venerdì 19 gennaio 2007

Avvio del procedimento disciplinare nei confronti del Dipendente Pubblico

Consiglio di Stato , sez. VI, sentenza 16.10.2006 n° 6126


In linea generale vale il termine di 180 giorni entro cui va promosso dalla Pubblica Amministrazione il procedimento disciplinare contro il dipendente in servizio con decorrenza dal momento in cui sia venuta a conoscenza della condanna penale definitiva .

Nel caso, però, di condanna per i reati di peculato, concussione, corruzione in atti d’ufficio o in atti giudiziari, il suddetto termine è più breve, di 90 giorni



Consiglio di Stato

Sezione VI

Sentenza 16 ottobre 2006, n. 6126

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto da Ministero dell’interno in persona del Ministro p.t. rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato presso cui è ope legis domiciliato in Roma via dei Portoghesi 12;

contro

C. L. rappresentato e difeso dall’avv. Filippo Giuseppe Capuzzi presso cui è elettivamente domiciliato in Roma, via Romeo Romei 23;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio Sezione prima ter n. 15306/2004 depositata il 9 dicembre del 2004.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’appellato;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 20 dicembre 2005 relatore il Consigliere Luciano Barra Caracciolo.

Uditi l’avv. dello Stato Melillo e l’avv. Capuzzi;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Con la sentenza in epigrafe il Tar del Lazio ha accolto il ricorso presentato da C. L., agente della Polizia di Stato, avverso il decreto in data 26 novembre 2002, con cui il Capo della Polizia gli aveva inflitto la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio. Rilevava il Tar che la sentenza della Corte di cassazione che aveva reso definitiva la condanna del ricorrente era stata comunicata all’Amministrazione il 16 aprile 2002, mentre l’atto di riapertura del procedimento disciplinare, già sospeso, era avvenuto con la contestazione degli addebiti notificata il 24 luglio 2002, oltre il termine di 90 giorni previsto per la riassunzione del procedimento disciplinare dall’art.5, comma 4, della legge 27 marzo 2001, n.97. Neppure utile, ai fini del rispetto del termine perentorio in questione, era considerare l’atto di formale riattivazione del procedimento disciplinare, notificato al ricorrente il 18 luglio 2002, anch’esso a termine ormai scaduto. Ciò perché il tempo per l’avvio dell’azione disciplinare era dettato a garanzia del dipendente condannato, e la sua osservanza comporta la notifica e non la mera adozione di un atto rilevante della procedura.

Appella l’Amministrazione deducendo che il Tar aveva errato nel ritenere applicabile il termine di cui all’art.5, comma 4, l.n.97\2001, di soli 90 giorni, applicabile solo con riferimento ai reati di cui all’art.3 della legge stessa, cioè quelli previsti dagli artt.314, primo comma, 317, 318, 319, 319 ter, e 320 del codice penale e dall’art.3 della legge 9 dicembre 1941, n.1383. Nell’ipotesi di sentenza relativa ad altre fattispecie delittuose si applicano infatti i termini di cui all’art.9 della legge 7 febbraio 1990, n.19, pari a 180 giorni per la riattivazione del procedimento disciplinare, come affermato dalla Commissione speciale pubblico impiego del Consiglio di Stato nell’adunanza del 5 novembre 2001, n.497. Il C. era stato infatti condannato per violazione della normativa in materia di sostanze stupefacenti e la riapertura del procedimento con la contestazione degli addebiti notificata il 24 luglio 2002 risultava tempestiva rispetto alla conoscenza della sentenza della Corte di Cassazione avvenuta il 16 aprile 2002.

Si è costituito il C. deducendo la tardività dell’appello perché notificato solo il 6 maggio 2005 a fronte di una notifica della sentenza presso l’Avvocatura dello Stato avvenuta il 26 gennaio 2005. Nel merito sosteneva l’infondatezza dell’appello stesso.

DIRITTO

1. Deve respingersi l’eccezione di tardività dell’appello per essere stato notificato oltre il termine di 60 giorni decorrenti dalla notifica della sentenza presso l’Avvocatura generale dello Stato, asseritamente eseguita il 26 gennaio 2005. Ed infatti il plico risulta spedito per via postale il 22 dicembre 2004, ma dalla cartolina contenente l’avviso di ricevimento non è attestato l’espletamento di nessuna delle operazioni previste per l’esecuzione della consegna, non risultando sbarrata alcuna delle caselle ad esse corrispondenti. Risulta solo una sottoscrizione illeggibile e l’apposizione di una data a mala pena identificabile in quella del 26 gennaio 2005, senza che però sia dato di comprendere a quali operazioni abbia messo capo tale indicazione e quindi se e in che modalità il plico sia mai stato ricevuto dall’Avvocatura dello Stato. Lo stesso timbro apposto sulla destra della cartolina è illeggibile e non appare riferibile alla ricezione da parte di addetti dell’Avvocatura. Non sussiste dunque la prova dell’esecuzione di una rituale notifica valida ai fini del termine per l’impugnazione, non risultando a tale scopo idonea quella eseguita presso il Ministero dell’interno, (pur essa affetta, peraltro, dalle medesime manchevolezze di attestazione nella relativa cartolina di ricevimento).

2. Nel merito l’appello è fondato.

Ai fini della prosecuzione o dell’avvio del procedimento disciplinare nei confronti dei pubblici dipendenti condannati in sede penale a titolo definitivo, il termine di 90 giorni di cui all’art. 5, comma 4, della legge 27 marzo 2001, n.97, trova applicazione solo per le condanne relative ai reati indicati nell’art.3 della stessa legge (cioè quelli previsti dagli artt.314, primo comma, 317, 318, 319, 319 ter, e 320 del codice penale e dall’art.3 della legge 9 dicembre 1941, n.1383), dovendosi in tal senso intendere la dizione “sentenza penale irrevocabile di condanna nei confronti dei dipendenti indicati nel comma 1 dell’art. 3” contenuta nell’art 5, comma 4, cit., il che costituisce l’unica logica deduzione ritraibile da tale riferimento.

Negli altri casi di condanna per ogni diversa fattispecie di reato, non rientrante tra quelle espressamente nominate dalla norma suddetta, trova invece applicazione l’art.9, comma 2, della legge 7 febbraio 1990, n.19, che prevede, per la prosecuzione del procedimento disciplinare sospeso o per la sua promozione, il diverso termine di 180 giorni decorrenti dalla data in cui l’amministrazione ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna.

Tale termine, applicabile al caso di specie (e quindi anche al personale della Polizia di Stato, arg. ex A.P. n.10 del 27 giugno 2006), ove trattasi di sentenza di condanna per violazione di disposizioni in materia di stupefacenti, è stato nel caso rispettato poiché, avvenuta il 16 aprile 2002 la comunicazione all’amministrazione della sentenza della Corte di cassazione che ha reso definitiva la condanna, la contestazione degli addebiti al dipendente è stata notificata il 24 luglio 2002, pienamente in termine.

3. Riformata sul punto la sentenza di primo grado, e respinto perciò il relativo motivo di ricorso, rimangono da esaminare i restanti motivi di impugnazione contenuti nello stesso ricorso al Tar e dichiarati assorbiti nella sentenza appellata.

Con il primo di essi si era dedotto che il Consiglio di disciplina aveva omesso di pronunciarsi sulla questione pregiudiziale proposta dal ricorrente in sede di procedimento disciplinare e attinente proprio all’applicazione dei termini di cui alla legge n.97 del 2001, violando con ciò l’art. 7, lettera a), del DPR 737\81 e configurando “abuso di potere”.

La deduzione è infondata poiché l’omessa pronuncia su questioni preliminari in sede di procedimento disciplinare opera alla stessa stregua di un rigetto per implicito della questione preliminare stessa. Pertanto, ogni deduzione relativa si converte in potenziale motivo di impugnazione giurisdizionale del provvedimento finale, onde non può inficiare il provvedimento contenzioso in questione al di fuori di una riproposizione in sede giurisdizionale. Nel caso in esame, l’eccezione relativa ai termini è stata infatti riproposta come autonomo motivo di ricorso in primo grado, sicché il motivo in esame segue la stessa sorte di quello quanto alla sua ritenuta infondatezza.

4. Con l’ulteriore motivo assorbito si era lamentato che l’istanza di ricusazione del Presidente del Collegio di disciplina era stata decisa dal Capo della Polizia solo poche ore dopo la trasmissione della stessa nota di ricusazione, tanto che, dopo la sua proposizione, la seduta era stata sospesa e aggiornata a poche ore dopo la sua sospensione, giungendo ciò a falsare il procedimento al fine di giungere ad una definizione precostituita.

Anche tale motivo è infondato perché la rapida definizione dell’istanza di ricusazione in sede disciplinare non indica di per sé né “abuso di potere”, né disparità di trattamento, ma, in linea di massima, solo la evidente infondatezza della stessa istanza, sovente utilizzata a fini meramente dilatori; tale evidente infondatezza è stata infatti prontamente rilevata dall’organo decidente, mentre, va sottolineato, non risultano dedotti altri profili di illegittimità di tale decisione estranei alla mera celerità.

L’appello va accolto e in riforma della sentenza impugnata va integralmente respinto il ricorso introduttivo in primo grado.

Sussistono giusti motivi, rivenienti dalla materia controversa e dall’incertezza della normativa in applicazione, per compensare le spese per entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe, annullando la sentenza impugnata e respingendo integralmente il ricorso di primo grado.

Compensa le spese di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2005 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Claudio Varrone Presidente

Luigi Maruotti Consigliere

Carmine Volpe Consigliere

Giuseppe Romeo Consigliere

Luciano Barra Caracciolo Consigliere Est.

Presidente
CLAUDIO VARRONE



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