mercoledì 24 gennaio 2007

Litisconsorzio necessario nel processo tributario


Cassazione , SS.UU. civili, sentenza 18.01.2007 n° 1052

Ogni volta che per effetto della norma tributaria o per l'azione esercitata dall'amministrazione finanziaria (oggi l'Agenzia delle Entrate) l'atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicità della fattispecie costitutiva dell'obbligazione una pluralità di soggetti, e il ricorso proposto da uno o più degli obbligati abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del ricorrente, ma la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all' obbligazione dedotta nell'atto autoritativo impugnato, ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario nel processo tributario ai sensi dell' art. 14, comma 1, D.Lgs. n. 546 del 1992.

la Suprema Corte precisa che la disciplina litisconsortile nel processo tributario risponde a regole non omogenee a quelle che presidiano la disciplina avente lo stesso oggetto nel processo ordinario.



SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Sentenza 18 gennaio 2007, n. 1052

(Presidente V. Carbone, Relatore R. Botta)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia concerne un atto di divisione, con il quale i condividenti xxx, yyy, zzzz, wwww e la soc. M. s.r.l., procedevano alla formazione di 13 lotti del complesso industriale da loro acquistato ad un'asta fallimentare per il prezzo complessivo di L. 625.500.000, attribuendo ai lotti formati identico valore complessivo, ripartito proporzionalmente tra i condividenti. L'Ufficio del Registro di A. elevava a L. 2.928.200.000 il valore complessivo attribuito al complesso immobiliare, ripartendo anch'esso proporzionalmente tra i singoli lotti il valore complessivo accertato.

I ricorsi proposti da ciascuno dei contribuenti erano parzialmente accolti dalla Commissione Tributaria Provinciale de L'Aquila, la quale aumentava del 5% il valore dichiarato dai condividenti in ragione del breve lasso di tempo intercorso tra l'acquisto del bene e la relativa divisione. I separati appelli proposti dall'amministrazione finanziaria alla Commissione Tributaria Regionale dell'Abruzzo, cui resistevano i contribuenti proponendo anche appello incidentale, avevano esiti differenziati con sentenze classificabili in tre gruppi: in un primo gruppo le sentenze con le quali venivano rigettati tanto l'appello principale dell' amministrazione, quanto l'appello incidentale del contribuente (sentenze nn. 152, 153, 154, 155 e 156, della Sezione 8, depositate il 27 gennaio 1999) ; in un secondo gruppo le sentenze con le quali veniva parzialmente accolto l'appello dell'amministrazione attribuendo a ciascun lotto una maggiorazione del 30% del valore dichiarato (sentenze nn. 9, 10, 11 e 12, Sezione 9, depositate il 23 marzo 1999, e la sentenza n. 66, stessa sezione, depositata il 17 settembre 1999); in un terzo gruppo le sentenze con le quali veniva pienamente accolto l'appello dell'amministrazione con la conferma dell'atto impositivo impugnato dai contribuenti (sentenza nn. 13, 14 e 15, Sezione 9, depositate il 4 maggio 1999, e le sentenze nn. 42, 43, 44 e 45, stessa sezione, depositate il 28 luglio 1999).

Avverso la sentenza indicata in epigrafe - che reca il n. 153/8/1999 e che si colloca nel primo gruppo di sentenze sopradescritto - l'amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, con il primo dei quali è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell'art. 14, D.Lgs. n. 546/1992, affermando la parte ricorrente che nella fattispecie considerata dovesse essere ritenuta la sussistenza di un litisconsorzio necessario tra tutti i condividenti. La contribuente non si è costituita.

Chiamato il ricorso, unitamente agli altri relativi alla controversia de qua, all'udienza del 18 novembre 2005, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, considerata l'esistenza di un sia pur limitato contrasto nella giurisprudenza delle Corte in ordine all'applicazione dell'istituto del litisconsorzio necessario nel processo tributario e soprattutto la particolare importanza della questione, con separate ordinanze ha rimesso ogni ricorso al Primo Presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite.

MOTIVAZIONE

Con il primo motivo di ricorso l'Amministrazione ricorrente denuncia violazione degli artt. 14, D.Lgs. n. 546/1992 e 102 c.p.c, lamentando che il giudice di merito non avrebbe rilevato ex officio, come avrebbe dovuto, la sussistenza nella specie di una ipotesi di litisconsorzio necessario, dato che non poteva «sussistere dubbio che i contribuenti non avevano legittimazione ad agire innanzi al giudice fiscale individualmente, tenuto conto che l'oggetto del contenzioso li riguardava inscindibilmente tutti, sicché tutti dovevano essere parte dello stesso processo».

Il motivo è fondato nei termini di seguito precisati.

1. Una corretta soluzione del problema sollevato con il motivo di ricorso in esame, non può prescindere dalla consapevolezza che la strumentalità del processo alla tutela delle posizioni sostanziali che ne costituiscono l'oggetto, impone una flessibilità delle regole processuali per valorizzarne la predetta funzione in relazione alla specificità dei diritti e degli interessi coinvolti nel giudizio. Ne costituisce ineludibile conseguenza una pluralità di modelli processuali disomogenei, tanto che il legislatore ha avvertito l'esigenza di affiancare al "modello del processo ordinario", i differenziati modelli del "processo del lavoro", del "processo tributario" e del "processo societario", la cui esegesi non può essere condotta adottando una identica "chiave di lettura" (tale prospettiva è stata già delineata da queste Sezioni Unite con la sentenza n. 8203 del 2005).

Può dirsi - parafrasando una autorevole dottrina - che anche per il "processo" si sia aperta una speciale "età della decodificazione" che comporta il passaggio "dal sistema" "ai sistemi", attraverso lo sviluppo di "microcosmi normativi" - o, se si vuole, ad "ordinamenti di settore" (questa è, ad es. , la locuzione utilizzata dalle Sezioni Unite nella richiamata sentenza n. 8203 del 2005) - che, pur restando aperti sui confini e, quindi, contaminabili (anzi, spesso essi stessi sono il risultato di una contaminazione), rispondono, tuttavia, a principi ordinatori propri, più adatti di altri ad esprimere la specificità delle realtà regolamentate. Alla luce di siffatta evidenza, deve affermarsi che la disciplina litisconsortile nel processo tributario risponde a regole non omogenee a quelle che presidiano la disciplina avente lo stesso oggetto nel processo ordinario.

2. A conforto della delineata posizione interpretativa, può richiamarsi, in prima approssimazione, il fatto che il legislatore - pur avendo utilizzato in modo "generoso" lo strumento del rinvio alle regole del processo ordinario nel forgiare le strutture del processo tributario - ha stabilito una specifica disciplina del liti-sconsorzio da applicare nel rito processualtributario. Una disciplina questa - dettata dall'art. 14 del D.Lgs. n. 546 del 1992 - che ha movenze diverse dalla regola emergente dall'art. 102 c.p.c. adottata per il processo ordinario.

L'art. 14, D.Lgs. n. 546/1992, infatti, per quanto specificamente concerne la regola relativa al litisconsorzio necessario, dispone al primo comma,: «Se l'oggetto del ricorso riguarda inscindibilmente più soggetti, questi devono essere tutti parte nello stesso processo e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni di essi». L'art. 102 c.p.c., invece, al primo comma dispone: «Se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo».

Nonostante l'apparente somiglianza del dettato normativo, non può sfuggire ad una più attenta lettura una radicale differenza tra le due disposizioni, che consiste, in modo particolare, che la prima - la norma pro-cessualtributaria - non può definirsi, come la seconda - la norma processualcivilista -, una "norma in bianco". Ed invero, l'art. 14, D.Lgs. n. 546/1992, collega positivamente l'ipotesi di litisconsorzio necessario nel processo tributario a specifici presupposti: la inscindibilità della causa tra più soggetti determinata dall'oggetto del ricorso.

3. In una siffatta prospettiva - nella quale si riduce sensibilmente, rispetto a quella aperta dalla corrispondente norma processualcivilista, la "libertà dell'interprete" - appare chiara una dimensione esclusivamente processuale del litisconsorzio, perché la realizzazione dell'ipotesi litisconsortile è connessa, strutturalmente e strettamente, alla domanda agita nel giudizio. E' la domanda, infatti, a determinare l'oggetto del processo e, quindi, a costituire, in ultima analisi, il parametro per valutare la inscindibilità della causa tra più soggetti.

Non si può in realtà prescindere dal fatto che il processo tributario - a differenza del processo civile nel quale ha ampio spazio la libera ed autonoma deliberazione delle parti in conflitto - è strutturato secondo le regole proprie del processo impugnatorio di provvedimenti autoritativi (ex plurimis, Cass. nn. 9999 e 3532 del 2006; 28680 del 2005). La stretta relazione che ciò determina tra provvedimento impugnato e contestazione del contribuente e che irriducibilmente circoscrive l'oggetto del giudizio al concreto atteggiarsi nel processo del rapporto tra atto autoritativo e relativa impugnazione, aiuta a comprendere perché il legislatore, nel delineare la fattispecie del litisconsorzio necessario nel processo tributario, abbia fatto ricorso ad una norma che, se raffrontata alle regole del processo civile, palesa una contaminazione tra le disposizioni di cui all'art. 102 e all'art. 331 c.p.c. Se ne deve concludere che il litisconsorzio necessario nel processo tributario è, nella stessa struttura normativa, fattispecie autonoma rispetto alla (apparentemente) analoga fattispecie processualcivilistica. L'opera dell'interprete è così chiamata a concentrarsi sulla identificazione delle condizioni - oggetto del ricorso e inscindibilità della causa tra più soggetti -che la norma processualtributaria richiede perché sussista una ipotesi di litisconsorzio necessario, lette in relazione l'una con l'altro.

4. Nonostante manchi una definizione normativa di cosa debba intendersi per oggetto del ricorso, la relativa attività di identificazione deve necessariamente essere condotta alla luce del combinato disposto di cui agli artt. 18, comma 2, lett. d) ed e) , 19 e 24, D.Lgs. n. 546 del 1992, tenendo conto, come si è detto, del fatto che il giudizio tributario «è caratterizzato da un meccanismo di instaurazione di tipo impugnatorio, circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa effettivamente avanzata con l'atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso atto indicati, ed ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo» (Cass. n. 9754 del 2003). In ragione, quindi, del carattere funzionale del ricorso ad introdurre una valutazione giudiziale (della legittimità) dell' atto impugnato - intesa a realizzare, in armonia con i principi costituzionali enunciati dagli artt. 3 e 53 Cost., una giusta imposizione, che rappresenta un interesse dell' ordinamento, ancor prima che un interesse personale del contribuente -, l'oggetto del ricorso, cui fa riferimento l'art. 14, comma 1, D.Lgs. n. 546 del 1992, si risolve nello specifico nesso tra atto autoritativo di imposizione e contestazione del contribuente, che consente di identificare concretamente nel processo causa petendi e petitum della domanda agita.

E' in relazione a tale domanda che va valutata l'inscindibilità (eventuale) dell'azione tra più soggetti:

ciò è verificabile tutte le volte che la fattispecie costitutiva dell'obbligazione - nel caso rappresentata dall'atto autoritativo impugnato eterodeterminante la domanda - a) presenti elementi comuni ad una pluralità di soggetti e b) siano proprio tali elementi ad esser posti a fondamento della impugnazione proposta da uno dei soggetti obbligati.

L'inscindibilità - alla quale fa riferimento il primo comma dell'art. 14, D.Lgs. n. 504 del 1992 e che costituisce caratteristica propria e tutta interna al processo tributario - emerge, quindi, a seguito del peculiare rapporto, che concretamente si realizza nello specifico processo, tra atto impugnato e contestazione del contribuente, allorché la fattispecie costitutiva dell'obbligazione - risultante dai contenuti concreti dell'atto autoritativo impugnato - sia connotata da elementi comuni ad una pluralità di soggetti e l'impugnazione proposta da uno o più degli obbligati investa direttamente siffatti elementi: in tal caso, il fatto che l'impugnazione concerna la posizione comune ai diversi soggetti obbligati impone - in ragione della ricordata inscindibilità - un accertamento giudiziale unitario (con il conseguente litisconsorzio necessario tra tutti i soggetti obbligati cui sia comune la posizione dedotta in contestazione) sulla fattispecie costitutiva dell'obbligazione, il solo che possa effettivamente realizzare nella predetta situazione una giusta imposizione. Qualora, invece, colui che abbia proposto l'impugnazione abbia dedotto un profilo che sia proprio esclusivamente della sua posizione debitoria, è da escludere che si determini quella situazione di inscindibilità cui, ai sensi dell'art. 14, comma 1, D.Lgs. n. 546 del 1992, consegue il litisconsorzio necessario tra i soggetti obbligati, e potrà darsi solo una ipotesi di intervento volontario nel processo degli (eventuali) altri destinatari dell'atto impositivo, giusta il comma 3 della stessa norma processualtributaria. Ciò rende palese che la disposizione di cui all'art. 14, comma 1, D.Lgs. 546 del 1992 si muove in una prospettiva diversa da quella nella quale si collocano le regole relative all'obbligazione solidale, obbligazione la cui (eventuale) sussistenza non realizza un presupposto per l'applicazione della norma in questione. La fattispecie in esame ne costituisce prova evidente, in quanto l'inscindibilità che determina il litisconsorzio necessario tra i diversi soggetti coinvolti dall'accertamento tributario non nasce dall'essere tali soggetti coobligati solidali nel quadro di un rapporto obbligatorio, ma dal loro essere titolari di un diritto reale su (porzioni) di un bene il cui valore è stato determinato dall'Ufficio unitariamente (senza tener conto dell'avvenuta divisione), attribuendo alle quote dei condividenti un valore proporzionale mediante una mera operazione matematica, noncurante delle differenti realtà qualitative delle singole porzioni. La questione della solidarietà dell'obbligazione è, pertanto, estranea al giudizio de quo: la solidarietà, peraltro, più che determinare l'inscindibilità della causa tra più soggetti nel senso inteso dal comma 1, dell'art. 14, D.Lgs. n. 546/1992, sembra porre problemi relativi al rapporto tra giudicati (ed eventualmente legittimare un intervento nel processo ai sensi del comma 3 del citato art. 14).

5. Tornando al ragionamento sin qui sviluppato, va osservato che l'obiettivo della giusta imposizione è un obiettivo di sistema al raggiungimento del quale è funzionale tanto il dovere di trasparenza dell' azione impositiva nel quadro di un rapporto tra contribuente e amministrazione finanziaria ispirato al principio di collaborazione e di buona fede, quanto la dinamica pro-cessualtributaria tesa a verificare (e, nel caso, a ripristinare) la coerenza dell' esperienza concreta alle regole fondamentali espresse, al livello più alto, dalla Costituzione, da un lato, e dallo Statuto del contribuente, dall' altro.

In linea con tale obiettivo, l'aver "geneticamente" connesso la necessarietà del litisconsorzio ad un concreto rapporto tra oggetto del ricorso ed inscindibilità della causa tra più soggetti appare una sapiente formula utilizzata dal legislatore per esprimere il carattere ostativo della "parcellizzazione delle controversie tributarie" al perseguimento di una giusta imposizione: questo risultato, invero, potrebbe seriamente essere impedito dal formarsi di giudicati tra loro contrastanti in separati giudizi nei quali pur si dibatta una posizione comune ad una pluralità di soggetti obbligati. Di quest'esito patologico il litisconsorzio necessario è la profilassi.

Vero è che molti, specialmente nella dimensione processualcivilistica, non guardano con favore al litisconsorzio necessario, considerato un ostacolo alla "ragionevole durata del processo". Ma la "ragionevole durata" è un valore solo nella misura in cui sìa funzionale all'effettività della tutela giurisdizionale, la quale non può risolversi esclusivamente nella celerità del giudizio, ma richiede l'operatività di strumenti processuali capaci di garantire la realizzazione di una o-mogenea disciplina sostanziale dei rapporti giurìdici.

6. Se ciò è vero con riferimento all' ordinamento complessivamente considerato, tanto più lo è con riferimento al "microcosmo normativo tributario" nel quale ogni ingiustificata disparità di trattamento contrasta in modo forte con i principi espressi dagli artt. 3 e 53 Cost., che impongono, ad ogni livello, una coerenza del sistema nel rispetto della capacità contributiva. E' soprattutto quest'ultimo - il rispetto della capacità contributiva - il valore primario che lo strumento processuale del litisconsorzio necessario riesce ad assicurare, con l'indispensabile efficacia della prevenzione, tutte le volte che l'atto impositivo contenga elementi comuni ad una pluralità di soggetti obbligati e sia proprio la posizione ad essi comune a costituire l'oggetto del ricorso.

Infatti, la valutazione attraverso il prisma della capacità contributiva della legittimità di un atto impositivo che unitariamente investa una pluralità di soggetti e sia impugnato in riferimento alle sue "ragioni unitarie", esìge l'unicità dell'accertamento giudiziale: in ipotesi siffatte, invero, separate e discordi pronunce sulla fattispecie costitutiva dell'obbligazione altererebbero significativamente il rapporto tra imposizione e capacità contributiva dell'obbligato, in modo che la seconda non potrebbe più valere come parametro di legittimità - e quindi, di giustizia - dell' atto autoritativo.

7. La fattispecie in discussione nel presente giudizio potrebbe, sotto questo aspetto, costituire un "caso di scuola": nonostante l'intervenuta divisione del cespite immobiliare, l'Ufficio del registro ha proceduto ad una valutazione unitaria del bene complessivamente considerato, ricavandone poi i valori attribuiti ai singoli condividenti solo sulla base di una operazione matematica, risolta in una proporzione della quota rispetto al totale, indifferente alle caratteristiche specifiche della porzione del bene assegnata ad ogni condividente. Il modus agendi dell'Ufficio è stata una conseguenza dell'analogo modus agendi dei condividenti, i quali, dato al bene unitario acquistato in comproprietà ad un'asta fallimentare il valore corrispondente al prezzo di acquisto, avevano poi determinato il valore dei singoli lotti, a ciascuno di loro assegnati, sulla base di una mera operazione matematica di proporzione quantitativa.

L'impugnazione dei singoli contribuenti ha avuto (e non poteva non avere nella situazione data) ad oggetto la posizione a loro comune, costituita dal maggior valore attribuito dall'Ufficio al bene unitariamente considerato alla stregua di un bene indiviso. Le separate e discordi pronunce (in secondo grado, perché in prime cure casualmente si è verificata una omogeneità di decisioni) del giudice tributario - alcune delle quali hanno confermato il valore accertato dall'Ufficio, altre lo hanno ridotto aumentando di una percentuale del 5% o del 30% il valore dichiarato dai contribuenti (sempre riferito al bene unitariamente considerato) hanno modificato la posizione comune dei condividenti e la loro sostanziale posizione di uguaglianza di diritti nella divisione (in ragione del diverso valore della quota rispetto all'intero, proporzionalmente determinato), alterandone di conseguenza la loro (individuale) capacità contributiva rispetto all'obbligazione tributaria.

L'utilizzo dello strumento processuale del litisconsorzio necessario - del quale sussistevano nella specie i presupposti richiesti dal primo comma dell' art. 14 del D. Lgs. N. 546 del 1992 (il fatto, cioè, che l'oggetto del ricorso riguardasse inscindibilmente più soggetti) nei termini dapprima indicati - avrebbe, invece, consentito di mantenere comunque inalterata la situazione dei condividenti, realizzando così una "giusta imposizione" secondo i valori, costituzionalmente presidiati, dell'uguaglianza e della capacità contributiva e rendendo effettiva la tutela giurisdizionale dei contribuenti. Va comunque precisato che l'ipotesi litisconsortile non è dipendente dalle scelte dell'amministrazione finanziaria, nel senso che quest'ultima non può escluderla ricorrendo ad una serie di separati atti impositivi nei confronti dei singoli soggetti obbligati, laddove normativamente unica sia la fattispecie costitutiva dell' obbligazione e l'impugnazione proposta da parte di uno degli obbligati avverso l'atto separato a lui diretto investa la ragione comune a tutti gli altri con riferimento alla fattispecie rappresentata nell'atto impugnato.

8. Sicché può essere conclusivamente affermato il seguente principio di diritto:

«Ogni volta che per effetto della norma tributaria o per l'azione esercitata dall'amministrazione finanziaria (oggi l'Agenzia delle Entrate) l'atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nella unicità della fattispecie costitutiva dell'obbligazione una pluralità di soggetti, e il ricorso proposto da uno o più degli obbligati abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del ricorrente, ma la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all' obbligazione dedotta nell'atto autoritativo impugnato, ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario nel processo tributario ai sensi dell' art. 14, comma 1, D.Lgs. n. 546 del 1992».

Alla luce delle considerazioni svolte e del principio di diritto affermato, deve, pertanto, essere accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Poiché, nel caso di specie, si è verificata una violazione della norma processualtributaria sul litisconsorzio necessario, non rilevata né dal giudice di primo grado, che non ha disposto la integrazione del contraddittorio, né da quello di appello che non ha provveduto a rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell'art. 59, comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 546/1992 e dell'art. 354, comma 1, c.p.c., ne resta viziato l'intero procedimento. Si impone, quindi, in questa sede di legittimità, l'annullamento (anche ex officio) delle sentenze emesse in primo e in secondo grado ed il conseguente rinvio della causa al giudice di prime cure a norma dell'art. 383, ultimo comma, c.p.c. Il giudice del rinvio provvedere anche in ordine alle spese della presente fase del giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti. Cassa la sentenza impugnata, nonché quella di primo grado e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Provinciale de L'Aquila.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16 novembre 2006.

Depositata in Cancelleria, oggi 18 gennaio 2007.




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