sabato 15 dicembre 2007

CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL'UNIONE EUROPEA

La Polonia e Regno Unito non condividono la validità illimitata del documento

(Parlamento europeo - 12.12.2007 - è stata solennemente proclamata nell’aula di Strasburgo del Parlamento europeo).

CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL'UNIONE EUROPEA

Lo status giuridicamente vincolante [1]

La posizione del Regno Unito e della Polonia [2]

PREAMBOLO

I popoli d'Europa, nel creare tra loro un'unione sempre più stretta, hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni.

Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell'uguaglianza e della solidarietà; essa si basa sul principio della democrazia e sul principio dello Stato di diritto. Pone la persona al centro della sua azione istituendo la cittadinanza dell'Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

L'Unione contribuisce alla salvaguardia e allo sviluppo di questi valori comuni nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli d'Europa, nonché dell'identità nazionale degli Stati membri e dell'ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale; essa si sforza di promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile e assicura la libera circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali, nonché la libertà di stabilimento.

A tal fine è necessario rafforzare la tutela dei diritti fondamentali, alla luce dell'evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici, rendendo tali diritti più visibili in una Carta.

La presente Carta riafferma, nel rispetto delle competenze e dei compiti dell'Unione e del principio di sussidiarietà, i diritti derivanti in particolare dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, dalle carte sociali adottate dall'Unione e dal Consiglio d'Europa, nonché dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea e da quella della Corte europea dei diritti dell'uomo. In tale contesto, la Carta sarà interpretata dai giudici dell'Unione e degli Stati membri tenendo in debito conto le spiegazioni elaborate sotto l'autorità del praesidium della Convenzione che ha redatto la Carta e aggiornate sotto la responsabilità del praesidium della Convenzione europea.

Il godimento di questi diritti fa sorgere responsabilità e doveri nei confronti degli altri come pure della comunità umana e delle generazioni future.

Pertanto, l'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi enunciati in appresso.

TITOLO I

DIGNITÁ

ARTICOLO 1

Dignità umana

La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata.

ARTICOLO 2

Diritto alla vita

1. Ogni persona ha diritto alla vita.

2. Nessuno può essere condannato alla pena di morte, né giustiziato.

ARTICOLO 3

Diritto all'integrità della persona

1. Ogni persona ha diritto alla propria integrità fisica e psichica.

2. Nell'ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati:

a) il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge,

b) il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di quelle aventi come scopo la selezione delle persone,

c) il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro,

d) il divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani.

ARTICOLO 4

Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti

Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti.

ARTICOLO 5

Proibizione della schiavitù e del lavoro forzato

1. Nessuno può essere tenuto in condizioni di schiavitù o di servitù.

2. Nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato o obbligatorio.

3. È proibita la tratta degli esseri umani.

TITOLO II

LIBERTÀ

ARTICOLO 6

Diritto alla libertà e alla sicurezza

Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza.

ARTICOLO 7

Rispetto della vita privata e della vita familiare

Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni.

ARTICOLO 8

Protezione dei dati di carattere personale

1. Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano.

2. Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica.

3. Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un'autorità indipendente.

ARTICOLO 9

Diritto di sposarsi e di costituire una famiglia

Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio.

ARTICOLO 10

Libertà di pensiero, di coscienza e di religione

1. Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o convinzione, così come la libertà di manifestare la propria religione o la propria convinzione individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti.

2. Il diritto all'obiezione di coscienza è riconosciuto secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio.

ARTICOLO 11

Libertà di espressione e d'informazione

1. Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.

2. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati.

ARTICOLO 12

Libertà di riunione e di associazione

1. Ogni persona ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà di associazione a tutti i livelli, segnatamente in campo politico, sindacale e civico, il che implica il diritto di ogni persona di fondare sindacati insieme con altri e di aderirvi per la difesa dei propri interessi.

2. I partiti politici a livello dell'Unione contribuiscono a esprimere la volontà politica dei cittadini dell'Unione.

ARTICOLO 13

Libertà delle arti e delle scienze

Le arti e la ricerca scientifica sono libere. La libertà accademica è rispettata.

ARTICOLO 14

Diritto all'istruzione

1. Ogni persona ha diritto all'istruzione e all'accesso alla formazione professionale e continua.

2. Questo diritto comporta la facoltà di accedere gratuitamente all'istruzione obbligatoria.

3. La libertà di creare istituti di insegnamento nel rispetto dei principi democratici, così come il diritto dei genitori di provvedere all'educazione e all'istruzione dei loro figli secondo le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche, sono rispettati secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio.

ARTICOLO 15

Libertà professionale e diritto di lavorare

1. Ogni persona ha il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata.

2. Ogni cittadino dell'Unione ha la libertà di cercare un lavoro, di lavorare, di stabilirsi o di prestare servizi in qualunque Stato membro.

3. I cittadini dei paesi terzi che sono autorizzati a lavorare nel territorio degli Stati membri hanno diritto a condizioni di lavoro equivalenti a quelle di cui godono i cittadini dell'Unione.

ARTICOLO 16

Libertà d'impresa

È riconosciuta la libertà d'impresa, conformemente al diritto dell'Unione e alle legislazioni e prassi nazionali.

ARTICOLO 17

Diritto di proprietà

1. Ogni persona ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquisito legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuna persona può essere privata della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa. L'uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall'interesse generale.

2. La proprietà intellettuale è protetta.

ARTICOLO 18

Diritto di asilo

Il diritto di asilo è garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e dal protocollo del 31 gennaio 1967, relativi allo status dei rifugiati, e a norma del trattato sull'Unione europea e del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (in appresso denominati "i trattati").

ARTICOLO 19

Protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione

1. Le espulsioni collettive sono vietate.

2. Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti.

TITOLO III

UGUAGLIANZA

ARTICOLO 20

Uguaglianza davanti alla legge

Tutte le persone sono uguali davanti alla legge.

ARTICOLO 21

Non discriminazione

1. È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale.

2. Nell'ambito d'applicazione dei trattati e fatte salve disposizioni specifiche in essi contenute, è vietata qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità.

ARTICOLO 22

Diversità culturale, religiosa e linguistica

L'Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica.

ARTICOLO 23

Parità tra donne e uomini

La parità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione.

Il principio della parità non osta al mantenimento o all'adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato.

ARTICOLO 24

Diritti del minore

1. I minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione. Questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità.

2. In tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del minore deve essere considerato preminente.

3. Il minore ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse.

ARTICOLO 25

Diritti degli anziani

L'Unione riconosce e rispetta il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa e indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale.

ARTICOLO 26

Inserimento delle persone con disabilità

L'Unione riconosce e rispetta il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità.

TITOLO IV

SOLIDARIETÀ

ARTICOLO 27 Diritto dei lavoratori all'informazione e alla consultazione nell'ambito dell'impresa

Ai lavoratori o ai loro rappresentanti devono essere garantite, ai livelli appropriati, l'informazione e la consultazione in tempo utile nei casi e alle condizioni previsti dal diritto dell'Unione e dalle legislazioni e prassi nazionali.

ARTICOLO 28Diritto di negoziazione e di azioni collettive

I lavoratori e i datori di lavoro, o le rispettive organizzazioni, hanno, conformemente al diritto dell'Unione e alle legislazioni e prassi nazionali, il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei loro interessi, compreso lo sciopero.

ARTICOLO 29

Diritto di accesso ai servizi di collocamento

Ogni persona ha il diritto di accedere a un servizio di collocamento gratuito.

ARTICOLO 30

Tutela in caso di licenziamento ingiustificato

Ogni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto dell'Unione e alle legislazioni e prassi nazionali.

ARTICOLO 31

Condizioni di lavoro giuste ed eque

1. Ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose.

2. Ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite.

ARTICOLO 32

Divieto del lavoro minorile e protezione dei giovani sul luogo di lavoro

Il lavoro minorile è vietato. L'età minima per l'ammissione al lavoro non può essere inferiore all'età in cui termina la scuola dell'obbligo, fatte salve le norme più favorevoli ai giovani ed eccettuate deroghe limitate.

I giovani ammessi al lavoro devono beneficiare di condizioni di lavoro appropriate alla loro età ed essere protetti contro lo sfruttamento economico o contro ogni lavoro che possa minarne la sicurezza, la salute, lo sviluppo fisico, psichico, morale o sociale o che possa mettere a rischio la loro istruzione.

ARTICOLO 33

Vita familiare e vita professionale

1. È garantita la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale.

2. Al fine di poter conciliare vita familiare e vita professionale, ogni persona ha il diritto di essere tutelata contro il licenziamento per un motivo legato alla maternità e il diritto a un congedo di maternità retribuito e a un congedo parentale dopo la nascita o l'adozione di un figlio.

ARTICOLO 34

Sicurezza sociale e assistenza sociale

1. L'Unione riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza o la vecchiaia, oltre che in caso di perdita del posto di lavoro, secondo le modalità stabilite dal diritto dell'Unione e le legislazioni e prassi nazionali.

2. Ogni persona che risieda o si sposti legalmente all'interno dell'Unione ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale e ai benefici sociali, conformemente al diritto dell'Unione e alle legislazioni e prassi nazionali.

3. Al fine di lottare contro l'esclusione sociale e la povertà, l'Unione riconosce e rispetta il diritto all'assistenza sociale e all'assistenza abitativa volte a garantire un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto dell'Unione e le legislazioni e prassi nazionali.

ARTICOLO 35

Protezione della salute

Ogni persona ha il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali. Nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche ed attività dell'Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana.

ARTICOLO 36 Accesso ai servizi d'interesse economico generale

Al fine di promuovere la coesione sociale e territoriale dell'Unione, questa riconosce e rispetta l'accesso ai servizi d'interesse economico generale quale previsto dalle legislazioni e prassi nazionali, conformemente ai trattati.

ARTICOLO 37

Tutela dell'ambiente

Un livello elevato di tutela dell'ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell'Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile.

ARTICOLO 38

Protezione dei consumatori

Nelle politiche dell'Unione è garantito un livello elevato di protezione dei consumatori.

TITOLO V

CITTADINANZA

ARTICOLO 39

Diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo

1. Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato.

2. I membri del Parlamento europeo sono eletti a suffragio universale diretto, libero e segreto.

ARTICOLO 40

Diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali

Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato.

ARTICOLO 41

Diritto ad una buona amministrazione

1. Ogni persona ha diritto a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale ed equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni, organi e organismi dell'Unione.

2. Tale diritto comprende in particolare:

a) il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio;

b) il diritto di ogni persona di accedere al fascicolo che la riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale e commerciale;

c) l'obbligo per l'amministrazione di motivare le proprie decisioni.

3. Ogni persona ha diritto al risarcimento da parte dell'Unione dei danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell'esercizio delle loro funzioni, conformemente ai principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri.

4. Ogni persona può rivolgersi alle istituzioni dell'Unione in una delle lingue dei trattati e deve ricevere una risposta nella stessa lingua.

ARTICOLO 42

Diritto d'accesso ai documenti

Ogni cittadino dell'Unione nonché ogni persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni, organi e organismi dell'Unione, a prescindere dal loro supporto.

ARTICOLO 43

Mediatore europeo

Ogni cittadino dell'Unione nonché ogni persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di sottoporre al mediatore europeo casi di cattiva amministrazione nell'azione delle istituzioni, organi o organismi dell'Unione, salvo la Corte di giustizia dell'Unione europea nell'esercizio delle sue funzioni giurisdizionali.

ARTICOLO 44

Diritto di petizione

Ogni cittadino dell'Unione nonché ogni persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di presentare una petizione al Parlamento europeo.

ARTICOLO 45

Libertà di circolazione e di soggiorno

1. Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri.

2. La libertà di circolazione e di soggiorno può essere accordata, conformemente ai trattati, ai cittadini dei paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio di uno Stato membro.

ARTICOLO 46

Tutela diplomatica e consolare

Ogni cittadino dell'Unione gode, nel territorio di un paese terzo nel quale lo Stato membro di cui ha la cittadinanza non è rappresentato, della tutela delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato.

TITOLO VI

GIUSTIZIA

ARTICOLO 47

Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale

Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo.

Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare.

A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia.

ARTICOLO 48

Presunzione di innocenza e diritti della difesa

1. Ogni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata.

2. Il rispetto dei diritti della difesa è garantito ad ogni imputato.

ARTICOLO 49

Principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene

1. Nessuno può essere condannato per un'azione o un'omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l'applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest'ultima.

2. Il presente articolo non osta al giudizio e alla condanna di una persona colpevole di un'azione o di un'omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali riconosciuti da tutte le nazioni.

3. Le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato.

ARTICOLO 50

Diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato

Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell'Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge.

TITOLO VII DISPOSIZIONI GENERALI CHE DISCIPLINANO L'INTERPRETAZIONE E L'APPLICAZIONE DELLA CARTA

ARTICOLO 51

Ambito di applicazione

1. Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell'Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l'applicazione secondo le rispettive competenze e nel rispetto dei limiti delle competenze conferite all'Unione nei trattati.

2. La presente Carta non estende l'ambito di applicazione del diritto dell'Unione al di là delle competenze dell'Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l'Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nei trattati.

ARTICOLO 52

Portata e interpretazione dei diritti e dei principi

1. Eventuali limitazioni all'esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall'Unione o all'esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.

2. I diritti riconosciuti dalla presente Carta per i quali i trattati prevedono disposizioni si esercitano alle condizioni e nei limiti dagli stessi definiti.

3. Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell'Unione conceda una protezione più estesa.

4. Laddove la presente Carta riconosca i diritti fondamentali quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, tali diritti sono interpretati in armonia con dette tradizioni.

5. Le disposizioni della presente Carta che contengono dei principi possono essere attuate da atti legislativi e esecutivi adottati da istituzioni, organi e organismi dell'Unione e da atti di Stati membri allorché essi danno attuazione al diritto dell'Unione, nell'esercizio delle loro rispettive competenze. Esse possono essere invocate dinanzi a un giudice solo ai fini dell'interpretazione e del controllo di legalità di detti atti.

6. Si tiene pienamente conto delle legislazioni e prassi nazionali, come specificato nella presente Carta.

7. I giudici dell'Unione e degli Stati membri tengono nel debito conto le spiegazioni elaborate al fine di fornire orientamenti per l'interpretazione della presente Carta.

ARTICOLO 53

Livello di protezione

Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell'Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l'Unione o tutti gli Stati membri sono parti, in particolare dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, e dalle costituzioni degli Stati membri.

ARTICOLO 54

Divieto dell'abuso di diritto

Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata nel senso di comportare il diritto di esercitare un'attività o compiere un atto che miri a distruggere diritti o libertà riconosciuti nella presente Carta o a imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla presente Carta.

Il testo di cui sopra riprende, adattandola, la Carta proclamata il 7 dicembre 2000 e la sostituirà a decorrere dall'entrata in vigore del trattato di Lisbona.

Per il Parlamento europeo

Per il Consiglio dell'Unione europea

Per la Commissione europea

(Firme)

Evasione fiscale, collaborazione tra Comuni e Amministrazione finanziaria

Attuazione delle norme del 2005 che prevedono controlli incrociati

(Agenzia delle entrate provv. direttore 12.2007)

Agenzia delle Entrate - Modalità di partecipazione dei Comuni all’attività di accertamento ai sensi dell’articolo 1 del decreto - legge 30 settembre 2005, n. 203 convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248

IL DIRETTORE DELL’AGENZIA

la Conferenza Stato-città ed autonomie locali e di intesa con il Direttore dell’Agenzia del Territorio per i tributi di relativa competenza

Dispone:

1. Ambito di applicazione

1.1 In sede di prima applicazione dell’articolo 1 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, la partecipazione dei Comuni all’accertamento fiscale è realizzata con le modalità stabilite dal presente provvedimento.

1.2 Le modalità di partecipazione sono determinate nell’ambito della riorganizzazione telematica dei flussi di dati non sensibili trasmessi dai Comuni, già disciplinati dall’articolo 44 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e nell’esigenza che detta trasmissione abbia luogo nel rispetto dei principi di pertinenza e non eccedenza stabiliti dall’articolo 11 del

decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

1.3 Le modalità di partecipazione sono determinate tenendo conto della distinzione dei ruoli, delle competenze e dei poteri istituzionali rispettivamente riferiti ai Comuni ed all’Agenzia delle Entrate, nel condiviso intento di assicurare il progressivo sviluppo di ogni utile sinergia per il contrasto all’evasione fiscale, secondo criteri di collaborazione amministrativa.

1.4 La partecipazione del comune all’accertamento fiscale può essere attuata direttamente dall’ente locale ovvero dalle società ed enti partecipati o comunque incaricati per le attività di supporto ai controlli fiscali sui tributi comunali.

2. Criteri di partecipazione dei Comuni all’accertamento fiscale

2.1 I Comuni partecipano all’attività di accertamento fiscale nell’ambito dell’ordinario contesto operativo di svolgimento delle proprie attività istituzionali, fornendo informazioni suscettibili di utilizzo ai fini dell’accertamento dei tributi erariali, diretti ed indiretti.

2.2 Le segnalazioni dei Comuni sono primariamente riferite:

alle annualità d’imposta 2004 e 2005 oggetto di programmazione operativa dei controlli fiscali sostanziali da effettuarsi a cura dell’Agenzia delle Entrate a partire dall’anno 2007;

a situazioni sintomatiche di fenomeni evasivi, con particolare riguardo all’economia sommersa ed all’utilizzo del patrimonio immobiliare in evasione delle relative imposte.

3 . Tipologia di segnalazioni

3.1 Le informazioni di cui al precedente punto 2 sono strutturate in termini di segnalazioni qualificate, intendendosi per tali le posizioni soggettive in relazione alle quali sono rilevati e segnalati atti, fatti e negozi che evidenziano, senza ulteriori elaborazioni logiche, comportamenti evasivi ed elusivi.

3.2 Le informazioni sono altresì costituite da archivi strutturati, con preminente riferimento ai cespiti immobiliari già oggetto di accertamento definitivo ai fini dei tributi locali.

4. Ambiti di intervento e segnalazioni peculiari

4.1 Nell’attuale fase di avvio della collaborazione amministrativa sono individuati i seguenti ambiti d’intervento rilevanti per le attività istituzionali dei Comuni e per quelle di controllo fiscale dell’Agenzia delle Entrate:

a) commercio e professioni;

b) urbanistica e territorio;

c) proprietà edilizie e patrimonio immobiliare;

d) residenze fittizie all’estero;

e) disponibilità di beni indicativi di capacità contributiva.

4.2 Nell’ambito di cui alla lettera a) le segnalazioni qualificate di cui al punto 3.1 hanno riguardo ai soggetti che:

pur svolgendo un’attività di impresa, sono privi di partita IVA;

nelle dichiarazioni fiscali hanno dichiarato di svolgere un’attività diversa da quella rilevata in loco;

sono interessati da affissioni pubblicitarie abusive, in qualità di imprese utilizzatrici e di soggetti che gestiscono gli impianti pubblicitari abusivi;

pur qualificandosi enti non commerciali, presentano circostanze sintomatiche di attività lucrative.

4.3 Nell’ambito di cui alla lettera b) le segnalazioni qualificate di cui al punto 3.1 hanno riguardo ai soggetti che:

hanno realizzato opere di lottizzazione, anche abusiva, in funzione strumentale alla cessione di terreni ed in assenza di correlati redditi dichiarati;

hanno partecipato, anche in qualità di professionisti od imprenditori, ad operazioni di abusivismo edilizio con riferimento a fabbricati ed insediamenti non autorizzati di tipo residenziale o industriale.

4.4 Nell’ambito di cui alla lettera c) le segnalazioni qualificate di cui al punto 3.1 hanno riguardo ai soggetti persone fisiche nei cui confronti risulta:

la proprietà o diritti reali di godimento di unità immobiliari diverse da abitazioni principali, non indicate nelle dichiarazioni dei redditi;

la proprietà o diritti reali di godimento di unità immobiliari abitate, in assenza di contratti registrati, da residenti diversi dai proprietari o dai titolari dei diritti reali di godimento ovvero da soggetti non residenti nelle stesse;

la notifica di avvisi di accertamento per omessa dichiarazione ICI, in assenza di dichiarazione dei connessi redditi fondiari ai fini dell’imposizione diretta;

la notifica di avvisi di accertamento per omessa dichiarazione TaRSU o Tariffa rifiuti in qualità di occupante dell’immobile diverso dal titolare del diritto reale, in assenza di contratti di locazione

registrati ovvero di redditi fabbricati dichiarati dal titolare del diritto reale ai fini dell’imposizione diretta;

revisione di rendita catastale a seguito di procedura ex articolo 1, comma 336, della legge n. 311 del 30 dicembre 2004 per unità immobiliari diverse dall’abitazione principale.

4.5 Nell’ambito di cui alla lettera d) le segnalazioni qualificate di cui al punto 3.1 hanno riguardo ai soggetti che:

pur risultando formalmente residenti all’estero, hanno di fatto nel comune il domicilio ovvero la residenza ai sensi dell’articolo 43, commi 1 e 2, del codice civile.

4.6 Nell’ambito di cui alla lettera e) le segnalazioni qualificate di cui al punto 3.1 hanno riguardo ai soggetti persone fisiche che:

risultano avere la disponibilità, anche di fatto, di beni e servizi di cui alla tabella allegata al decreto ministeriale 10 settembre 1992, come sostituita dal decreto ministeriale 19 novembre 1992, ovvero altri beni e servizi di rilevante valore economico, in assenza di redditi dichiarati con riferimento a tutti i componenti del nucleo familiare del soggetto.

5. Dati oggetto di comunicazione

la partita IVA dei soggetti in relazione ai quali sono rilevati e segnalati i fatti, atti e negozi di cui al punto 3, che evidenziano, senza ulteriori elaborazioni logiche, comportamenti evasivi ed

elusivi.

6. Modalità di trasmissione delle segnalazioni

6.1 Le segnalazioni di cui al precedente punto 3 sono trasmesse all’Agenzia tramite il sistema S.I.A.T.E.L. in modalità web, nell’ambito del quale sarà resa disponibile apposita funzionalità di trasmissione secondo le specifiche tecniche definite con successivo provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate.

6.2 Il flusso delle informazioni è assicurato tramite supporto cartaceo in presenza di segnalazioni di contenuto particolarmente complesso non riconducibile alle specifiche tecniche definite, ovvero nelle more di attuazione della previsione di cui al precedente punto.

7 . Trattamento dei dati

7.1 I dati e le notizie raccolti, che sono trasmessi nell’osservanza del decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali), sono trattati secondo i principi di necessità, pertinenza e non eccedenza stabiliti dalla medesima normativa.

7.2 Il trattamento dei dati da parte dell’Agenzia delle Entrate è riservato esclusivamente agli operatori incaricati dei controlli, le cui transazioni sono compiutamente tracciate.

8. Sicurezza dei dati

8.1 La sicurezza nella trasmissione dei dati è garantita dal sistema telematico S.I.A.T.E.L., già utilizzato per lo scambio di informazioni tra Comuni e Anagrafe Tributaria, le cui specifiche tecniche e di sicurezza sono analiticamente descritte nell’allegato 1 del presente provvedimento.

9. Collaborazione amministrativa in sede locale

9.1 Al fine di adattare alle condizioni locali ulteriori strumenti di partecipazione comunale, oltre alle disposizioni di cui al precedente punto 3, possono essere definiti dalle Direzioni Regionali dell’Agenzia delle Entrate appositi protocolli d’intesa con i Comuni interessati, volti alla definizione di programmi locali di recupero dell’evasione.

10. Disponibilità di informazioni per i Comuni

10.1 L’Agenzia delle Entrate, entro tre mesi dalla data di pubblicazione del presente provvedimento, rende disponibili ai Comuni che ne faranno richiesta i flussi informativi relativi a:

- bonifici bancari e postali per ristrutturazioni edilizie;

- contratti di somministrazione di energia elettrica, gas e acqua disponibili in Anagrafe Tributaria;

- contratti di locazione di immobili.

10.2 L’Agenzia delle Entrate si impegna a ricercare soluzioni al fine di rendere disponibili ai Comuni che ne facciano richiesta, le informazioni relative alle denunce di successione che abbiano ad oggetto immobili.

11. Attività dell’Agenzia delle Entrate

11.1 Le segnalazioni trasmesse in attuazione dei precedenti punti 6 e 9 sono oggetto di valutazione da parte dell’Ufficio dell’Agenzia competente in relazione al domicilio fiscale del contribuente, secondo gli ordinari criteri di proficuità comparata per la predisposizione del piano annuale dei controlli, tenuto conto degli obiettivi fissati dalla convenzione tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate.

11.2 Gli avvisi di accertamento notificati e gli accertamenti con adesione perfezionati, riferiti in tutto o in parte alle segnalazioni trasmesse dai Comuni, sono tracciati sino alla fase della definitiva riscossione delle maggiori imposte, interessi e sanzioni correlati agli specifici elementi di rettifica o accertamento. A seguito della definitiva riscossione, il 30% degli importi di riferimento è destinato ai Comuni che hanno contribuito all’accertamento.

11.3 L’Agenzia delle Entrate fornisce trimestralmente ai Comuni, mediante collegamento telematico, gli elementi tracciati secondo i criteri del precedente punto 11.2, unitamente alla informazione sullo stato di ciascun atto.

11.4 In esito agli elementi ed informazioni, di cui al punto 11.3, con successivo provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, potranno essere definiti i criteri di ripartizione della quota spettante ai singoli Comuni che abbiano eventualmente partecipato all’accertamento nei confronti della medesima posizione soggettiva.

12. Materie di accertamento di competenza dell’Agenzia del Territorio

12.1 L’ambito di intervento, rilevante per le attività istituzionali dei Comuni e per quelle di controllo fiscale dell’Agenzia del Territorio, è costituito dalle richieste dei Comuni rivolte ai contribuenti ai sensi dell’articolo 1, comma 336, della legge 30 dicembre 2004, n. 311.

In tale ambito possono essere ricomprese le richieste dei Comuni ai contribuenti finalizzate alla presentazione di documenti di aggiornamento catastale per gli immobili di cui all’articolo 2, commi 36 (fabbricati rurali che hanno perso i requisiti di ruralità o che non risultano dichiarati in catasto) e 41 (individuazione delle porzioni a destinazione commerciale, industriale, studi privati o ad usi diversi, presenti in unità censite in categorie E1,E2,E3,E4,E5,E6 ed E9), del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito nella legge 24 novembre 2006, n. 286, oltre alle richieste relative al completamento dell’accatastamento per le unità immobiliari censite nelle categorie F3 e F4, che

risultino ultimate.

12.2 Le segnalazioni di cui al precedente comma sono trasmesse all’Agenzia del Territorio tramite il sistema di veicolazione definito dal provvedimento del Direttore dell’Agenzia del Territorio del 16 febbraio 2005 e sono oggetto di valutazione da parte dell’Ufficio provinciale dell’Agenzia

competente in relazione all’ubicazione dell’immobile. Gli avvisi di accertamento notificati, riferiti alle segnalazioni trasmesse dai Comuni, sono tracciati fino alla fase della definitiva riscossione dei relativi tributi, interessi e sanzioni correlati agli specifici elementi di accertamento. A seguito della definitiva riscossione, il 30% degli importi di riferimento è destinato ai Comuni che hanno contribuito all’accertamento. L’Agenzia del Territorio fornisce trimestralmente ai Comuni,

mediante collegamento telematico, gli elementi tracciati secondo i criteri del precedente periodo.

12.3 L’Agenzia del Territorio facilita l’accesso ai Comuni, nell’ambito delle relative attività istituzionali di accertamento, alla consultazione della banca dati delle conservatorie dei registri immobiliari e, nel rispetto della vigente normativa, predispone le procedure di estrazione dei dati, da rendere disponibili ai Comuni che ne faranno richiesta, utili per lo svolgimento dei controlli fiscali. Le modalità per la fruizione di tali informazioni e di quelle che i Comuni dovranno interscambiare con l’Agenzia del Territorio, a seguito delle attività di accertamento, vengono definite con determinazione del Direttore della stessa Agenzia da emanare entro sei mesi dalla data di esecutività del presente provvedimento.

13. Consultazione del Garante per la protezione dei dati personali

13.1. Il Garante per la protezione dei dati personali è stato consultato all’atto della predisposizione del presente provvedimento ai sensi dell’articolo 154, comma 5, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

Motivazioni

la Conferenza Stato-città ed autonomie locali e con il Direttore dell’Agenzia del Territorio, dà attuazione a quanto disposto dall’articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, che prevede la partecipazione dei Comuni all’accertamento ed il conseguente riconoscimento di una quota pari al 30% delle maggiori somme relative a tributi erariali riscossi a titolo definitivo a seguito di interventi che abbiano contribuito al buon esito dell’accertamento stesso.

Il provvedimento individua gli ambiti di intervento rilevanti per le attività istituzionali dei Comuni e per quelle di controllo fiscale dell’Agenzia delle Entrate, definendo, nel contempo, la tipologia e le modalità di trasmissione delle segnalazioni.

Il provvedimento prevede, altresì, forme di collaborazione in sede locale da attuarsi mediante protocolli d’intesa definiti dalle Direzioni Regionali con i Comuni interessati.

Vengono inoltre individuate le modalità che consentono ai Comuni di disporre delle informazioni necessarie relative agli avvisi di accertamento la cui pretesa tributaria sia stata determinata anche con l’apporto dei Comuni stessi. Il provvedimento definisce, infine, gli ambiti di intervento e le modalità di partecipazione dei Comuni all’accertamento dei tributi di competenza dell’Agenzia del Territorio ai sensi dell’articolo 1, comma 1, ultimo periodo, del decreto legge n. 203 del 2005.

Riferimenti normativi

Attribuzioni del Direttore dell'Agenzia delle Entrate

Decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 recante la riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59 (art. 57; art. 62; art. 66; art. 67, comma 1; art. 68, comma 1; art. 71, comma 3, lett. a); art. 73, comma 4) Statuto dell'Agenzia delle Entrate, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 42 del 20 febbraio 2001 ( art. 5, comma 1; art.6, comma 1);

Regolamento di amministrazione dell'Agenzia delle Entrate, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2001 (art. 2, comma 1);

Decreto del Ministro delle Finanze 28 dicembre 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 9 del 12 gennaio 2001, concernente disposizioni recanti le modalità di avvio delle agenzie fiscali e l'istituzione del ruolo speciale provvisorio del personale dell'Amministrazione finanziaria, emanato a norma degli articoli 73 e 74 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300

Disciplina normativa di riferimento

Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (art. 44) recante disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi;

Decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203 convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248 (art. 1) recante norme in materia di partecipazione dei Comuni alle attività di accertamento tributario; Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 istitutivo del Codice in materia di protezione dei dati personali;

Decreto del Ministro delle Finanze 10 settembre 1992, come modificato dal Decreto 19 novembre 1992, recante norme per la determinazione, ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, degli indici e coefficienti presuntivi di reddito o di maggior reddito in relazione agli elementi indicativi di capacità contributiva

Il presente provvedimento sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della

Repubblica Italiana.

Reato l'accesso a siti pedofili

Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, sentenza n.41570/2007

I consumatori sono equiparati penalmente ai produttori di materiale pedopornofrafico:

"il comportamento di chi accede ai siti e versa gl’importi richiesti per procurarsi il prodotto è reato perchè altrettanto pregiudizievole di quello dei produttori. Ed è questa la ragione, per la quale, del tutto legittimamente, il legislatore punisce anche quelle condotte che concorrono a procurare una grave lesione alla libertà sessuale e individuale dei minori coinvolti."


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.:

Dott. DE MAIO GUIDO – PRESIDENTE

1.Dott. PETTI CIRO –CONSIGLIERE

2. Dott. TARDINO VINCENZO LUIGI – CONSIGLIERE

3. Dott. FIALE ALDO – CONSIGLIERE

4. Dott. GAZZARA SANTI – CONSIGLIERE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA / ORDINANZA

sul ricorso proposto da: M.A. avverso SENTENZA del 05/05/2006 CORTE DI APPELLO DI MILANO […]

Fatto e diritto

Per il reato continuato di detenzione di materiale pornografico (art. 600quater c.p.) [1] M. A. era stato dalla Corte d’Appello di Milano condannato, con i doppi benefici, ad anni uno e mesi sei di reclusione. Avverso la decisione (5.5.2006) ricorreva per cassazione il difensore, deducendo l’illegittimità costituzionale, in relazione agli artt. 2, 3, 24, 25, 27 e 111 Cost. della normativa contestata; nonché la violazione di legge. L’illegittimità costituzionale sotto i due profili della indeterminatezza delle previsione, in contrasto con il principio di legalità e tassatività delle norme penali, di uguaglianza e di libertà (...il bene tutelato, che è quello del diritto ad un’infanzia serena, è certamente cospicuo; ma non si può, .esprimendo un’istanza solo moralistica, condannare un uomo solo perché si compiaccia di scene pornografiche o pedopornografiche, quando non abbia in alcun modo partecipato alla realizzazione del prodotto e non ne ritragga un vantaggio economico e, soprattutto, non lo divulghi). La Costituzione del resto, nel sancire la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, tutela entro certi limiti il diritto di disporre liberamente della propria sessualità: se, perciò, la sessualità di un soggetto si trovi ad essere gratificata attraverso la lettura di un fumetto pornografico che ritragga minori non può essere in alcun modo censurata: essendo incoercibile l’inclinazione sessuale di coloro che si siano procurati o, comunque, dispongano di materiale pornografico, a prescindere da una qualunque cooperazione nella realizzazione di qualsiasi attività a danno dei minori. La violazione di legge era rapportata all’omessa trasmissione del provvedimento autorizzativo delle indagini ex art. 14 L. 269/1998(...la mancata trasmissione dell’autorizzazione non avrebbe potuto essere emendata durante la celebrazione del giudizio abbreviato; e la relativa attività doveva, comunque, essere ritenuta illegittima, con conseguenza inutilizzabilità quando, come nel caso di specie, le attività relative erano state demandate ai Carabinieri); alla contestazione di ipotesi delittuosa esclusa dal novero degl’illeciti, in relazione ai quali è consentito il ricorso ad agente provocatore (con conseguente inutilizzabilità).
Il ricorso è infondato e va respinto, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Premesso che, nella lettura della sentenza impugnata il reato si assumeva provato nella sua materialità sulla base degli atti, e per avere lo stesso imputato ammesso di essersi collegato ad alcuni siti internet che offrivano immagini pedopornografiche, sulle altre doglianze erano stati del pari espressi giudizi plausibili e, comunque, idonei alla tenuta della decisione.
E infatti, quanto alla doglianza sull’omessa trasmissione del provvedimento autorizzativo delle indagini ex art.14 . Legge 269/1998 (da cui la contestata utilizzabilità delle prove acquisite) era stato osservato come l’autorizzazione, che originariamente non era stata inserita nel fascicolo dello stralcio, in realtà esisteva: tanto che era stata acquisita nel corso del giudizio abbreviato su disposizione del giudice. Peraltro era stato dato atto che la posizione del M. era stata stralciata da un procedimento più ampio, che aveva avuto origine da un’indagine di p.g. rivolta a localizzare “providers” che gestivano i predetti siti; e che, pertanto, l’imputato del M. era, in primis, scaturita dalle predette indagini.
In sostanza, su questo primo punto, deve rilevarsi che il provvedimento autorizzativo delle indagini di p.g. – acquisito dal giudice nel corso del procedimento con il rito abbreviato – è, com’è noto, un atto che, essendo stato emesso dal Pm nel corso delle indagini preliminari, doveva già essere inserito nel fascicolo trasmesso al giudice per l’udienza preliminare. La relativa omissione deve dirsi meramente occasionale e, per certi aspetti, giustificata: per la predetta ragione che la posizione dell’imputato era stata stralciata dal fascicolo più voluminoso, e relativo a numerosi altri indagati, e del quale non era stata fatta copia integrale degli atti. In ogni caso, l’acquisizione da parte del giudice di quell’atto, considerato essenziale per decidere sulle eccezioni preliminari del difensore dell’imputato, deve dirsi del tutto legittima in qualsiasi fase del procedimento – trattandosi, appunto, di un documento che già doveva trovarsi allegato al fascicolo -; ma anche perché l’art. 441 comma 5 c.p.p. prevede espressamente anche il potere del giudice di disporre una vera e propria integrazione probatoria anche nel giudizio abbreviato. Del pari infondata la lagnanza, secondo la quale l’attività di contrasto era stata affidata ai Carabinieri piuttosto che alla Polizia postale: appunto perché, come si evince dalla normativa competente, la possibilità data alla Polizia postale di svolgere indagini … deve dirsi esteniva, piuttosto che limitativa, rispetto ai poteri di ricorrere alle forze ordinarie di p.g.
Le altre eccezioni d’inutilizzabilità, argomentate sotto altri profili (…), vanno ancora respinte, in linea con le articolate e puntuali esemplificazioni della corte di merito. Non sussisterebbe, cioè, alcuna illegittimità nell’aver tratto spunto dalle indagini regolarmente autorizzate e svolte, al fine dell’accertamento di reati ex art. 600 ter c.p. – per il quale sono ammesse le ricerche per via telematica -, per verificare la commissione del reato di cui all’art. 600 quater c.p., rispetto al quale solo gli accertamenti iniziali sarebbero semmai da considerare inutilizzabili. In questo senso, la sentenza n. 37074/2005 della Suprema Corte – con la quale si afferma l’inutilizzabilità, ai fini delle prove del reato oggetto di causa, soltanto degli elementi acquisiti tramite l’attività di contrasto di cui al sopraccitato articolo quattordici. Si vuole dire che, nel caso esaminato dalla Corte di Cassazione nella predetta sentenza – prodotta per esteso dalla difesa – si trattava di un’ipotesi in cui gli elementi di prova a carico della parte indagata erano stati pacificamente acquisiti esclusivamente attraverso un’attività – di agente provocatore espletata ai sensi dell’art.. 14 della L. 268/98 – che limita, appunto, la liceità dell’attività di contrasto solo al fine di perseguire delitti diversi da quelli di cui all’art. 600 quater c.p. Nel caso di specie, invece, dall’attività di contrasto è derivata – come si legge nel testo della sentenza impugnata – solo l’iscrizione nel registro degli indagati – che non è, di per sé un atto d’indagine -, perché l’attività investigativa posta a conferma dell’ipotesi accusatoria è stata svolta successivamente con i mezzi ordinari: non risultando assolutamente sufficiente l’attività d’indagine autorizzata e svolta per l’accertamento dei reati di produzione e commercializzazione del materiale pedopornografico, ai fini dell’accertamento dei reati di cui all’art. 600 quater nei confronti dell’imputato M.: la cui detenzione di materiale pedopornografico è stata verificata alla stregua di accertamenti bancari, di successivi atti di perquisizione e di sequestro, nonché sugli esiti della consulenza tecnica disposta dal Pm.
Quanto, poi, alla proposta eccezione di costituzionalità, vanno ribadite le già espresse decisioni di manifesta infondatezza, e secondo le quali: la legge 269/98, essendo volta ad offrire una tutela privilegiata ed esaustiva del minore, sanziona sia l’offerta di materiale procurato tramite lo sfruttamento sessuale dei minori, sia la risposta a quell’offerta (configurandosi come due facce dello stesso fenomeno).
Appare, intero, a questa Corte che qualsiasi espressione della propria personalità e libertà possa essere considerata lecita e costituzionalmente garantita nella misura in cui la sua esplicazione non comporti danno per altre persone: specialmente se si tratti di soggetti incapaci di difendersi e impossibilitati ad operare delle libere scelte. Anche perché è indubbio che tutta l’attività organizzata ai fini della produzione, diffusione e messa in commercio di certe immagini (…) esiste e si perpetua solo perché vi è a monte una domanda: un pubblico, cioè, di consumatori che intende acquistarle e detenerle. Pertanto, il comportamento di chi accede ai siti e versa gl’importi richiesti per procurarsi il prodotto è altrettanto pregiudizievole di quello dei produttori. Ed è questa la ragione, per la quale, del tutto legittimamente, il legislatore punisce anche quelle condotte che concorrono a procurare una grave lesione alla libertà sessuale e individuale dei minori coinvolti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso, il 20/9/2007.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA

IL 12 NOVEMBRE 2007

Contratto, silenzio o reticenza, condizioni per annullamento

Cassazione civile , sez. II, sentenza 20.04.2006 n° 9253

La sentenza riafferma che, il dolo omissivo può viziare la volontà e produrre l’annullamento del contratto, quando l’inerzia della parte contraente si inserisca in «un complesso comportamento adeguatamente preordinato, con malizia e astuzia, a realizzare l’inganno perseguito».

In precedenza, si è affermato che il silenzio sic et simpliciter, anche se serbato su elementi di interesse per la controparte, non costituisce causa di invalidità del contratto. Per essere rilevante a tal fine, deve essere espressione di un atteggiamento che denoti, nel complesso, un’astuzia ed una malizia preordinata a immutare la rappresentazione della realtà dell’altro contraente e non limitarsi a non contrastare la percezione di essa cui quest’ultimo sia pervenuto autonomamente (ex plurimis, Cass. 18.10.1991, n. 11038; Cass. 11.10.1994, n. 8295).

In linea, «la reticenza ed il silenzio non sono sufficienti a costituire il dolo se non in rapporto alle circostanze ed al complesso del contegno che determina l’errore del deceptus, che devono essere tali da configurarsi quali malizia e astuzia volte a realizzare l’inganno perseguito» (così anche Cass. 12.2.2003, n. 21024).

Sicchè, il silenzio e la reticenza non presentano, di per sé, alcuna attitudine ingannatoria, giacché essi si limitano a non contrastare la percezione della realtà, alla quale sia pervenuto il contraente: diventano, invece, causa di annullamento del contratto qualora, uniti alle circostanze e al contegno del decipiens, inducano in errore il deceptus, alterando la sua rappresentazione della realtà.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

Sentenza 20 aprile 2006, n. 9253

(Presidente M. Spadone, Relatore V. Mazzacane)

Svolgimento del processo

Il 10.12.1991 L.A.M. in proprio e quale procuratrice di L.M. e C.M.A. vendeva ad D.A. l'appartamento al piano seminterrato sito in ***, Via ***, avente autonomo accesso dalla strada, contraddistinto con il civico ***.

A seguito di contestazioni insorte con i venditori l'acquirente proponeva nei confronti di questi ultimi dinanzi al Tribunale di Roma tre distinti giudizi successivamente riuniti.

Con il primo il D. deduceva l'esistenza di numerosi vizi dell'immobile, consistenti in particolare nella assoluta mancanza di manutenzione della rete fognaria che aveva provocato, nell'agosto 1993, il crollo del muro di contenimento ed il conseguente smottamento nel proprio giardino di diversi metri cubi di terreno; aggiungeva che le precarie condizioni statiche del manufatto erano state oggetto di un precedente giudizio, risalente al 1987, tra il Condominio confinante di *** e quello di ***, e che quest'ultimo, a seguito del crollo, aveva provveduto ai relativi lavori di ripristino per una spesa complessiva di L. 117.850.000.

Il D. asseriva che le gravi carenze dell'immobile lo avevano reso inidoneo all'uso cui il bene era destinato e comunque avevano pregiudicato il godimento di esso, che i venditori gli avevano dolosamente taciuto la reale situazione del bene e che tale comportamento si configurava da un lato come violazione del dovere di buona fede nello svolgimento delle trattative e dall'altro integrava gli artifici ed i raggiri di cui all'art. 1439 c.c.; sulla base di tali premesse chiedeva la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni subiti, l'annullamento per dolo del Contratto di compravendita o la sua risoluzione ai sensi dell'art. 1492 c.c., o ai sensi dell'art. 1453 c.c..

Con il secondo giudizio il D. proponeva opposizione avverso il decreto emesso il 6.5.1994 con il quale il Presidente del Tribunale di Roma gli aveva ingiunto il pagamento dell'importo di L. 68.765.000 corrispondente al residuo prezzo che l'acquirente si era obbligato a versare ai venditori mediante accollo del mutuo che essi avevano stipulato con la Banca Popolare di Milano; il D. adduceva a sostegno della opposizione le stesse circostanze esposte nel precedente giudizio.

Infine con atto di citazione notificato il 27/29.12.1994 il D. conveniva in giudizio i L. e la C. chiedendone la Condanna al pagamento della somma di L. 18.524.960 versata a titolo di oblazione per sanare gli abusi edili perpetrati dai venditori e chiedendo la declaratoria di nullità del Contratto per incommerciabilità del bene ai sensi della L. n. 47 del 1985 o comunque la sua risoluzione per inadempimento dei venditori.

Si costituivano in tutti i suddetti giudizi i convenuti chiedendo il rigetto delle domande attrici.

Con sentenza del 16.3.1999 l'adito Tribunale respingeva le domande proposte dal D..

Proposto gravame da parte del D. cui resistevano L. A.M., L.M. e C.M.A. la Corte di Appello di Roma con sentenza del 18.9.2001 ha respinto l'impugnazione.

La Corte Territoriale ha rilevato anzitutto che dalla documentazione in atti era risultato che in data 16.2.1961 anche in relazione all'unità immobiliare sita al piano seminterrato dell'edificio, all'epoca destinata ad uso ufficio, era stato rilasciato il certificato di abitabilità; tale circostanza, secondo l'assunto del Giudice di Appello comportava l'irrilevanza della diversa destinazione (deposito) prevista nel progetto approvato, cosicchè ad essa doveva farsi riferimento al fine di valutare le conseguenze derivanti dalla intervenuta utilizzazione del bene ad uso abitativo; orbene, poichè il mutamento in questione non era stato accompagnato dalla esecuzione di specifiche opere, doveva concludersi per l'inesistenza sotto questo profilo, della nullità L. n. 47 del 1985, ex articoli 17 e 40.

La Corte Territoriale ha poi aggiunto che l'incommerciabilità del bene ai sensi della L. n. 47 del 1985 doveva essere esclusa anche per quanto concerneva l'intervenuto frazionamento, posto che non era emerso che la realizzazione di due distinte unità immobiliari fosse stata eseguita in epoca successiva al 2.9.1967, considerato che solo in tale evenienza ai sensi dell'art. 40 della legge menzionata l'atto avrebbe dovuto richiamare gli estremi del provvedimento amministrativo.

La sentenza impugnata inoltre ha confermato altresì il rigetto della domanda di annullamento della compravendita stipulata tra le parti sia sotto il profilo di cui all'art. 1439 c.c. sia come dolo incidente, osservando da un lato che non poteva ritenersi che il silenzio tenuto dai venditori in merito alla denuncia di danno temuto proposta nei confronti del Condominio di *** dal confinante Condominio di *** svariati anni prima della conclusione del Contratto di compravendita fosse stato intenzionalmente diretto a trarre in inganno l'acquirente in ordine alle condizioni dell'immobile, e dall'altro che l'appellante non aveva indicato alcuno specifico elemento dal quale potesse desumersi che l'eventuale conoscenza della circostanza avrebbe influito sulla determinazione volitiva del D..

Per la cassazione di tale sentenza il D. ha proposto un ricorso affidato a sette motivi cui L.A.M. ed C.A. hanno resistito con controricorso; L.M. non ha svolto attività difensiva in questa sede; le parti hanno successivamente depositato delle memorie.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione degli articoli 1453 - 1460 1476 - 1477 c.c.; L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40 nonchè vizio di motivazione.

Con il secondo motivo il D.deduce violazione dell'art. 116 c.p.c. e vizio di motivazione.

Con le enunciate censure il ricorrente sostiene che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che, premessa la destinazione ad uso ufficio dell'immobile per cui è causa, la sua effettiva utilizzazione ad uso abitativo non era stata accompagnata dall'esecuzione di specifiche opere rilevanti ai fini di una declaratoria di nullità L. n. 47 del 1985, ex articoli 17 e 40 ed aggiunge che neppure può essere condiviso l'assunto in ordine alla commerciabilità del bene suddetto nonostante l'avvenuto frazionamento.

Il D. rileva in senso contrario che dalla espletata Consulenza Tecnica di Ufficio erano emersi abusi edilizi consistenti nel frazionamento, nel cambio di destinazione d'uso con esecuzione di opere e nell'aumento di superficie utile e di cubatura; inoltre il Giudice di Appello non ha valutato le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale dalle convenute C.M.A. ed L.A., le quali avevano ammesso che l'immobile per cui è causa e l'appartamento soprastante erano stati uniti negli anni 70 con una scala interna successivamente eliminata, cosicchè i due appartamenti erano stati divisi ed abitati separatamente con la costruzione di una scala esterna.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente, sono infondate.

Anzitutto la sentenza impugnata, pur dando atto dell'intervenuto mutamento di destinazione dell'immobile in questione rispetto a quella prevista nel progetto approvato (deposito) e della effettiva utilizzazione dello stesso ad abitazione, ha rilevato che tale mutamento non era stato accompagnato dalla esecuzione di opere specifiche, ed ha aggiunto, sulla scia di quanto già affermato dal Giudice di primo grado, che non poteva escludersi che l'aumento di cubatura riscontrato dal Consulente Tecnico d'Ufficio fosse riconducibile allo stesso D., che aveva realizzato cospicui lavori di ristrutturazione del bene; contrariamente all'assunto del ricorrente, quindi, il Giudice di Appello ha preso in esame gli elementi emergenti dalla Consulenza Tecnica d'Ufficio, ma li ha diversamente valutati offrendo una logica motivazione di tale convincimento.

La Corte Territoriale ha inoltre escluso una incommerciabilità dell'immobile L. n. 47 del 1985, ex art. 40, per effetto dell'intervenuto frazionamento, rilevando in proposito l'assenso di una prova in ordine alla realizzazione di due distinte unità immobiliari in epoca successiva al 2.9.1967, ed evidenziando invece la circostanza che alla data del 6.5.1970 l'appartamento al piano internato e quello sovrastante già costituivano due distinte unità immobiliari, come tali indicate nell'atto di acquisto concluso dai L. con la venditrice R.; pertanto tale ultima considerazione, non oggetto di specifica censura in questa sede, ha implicitamente indotto la Corte Territoriale a ritenere irrilevanti altri elementi di eventuale segno contrario, in conformità del principio secondo cui spetta al Giudice di merito attingere il proprio convincimento da quelle risultanze probatorie che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso; al riguardo è sufficiente, al fine della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti considerati nel loro complesso, pur senza una esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati o non accolti anche se allegati, perchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, a quelli utilizzati, come appunto nella fattispecie.

Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando violazione dell'art. 1460 c.c. nonchè vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto, sulla base dell'avvenuto rilascio nel 1961 di un certificato per la destinazione ad uso ufficio dell'immobile per cui è causa, che in realtà tale certificato consentisse l'uso del bene come casa di abitazione.

Il ricorrente assume invece che si era in presenza della avvenuta vendita di un bene destinato ad uso ufficio e non ad abitazione, come pattuito, circostanza che integrava la vendita di aliud pro alio o, in ogni caso, legittimava una eccezione ex art. 1460 c.c., invero regolarmente sollevata dall'esponente a seguito della opposizione a decreto ingiuntivo di cui al secondo dei tre giudizi sopra menzionati e successivamente riuniti.

La censura è fondata.

Il Giudice di Appello, nell'aderire al convincimento del Tribunale di Roma, che aveva rigettato la domanda proposta dal D. di risoluzione della compravendita stipulata tra le parti per la mancata consegna della licenza di abitabilità, ha ritenuto che la accertata destinazione ad uso ufficio a far data dal 16.2.1961 dell'immobile in questione costituiva la prova dell'avvenuto rilascio del certificato di abitabilità.

Orbene tale affermazione non può essere condivisa in quanto la ritenuta equivalenza tra destinazione di un immobile ad uso ufficio e destinazione ad uso abitativo contrasta con lo scopo peculiare della licenza di abitabilità nella vendita di immobili destinati ad abitazione, costituendo un elemento che caratterizza il bene in relazione alla sua capacità di assolvere una determinata funzione economico - sociale e, quindi, di soddisfare i concreti bisogni che hanno indotto l'acquirente ad effettuare l'acquisto (Cass. 20.1.1996 n. 442), non vi è dubbio quindi che il certificato di abitabilità, in relazione alla sua evidenziata funzione, assicura il legittimo godimento e la commerciabilità del bene destinato ad abitazione (e non quindi ad uso ufficio), cosicchè la sua mancata consegna, determinando l'acquisto di un bene che presenta problemi di commerciabilità, implica un inadempimento che, sebbene non sia tale da dare necessariamente luogo alla risoluzione del contratto, può comunque essere fonte di un danno risarcibile (Cass. 19.7.1999 n. 7681); nè a diverse conclusioni può giungersi sulla base del rilievo del Giudice di primo grado, cui la Corte Territoriale sembra aver aderito, della concreta utilizzazione del bene ad uso abitativo da parte dei precedenti proprietari e dello stesso D., posto che tale circostanza è irrilevante (vedi in tal senso Cass. 3.7.2000 n. 8880), non incidendo sulla ridotta commerciabilità dell'immobile.

Con il quarto motivo il ricorrente, deducendo violazione degli articoli 1439 e 1440 c.c., nonchè vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver respinto la domanda di annullamento del Contratto di vendita stipulato tra le parti per dolo.

Il D. afferma che tale domanda era basata su tre diverse circostanze, poichè i venditori avevano taciuto l'esistenza di un contenzioso sorto prima del 1981 con il Condominio confinante riguardante la pericolosità del muro di confine successivamente crollato, l'esecuzione di opere abusive e l'avvenuto rilascio della licenza di abitabilità solo per uso ufficio, si era quindi in presenza di un illecito comportamento dei venditori diretto a trarre in inganno l'acquirente, determinandolo a porre in essere una attività negoziale che, senza il dolo, non avrebbe compiuto o avrebbe compiuto a condizioni diverse.

La censura è infondata.

Il Giudice di Appello, nel disattendere la domanda proposta dal D. ex articoli 1439 e 1440 c.c., ha escluso che il silenzio tenuto dai venditori in merito alla denuncia di danno temuto proposta nei confronti del Condominio di Via *** dal confinante Condominio di *** diversi anni prima della conclusione del Contratto di compravendita stipulato tra le parti fosse stato intenzionalmente diretto a trarre in inganno l'acquirente in ordine alle condizioni dell'immobile, ed inoltre ha aggiunto che l'appellante non aveva indicato alcun elemento specifico dal quale potesse desumersi che l'eventuale conoscenza della menzionata circostanza avrebbe influito sulla determinazione volitiva del D.; a tale riguardo la sentenza impugnata ha anzi evidenziato che una simile conseguenza appariva in contrasto con il cospicuo valore attribuito all'immobile nel Contratto, destinato ad essere limitatamente inciso da eventuali lavori che fossero stati eseguiti sul muro condominiale al fine di assicurarne la stabilità.

Orbene tali rilievi, non oggetto di specifiche censure da parte del ricorrente, sono decisivi soprattutto per quanto attiene alla mancata deduzione da parte dell'appellante di alcun elemento concreto dal quale potersi evincere che, qualora egli avesse conosciuto le sopra evidenziate circostanze, non avrebbe concluso il Contratto o avrebbe comunque preteso di stipulare a condizioni diverse.

In linea di diritto deve invero assumersi che, pur potendo il dolo omissivo viziare la volontà e determinare l'annullamento del Contratto, tuttavia esso rileva a tal fine solo quando l'inerzia della parte contraente si inserisca in un complesso comportamento adeguatamente preordinato, con malizia od astuzia, a realizzare l'inganno perseguito;

pertanto il semplice silenzio, anche su situazioni di interesse della controparte, e la reticenza, non immutando la rappresentazione della realtà, ma limitandosi a non contrastare la percezione di essa alla quale sia pervenuto l'altro contraente, non costituiscono causa invalidante del Contratto (Cass., 18.10.1991 n. 11038; Cass. 11.10.1994 n. 8295); la reticenza ed il silenzio quindi non sono sufficienti a costituire il dolo se non in rapporto alle circostanze ed al complesso del contegno che determina l'errore del "deceptus", che devono essere tali da configurarsi quali malizia o astuzia volte a realizzare l'inganno perseguito (Cass. 12.2.2003 n. 2104).

Orbene nella fattispecie il D., cui incombeva il relativo onere probatorio, non ha dedotto tutti gli elementi necessari ad integrare il preteso dolo omissivo dei venditori con riferimento sia al contesto sopra evidenziato nel quale il silenzio da essi tenuto avrebbe dovuto inserirsi per essere rilevante, sia alla idoneità del silenzio stesso sulle circostanze sopra dedotte dal ricorrente ad incidere sulla determinazione volitiva dell'acquirente.

Con il quinto motivo il ricorrente, denunciando violazione degli articoli 1490 - 1492 - 1494 e 1495 c.c. nonchè vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda di garanzia per i vizi che caratterizzavano l'immobile, non avendo considerato che la denuncia di tali vizi, essendo essi occulti, non era necessaria, e che l'azione relativa era stata tempestivamente esercitata il 17.2.1994.

La censura è infondata.

La Corte Territoriale ha rigettato il motivo di appello al riguardo proposto dal D. sulla base del rilievo dell'avvenuta maturazione del termine annuale di prescrizione, decorrente dalla consegna della casa, entro il quale deve essere esercitata l'azione di garanzia per i vizi, posto che la consegna dell'immobile era avvenuta il 10.12.1991 contestualmente alla stipula dell'atto di compravendita, e la suddetta azione era stata proposta allorchè il suddetto termine era ampiamente trascorso.

Orbene tale "ratio decidendi" sufficiente a sorreggere il convincimento espresso dal giudice di Appello, non è stata specificatamente censurata in questa sede, cosicchè il motivo in esame deve essere disatteso.

Con il sesto motivo il ricorrente, deducendo violazione degli articoli 1490 - 1492 - 1494 c.c. e L. n. 47 del 1985, art. 31, comma 3, nonchè vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver inspiegabilmente rigettato la domanda di rimborso delle spese sostenute per ottenere la sanatoria di alcune opere abusive eseguite dai venditori sull'immobile per cui è causa.

La censura è inammissibile.

Come emerge dalla sentenza impugnata, il Giudice di primo grado aveva rigettato la domanda suddetta per la mancanza di prove in ordine alla realizzazione di opere abusive da parte dei venditori nell'appartamento in questione; orbene, pur avendo il D. con l'atto di appello chiesto la condanna delle controparti al rimborso per la evidenziata causale della somma di L. 13.507.200 (vedi conclusioni riportate nella epigrafe della sentenza impugnata), la Corte Territoriale non si è pronunciata al riguardo; tuttavia il ricorrente con il motivo in esame non denuncia in proposito la violazione dell'art. 112 c.p.c., ma deduce inammissibilmente l'omessa motivazione sul mancato accoglimento della domanda, in realtà non esaminata dal Giudice di Appello.

Con il settimo motivo il ricorrente, deducendo violazione dell'art. 96 c.p.c. e vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver condannato l'esponente al pagamento delle spese di giudizio in misura eccessiva e punitiva.

Il motivo resta ambito per effetto dell'accoglimento del terzo motivo di ricorso.

In definitiva, quindi, all'esito dell'accoglimento del terzo motivo di ricorso la sentenza impugnata deve essere cassata, e la causa deve esser rinviata per un nuovo esame ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma che provvederà anche alla pronuncia sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara assorbito il settimo e rigetta tutti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma.

Così deciso in Roma, il 2 marzo 2005.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2006.

Apertura successione, individuazione quota di riserva

Cassazione civile , SS.UU., sentenza 12.06.2006 n° 13524

La sentenza afferma il principio seguente: «ai fini dell’individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari e ai singoli legittimari nell’ambito della stessa categoria, occorre fare riferimento alla situazione esistente al momento dell’apertura della successione e non a quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento (per rinuncia o per prescrizione) dell’azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari».

Sicchè, non condivide l’orientamento recente per cui, qualora siano più i legittimari e uno soltanto di essi eserciti l’azione di riduzione, la quota spettante a quelli che rinunciano o rimangono inerti si accresce in favore degli altri.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Sentenza 12 giugno 2006, n. 13524

Svolgimento del processo

Con atto notificato l'01-04 luglio 1987 C.M. conveniva davanti al Tribunale di Torino il fratello C.V., nonchè i nipoti E., A. e K.M.R., ed esponeva:

- che in data (OMISSIS) era deceduta B.L., madre di essa attrice e di C.V. e di C.T., quest'ultima premorta lasciando a succederle per rappresentazione alla madre i figli E., A. e K.M.R.;

che con atto in data (OMISSIS) B.L. aveva venduto a C.V. la nuda proprietà su un l'immobile costituente il suo intero patrimonio;

- che tale atto dissimulava una donazione nulla per difetto di forma o comunque una donazione lesiva della propria quota di legittima;

sulla base di tali premesse l'attrice chiedeva che venisse dichiarata la nullità della donazione, con conseguente apertura anche in suo favore della successione legittima o che, nell'ipotesi di validità dell'atto in questione, ne venisse disposta la riduzione nella misura necessaria ad assicurarle la quota di legittima cui aveva diritto.

C.V., costituitosi, contestava il fondamento delle domande.

E., A. e K.M.R. rimanevano contumaci.

Con sentenza non definitiva in data 3 novembre 1992 il Tribunale di Torino rigettava le domande proposte dall'attrice, che proponeva appello, che veniva rigettato dalla Corte di Appello di Torino con sentenza in data 8 febbraio 1995.

C.M. proponeva ricorso per Cassazione, che questa S.C. accoglieva con sentenza in data 18 marzo 1997, n. 2885, ritenendo insufficiente la motivazione con la quale era stata esclusa la simulazione dell'atto in data 6 agosto 1980 ed insussistente in ordine alla subordinata ipotesi della configurabilità di un negotium mixtum cum donatione.

C.M. provvedeva alla riassunzione del giudizio davanti alla Corte di Appello di Torino, che con sentenza non definitiva in data 6 agosto 2001 escludeva la sussistenza della simulazione dell'atto in data 6 agosto 1980 e disponeva l'ulteriore corso del giudizio al fine di accertare la sussistenza o meno di un negotium mixtum cum donatione.

Contro tale decisione C.M., dopo avere fatto riserva di impugnazione, proponeva ricorso immediato e tale ricorso è stato dichiarato inammissibile da questa S.C. con sentenza in data 30 marzo 2006 n. 7502.

Con sentenza in data 15 novembre 2002 la Corte di Appello di Torino, frattanto, aveva ritenuto, sulla base della C.T.U. all'uopo disposta, che con l'atto in data 6 agosto 1980 era stato realizzato un negotium mixtum cum donatione, che, costituendo donazione indiretta, non era soggetto ai requisiti di forma previsti per le donazioni dirette.

A questo punto si poneva il problema di individuare la quota di riserva spettante a C.M. in una situazione caratterizzata dal fatto che la legittima nel suo complesso era pari ai due terzi dell'asse ereditario, avendo B.L. lasciato due figli superstiti e tre nipoti destinati a subentrare per rappresentazione alla terza figlia, ma questi ultimi non erano venuti alla successione.

In sostanza, si trattava di stabilire se la quota pari ai 2/9 in teoria spettante a E., A. e K.M.R. si doveva accrescere in favore delle altre due quote pari a 2/9 ciascuna spettanti a C.M. e C.V..

La Corte di Appello di Torino dava risposta negativa a tale quesito in base alla seguente motivazione:

E' vero che la mancata accettazione dell'eredità dei nipoti K. è venuta ad equivalere ad una rinuncia, ma la quota di legittima che è riservata dalla legge non può essere modificata dalla rinuncia di altri eredi. E questo per una serie di ragioni tra loro autonome.

In primo luogo il dato letterale della disposizione normativa.

L'art. 537 c.c., che dispone la riserva a favore dei legittimar parla di figli e non di eredi accettanti.

In secondo luogo vale la "ratio" della disposizione normativa.

Riservando ai figli una parte del patrimonio la legge ha per, per così dire, posto un limite inderogabile alla volontà del testatore, nel senso che gli ha impedito di escludere totalmente il passaggio dei suoi beni ai figli col predeterminare a favore di questi ultimi delle quote minime di riserva.

Peraltro la mancata accettazione di un erede non può costituire un ulteriore elemento di coartazione della volontà del testatore.

In terzo luogo, se è vero che la mancata accettazione dei nipoti K. ha comportato la prescrizione decennale del diritto, tuttavia la prescrizione non può essere rilevata di ufficio.

Contro tale decisione, nonchè contro la sentenza non definitiva in 6 agosto 2001, C.M. ha proposto ricorso per Cassazione, ripetendo, per quanto riguarda la sentenza non definitiva, il motivo del ricorso già proposto contro la stessa sentenza ed investendo con tre motivi la sentenza definitiva.

C.V. ha resistito con controricorso ed ha anche proposto ricorso incidentale, con un unico motivo, al quale resiste con controricorso C.M..

Con ordinanza in data 22 aprile 2005 la Sezione Seconda Civile di questa S.C. ha rimesso gli atti al Primo Presidente al fine di valutare l'opportunità di assegnare la causa alle Sezioni Unite, in considerazione del fatto che ai fini della decisione occorre risolvere alcune questioni di particolare rilevanza giuridica, cui la dottrina da contrastanti soluzioni e che non sono state affrontate ex professo da questa S.C.; in particolare occorre stabilire: a) quale sia il criterio di determinazione della quota di riserva nella ipotesi in cui vi siano più legittimari pretermessi, dei quali uno solo abbia esperito l'azione di riduzione delle disposizioni testamentarie; b) se a tale ipotesi possa ritenersi applicabile l'art. 522 cod. civ..

Motivi della decisione

Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi.

Con l'unico motivo del ricorso principale diretto contro la sentenza non definitiva C.M. censura la motivazione con la quale la Corte di Appello di Torino ha escluso che la vendita effettuata in data 6 agosto 1980 da B.M.L. a C.V. dissimulasse una donazione nulla per difetto di forma.

La doglianza è infondata.

La ricorrente in via principale, infatti, da un lato, propone una diversa valutazione delle prove testimoniali rispetto a quella effettuata dai Giudici di merito, mentre, invece, ai fini della sussistenza del denunciato vizio di motivazione avrebbe dovuto chiarire come le conclusioni cui la Corte di Appello di Torino è pervenuta non siano congruenti, dal punto di vista logico, con il contenuto delle prove testimoniali ritenute attendibili; dall'altro, pretende che assurgano al livello di presunzioni elementi indiziari dal valore probatorio non univoco.

Con il primo dei motivi del ricorso principale diretti contro la sentenza definitiva C.M. censura la valutazione del donatimi data dai Giudici di merito e deduce testualmente:

Con riferimento alla sentenza n. 1609/2002 occorre quindi osservare come la Corte di Appello di Torino ha, a sommesso parere dell'esponente, omesso di considerare che l'operazione posta in essere, cioè la vendita a prezzo vile della nuda proprietà dell'immobile, abbia comportato un duplice beneficio in favore del C.V.: uno immediato cioè l'acquisto a prezzo di gran lunga inferiore al reale della nuda proprietà dell'immobile, il secondo differito al momento in cui, con il decesso della de cuius, il V. sarebbe divenuto nudo proprietario dell'immobile.

Per calcolare quindi correttamente il beneficio ricevuto la Corte di Appello avrebbe dovuto relazionare il prezzo pattuito e ritenuto pagato nell'(OMISSIS) al valore della piena proprietà dell'immobile al tempo dell'apertura della successione.

La Corte di Appello ha invece effettuato un calcolo aritmetico attraverso il quale viene semplicemente trasposta la percentuale del prezzo asseritamele pagato nel (OMISSIS) sul valore della nuda proprietà a quella data per concludere che nella medesima percentuale è da considerare il beneficio ricevuto dal donatario al momento in cui l'usufrutto si consolidò nella nuda proprietà.

In realtà sarebbe stato corretto, giusto il disposto della norma di cui all'art. 747 c.c., in punto momento che deve aversi presente per la valutazione del valore dell'immobile, calcolare il valore della donazione e quindi la quota del bene immobile oggetto di donazione alla data dell'apertura della successione.

Poichè nel tempo la svalutazione del denaro e la rivalutazione dei beni immobili in termini di valore nominale non ha andamento sempre coincidente (e poi ogni immobile - bene in fungibile per eccellenza - fa storia a sè), e in ogni caso, poichè con la consolidazione dell'usufrutto il beneficio ricevuto dal donatario è individuabile nella piena proprietà del bene, la quota del donatum doveva essere effettuata parametrando il sacrificio economico sopportato dal C.V. ((OMISSIS)) al beneficio ricevuto all'apertura della successione (ovvero il valore della piena proprietà dell'immobile al tempo dell'apertura della successione).

La Corte di Appello di Torino ha invece del tutto omesso detta operazione trasfondendo la percentuale del "pagato" sul valore della nuda proprietà al (OMISSIS) alla quota ideale di donazione (e infatti (OMISSIS) rappresentano proprio il 22,22% - la Corte ha finito con l'arrotondare a 22,25% - di 168.750.000 valore della nuda proprietà al (OMISSIS) secondo il seguente calcolo aritmetico 168.750.00/100 = 1.687.500; 37.500.000/1.687.500 = 22,22).

Il Giudice del merito ha quindi concluso che il donatum fosse una quota ideale pari al 77,75% (100-22,25) dell'immobile.

Detto criterio di calcolo non tiene in nessun conto il criterio di cui al citato art. 747 c.c. e soprattutto non considera che con il decesso dell'usufruttuaria il donante ha conseguito l'ulteriore beneficio della consolidazione dell'usufrutto.

L'esponente aveva proposto invece il seguente diverso criterio di calcolo: somma di 37.500.000; rivalutata al (OMISSIS) pari a L. 76.500.000;=.

Detta somma rivaluta rappresenta una percentuale del 12,96% del valore alla stessa data della piena proprietà del compendio immobiliare (590.000.000).

Ne derivava quindi che la percentuale del donatum era da individuarsi nell'87,04% e non già nella minore percentuale del 77,75.

Anche a non voler condividere detto criterio di calcolo, in ogni caso, il Giudice del merito avrebbe dovuto individuare criteri atti a rapportare, come sopra visto, il presunto sacrificio economico del C.V. al (OMISSIS) con il beneficio complessivo da calcolarsi al momento dell'apertura della successione.

Il motivo, a prescindere dalla sua teorica fondatezza o meno, è inammissibile, in quanto investe una questione che non risulta trattata nella sentenza impugnata, nè viene espressamente denunciata una omessa pronuncia, il che sarebbe stato necessario, in considerazione delle conclusioni che risultano formulate nell'epigrafe della sentenza impugnata.

Con il secondo dei motivi del ricorso principale diretti contro la sentenza definitiva C.M. sostiene che nella specie il negotium mixtum cum donatione doveva considerarsi nullo per difetto di forma, in applicazione del criterio della c.d. prevalenza.

Il motivo è infondato, alla stregua quantomeno della più recente giurisprudenza di questa S.C., la quale ha affermato che per il negotium mixtum cum donatione non è necessaria la forma dell'atto pubblico richiesta per la donazione diretta, essendo, invece, sufficiente la forma dello schema negoziale adottato, senza far menzione del criterio della c.d. prevalenza (cfr. sent. 21 gennaio 2000 n. 642; 10 aprile 1999 n. 3499).

Con il terzo dei motivi del ricorso principale diretti contro la sentenza definitiva C.M. ripropone la tesi secondo la quale il mancato esercizio dell'azione di riduzione da parte dei nipoti ex sorore comportava l'accrescimento (anche) in suo favore della quota di legittima agli stessi in teoria spettante.

Si tratta del problema con riferimento al quale la causa è stata assegnata a queste Sezioni Unite.

Questa S.C. ha avuto occasione di affermare che se più sono i legittimari (nell'ambito della categoria dei discendenti), ciascuno ha diritto ad una frazione della quota di riserva e non all'intera quota, o comunque ad una frazione più ampia di quella che gli spetterebbe se tutti gli altri (non) facessero valere il loro diritto (sent. 22 ottobre 1975 n. 3500, 1978 n. 5611).

Tale orientamento, peraltro, si pone in implicito contrasto con la giurisprudenza formatasi con riferimento alla ipotesi in cui disponibile e legittima variano in funzione della esistenza di più categorie di legittimari o del numero di legittimari nell'ambito di una stessa categoria.

Ad es., in base all'art. 542 cod. civ., comma 1, se chi muore lascia, oltre al coniuge, un solo figlio, legittimo o naturale, a quest'ultimo è riservato un terzo del patrimonio ed un altro terzo spetta al coniuge; in base all'art. 542 cod. civ., comma 2, quando, invece, i figli, legittimi o naturali, sono più di uno, ad essi è complessivamente riservata la metà del patrimonio ed al coniuge spetta un altro quarto.

Con riferimento ad entrambe le ipotesi si pone il problema se il mancato esercizio dell'azione di riduzione da parte del coniuge pretermesso comporta che la legittima dell'unico figlio o dei piùfigli si "espanda", diventando rispettivamente pari alla metà o ai due terzi del patrimonio del de cuius, secondo quando previsto dall'art. 537 cod. civ., comma 1 e 2.

Con riferimento alla ipotesi prevista dal primo comma dell'art. 542 cod. civ., si pone il problema se il mancato esercizio dell'azione di riduzione da parte dell'unico figlio comporta la espansione della legittima del coniuge, in modo da farle raggiungere la misura prevista dall'art. 540 cod. civ., comma 1.

Con riferimento, infine all'ipotesi prevista dall'art. 542 cod. civ., comma 2, si pone il problema se l'esperimento dell'azione di riduzione da parte di uno solo dei figli comporta che la legittima allo stesso spettante debba essere determinata secondo quanto disposto dal comma 1.

La giurisprudenza di questa S.C. si è mostrata favorevole alla tesi della c.d. espansione della quota di riserva con riferimento all'ipotesi di mancato esercizio dell'azione di riduzione da parte del coniuge superstite (sent. 26 ottobre 1976 n. 3888; 9 marzo 1987 n. 2434; 11 febbraio 1995 n. 1529).

Si è, in proposito, affermato (sent. 9 marzo 1987, cit. ) che .. occorre tenere presente che, a norma dell'art. 521 c.c., la rinunzia all'eredità è retroattiva nel senso che l'erede rinunziante si considera come se non fosse mai stato chiamato all'eredità. E' dunque impossibile far riferimento alla situazione esistente al momento dell'apertura della successione, dal momento che tale situazione è soggetta a mutare, per effetto di eventuali rinunzie, con effetto retroattivo. E' quindi alla situazione concreta che occorre far riferimento, e non a quella teorica, riferita al momento dell'apertura della successione, indipendentemente dalle vicende prodottesi in seguito; devesi dunque far riferimento agli eredi che concretamente concorrono nella ripartizione dell'asse ereditario e non a quelli che in teoria a tale riparto avrebbero potuto partecipare.

Tale orientamento è conforme a quanto sostenuto in dottrina, in cui ugualmente si è invocato il principio della retroattività della rinuncia fissato nell'art. 521 c.c. e si è sostenuto che un argomento a favore dello stesso sarebbe desumibile dall'art. 538 cod. civ., che regola la riserva spettante agli ascendenti "se chi muore non lascia figli legittimi", in quanto la norma dovrebbe applicarsi soltanto nel caso in cui l'ereditando non abbia avuto figli o questi siano tutti presenti o assenti; se invece sopravvivessero figli capaci di succedere e tutti rinunziassero, si dovrebbe concludere nel senso che o rimane ferma a beneficio degli ascendenti la quota riservata di due terzi stabilita dall'art. 537 c.c., oppure che non sorge alcun diritto di riserva in favore degli ascendenti, conclusioni, l'una e l'altra, evidentemente inammissibili.

Si tratta di un orientamento che il collegio ritiene di non poter condividere.

Appare, in primo luogo, inopportuno il richiamo agli effetti della rinuncia di uno dei chiamati in tema di successione legittima, secondo quanto previsto dagli artt. 521 e 522 cod. civ., per vari motivi.

Nella successione legittima il c.d. effetto retroattivo della rinuncia di uno dei chiamati e il conseguente accrescimento in favore degli accettanti trovano una spiegazione logica nel fatto che, diversamente, non si saprebbe quale dovrebbe essere la sorte della quota del rinunciante.

La situazione è ben diversa con riferimento alla c.d. successione necessaria.

Il legislatore, infatti, si è preoccupato di far sì che ad ognuno dei legittimari considerati venga garantita una porzione del patrimonio del de cuius anche contro la volontà di quest'ultimo.

Mancando una chiamata congiunta ad una quota globalmente considerata con riferimento alla ipotesi di pluralità di riservatari (ed anzi essendo proprio la mancanza di chiamata ereditaria il fondamento della successione necessaria), da un lato, viene a cadere il presupposto logico di un teorico accrescimento, e, dall'altro, non esistono incertezze in ordine alla sorte della quota (in teoria) spettante al legittimario che non eserciti l'azione di riduzione: i donatari o gli eredi o i legatari, infatti, conservano una porzione dei beni del de cuius maggiore di quella di cui quest'ultimo avrebbe potuto disporre.

La lettera della legge, poi, costituisce un ostacolo insormontabile per l'adesione alla tesi finora sostenuta in dottrina ed in giurisprudenza.

Dalla formulazione degli artt. 537 c.c., comma 1 ("se il genitore lascia"), 538 c.c., comma 1 ("se chi muore non lascia"), 542 c.c., comma 1 ("se chi muore lascia"), 542 c.c., comma 2 ("quando chi muore lascia"), risulta chiaramente che si deve fare riferimento, ai fini del calcolo della porzione di riserva, alla situazione esistente al momento dell'apertura della successione; non viene preso, invece, in considerazione, a tal fine, l'esperimento dell'azione di riduzione da parte di alcuno soltanto dei legittimari.

Mancano, pertanto, le condizioni essenziali (esistenza di una lacuna da colmare e possibilità di applicare il principio ubi eadem ratio ibi eadem legis dispositio) per una estensione in via analogica delle norme in tema di successione legittima.

La tesi criticata, poi, sembra in contrasto con la ratio ispiratrice della successione necessaria, che non è solo quella di garantire a determinati parenti una porzione del patrimonio del de cuius, ma anche (come rovescio della medaglia) quella di consentire a quest'ultimo di sapere entro quali limiti, in considerazione della composizione della propria famiglia, può disporre del suo patrimonio può disporre in favore di terzi. E' evidente che l'esigenza di certezza in questione non verrebbe soddisfatta ove tale quota dovesse essere determinata, successivamente all'apertura della successione, in funzione del numero di legittimar che dovessero esperire l'azione di riduzione.

Non possono, poi, essere taciuti gli inconvenienti pratici connessi alla adesione della c.d. espansione della quota di riserva.

Occorre, a tal fine, partire dalla considerazione che l'esercizio dell'azione di riduzione è soggetto all'ordinario termine di prescrizione decennale e che non è prevista una actio interrogatoria, al contrario di quanto avviene con riferimento all'accettazione dell'eredità ( art. 481 cod. civ.). Ne consegue che all'apertura della successione ogni legittimario può esperire l'azione di riduzione solo con riferimento alla porzione del patrimonio del de cuius che gli spetterebbe in base alla situazione familiare di quest'ultimo a tale momento. Solo dopo la rinunzia all'esercizio dell'azione di riduzione da parte degli altri legittimari o la maturazione della prescrizione in danno degli stessi potrebbe agire per ottenere un supplemento di legittima, con evidente incertezza medio tempore in ordine alla sorte di una quota dei beni di cui il de cuius ha disposto per donazione o per testamento a favore di terzi.

Nè utili argomenti a favore della tesi criticata possono desumersi dall'art. 538 cod. civ..

In primo luogo, nel ragionamento sopra trascritto è incomprensibile il riferimento ad una quota pari a due terzi riservata in favore dagli ascendenti dall'art. 537 cod. civ., dal momento che tale disposizione fa riferimento alla quota riservata ai figli legittimi o naturali.

Non si comprende, poi, perchè sarebbe inammissibile la conclusione (cui si perverrebbe aderendo alla tesi che il collegio ritiene preferibile) secondo la quale, ove sopravvivessero al de cuius figli legittimi e tutti rinunziassero non sorgerebbe alcun diritto di legittima a favore degli ascendenti.

Va, innanzitutto, rilevato che non è chiaro se la rinunzia viene riferita all'accettazione dell'eredità o all'esperimento dell'azione di riduzione.

Nel primo caso un problema di tutela degli ascendenti non si porrebbe neppure, in quanto in loro favore di aprirebbe la successione legittima ex art. 569 cod. civ., dovendo i figli legittimi, a seguito della rinunzia all'eredità, considerarsi come mai chiamati alla successione.

Nel secondo caso la esclusione della configurabilità di una quota di riserva in favore degli ascendenti sarebbe espressione della scelta del legislatore di garantire il conseguimento di una quota del patrimonio del de cuius solo ai parenti più prossimi (oltre che al coniuge) esistenti al momento dell'apertura della successione. I parenti di grado successivo, che sono considerati come legittimar solo in mancanza di quelli di grado più vicino, pertanto, non possono essere rimessi in corsa in caso di mancato esercizio dell'azione di riduzione da parte di questi ultimi.

In definitiva, il legislatore ha considerato iniquo il fatto che il de cuius disponga dell'intero suo patrimonio a favore di estranei nel caso in cui abbia solo discendenti o solo ascendenti; non ha considerato, invece, iniquo il fatto che rimangano fermi gli atti con i quali il de cuius, il quale lasci discendenti e ascendenti, abbia disposto dell'intero suo patrimonio a favore di estranei, nel caso in cui i discendenti (unici legittimari considerati) non esperiscano l'azione di riduzione.

Alla luce delle considerazioni svolte si può, pertanto, concludere che ai fini della individuazione della quota di riserva spettante alle singole categorie di legittimari e ai singoli legittimari nell'ambito della stessa categoria occorre fare riferimento alla situazione esistente al momento dell'apertura della successione e non a quella che si viene a determinare per effetto del mancato esperimento (per rinunzia o prescrizione) dell'azione di riduzione da parte di qualcuno dei legittimari.

Alla luce delle considerazioni svolte è evidente che anche il terzo dei motivi del ricorso principale diretti contro la sentenza definitiva va rigettato.

Con l'unico motivo del ricorso incidentale C.V. si duole del fatto che la Corte di Appello di Torino, per quanto riguarda la valutazione dell'immobile oggetto della vendita in data (OMISSIS), nella quale è stata individuato un negotium mixtum cum donatione, e la rivalutazione dello stesso al momento dell'apertura della successione, abbia recepito le conclusioni del C.T.U., senza tenere conto delle critiche rivolte all'operato dello stesso.

Il motivo è infondato, in quanto non viene specificamente censurata la esattezza dell'elemento decisivo sul quale si sono fondate le valutazioni del C.T.U. recepite dalla sentenza impugnata e cioè i dati compartivi desumibili dal mercato immobiliare per costruzioni similari, in base anche alle concrete risultanze ancora in possesso delle agenzie immobiliari operanti in loco.

In definitiva, entrambi i ricorsi vanno rigettati.

In considerazione della problematicità della questione con riferimento alla quale il ricorso è stato assegnato alla Sezioni Unite di questa S.C., ritiene il collegio che sussistano giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte riunisce e li rigetta; compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2006.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2006.

ttanti ai nipoti non venuti alla successione, si accrescano in loro favore.

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