare di intrattenersi con i testimoni sulle circostanze oggetto dei procedimento con forzature o suggestioni dirette a conseguire deposizioni compiacenti.

I - Resta ferma la facoltà di investigazione difensiva nei modi e termini previsti dal codice di procedura penale, e nel rispetto delle disposizioni che seguono.

1. Il difensore di fiducia e il difensore d’ufficio sono tenuti ugualmente al rispetto delle disposizioni previste nello svolgimento delle investigazioni difensive.

2. In particolare il difensore ha il dovere di valutare la necessità o l’opportunità di svolgere investigazioni difensive in relazione alle esigenze e agli obiettivi della difesa in favore del proprio assistito.

3. La scelta sull’oggetto, sui modi e sulle forme delle investigazioni nonché sulla utilizzazione dei risultati compete al difensore.

4. Quando si avvale di sostituti, collaboratori di studio, investigatori privati autorizzati e consulenti tecnici, il difensore può fornire agli stessi tutte le informazioni e i documenti necessari per l’espletamento dell’incarico, anche nella ipotesi di intervenuta segretazione degli atti, raccomandando il vincolo del segreto e l’obbligo di comunicare i risultati esclusivamente al difensore.

5. Il difensore ha il dovere di mantenere il segreto professionale sugli atti delle investigazioni difensive e sul loro contenuto, finché non ne faccia uso nel procedimento, salva la rivelazione per giusta causa nell’interesse del proprio assistito.

6. Il difensore ha altresì l’obbligo di conservare scrupolosamente e riservatamente la documentazione delle investigazioni difensive per tutto il tempo ritenuto necessario o utile per l’esercizio della difesa.

7. È fatto divieto al difensore e ai vari soggetti interessati di corrispondere compensi o indennità sotto qualsiasi forma alle persone interpellate ai fini delle investigazioni difensive, salva la facoltà di provvedere al rimborso delle spese documentate.

8. Il difensore deve informare le persone interpellate ai fini delle investigazioni della propria qualità, senza obbligo di rivelare il nome dell’assistito.

9. Il difensore deve inoltre informare le persone interpellate che, se si avvarranno della facoltà di non rispondere, potranno essere chiamate ad una audizione davanti al pubblico ministero ovvero a rendere un esame testimoniale davanti al giudice, ove saranno tenute a rispondere anche alle domande del difensore.

10. Il difensore deve altresì informare le persone sottoposte a indagine o imputate nello stesso procedimento o in altro procedimento connesso o collegato che, se si avvarranno della facoltà di non rispondere, potranno essere chiamate a rendere esame davanti al giudice in incidente probatorio.

11. Il difensore, quando intende compiere un accesso in un luogo privato, deve richiedere il consenso di chi ne abbia la disponibilità, informandolo della propria qualità e della natura dell’atto da compiere, nonché della possibilità che, ove non sia prestato il consenso, l’atto sia autorizzato dal giudice.

12. Per conferire, chiedere dichiarazioni scritte o assumere informazioni dalla persona offesa dal reato il difensore procede con invito scritto, previo avviso al legale della stessa persona offesa, ove ne sia conosciuta l’esistenza. Se non risulta assistita, nell’invito è indicata l’opportunità che comunque un legale sia consultato e intervenga all’atto. Nel caso di persona minore, l’invito è comunicato anche a chi esercita la potestà dei genitori, con facoltà di intervenire all’atto.

13. Il difensore, anche quando non redige un verbale, deve documentare lo stato dei luoghi e delle cose, procurando che nulla sia mutato, alterato o disperso.

14. Il difensore ha il dovere di rispettare tutte le disposizioni fissate dalla legge e deve comunque porre in essere le cautele idonee ad assicurare la genuinità delle dichiarazioni.

15. Il difensore deve documentare in forma integrale le informazioni assunte. Quando è disposta la riproduzione anche fonografica le informazioni possono essere documentate in forma riassuntiva.

16. Il difensore non è tenuto a rilasciare copia del verbale alla persona che ha reso informazioni né al suo difensore.

ART. 53. - Rapporti con i magistrati.

I rapporti con i magistrati devono essere improntati alla dignità e al rispetto quali si convengono alle reciproche funzioni.

I - Salvo casi particolari, l’avvocato non può discutere del giudizio civile in corso con il giudice incaricato del processo senza la presenza del legale avversario.

II - L’avvocato chiamato a svolgere funzioni di magistrato onorario deve rispettare tutti gli obblighi inerenti a tali funzioni e le norme sulla incompatibilità.

III - L’avvocato non deve approfittare di eventuali rapporti di amicizia, di familiarità o di confidenza con i magistrati per ottenere favori e preferenze. In ogni caso deve evitare di sottolineare la natura di tali rapporti nell’esercizio del suo ministero, nei confronti o alla presenza di terze persone.

ART. 54. - Rapporti con arbitri e consulenti tecnici.

L’avvocato deve ispirare il proprio rapporto con arbitri e consulenti tecnici a correttezza e lealtà, nel rispetto delle reciproche funzioni.

ART. 55. - Arbitrato.

L'avvocato chiamato a svolgere la funzione di arbitro è tenuto ad improntare il proprio comportamento a probità e correttezza e a vigilare che il procedimento si svolga con imparzialità e indipendenza.

I - L'avvocato non può assumere la funzioni di arbitro quando abbia in corso rapporti professionali con una delle parti.

II - L'avvocato non può accettare la nomina ad arbitro se una delle parti del procedimento sia assistita da altro professionista di lui socio o con lui associato, ovvero che eserciti negli stessi locali.
In ogni caso l'avvocato deve comunicare alle parti ogni circostanza di fatto e ogni rapporto con i difensori che possano incidere sulla sua indipendenza, al fine di ottenere il consenso delle parti stesse all'espletamento dell'incarico.

III - L'avvocato che sia stato richiesto di svolgere la funzione di arbitro deve dichiarare per iscritto, nell'accettare l'incarico, l'inesistenza di ragioni ostative all'assunzione della veste di arbitro o comunque di relazioni di tipo professionale, commerciale, economico, familiare o personale con una delle parti. Diversamente, deve specificare dette ragioni ostative, la natura e il tipo di tali relazioni e può accettare l'incarico solo se le parti non si oppongano entro dieci giorni dal ricevimento della comunicazione.

IV - L'avvocato che viene designato arbitro deve comportarsi nel corso del procedimento in modo da preservare la fiducia in lui riposta dalle parti e deve rimanere immune da influenze e condizionamenti esterni di qualunque tipo. Egli inoltre:
- ha il dovere di mantenere la riservatezza sui fatti di cui venga a conoscenza in ragione del procedimento arbitrale;
- non deve fornire notizie su questioni attinenti al procedimento;
non deve rendere nota la decisione prima che questa sia formalmente comunicata a tutte le parti.

ART. 56. - Rapporti con i terzi.

L’avvocato ha il dovere di rivolgersi con correttezza e con rispetto nei confronti del personale ausiliario di giustizia, del proprio personale dipendente e di tutte le persone in genere con cui venga in contatto nell’esercizio della professione.

I - Anche al di fuori dell’esercizio della professione l’avvocato ha il dovere di comportarsi, nei rapporti interpersonali, in modo tale da non compromettere la fiducia che i terzi debbono avere nella sua capacità di adempiere i doveri professionali e nella dignità della professione.

ART. 57. - Elezioni forensi.

L'avvocato che partecipi, quale candidato o quale sostenitore di candidati, ad elezioni ad organi rappresentativi dell'Avvocatura deve comportarsi con correttezza, evitando forme di propaganda ed iniziative non consone alla dignità delle funzioni.

I - E' vietata ogni forma di propaganda elettorale o di iniziativa nella sede di svolgimento delle elezioni e durante le operazioni di voto.

II - Nelle sedi di svolgimento delle operazioni di voto è consentita la sola affissione delle liste elettorali e di manifesti contenenti le regole di svolgimento delle operazioni di voto.

ART. 58. - La testimonianza dell’avvocato.

Per quanto possibile, l’avvocato deve astenersi dal deporre come testimone su circostanze apprese nell’esercizio della propria attività professionale e inerenti al mandato ricevuto.

I - L’avvocato non deve mai impegnare di fronte al giudice la propria parola sulla verità dei fatti esposti in giudizio.

II - Qualora l’avvocato intenda presentarsi come testimone dovrà rinunciare al mandato e non potrà riassumerlo.

ART. 59. - Obbligo di provvedere all’adempimento delle obbligazioni assunte nei confronti dei terzi.

L’avvocato è tenuto a provvedere regolarmente all’adempimento delle obbligazioni assunte nei confronti dei terzi.

I - L’inadempimento ad obbligazioni estranee all’esercizio della professione assume carattere di illecito disciplinare, quando, per modalità o gravità, sia tale da compromettere la fiducia dei terzi nella capacità dell’avvocato di rispettare i propri doveri professionali.

TITOLO V - DISPOSIZIONE FINALE

ART. 60. - Norma di chiusura.

Le disposizioni specifiche di questo codice costituiscono esemplificazioni dei comportamenti più ricorrenti e non limitano l’ambito di applicazione dei principi generali espressi.

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