martedì 29 gennaio 2008

Studenti, incentivi per eccellenza nell'istruzione


Decreto legislativo 29.12.2007 n° 262 , G.U. 23.01.2008


Sistemi di competizione nazionali e internazionali per individuare le c.d. eccellenze degli studenti.

E' una disciplina volta a valorizzare "i buoni risultati conseguiti dagli studenti nel triennio finale dei corsi di istruzione superiore delle scuole statali e paritarie, in un contesto tale da promuovere l’innalzamento dei livelli di apprendimento nonché da garantire a tutti gli studenti pari opportunità e pieno sviluppo delle proprie capacità".

E' previsto il credito formativo ed una serie di incentivi per gli studenti:

benefit ed accreditamenti per l’accesso a biblioteche, musei e luoghi di cultura, ammissione a tirocinii formativi, viaggi di istruzione, partecipazione ad iniziative formative e benefici economici.



DECRETO LEGISLATIVO 29 dicembre 2007, n. 262

Disposizioni per incentivare l'eccellenza degli studenti nei percorsi di istruzione.

(GU n. 19 del 23-1-2008)

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;

Vista la legge 11 gennaio 2007, n. 1, ed in particolare l'articolo 2, comma 1, lettera d), recante delega al Governo per l'incentivazione dell'eccellenza degli studenti, ottenuta a vario titolo sulla base dei percorsi di istruzione;

Visto il testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297;

Visto il decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, ed in particolare l'articolo 13, recante norme in materia di istruzione tecnico-professionale e di valorizzazione dell'autonomia scolastica;

Vista la legge 17 maggio 1999, n. 144, e in particolare l'articolo 69, relativo alla istruzione tecnica superiore;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 20 luglio 2007;

Acquisito il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, espresso nella seduta del 20 settembre 2007;

Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni permanenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati;

Ritenuto di non accogliere talune condizioni poste dalla VII Commissione permanente della Camera dei deputati nel suddetto parere del 15 novembre 2007, circa la previsione di un decreto ministeriale, da sottoporre al parere delle Commissioni parlamentari, per la definizione di regole e criteri per l'accreditamento dei soggetti esterni all'amministrazione scolastica, nonche' l'eliminazione delle norme sulla certificazione di eccellenza anche per le facilitazioni per l'accesso all'istruzione e formazione superiore;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione dell'11 dicembre 2007;

Sulla proposta del Ministro della pubblica istruzione, di concerto con i Ministri dell'universita' e della ricerca e per gli affari regionali e le autonomie locali;

Emana

il seguente decreto legislativo:

Art. 1.

Oggetto e finalita'

1. L'incentivazione delle eccellenze di cui all'articolo 2, comma 1, lettera d), della legge 11 gennaio 2007, n. 1, conseguite a vario titolo nel percorso di istruzione, e' finalizzata alla valorizzazione della qualita' dei percorsi e al riconoscimento dei risultati elevati raggiunti da parte di studenti che frequentano istituzioni scolastiche statali e paritarie.

2. L'incentivazione concorre a promuovere l'innalzamento dei livelli di apprendimento degli studenti nelle diverse discipline ed a garantire a tutti gli studenti pari opportunita' di pieno sviluppo delle capacita'.

3. Il riconoscimento delle eccellenze, nei diversi settori dell'esperienza di apprendimento, e' finalizzato anche ad incentivare la prosecuzione del percorso di istruzione nei licei, negli istituti tecnico-professionali di cui all'articolo 13, comma 1, del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, e nella formazione tecnica superiore, di cui all'articolo 69 della legge 17 maggio 1999, n. 144, e all'articolo 13, comma 2, del decreto- legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40.

4. Il raggiungimento di risultati elevati puo' rappresentare, nel rispetto dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, un fattore di qualificazione del piano dell'offerta formativa.

5. L'iniziativa di valorizzazione delle eccellenze e' tesa a rinsaldare i rapporti tra il mondo della scuola e le comunita' scientifiche ed accademiche ed a creare situazioni di dialogo e di cooperazione tra docenti della scuola, ricercatori e docenti universitari, esperti tecnico-professionali di settore.

Art. 2.

Criteri e procedure

1. La valorizzazione dell'eccellenza riguarda gli studenti frequentanti i corsi di istruzione superiore delle scuole statali e paritarie.

2. L'eccellenza e' valorizzata in relazione alle specifiche discipline nella loro diversita' e varieta', ad aree pluri-disciplinari chiaramente individuate e delimitate, nonche' a settori avanzati di carattere tecnico e professionale.

3. Il sistema di valorizzazione dell'eccellenza e' organizzato in modo da garantire la partecipazione diffusa a prescindere dal tipo di scuola frequentata e secondo procedure, fatte salve le specificita' di settore, che assicurino il superamento di eventuali ostacoli alle pari opportunita' determinati dalle variabili di genere, di cultura, di lingua e di disabilita'.

4. Nell'azione di valorizzazione si considerano sia le prestazioni individuali di singoli allievi, sia i risultati raggiunti da gruppi di studenti, qualora, come nel settore tecnico e professionale, siano richieste forme particolari di collaborazione tra studenti.

5. Nella valorizzazione dell'eccellenza puo' essere altresi' considerato il conseguimento di certificazioni di competenze ad elevato livello di standardizzazione e con validita' internazionale collegabili ai percorsi di istruzione, come puo' avvenire nel campo delle lingue straniere e delle tecnologie informatiche.

6. Per la valorizzazione dell'eccellenza si puo' inoltre tenere conto della votazione conseguita dagli studenti nell'esame di Stato conclusivo del corso di studi.

Art. 3.

Organizzazione

1. Al fine di rendere possibile il coinvolgimento di tutti gli studenti, sollecitando ogni singola istituzione scolastica, e di riconoscere autentici livelli elevati di conoscenza e di competenza, l'individuazione delle eccellenze avverra' mediante procedure di confronto e di competizione nazionali e internazionali, nonche' olimpiadi e certamina, organizzate di norma per successive fasi, dal livello della singola istituzione scolastica a quello provinciale e regionale, fino al livello nazionale.

2. I responsabili dei diversi livelli del sistema di istruzione e altri soggetti pubblici e privati, ivi compresi regioni ed enti locali, nazionali o comunitari con esperienze gia' consolidate, accreditati, a questo scopo, dall'amministrazione scolastica, possono concorrere alla individuazione delle eccellenze.

3. Il Ministero della pubblica istruzione sottoscrive specifiche intese con i soggetti pubblici e privati di cui al comma 2, ivi compresi regioni ed enti locali, interessati a partecipare all'iniziativa di valorizzazione delle eccellenze e in grado di rispettare i criteri indicati nel comma 4.

4. Per le iniziative di individuazione delle eccellenze devono essere rispettati i seguenti criteri:

a) ogni iniziativa di riconoscimento delle eccellenze deve avere a riferimento un'autorita' scientifica significativa quale ad esempio universita', accademia, istituti di alta ricerca, organizzazioni professionali, per garantire validita' ad ogni valutazione di risultati avanzati ed assicurare la credibilita' delle azioni intraprese, sia presso le scuole e i loro insegnanti, sia nei confronti degli studenti e delle loro famiglie;

b) per l'accreditamento di soggetti esterni all'amministrazione vengono prese in considerazione le esperienze gia' realizzate con particolare riferimento all'ambito nazionale ed internazionale, la capillarita' della loro presenza territoriale, la capacita' operativa e il prestigio scientifico e culturale, la disponibilita' di risorse organizzative e professionali;

c) vanno garantiti il pieno rispetto della trasparenza nei criteri di partecipazione, nelle procedure di selezione, nonche' la pubblicita' dei risultati ottenuti.

Art. 4.

Riconoscimenti e premi

1. Il riconoscimento dei risultati elevati raggiunti avviene tramite certificazione delle eccellenze, garantisce l'acquisizione di credito formativo e puo' dare origine a varie forme di incentivo, da assumere entro il limite delle disponibilita' finanziarie previste al comma 4 dell'articolo 7:

a) benefit e accreditamenti per l'accesso a biblioteche, musei, istituti e luoghi della cultura;

b) ammissione a tirocini formativi;

c) partecipazione ad iniziative formative organizzate da centri scientifici nazionali con destinazione rivolta alla qualita' della formazione scolastica;

d) viaggi di istruzione e visite presso centri specialistici;

e) benefici di tipo economico;

f) altre forme di incentivo secondo intese e accordi stabiliti con soggetti pubblici e privati.

Art. 5.

Programma annuale

1. Prima dell'avvio di ogni anno scolastico, con apposito decreto, di natura non regolamentare, del Ministro della pubblica istruzione, viene definito il programma nazionale di promozione dell'eccellenza che fornisce alle scuole, ai docenti, agli studenti e ai loro genitori l'informazione puntuale sulle iniziative proposte per l'intero anno scolastico.

2. Il programma annuale viene definito sia con riferimento ai risultati dell'analisi valutativa del sistema scolastico condotta dall'INVALSI, sia in coerenza con gli interventi di promozione di specifici settori di competenza, con particolare riferimento allo sviluppo della cultura scientifica, e tenendo presenti le decisioni di sviluppo innovativo del sistema di istruzione, in relazione soprattutto al potenziamento dell'area tecnica e professionale.

3. Il programma annuale contiene:

a) le discipline, le aree disciplinari ed i settori tecnico-operativi rispetto ai quali si intende operare;

b) le certificazioni di cui all'articolo 2, comma 5, il cui conseguimento da' origine a riconoscimento;

c) le procedure di accreditamento per i soggetti che intendono operare in collaborazione con l'amministrazione scolastica;

d) i soggetti proponenti, sia dell'amministrazione sia tra gli organismi accreditati;

e) il calendario delle iniziative, le modalita' di partecipazione;

f) le procedure di confronto e di competizione e la loro organizzazione;

g) le risorse finanziarie dedicate, la quota pro capite di incentivo che verra' assicurata agli studenti eccellenti, le modalita' di erogazione delle risorse finanziarie.

4. Possono confluire nel programma le competizioni che hanno nel tempo conseguito livelli di prestigio e di consenso nelle istituzioni scolastiche per particolari ambiti disciplinari o per specifiche discipline di studio, purche' promosse e realizzate dall'amministrazione scolastica o da soggetti accreditati dall'amministrazione scolastica medesima.

5. Le competizioni incluse nel programma annuale possono avvalersi di adeguate forme di sostegno validate dal Ministero; particolare attenzione sara' dedicata a competizioni con sviluppi anche internazionali.

6. Il programma annuale prevede le modalita' per assicurare il monitoraggio delle iniziative, la valutazione di impatto, nella prospettiva di eventuali miglioramenti per gli anni successivi.

Art. 6.

Certificazione dei risultati di eccellenza

1. Il conseguimento di eccellenza da' sempre diritto a specifica certificazione, che e' condizione necessaria per conseguire gli incentivi di cui all'articolo 4 e le facilitazioni utili per i percorsi di istruzione e di formazione post-secondaria.

2. Per quanto attiene alle eccellenze conseguite, le certificazioni delle stesse vengono rilasciate da parte dell'amministrazione scolastica, dei soggetti accreditati e delle scuole che hanno proposto e realizzato le iniziative incluse nel programma annuale, ciascuna per le rispettive competenze.

3. I soggetti accreditati comunicano il riconoscimento di eccellenza alle scuole frequentate dagli studenti interessati.

4. Le certificazioni di cui ai precedenti commi sono rilasciate a richiesta dell'interessato.

Art. 7.

Norme finali e finanziarie

1. Entro la fine di ogni anno scolastico il Ministero della pubblica istruzione rendera' pubblico per ciascuna istituzione scolastica statale e paritaria il numero di studenti che hanno conseguito certificazioni di eccellenza con eventuale attribuzione degli incentivi nelle diverse forme indicate nell'articolo 2.

2. Gli elenchi degli studenti che conseguono eccellenze certificate, previo consenso degli interessati, saranno disponibili per le universita', le accademie, le istituzioni di ricerca e le imprese.

3. Le disposizioni del presente decreto trovano applicazione a decorrere dall'anno scolastico in corso alla data della sua entrata in vigore.

4. All'onere derivante dal presente decreto si fa fronte con le risorse allo scopo stanziate in bilancio dall'articolo 3 della legge 11 gennaio 2007, n. 1.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Roma, addi' 29 dicembre 2007

NAPOLITANO

Prodi, Presidente del Consiglio dei
Ministri
Fioroni, Ministro della pubblica
istruzione
Mussi, Ministro dell'universita' e
della ricerca
Lanzillotta, Ministro per gli affari
regionali e le autonomie locali
Visto, il Guardasigilli: Mastella

giovedì 24 gennaio 2008

Estromissione, processo civile, è questione di merito


"Allorché la parte, come nella specie, riconosca fondata la difesa avversa che negava la responsabilità risarcitoria (solidale e/o concorrente) concludendo per la loro "estromissione" rinuncia più propriamente alla domanda (oltre che all'azione) proposta nei loro confronti, determinando una pronuncia non di carattere processuale, ma di merito, equivalendo al rigetto della domanda rinunciata.

Tale rinuncia non necessità di alcuna accettazione da parte dei convenuti "rinunciati".

Per altro verso, secondo questo giudice (tribunale di Firenze) non si versa in ipotesi propria e tipica di estromissione come processualmente disciplinata dagli art. 108 e 109 C.P.C. cui pure fanno riferimento le parti.

Circa l'esito formale di tale situazione mentre in dottrina appare consistente l'orientamento secondo cui deve espressamente rigettarsi la domanda Ia giurisprudenza appare prevalentemente attestata nel senso che deve essere dichiarata cessata la materia del contendere. Si nota peraltro che il contrasto è più apparente che di sostanza. Infatti anche la giurisprudenza rileva che si tratta pur sempre di pronuncia nel e sul merito (v. ad es. Cass. sez. lav. 2268/1999) idonea ed efficiente all'eccezione di cosa giudicata sostanziale non di mera pronuncia processuale (quale è quella estintiva del processo).“

Tribunale di Firenze

Sentenza 30 luglio 2007

Repubblica Italiana

In nome del popolo italiano

Il tribunale di Firenze, II sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del Giudice dott. Alfonso Florio,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Nel procedimento iscritta a n. 6047/2002 Rg.ac.

Promosso da ZP, residente in *****, elett.te. dom.to in Firenze, Via

Attore

contro

Società a

convenuto

Società b

convenuto

Società c

convenuto

Società d

convenuto

Società e

convenuto

Svolgimento del processo

Con citazione ritualmente notificata ZP in giudizio le società a, b, c, d, e, assumendo le seguenti testuali conclusioni <<>

A sostegno di tali conclusioni esponeva di essere proprietario di un fondo costituito da fabbricati e annesso rurale e terreni posti nel territorio di, fondo destinato ad azienda agricola; che la società a eseguiva o faceva eseguire nelle adiacenze della proprietà di esso attore, per realizzare una nuova abitabilità di collegamento tra la strada provinciale e la strada traversa.

Le opere comportavano anche un intervento sulla strada comunale, della quale veniva realizzato un nuovo tratto in fregio al fondo di proprietà di esso attore. Le opere avevano avuto inizio nel 1997 e si erano protratte fino ai primi mesi del 1999; che i lavori erano stati materialmente realizzati su commissione della società a – da altre imprese che erano raggruppate in ati (associazione temporanea imprese) società b, società c, società di, società e.

In concomitanza ed a causa delle dette opere e lavori ei erano verificati gravi danni al fondo di sua proprietà che riguardavano tanto le strutture murarie della casa colonica (quadro fessurativo nelle pareti) e cedimenti strutturali nell’annesso agricolo. Inoltre si era alterata la circolazione idrogeologica con perdita della falda acquifera che prima alimentava il pozzo che pertanto si era essiccato. Questo in particolare era avvenuto per effetto di rulli vibranti utilizzati nella esecuzione delle opere per la realizzazione della massicciata stradale sia per la sistemazione della strada comunale e per il ripetuto ed intenso transito di autocarri pesanti. I danni, inoltre, per il corso dei lavori si erano aggravati.

Con raccomandata del 11 giugno 1988 aveva contestato alla società a quanto stava accaduto e quella società aveva interessato del sinistro denunciato il suo assicuratore; che ulteriore contestazione era avvenuta nel 2001 e dell’agosto 2002.

Tutte le richieste di risarcimento erano risultate però inutili poiché la società assicuratrice della società a aveva offerto la irrisoria somma di £.26.000.000.

Del pari anche la società b aveva ammesso l’esecuzione dei lavori e di aver interessato la società a che era già intervenuta con la sua impresa assicuratrice.

Deduceva che il rapporto di causalità tra interventi operati erano stati evidenziati nella relazione di proprio tecnico di fiducia, mentre la responsabilità ex art.2'043 c.c. gravava solidalmente su tutti i convenuti. La società a in quanto ente a cui i lavori erano riferibili, la società b per avere operato in concreto le opere ed anche perché impresa mandataria dell’ati. Le altre tre imprese temporaneamente associate dovevano rispondere in quanto facenti parte del gruppo associato, né per esso attore era possibile individuare quale delle tre avesse anche operato materialmente nei lavori dannosi.

Si costituivano tutti gli evocati in giudizio.

La società b concludeva per il rigetto della domanda “ritenuta la totale estraneità” di essa convenuta o nel caso in cui dovesse emergere responsabilità degli altri convenuti condannar questi a tenerla indenne.

A sostengo rilevava che era vero che essa era associata nell’ati e che questa associazione temporanea era aggiudicataria (in subappalto) da parte della società a di lavori relativi all’opera, ma essa società c non aveva realizzato alcun lavoro o intervento in concreto e neppure sapeva se e quali lavori fossero stati eseguiti. Di qui la totale estraneità ai fatti dannosi asseriti dall’attore.

Peraltro rilevava che qualora fosse emerso una qualche responsabilità a carico della società a e/o dell’ati, era suo diritto essere rilevata indenne da ogni richiesta che potesse derivare dall’invovato, ma contestato, vincolo di solidarietà

La società c costituendosi rilevava di non aver realizzato alcune delle opere che secondo la prospettazione dell’attore avevano arrecato danni (la cui prova competeva al deducente). Era quindi esclusa in radice la configurabilità di una sua responsabilità quale autore ex art.2043 c.c. dell’illecito.

Neppure poteva assumersi una sua responsabilità “contrattuale” poiché essa gravava esclusivamente sulla mandataria (dell’Ati).

In via gradata eccepiva inoltre la prescrizione del diritto al risarcimento (i lavori erano iniziati nel 1997) e nessuna richiesta di risarcimento era ad essa pervenuta.

Infine contestava in ogni caso l’esorbitanza del pregiudizio patrimoniale esposto e la conseguente eccessività della misura del risarcimento del danno addotta.

Infine in via ulteriore asseriva di essere coperto dalla Assicurazione e quindi (ma senza formulare richiesta di chiamata di terzo e differimento di udienza) era tenuta ad essere manlevata dall’assicuratore nonché dalla società b quale autore delle lavorazioni in ipotesi indicate come dannose e mandataria ati.

La società d eccepiva in via preliminare ed assorbente di non essere passivamente legittimata.

Rilevava che con contratto del 14.11.1996 tra società a e società b (quale mandataria dell’ati costituita da quest’ultima unitamente alla società c, d, ed e) veniva affidata in subappalto alla “seconda” l’esecuzione dei lavori di costruzione della strada; che essendo pacifico anche per quanto dedotto dall’attore, ne risultava che trattandosi di associazione temporanea di imprese, unica legittimata processuale passivamente legittimata era la società capogruppo, mandataria dell’ati e non questa o la singola impresa associata come mandante.

Ognuna delle imprese associate manteneva la sua autonomia e non dava luogo a soggetto distinto ed autonomo, mentre una responsabilità solidale di tutte le associate poteva configurarsi esclusivamente nei confronti dell’appaltante. Cosa che nella specie non aveva senso, poiché rispetto all’attore dei danni non poteva che rispondere chi li aveva eseguito

Subordinatamente contestava anche l’an ed il quantum della domanda risarcitoria.

Concludeva quindi perché invia preliminare venisse accertata la mancanza di legittimazione passiva e pronunciarsi la sua estromissione; nel merito perché venisse respinta la domanda di risarcimento; in ipotesi per il caso in cui fosse stata accertata la responsabilità delle società a e c dichiarare queste obbligate a tenerla indenni.

Si costituivano anche (con i medesimi difensori e atto unitario), la società a nonché la società d e questa anche in veste di mandataria dell’ati.

Rilevava che la realizzazione delle tratte stradali cui l’attore faceva riferimento era ineriva alle opere di urbanizzazione connesse ed accessorie ai lavori. La società a quale affidatario dei lavori nonché la società d in proprio e quale mandataria dell’ati agivano, pertanto, per lo svolgimento di attività lecita e di pubblica utilità nonché pubbliche nella loro essenza.

L’art.2043 c.c. – così proseguivano – non poteva essere invocato nella specie, poiché quel che al massimo i proprietari dei fondi interessati da attività in questione erano indennizzi secondo le previsioni degli art.46 e 70 L. 2359/1865.

In ogni caso contestavano che i danni asseriti dall’attore fossero riferibili all’esecuzione di lavori. Mai essi avevano riconosciuto la propria responsabilità, in quanto l’offerta effettuata dall’assicuratore era solamente diretta ad evitare un costoso contenzioso.

Concludevano quindi per il rigetto di tutte le domande come formulate da parte attrice.

All’udienza del 10.4.2003 issata per gli incombenti di cui all’art.183 cpc compariva personalmente il solo attore 8che peraltro non veniva liberamente interrogato). In quella stressa udienza, il procuratore di parte attrice il quale “preso atto” delle comparse di risposta di tutte le parti e quindi che “la società a e la società b e si sono dichiarate esclusive responsabili dei lavori” dichiarava di concordare con l’estromissione del giudizio delle società a, b e c.

Il g.i. assegnava comune i termini per il deposito di memorie ex art.183 c.5 cpc ed all’udienza successiva pure quelli istruttori ex art.184 cpc.

Indi, questo giudice istruttore ammetteva alcune delle prove richieste dalle parti, rilevando che le questioni relative all’estromissione implicando pronuncia sul merito delle domande nonpotevano che essere risolte con sentenza.

All’udienza del 1.10.2004 chiamata l’assunzione delle prove ammesse, il procuratore di parte attrice insisteva perché venisse operata la separazione delle cause. A tale richiesta si associavano i procuratori delle società b e c.

Questo giudice quindi revocata formalmente la ordinanza ammissiva di prove e fissava per la precisazione delle conclusioni.

Esse stono state rassegnate all’udienza del 14.2.2005 nei seguenti termini.

Per l’attore come in citazione limitatamente alle domande proposte nei confronti della società a e della società b quale impresa mandataria ati con il vincolo di solidarietà passiva tra questi. Dichiarare cessata la materia del contendere tra l’attore e la società c, d ed e. a seguito di quanto dichiarato dall’attore a verbale dell’udienza del 10.4.2003 e disporre l’estromissione delle suddette società compensando le spese tra le medesime e l’attore. In via istruttoria ammette le prove richieste.

Per la società, per l’estromissione dal giudizio della società con condanna della parte attrice alle spese del giudizio.

Per la società a e b come in comparsa di risposta rifiutando le domane nuove formulate dll’attore nei confronti della società a e b con opposizione all’ammissione delle prove.

Per la società d, come in atti, in particolare di provvedere per l’estromissione del convenuto. Vittoria di spese.

Per la società c come in atti, come indicato in comparsa, con la condanna della parte attrice alla refusione delle spese del giudizio.

Nel termine assegnato le parti hanno scambiato mediante deposito comparse conclusionali e note di replica.

Motivi della decisione

A seguito delle difese di alcuni dei convenuti, come si è rilevato nella parte espositiva dello svolgimento del processo, l'attore ha concordato con "l'estromissione" di queste dal processo.

Più in particolare si è rilevato che all'udienza del 10.4.2003, presente di persona lo stesso attore, il suo procuratore dichiarava "di concordare l'estromissione dal giudizio di B. T., X. e G., evidenziando la sussistenza di giustificati motivi, che saranno valutati dai giudice, per la compensazione delle spese di lite tra l'attore e le suddette società".

L’espressione non può essere intesa come manifestazione di rinuncia agli atti del giudizio (che necessita in linea di massima di accettazione avversa e che suppone l'accollo delle spese di lite a carico del rinunciante a seguito dell'estinzione del procedimento). La rinuncia agli atti e quindi l'estinzione del giudizio comporta la definizione "in rito" del processo (nel caso di specie, non essendo ritenuta per opinione maggioritaria una estinzione "parziale, occorreva una previa separazione delle cause ed estinguere solo quella per cui l'effetto estintivo era maturato)

Allorché invece la parte, come nella specie, riconosca fondata la difesa avversa che negava la responsabilità risarcitoria (solidale e/o concorrente) concludendo per la loro "estromissione" rinuncia più propriamente alla domanda (all'azione) proposta nei loro confronti, determinando una pronuncia non di carattere processuale, ma di merito, equivalendo al rigetto della domanda rinunciata.

Tale rinuncia non necessità di alcuna accettazione da parte dei convenuti "rinunciati".

Per altro verso, secondo questo giudice non si versa in ipotesi propria e tipica di estromissione come processualmente disciplinata dagli art. 108 e 109 C.P.C. cui pure fanno riferimento le parti.

Non il primo poiché neppure secondo la prospettazione dell'attore vi è obbligo di garanzia (propria o impropria) ma piuttosto solidarietà passiva nell'obbligazione risarcitoria (anche ex art.2055) e non ricorre la seconda ipotesi poiché non-vi è alcuna parte (ed--in particolare la Cavet-Pontello) che si sia dichiarata pronta all'adempimento della prestazione in quanto alternativamente richiesta a tutti i convenuti.

Piuttosto la difesa delle convenute si consolida in una difesa nel merito (e non meramente processuale -finendo con l'assumere di non essere obbligati come autori o in via solidale perchè associati in Ati al risarcimento del danno che l'attore deduce.

Deve quindi concludersi, secondo questo giudice, che la dichiarazione resa avanti all'istruttore della parte, personalmente comparsa, di concordare con l'estromissione di alcuni convenuti configura" rinuncia alla domanda nei confronti di questi.

Circa l'esito formale di tale situazione mentre in dottrina appare consistente l'orientamento secondo cui deve espressamente rigettarsi la domanda Ia giurisprudenza appare prevalentemente attestata nel senso che deve essere dichiarata cessata la materia del contendere. Si nota peraltro che il contratto è più apparente che di sostanza. Infatti anche la giurisprudenza rileva che si tratta pur sempre di pronuncia nel e sul merito (v. ad es. Cass. sez. lav. 2268/1999) idonea ed efficiente all'eccezione di cosa giudicata sostanziale non di mera pronuncia processuale (quale è quella estintiva del processo).

E questo perché il nostro processo è retto pur sempre dal principio dispositivo (della domanda) e quindi la formula ellittica di cessazione della materia del contendere (che nel processo civile. a differenza di quello amministrativo o tributario non ha una specifica delineazione) è formula che non integra una modo autonomo di definizione del processo .civile, ma di un mero riflesso processuale del mutamento della situazione sostanziale, .quando questa dà luogo al venir meno della ragione di essere della lite, in forza di un fatto sopravvenuto, atto a far venir meno l'interesse a proseguire il giudizio, atteso che sulla sentenza che dichiari cessata la materia del contendere può essere fondata un'exceptio rei iudicatae, nel caso di riproposizione della domanda rinunciata (così nella S.C. sopra citata e anche ad esempio in Cass 8219/96, nello stesso senso Cass 23 aprile 1966 n.1047)

Pertanto deve essere dichiarata cessata la materia del contendere per rinuncia alla domanda ed all'azione come dall'attore proposta nei confronti delle società convenute B. T. X. e G. Cav. F. senza che neppure debba valutarsi "virtualmente" la fondatezza o meno delle domande contro di loro avanzate.

Definendo la presente sentenza della domanda come proposta nei confronti dei convenuti per cui vi è stata rinuncia si tratta di statuire in ordine alle spese di lite tra esse e l’attore.

Di per sé la rinuncia alla domanda determina che le spese del processo siano a carico dell’attore e questo non tanto in applicazione più o meno analogica dell'art. 306 C.P.C. ma del principio generale di soccombenza e di causalità che è a questo sotteso (è infatti l’attore che con la sua evocazione in giudizio ad aver provocato la costituzione e difesa delle parti contro cui poi rinuncia all'azione-determinandola particolare situazione di cessazione della materia del contendere).

La compensazione delle spese deve essere invece disposta per il caso tutte le parti concordino in tal senso. Ipotesi questa che pacificamente non ricorre nel caso di specie. Sostiene l'attore, però che sussistono giusti motivi di compensazione. Infatti esso è stato indotto a convenire in giudizio anche le singole imprese associate in ati (a parte la Pontello che era anche mandataria) in quanto non era per lei agevole individuare quale fosse il soggetto responsabile dei danni di cui pretende il risarcimento.

Sostengono invece i convenuti che un minimo di diligenza ben avrebbe reso subito edotto l'attore della erronea individuazione di essi come responsabili, fermo restando che è comunque a carico dell'attore nel prospettare la domanda l'onere di individuazione del soggetto contro cui avanzarla. Secondo questo giudice non sussistono motivi che giustifichino la deflessione alle regole generali di causalità (e soccombenza) nella ripartizione delle spese di lite.

In effetti la ragione per cui sono state evocate le imprese di cui l'attore stesso riconosce che debbano essere "estromesse" non è tanto nella difficoltà di individuazione delle stesse come autori materiali dei lavori, ma sulla base di una supposta corresponsabilità solidale delle stesse in quanto associate. Determinazione che deriva da una impostazione "in diritto" (che questo giudice non è chiamato stante la rinuncia all'azione nei loro confronti, a delibare) che la stessa parte ha poi "abbandonato". Del resto non è dato ravvisare nei menti prodotti dalla parte che le società oggi "estromesse" (per usare la terminologia dell’attore) abbiano dato alcuna indicazione da cui possa ricavarsi che siano state quelle società ad indurre in errore l’attore (ad esempio qualificandosi o dando per assodato che erano esse ad avere operato i lavori che si assumono dannosi).

Semmai la proposta transattiva (che ovviamente non assume nessun significato di per sé confessorio) era-stata formulata dalla società assicuratrice che neppure assumeva di agire per conto o nell'interesse delle convenuti B.-T., o X. o G. F..

Esse quindi hanno diritto al rimborso delle spese processuali.

Non sussistono, invece secondo questo giudice, i presupposti per-la condanna dell’attore al risarcimento del danno per responsabilità ex art. 96 C.P.C. sollecitata da alcune delle parti.

Invero da un lato non si ravvisa il danno ulteriore derivante dall'evocazione in giudizio e dall’altro lato la questione relativa alla loro responsabilità solidale in quanto associate si poneva -in relazione a configurazione “di diritto”che di per sé non denota comportamento processuale doloso o gravemente colposo.

La liquidazione delle spese è effettuata tenendo conto del valore della causa, nonché dell'attività svolta (per i diritti in riferimento alle tariffe vigenti al momento della loro prestazione) e tenendo conto in particolare (quanto agli onorari) delle conclusioni concordi in punto di estromissione che quindi rileva in riferimento alla importanza e complessità delle questioni trattate nelle conclusionali. Il giudizio deve proseguire nei confronti del Consorzio Cavet e della Pontello s.p.a. (chiamata anche quale mandataria Ati).

La decisione non può essere assunta sulla base degli atti e pertanto deve essere disposta la rimessione sul ruolo della relativa controversia a cui si provvede con separata ordinanza.

p.q.m.

Il Tribunale di Firenze, disattesa ogni altra contraria istanza, deduzione ed eccezione, così provvede: 1) dichiara cessata la materia del contendere per rinuncia all'azione da parte dell'attore ZP relativamente alle domande come da lui proposte nei confronti delle società c, de ed e; 2) condanna ZP al rimborso in favore della Società a S.p.a. delle spese di lite, liquidate in Euro 1.838;60 per diritti, Euro 4.000,00 per onorario, 12,50 per cento di diritti ed onorario per spese generali, oltre c.p.a. se ed in quanto dovuta nella misura di legge; condanna altresì ZP al delle spese di lite in favore società c liquidate in Euro 2.308,20 per diritti, Euro 4.000,00 per onorario, 12,50 per cento di diritti ed onorario per spese generali, oltre c.p.a. ed I.v.a. se ed in qua-rito dovuta in misura di legge. Condanna infine ZP al rimborso delle spese di lite in favore della società d liquidate in euro 1.829,00 per diritti euro 3.931,00 per onorario 12.50 per cento di diritti e onorario per spese generali, oltre cpa e di se e in quanto dovuta nella misura di legge.

Dispone la prosecuzione del giudizio quanto alla domanda come proposta da ZP ,nei confronti della società a e della società b con rimessione sul ruolo come da separata ordinanza.

Firenze, 30.7.2007

Il giudice

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 6 AGOSTO 2007.

lunedì 21 gennaio 2008

Avvocati, gli obblighi dell'antiriciclaggio


CNF, circolare 27.12.2007 n° 40




CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

CIRCOLARE N. 40-C/2007

IL RECEPIMENTO DELLA TERZA DIRETTIVA ANTIRICICLAGGIO.
PRIME VALUTAZIONI INTERPRETATIVE, E DISAMINA DEGLI OBBLIGHI GRAVANTI SU ORDINI FORENSI ED AVVOCATI.

Roma, 27 dicembre 2007

Indice sommario: 1. PREMESSA. 2. LE QUESTIONI DI DIRITTO TRANSITORIO. 3. OBBLIGHI IN CAPO AGLI ORDINI FORENSI. 3.1. obbligo di vigilanza. 3.2. obbligo di osservare il segreto d’ufficio. 3.3. obbligo di collaborazione con l’unità di informazione finanziaria – uif. 3.4. obbligo di informare l’uif di eventuali omissioni di segnalazione. 3.5. obblighi di formazione del personale. 4. OBBLIGHI GRAVANTI SUGLI AVVOCATI.
4.1. gli obblighi di adeguata verifica della clientela da parte degli avvocati. 4. 2. gli obblighi di registrazione da parte degli avvocati. 5. L’OBBLIGO DI SEGNALAZIONE DI OPERAZIONI SOSPETTE.

1. PREMESSA.

Con le presenti osservazioni sintetiche si intendono fornire alcune prime indicazioni in ordine alle disposizioni nazionali che recepiscono la “Terza direttiva antiriciclaggio”, a beneficio dei Consigli dell’ordine degli avvocati, e dei singoli iscritti negli albi.

Lo scorso 14 dicembre è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 290 - Suppl.
Ordinario n. 268) il DECRETO LEGISLATIVO 21 Novembre 2007, n. 231, recante “Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione”.

Il provvedimento, soggetto all’ordinaria vacatio legis, entrerà in vigore il prossimo 29 dicembre 2007.

Il campo di applicazione della disciplina resta il medesimo, rispetto a quanto previsto nella seconda direttiva antiriciclaggio.

Ai sensi dell’art. 12, comma, 1, infatti, gli obblighi antiriciclaggio si applicano agli avvocati solo quando, in nome o per conto dei propri clienti, “compiono qualsiasi operazione di natura finanziaria o immobiliare e quando assistono i propri clienti nella predisposizione o nella realizzazione di operazioni riguardanti:

1) il trasferimento a qualsiasi titolo di diritti reali su beni immobili o attività economiche;
2) la gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni;
3) l'apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti di titoli;
4) l'organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, alla gestione o all'amministrazione di società;
5) la costituzione, la gestione o l'amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi”.
Relativamente a numerosi profili, la normativa primaria rinvia a provvedimenti attuativi che dovranno essere adottati dal Ministro della Giustizia o dal Ministro dell’economia e delle finanze.

Più in particolare si considerino:

a) l’art. 19, comma 2, in forza del quale il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Comitato di sicurezza finanziaria, può adottare, con proprio decreto, disposizioni attuative per l'esecuzione degli adempimenti dell’obbligo di adeguata verifica della clientela;

b) l’art. 25, comma 2, in forza del quale, nell’ambito degli obblighi semplificati di adeguata verifica della clientela, il Ministro dell'economia e delle finanze, con proprio decreto, sentito il Comitato di sicurezza finanziaria, individua gli Stati extracomunitari il cui regime e' ritenuto equivalente a quello assicurato dagli Stati comunitari;

c) l’art. 26, comma 1, in forza del quale il Ministro dell'economia e delle finanze, con proprio decreto, sentito il Comitato di sicurezza finanziaria, può autorizzare l'applicazione, in tutto o in parte, degli obblighi semplificati di adeguata verifica della clientela a soggetti e prodotti che presentano un basso rischio di riciclaggio dei proventi di attività criminose o di finanziamento del terrorismo;

d) l’art. 38, comma 7, in forza del quale il Ministero della giustizia, sentiti gli ordini professionali, adotta disposizioni applicative relative agli obblighi di registrazione che gravano sui professionisti;

e) l’art. 41 prevede che “al fine di agevolare l'individuazione delle operazioni sospette, su proposta della UIF sono emanati e periodicamente aggiornati indicatori di anomalia” (comma2), con decreto del Ministro della giustizia, sentiti gli ordini professionali;

f) l’art. 43, comma 2 dispone che “gli ordini professionali che possono ricevere, ai sensi del comma 1, la segnalazione di operazione sospetta dai propri iscritti sono individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia”. È bene ricordare che il MEF si è impegnato a non assegnare tale funzione di ricezione agli ordini professionali che non ritengono opportuno intendono farsene carico.

2. LE QUESTIONI DI DIRITTO TRANSITORIO.

La nuova normativa primaria, pertanto, solo in parte reca disposizioni di immediata applicazione, giacché richiede, per molti versi, di essere attuata tramite fonti di rango regolamentare, destinate a sostituire i regolamenti e le disposizioni attuative già adottate in sede di recepimento della seconda direttiva antiriciclaggio (effettuato con decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 56, oggi abrogato, insieme con i propri regolamenti attuativi, dall’art. 64, lett. d, D. lgs. in commento).

Peraltro, ai sensi dell’art. 66, comma 1, “Le disposizioni emanate in attuazione di norme abrogate o sostituite continuano a essere applicate, in quanto compatibili, fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti attuativi del presente decreto”.

Pertanto, fino all’adozione dei corrispondenti provvedimenti attuativi i “vecchi” provvedimenti attuativi continuano ad essere applicati in quanto compatibili.

Per quanto di più di diretto interesse per gli avvocati, trattasi:

1) del DM economia 3 febbraio 2006, n. 141, recante “Regolamento in materia di obblighi di identificazione, conservazione delle informazioni a fini antiriciclaggio e segnalazione delle operazioni sospette a carico degli avvocati, notai, dottori commercialisti, revisori contabili, società di revisione, consulenti del lavoro, ragionieri e periti commerciali (…)”, nonché

2) del Provvedimento UIC 24 febbraio 2006, recante “Istruzioni applicative in materia di obblighi di identificazione, registrazione e conservazione delle informazioni nonché di segnalazione delle operazioni sospette per finalità di prevenzione e contrasto del riciclaggio sul piano finanziario a carico di avvocati, notai, dottori commercialisti, revisori contabili, società di revisione, consulenti del lavoro, ragionieri e periti commerciali”.

I predetti provvedimenti, come detto, restano applicabili fino all’adozione dei nuovi, purché siano compatibili con le nuove prescrizioni di rango primario del D. lgs. appena varato. Ove non più compatibili, invece, le “vecchie” disposizioni non possono più essere applicate.

Il Ministero dell’economia, con nota a firma del Capo della Direzione Valutario, Antiriciclaggio ed Antiusura – Dipartimento del Tesoro(nota in data 18 dicembre 2007, prot. 125367), si è fatto carico di indicare quali misure dei predetti provvedimenti siano da ritenersi compatibili o meno con la nuova normativa di rango primario. Si rinvia pertanto sul punto alla nota allegata, che deve ritenersi parte integrante della presente.

3. OBBLIGHI IN CAPO AGLI ORDINI FORENSI.

La nuova disciplina non si occupa solo degli obblighi che gravano sugli iscritti negli albi, ma fornisce prescrizioni che si traducono in altrettanti doveri in capo agli ordini professionali.

3.1. Obbligo di vigilanza.

L’art. 8, comma 1 dispone che: “Il Ministero della giustizia esercita l'alta vigilanza sui collegi e gli ordini professionali competenti, in relazione ai compiti di cui al presente comma. I collegi e gli ordini professionali competenti, secondo i principi e le modalità previste dall'ordinamento vigente, promuovono e controllano l'osservanza da parte dei professionisti………… degli obblighi stabiliti dal presente decreto”.

Il richiamo all’impianto ordinamentale vigente lascia ritenere che il suddetto obbligo possa essere inteso come una specificazione concreta della generale funzione di vigilanza volta appunto a garantire “il corretto esercizio della professione a tutela dell’affidamento della collettività” (Corte costituzionale 24 ottobre – 3 novembre 2005, n. 405).

3.2. Obbligo di osservare il segreto d’ufficio.

L’art. 9, comma 1 dispone che “Tutte le informazioni in possesso (…) degli ordini professionali e degli altri organi di cui all'articolo 8, relative all'attuazione del presente decreto, sono coperte dal segreto d'ufficio anche nei confronti della pubblica amministrazione. Sono fatti salvi i casi di comunicazione espressamente previsti dalla legislazione vigente. Il segreto non può essere opposto all'autorità giudiziaria quando le informazioni richieste siano necessarie per le indagini o i procedimenti relativi a violazioni sanzionate penalmente”.

3.3. Obbligo di collaborazione con l’Unità di informazione finanziaria – UIF.1

L’art. 9, comma 5 dispone che “Le amministrazioni interessate e gli ordini professionali forniscono alla UIF le informazioni e le altre forme di collaborazione richieste”.

3.4. Obbligo di informare l’UIF di eventuali omissioni di segnalazione.

L’art. 9, comma 6 dispone che “…gli ordini professionali informano la UIF delle ipotesi di omissione delle segnalazioni di operazioni sospette e di ogni fatto che potrebbe essere correlato a riciclaggio o finanziamento del terrorismo, rilevate nei confronti dei soggetti di cui agli articoli 10, comma 2, 11, 12, 13 e 14”.

Ove l’ordine, nell’ambito ad esempio dell’esercizio della funzione disciplinare, dovesse rilevare un’ipotesi di omissione di segnalazione a carico di un avvocato, è tenuto ad informarne l’UIF.

3.5. Obblighi di formazione del personale.

L’art. 54, comma 1 prevede che “I destinatari degli obblighi e gli ordini professionali adottano misure di adeguata formazione del personale e dei collaboratori al fine della corretta applicazione delle disposizioni del presente decreto”.
Sebbene la disposizione sembri assumere particolare rilievo per quegli ordini professionali che, ai sensi dell’emanando decreto ministeriale, saranno chiamati a ricevere le segnalazioni di operazioni sospette e ad inoltrarle all’UIF, la formulazione ampia della norma e la presenza, come detto, di obblighi comunque gravanti sugli ordini (a prescindere dalla predetta funzione di ricezione) lascia ritenere che la stessa valga da subito anche per gli ordini forensi.
1 L’UIF è la struttura nazionale incaricata di ricevere dai soggetti obbligati, di richiedere, ai medesimi, di analizzare e di comunicare alle autorita' competenti le informazioni che riguardano ipotesi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.

4. OBBLIGHI GRAVANTI SUGLI AVVOCATI

4.1 Gli obblighi di adeguata verifica della clientela da parte degli avvocati.

Gli avvocati osservano gli obblighi di adeguata verifica della clientela nello svolgimento della propria attività professionale in forma individuale, associata o societaria, nei seguenti casi (art 16):

a) quando la prestazione professionale ha ad oggetto mezzi di pagamento, beni od utilità di valore pari o superiore a 15.000 euro;

b) quando eseguono prestazioni professionali occasionali che comportino la trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento di importo pari o superiore a 15.000 euro, indipendentemente dal fatto che siano effettuate con una operazione unica o con più operazioni che appaiono collegate o frazionate;

c) tutte le volte che l’operazione sia di valore indeterminato o non determinabile. A questi fini la costituzione, gestione o amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi integra in ogni caso un’operazione di valore non determinabile;

d) quando vi è sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, indipendentemente da qualsiasi deroga, esenzione o soglia applicabile;

e) quando vi sono dubbi sulla veridicità o sull’adeguatezza dei dati precedentemente ottenuti ai fini dell’identificazione di un cliente.

Gli obblighi di adeguata verifica della clientela consistono nelle seguenti attività (art 18):

a) identificare il cliente e verificarne l’identità sulla base di documenti, dati o informazioni ottenuti da una fonte affidabile e indipendente;

b) identificare l’eventuale titolare effettivo e verificarne l’identità;

c) ottenere informazioni sullo scopo e sulla natura prevista della prestazione professionale;

d) svolgere un controllo costante nel corso della prestazione professionale.

L’adempimento dei menzionati obblighi avviene sulla base delle seguenti modalità (art 19):

a) l’identificazione e la verifica dell’identità del cliente e del titolare effettivo è svolta, in presenza del cliente, anche attraverso propri dipendenti o collaboratori, mediante un documento d’identità non scaduto, tra quelli di cui all’Allegato tecnico al d.lgs., al momento in cui è conferito l’incarico di svolgere la prestazione professionale. Qualora il cliente sia una società o un ente, deve essere verificata l’effettiva esistenza del potere di rappresentanza e devono essere acquisite le informazioni necessarie per individuare e verificare l’identità dei relativi rappresentanti delegati alla firma per l’operazione da svolgere;

b) il controllo costante nel corso della prestazione professionale si attua analizzando le transazioni concluse durante tutta la durata di tale rapporto in modo da verificare che tali transazioni siano compatibili con la conoscenza che l’avvocato ha del proprio cliente, delle sue attività commerciali e del suo profilo di rischio, avendo riguardo, se necessario, all’origine dei fondi e tenendo aggiornati i documenti, i dati o le informazioni detenute.

Gli obblighi di adeguata verifica della clientela sono assolti commisurandoli al rischio associato al tipo di cliente, prestazione professionale, operazione, prodotto o transazione di cui trattasi (art 20).

L’avvocato deve essere in grado di dimostrare alle autorità competenti che la portata delle misure adottate è adeguata all’entità del rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Per la valutazione del rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, occorre osservare i seguenti criteri generali:

a) con riferimento al cliente:

1) natura giuridica;
2) prevalente attività svolta;
3) comportamento tenuto al momento dell’instaurazione del rapporto continuativo o della prestazione professionale;
4) area geografica di residenza o sede del cliente o della controparte;

b) con riferimento alla prestazione professionale:

5) tipologia della prestazione professionale posta in essere;
6) modalità di svolgimento della prestazione;
7) ammontare;
8) durata della prestazione professionale;
9) ragionevolezza della prestazione professionale in rapporto all’attività svolta dal cliente;
10) area geografica di destinazione del prodotto, oggetto della prestazione.
Gli obblighi di adeguata verifica della clientela si applicano a tutti i nuovi clienti, nonché previa valutazione del rischio presente, alla clientela già esistente.

Quando l’avvocato non è in grado di rispettare gli obblighi di adeguata verifica della clientela non può eseguire prestazioni professionali ovvero deve porre fine alla prestazione professionale già in essere e valuta se effettuare una segnalazione di operazione sospetta alla Unità di Informazione Finanziaria (art 23).

L’obbligo di astensione sussiste anche in relazione a quelle operazioni per le quali si sospetta vi sia una relazione con il riciclaggio o con il finanziamento del terrorismo.

Va precisato che per gli avvocati l’obbligo di astensione non vige se gli elementi ostativi all’adeguata conoscenza della clientela emergono nel corso dell’esame della posizione giuridica del loro cliente o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza di questo cliente in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento.

4. 2. Gli obblighi di registrazione da parte degli avvocati

Gli avvocati conservano i documenti e registrano le informazioni che hanno acquisito per assolvere gli obblighi di adeguata verifica della clientela affinché possano essere utilizzati per qualsiasi indagine su eventuali operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o per corrispondenti analisi effettuate dalla UIF o da qualsiasi altra Autorità competente (art 36). In particolare:

a) per quanto riguarda gli obblighi di adeguata verifica del cliente, conservano la copia o i riferimenti dei documenti richiesti, per un periodo di dieci anni dalla fine della prestazione professionale;

b) per quanto riguarda le prestazioni professionali, conservano le scritture e le registrazioni, consistenti nei documenti originali o nelle copie aventi analoga efficacia probatoria nei procedimenti giudiziari, per un periodo di dieci anni dalla cessazione della prestazione professionale.

Vanno conservate in particolare, con riferimento alla prestazione professionale, la data di instaurazione e i dati identificativi del cliente.

Le informazioni di cui sopra sono registrate tempestivamente e, comunque, non oltre il trentesimo giorno successivo alla conclusione della prestazione professionale.

I dati e le informazioni registrate sono utilizzabili ai fini fiscali secondo le disposizioni vigenti.

Gli avvocati devono istituire un archivio informatico, o, in alternativa, un registro della clientela a fini antiriciclaggio nel quale conservano i dati identificativi del cliente. La documentazione, nonché gli ulteriori dati e informazioni sono conservati nel fascicolo relativo a ciascun cliente.

Il registro della clientela è numerato progressivamente e siglato in ogni pagina a cura del soggetto obbligato o di un suo collaboratore delegato per iscritto, con l’indicazione alla fine dell’ultimo foglio del numero delle pagine di cui è composto il registro e l’apposizione della firma delle suddette persone. Il registro deve essere tenuto in maniera ordinata, senza spazi bianchi e abrasioni.

I dati e le informazioni registrati sono resi disponibili entro tre giorni dalla richiesta.
Qualora gli avvocati svolgano la propria attività in più sedi, possono istituire per ciascuna di esse un registro della clientela.

5. L’OBBLIGO DI SEGNALAZIONE DI OPERAZIONI SOSPETTE

Il decreto legislativo offre una compiuta definizione – all’art. 3 - dell'obbligo di “collaborazione attiva” dell’avvocato, del quale in definitiva la segnalazione di operazioni sospette è corollario.

E proprio sul delicato tema di segnalazione delle operazioni sospette vi sono importanti novità, che elenchiamo in estrema sintesi.

a) In linea generale si è provveduto a rafforzare i presidi a tutela della riservatezza del segnalante, con una chiara indicazione dell’assoggettamento al segreto d’ufficio di tutte le informazioni in possesso della UIF, che è il soggetto deputato a ricevere le segnalazioni. Si è poi introdotto una deroga alla cd. “riservatezza interna”, e cioè all’obbligo dell’avvocato segnalante di tenere il più assoluto riserbo con chiunque sul fatto di aver effettuato la segnalazione: tale obbligo non impedisce – correttamente - all’avvocato che svolge la professione in forma associata di comunicare all’interno della propria organizzazione, e quindi ai propri soci ed anche ai propri collaboratori, di avere effettuato la segnalazione, e ciò ai sensi dell’ art. 46 comma 5.

b) La definizione di operazione sospetta è cambiata, adeguandosi al dettato normativo della III Direttiva. In particolare si stabilisce che gli Avvocati debbono inviare alla UIF una segnalazione di operazioni sospette quando “sanno, sospettano o hanno motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo”. E’ infatti nuova la differenza tra il “sospettare” e “l’aver motivi ragionevoli per sospettare” e pare dunque allargarsi il campo - già vischioso - della latitudine del sospetto.
Immutato resta invece il meccanismo di “desunzione” del sospetto, in base alle caratteristiche dell’operazione, tenuto conto della capacità economica del cliente e - ciò che più importa - “in base agli elementi a disposizione dei segnalanti acquisiti nell’ambito dell’attività nota ovvero a seguito del conferimento di un incarico”.

L’avvocato dunque non pare doversi trasformare in un investigatore privato e dovrà - come è normale - basare il suo giudizio di sospetto sugli elementi che il cliente gli fornirà.
Su questo ultimo punto - al di là di alcune differenze semantiche, l’art. 41 del decreto legislativo ha identica ratio con il sistema previgente, contenuto all’art. 3 della Legge 5 Luglio 1991 n. 197.

c) Come detto nella prima parte, verranno emanati - come nel sistema previgente – e periodicamente aggiornati, degli indicatori di anomalia ad hoc per i professionisti, e ciò con decreto del Ministro della Giustizia, sentiti gli ordini professionali.

d) Restano fermi gli obblighi - contenuti anche nel sistema previgente - di tempestività della segnalazione e di astensione dal “compiere” l’operazione, tranne nel caso in cui ciò non sia possibile tenuto conto della “normale operatività” o vi possano essere “ostacoli alle indagini”.

e) Le segnalazioni si trasmettono direttamente all’UIF ovvero agli Ordini, qualora questa ipotesi sia adottata in futuro, sulla base però di una scelta fatta di concerto tra il Ministro della Giustizia e il Ministro dell’Economia (vedi par. 1).

f) È previsto un flusso di ritorno delle informazioni al segnalante, invero limitato alla comunicazione di archiviazione della stessa segnalazione o all’inoltro di questa agli organi investigativi, e ciò - comunque - sempre che tale flusso di ritorno non rechi pregiudizio alle indagini.

In tema poi di formazione del personale l’art. 54 del decreto legislativo stabilisce che sia gli avvocati, sia gli Ordini (e quest’ultimo obbligo è senz’altro una novità) devono adottare “misure di adeguata formazione del personale e dei collaboratori”, chiarendo che tali misure comprendono
“programmi di formazione finalizzati a riconoscere attività potenzialmente connessi al riciclaggio o al finanziamento del terrorismo”.

È altresì previsto che la UIF, la Guardia di Finanza e la DIA forniscano “indicazioni aggiornate”
circa le prassi seguite dai riciclatori e dai finanziatori del terrorismo.

Si ricorda che l’obbligo di segnalazione di operazioni sospette è escluso, ai sensi dell’art. 12, secondo comma per le informazioni che i professionisti “ricevono da un loro cliente o ottengono riguardo allo stesso, nel corso dell'esame della posizione giuridica del loro cliente o dell'espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull'eventualita' di intentare o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso“.

mercoledì 16 gennaio 2008

Variante urbanistica semplificata


Consiglio di Stato , sez. IV, sentenza 12.09.2007 n° 4821

Consiglio di Stato

Sezione IV

Sentenza 12 settembre 2007, n. 4821

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

Sui ricorsi r.g.n.9964/05, 9965/05, 9966/05, 9967/05, 8019/06,

Sul ricorso r.g.n.9964/2005 proposto in appello da W. srl in persona del l.r.p.t. rappresentato e difeso dall'Avv. Pietro Quinto e Prof. Giuseppe Abbamonte, elettivamente domiciliati in Roma alla Via Cosseria n. 2 presso l'Avv. Alfredo Placidi,

contro

X. s.r.l., in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Gianluigi Pellegrino, con il quale domicilia in Roma alla via Giustiniani n.18,

e nei confronti di

Comune di K., in persona del l.r.p.t., rappresentato e difeso dall'Avv.to Paolo Stella Richter,

per l'annullamento

della sentenza n. 4658 depositata in data 28 ottobre 2005 con la quale il TAR Puglia Lecce, prima sezione, ha accolto i ricorsi riunititi nn. 329/05 e 830/05 proposti dalla X. s.r.l avverso la deliberazione di C.C. n. 68 del 26.11.2004 con la quale il Consiglio Comunale di K. in esito alla conferenza di servizi del 08.10.2004, ha approvato in variante urbanistica il progetto presentato dalla W. srl per l'insediamento di una pluralità di attività produttivo/terziarie (centro commerciale food, centro commerciale no food, un distributore di carburante e una struttura alberghiera), nonché la deliberazione n. 37/2003 ad oggetto l'adozione del PUG; dei verbali delle conferenze di servizi ex art. 8, comma 7, ed art. 11 della L.R. 11/03, svoltesi in data 21.03.2005, per l'esame delle domande di autorizzazione commerciale all'apertura di una grande struttura di vendita alimentare nella provincia di Lecce e di quella per il rilascio della stessa; il verbale del 24.03.2005 della conferenza di servizi per il rilascio dell'autorizzazione commerciale all'apertura di una rande struttura di vendita non alimentare della provincia di Lecce; le autorizzazioni commerciali 20-22/4/2005 n.1-10 del Comune di K.; degli assensi edilizi eventualmente rilasciati in favore della s.r.l. W.; del parere prot. n. 0047130 del 29.12.2004 del Dirigente p.t. dello Sportello Unico del Comune di K.;

Sul ricorso r.g.n.9965/2005 proposto in appello da W. srl in persona del l.r.p.t. rappresentato e difeso dall'Avv. Pietro Quinto e Prof. Giuseppe Abbamonte, elettivamente domiciliati in Roma alla Via Cosseria n. 2 presso l'Avv. Alfredo Placidi,

contro

J. srl, in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Ernesto Sticchi Damiani, con il quale domicilia in Roma alla via Bocca di Leone n.78,

e nei confronti di

Comune di K., in persona del l.r.p.t., rappresentato e difeso dall'Avv.to Paolo Stella Richter,

per l'annullamento

della sentenza n. 4659 depositata in data 28 ottobre 2005 con la quale il TAR Puglia Lecce, prima sezione, ha accolto i ricorsi riunititi nn. 356/05 e 817/05 proposti dalla J. srl s.r.l avverso la deliberazione di C.C. n. 68 del 26.11.2004 con la quale il Consiglio Comunale di K. in esito alla conferenza di servizi del 08.10.2004, ha approvato in variante urbanistica il progetto presentato dalla W. srl per l'insediamento di una pluralità di attività produttivo/terziarie (centro commerciale food, centro commerciale no food, un distributore di carburante e una struttura alberghiera), nonché la deliberazione n. 37/2003 ad oggetto l'adozione del PUG; dei verbali delle conferenze di servizi ex art. 8, comma 7, ed art. 11 della L.R. 11/03, svoltesi in data 21.03.2005, per l'esame delle domande di autorizzazione commerciale all'apertura di una grande struttura di vendita alimentare nella provincia di Lecce e di quella per il rilascio della stessa; il verbale del 24.03.2005 della conferenza di servizi per il rilascio dell'autorizzazione commerciale all'apertura di una grande struttura di vendita non alimentare della provincia di Lecce; le autorizzazioni commerciali 20-22/4/2005 n.1-10 del Comune di K.; degli assensi edilizi eventualmente rilasciati in favore della s.r.l. W.; del parere prot. n. 0047130 del 29.12.2004 del Dirigente p.t. dello Sportello Unico del Comune di K.;

Sul ricorso r.g.n.9966/2005 proposto in appello da W. srl in persona del l.r.p.t. rappresentato e difeso dall'Avv. Pietro Quinto e Prof. Giuseppe Abbamonte, selettivamente domiciliati in Roma alla Via Cosseria n. 2 presso l'Avv. Alfredo Placidi,

contro

P. titolare omonima ditta, rappresentato e difeso dall'Avv. Ernesto Sticchi Damiani,

e nei confronti di

Comune di K., in persona del l.r.p.t., rappresentato e difeso dall'Avv.to Paolo Stella Richter,

per l'annullamento

della sentenza n. 4660/05 depositata in data 28 ottobre 2005 con la quale il TAR Puglia Lecce, prima sezione, ha accolto i ricorsi riunititi nn. 357/05 e 819/05 proposti dalla ditta P. avverso: la deliberazione di C.C. n. 68 del 26.11.2004 con la quale il Consiglio Comunale di K. in esito alla conferenza di servizi del 08.10.2004, ha approvato in variante urbanistica il progetto presentato dalla W. srl per la realizzazione in località "H." di due centri commerciali, di una struttura alberghiera e di un distributore di carburanti; la determina conclusiva della conferenza di servizi svoltasi in data 21.3.2005 ex art. 8, comma 7, della L.R. 1.8.2003 n. 11 ad oggetto l'esame delle domande di autorizzazione commerciale all'apertura di una grande struttura di vendita alimentare nella provincia di Lecce e di quella per il rilascio della stessa; il verbale del della conferenza di servizi svoltasi in data 21.3.2005 ex art. 8, comma 7, della L.R. 1.8.2003 n. 11 ad oggetto il rilascio dell'autorizzazione commerciale all'apertura di una rande struttura di vendita non alimentare della provincia di Lecce; la determina conclusiva della conferenza di servizi del 21.3.2005 ex art. 11 del Regolamento della Regione Puglia 1.9.2004, n. 2 ad oggetto l'esame delle domande di autorizzazione commerciale all'apertura di una grande struttura di vendita alimentare nella provincia di Lecce e di quella per il rilascio della stessa; il verbale della conferenza di servizi svoltasi in data 21.3.2005 ex art. 8, comma 7, della L.R. 1.8.2003 n. 11 ad oggetto l'esame delle domande di autorizzazione commerciale all'apertura di una grande struttura di vendita alimentare nella provincia di Lecce e di quella per il rilascio della stessa; la determinazione conclusiva ed il verbale della Conferenza di servizi svoltasi in data 24.03.2005 ex zrt. 7 LR 1.8.2003 n. 11 ad oggetto ad oggetto l'esame delle domande di autorizzazione commerciale all'apertura di una grande struttura di vendita - settore non alimentare - nella provincia di Lecce e di quella per il rilascio della stessa; la determina n. 360 del 7.10.2004 del Dirigente p.t. dell'Assessorato Ambiente - Settore Ecologia della Regione Puglia; il parere prot. n. 0047130 del 29.12.2004 dello Sportello Unico del Comune di K.; il parere prot. n. 1739/2 del 09.03.2004 del Dirigente p.t. Settore Urbanistica Regionale Ufficio 2 - Strumentazione Urbanistica dell'Assessorato all'Urbanistica e Assetto del Territorio della Regione Puglia; le relazioni del 21.03.2005 e del 24.03.2005 dell'Assessorato Promozione Attività Industriale Commercio Artigianato - Settore commercio della regione Puglia; le autorizzazioni nn. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10 rilasciate in data 20.4.2005 del Dirigente p.t. dell'Ufficio Commercio del Comune di K..

Sul ricorso r.g.n.9967/2005 proposto in appello da W. srl in persona del l.r.p.t. rappresentato e difeso dall'Avv. Pietro Quinto e Prof. Giuseppe Abbamonte, elettivamente domiciliati in Roma alla Via Cosseria n. 2 presso l'Avv. Alfredo Placidi,

contro

Y. s.r.l., in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Gianluigi Pellegrino, con il quale domicilia in Roma alla via Giustiniani n.18,

e nei confronti di

Comune di K., in persona del l.r.p.t., rappresentato e difeso dall'Avv.to Paolo Stella Richter,

nonché contro

Regione Puglia in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'Avv. Nino Matassa, domiciliata in Roma Via Cosseria 2 presso dott. Giuseppe Placidi,

per l'annullamento

della sentenza n. 4657 depositata in data 28 ottobre 2005 con la quale il TAR Puglia Lecce, prima sezione, ha accolto i ricorsi riunititi nn. 329/05 e 830/05 proposti dalla Y. s.r.l avverso la deliberazione di C.C. n. 68 del 26.11.2004 con la quale il Consiglio Comunale di K. in esito alla conferenza di servizi del 08.10.2004, ha approvato in variante urbanistica il progetto presentato dalla W. srl per l'insediamento di una pluralità di attività produttivo/terziarie (centro commerciale food, centro commerciale no food, un distributore di carburante e una struttura alberghiera), nonché la deliberazione n. 37/2003 ad oggetto l'adozione del PUG; dei verbali delle conferenze di servizi ex art. 8, comma 7, ed art. 11 della L.R. 11/03, svoltesi in data 21.03.2005, per l'esame delle domande di autorizzazione commerciale all'apertura di una grande struttura di vendita alimentare nella provincia di Lecce e di quella per il rilascio della stessa; il verbale del 24.03.2005 della conferenza di servizi per il rilascio dell'autorizzazione commerciale all'apertura di una grande struttura di vendita non alimentare della provincia di Lecce; le autorizzazioni commerciali 20-22/4/2005 n.1-10 del Comune di K.; degli assensi edilizi eventualmente rilasciati in favore della s.r.l. W.; del parere prot. n. 0047130 del 29.12.2004 del Dirigente p.t. dello Sportello Unico del Comune di K.;

Sul ricorso r.g.n.8019/2006 proposto in appello da società W. srl, in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Pietro Quinto, con il quale domicilia in Roma alla via Cosseria n. 2 presso Alfredo Placidi,

contro

X. srl, in persona del l.r.p.t., rappreesentata e difesa dall'avv. Gianluigi Pellegrino con il quale domicilia in Roma al Corso Rinascimento n.11,

e nei confronti del comune di K., in persona del l.r.p.t., n.c.,

nonché contro

Regione Puglia in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'Avv. Nino Matassa, domiciliata in Roma Via Cosseria 2 presso dott. Giuseppe Placidi,

per l'annullamento

della sentenza n.4277/2006 depositata in data 24 agosto 2006 con la quale il TAR Puglia, Lecce, seconda sezione, ha accolto il ricorso per l'annullamento del PUG del comune di K. con riferimento alla previsione della zona D7, dichiarando l'obbligo del comune di ripianificare la medesima zona attenendosi in sede di conferenza di servizi ai principi enunciati in sentenza.

Visti tutti i ricorsi in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio;

Visti gli appelli incidentali e i controricorsi;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Vista la pronuncia n.1920 del 2 maggio 2007 della Sezione e le memorie successivamente prodotte dalle parti;

Relatore alla udienza pubblica del 10 luglio 2007 il Consigliere Sergio De Felice;

Uditi gli avvocati delle parti, come da verbali di causa;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue;

FATTO

Ricorso r.g.n.9964/05.

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce, prima sezione, la società X. srl impugnava la deliberazione di C.C. n. 68 del 26.11.2004 con la quale il Consiglio Comunale di K. in esito alla conferenza di servizi del 08.10.2004, ha approvato in variante urbanistica il progetto presentato dalla W. srl per l'insediamento di una pluralità di attività produttivo/terziarie (centro commerciale food, centro commerciale no food, un distributore di carburante e una struttura alberghiera), nonché la deliberazione n. 37/2003 avente ad oggetto l'adozione del PUG; dei verbali delle conferenze di servizi ex art. 8, comma 7, ed art. 11 della L.R. 11/03, svoltesi in data 21.03.2005, per l'esame delle domande di autorizzazione commerciale all'apertura di una grande struttura di vendita alimentare nella provincia di Lecce e di quella per il rilascio della stessa; il verbale del 24.03.2005 della conferenza di servizi per il rilascio dell'autorizzazione commerciale all'apertura di una grande struttura di vendita non alimentare della provincia di Lecce; le autorizzazioni commerciali 20-22/4/2005 n.1-10 del Comune di K.; degli assensi edilizi eventualmente rilasciati in favore della s.r.l. W.; del parere prot. n. 0047130 del 29.12.2004 del Dirigente p.t. dello Sportello Unico del Comune di K..

Il Tribunale adito accoglieva i ricorsi riuniti ritenendo fondate le doglianze prospettate in quella sede, con particolare riferimento alla censura di violazione e falsa applicazione dell'art. 5 DPR 447/98.

Ricorso r.g.n.9965/05.

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce, prima sezione, la società J. srl impugnava la deliberazione di C.C. n. 68 del 26.11.2004 con la quale il Consiglio Comunale di K. in esito alla conferenza di servizi del 08.10.2004, aveva approvato in variante urbanistica il progetto presentato dalla W. srl per l'insediamento di una pluralità di attività produttivo/terziarie (centro commerciale food, centro commerciale no food, un distributore di carburante e una struttura alberghiera), nonché la deliberazione n. 37/2003 ad oggetto l'adozione del PUG; dei verbali delle conferenze di servizi ex art. 8, comma 7, ed art. 11 della L.R. 11/03, svoltesi in data 21.03.2005, per l'esame delle domande di autorizzazione commerciale all'apertura di una grande struttura di vendita alimentare nella provincia di Lecce e di quella per il rilascio della stessa; il verbale del 24.03.2005 della conferenza di servizi per il rilascio dell'autorizzazione commerciale all'apertura di una grande struttura di vendita non alimentare della provincia di Lecce; le autorizzazioni commerciali 20-22/4/2005 n.1-10 del Comune di K.; degli assensi edilizi eventualmente rilasciati in favore della s.r.l. W.; del parere prot. n. 0047130 del 29.12.2004 del Dirigente p.t. dello Sportello Unico del Comune di K..

Il Tribunale adito accoglieva i ricorsi riuniti ritenendo fondate le doglianze prospettate in quella sede, con particolare riferimento alla censura di violazione e falsa applicazione dell'art. 5 DPR 447/98.

Ricorso r.g.n.9966/05.

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce, prima sezione, la ditta P. impugnava la deliberazione di C.C. n. 68 del 26.11.2004 con la quale il Consiglio Comunale di K. in esito alla conferenza di servizi del 08.10.2004, ha approvato in variante urbanistica il progetto presentato dalla W. srl per l'insediamento di una pluralità di attività produttivo/terziarie (centro commerciale food, centro commerciale no food, un distributore di carburante e una struttura alberghiera), nonché la deliberazione n. 37/2003 ad oggetto l'adozione del PUG; dei verbali delle conferenze di servizi ex art. 8, comma 7, ed art. 11 della L.R. 11/03, svoltesi in data 21.03.2005, per l'esame delle domande di autorizzazione commerciale all'apertura di una grande struttura di vendita alimentare nella provincia di Lecce e di quella per il rilascio della stessa; il verbale del 24.03.2005 della conferenza di servizi per il rilascio dell'autorizzazione commerciale all'apertura di una grande struttura di vendita non alimentare della provincia di Lecce; le autorizzazioni commerciali 20-22/4/2005 n.1-10 del Comune di K.; degli assensi edilizi eventualmente rilasciati in favore della s.r.l. W.; del parere prot. n. 0047130 del 29.12.2004 del Dirigente p.t. dello Sportello Unico del Comune di K..

Il Tribunale adito accoglieva i ricorsi riuniti ritenendo fondate le doglianze prospettate in quella sede, con particolare riferimento alla censura di violazione e falsa applicazione dell'art. 5 DPR 447/98.

Ricorso r.g.n.9967/05.

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce, prima sezione, la società Y. srl impugnava la deliberazione di C.C. n. 68 del 26.11.2004 con la quale il Consiglio Comunale di K. in esito alla conferenza di servizi del 08.10.2004, ha approvato in variante urbanistica il progetto presentato dalla W. srl per l'insediamento di una pluralità di attività produttivo/terziarie (centro commerciale food, centro commerciale no food, un distributore di carburante e una struttura alberghiera), nonché la deliberazione n. 37/2003 ad oggetto l'adozione del PUG; dei verbali delle conferenze di servizi ex art. 8, comma 7, ed art. 11 della L.R. 11/03, svoltesi in data 21.03.2005, per l'esame delle domande di autorizzazione commerciale all'apertura di una grande struttura di vendita alimentare nella provincia di Lecce e di quella per il rilascio della stessa; il verbale del 24.03.2005 della conferenza di servizi per il rilascio dell'autorizzazione commerciale all'apertura di una grande struttura di vendita non alimentare della provincia di Lecce; le autorizzazioni commerciali 20-22/4/2005 n.1-10 del Comune di K.; degli assensi edilizi eventualmente rilasciati in favore della s.r.l. W.; del parere prot. n. 0047130 del 29.12.2004 del Dirigente p.t. dello Sportello Unico del Comune di K..

Il Tribunale adito accoglieva i ricorsi riuniti ritenendo fondate le doglianze prospettate in quella sede, con particolare riferimento alla censura di violazione e falsa applicazione dell'art. 5 DPR 447/98.

…………..

In sostanza, con i quattro suoi appelli (R.G.nn.9964/05, 9965/05, 9966/05, 9967/05), la società W. deduceva vari motivi di erroneità delle impugnate sentenze, consistenti in sostanza nelle censure che si riportano di seguito.

Quale primo motivo di appello si deduceva il difetto di legittimazione e/o di interesse a ricorrere del ricorrente di primo grado, in quanto l'eventuale annullamento degli atti avversati non conferirebbe alla stessa potenzialità per concorrere nel contesto delle previsioni insediative di grandi strutture di vendita in territorio provinciale.

Quale secondo motivo di appello, veniva dedotta l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha accolto il ricorso ritenendo che la variante urbanistica recettiva del progetti W. non poteva essere approvata con la procedura semplificata di cui all'art. 5 del DPR 447/98.

Le quattro sentenze impugnate con gli appelli 9964-9965-9966-9967/25 hanno in parte ad oggetto i medesimi atti (delibera del C.C. del comune di K. n.68 del 26.11.204 e tutti gli atti del procedimento ex art. 5 DPR 447/98 sfociati nel verbale della conferenza di servizi tenutasi in data 8.10.2004)

……………

Nel ricorso r.g.n.9964/05 si costituiva la s.r.l. X. chiedendo il rigetto dell'appello.

La s.r.l. X. presentava appello incidentale anche come appello autonomo avverso la sentenza impugnata nella parte in cui ha omesso di deliberare le censure relative alla determinazione di inammissibilità della propria richiesta di Nulla Osta regionale assunta dalla Conferenza di Servizi Regionale. Si deduce, pertanto il vizio di infrapetizione sulle censure relative alla inammissibilità della domanda di NOR avanzata dalla società.

Il Comune di K. proponeva ricorso incidentale deducendo il difetto di interesse a ricorrere della X. s.r.l. perché non attuale in quanto quest'ultima sarebbe rimasta estranea ai procedimenti che hanno portato agli atti impugnati e pertanto non ricaverebbe alcuna utilità dall'annullamento degli atti amministrativi contestati.

Si deduceva l'assenza dell'attualità e della concretezza proprie dell'interesse a ricorrere in capo alla X. s.r.l.

Si ribadiva altresì l'illegittima applicazione della procedura di cui all'art. 5 DPR 447/98 sotto un duplice aspetto sia letterale che logico, nonché l'erroneità della sentenza in relazione agli artt. 117 e 118 Cost.

Nel ricorso r.g.n.9965/05 si costituiva la s.r.l. J. chiedendo il rigetto dell'appello.

Il Comune di K. proponeva ricorso incidentale deducendo il difetto di interesse a ricorrere della J. s.r.l. perché non attuale in quanto quest'ultima sarebbe rimasta estranea ai procedimenti che hanno portato agli atti impugnati e pertanto non ricaverebbe alcuna utilità dall'annullamento degli atti amministrativi contestati.

Con l'atto deduce l'assenza dell'attualità e della concretezza proprie dell'interesse a ricorrere in capo alla J. s.r.l. e ribadisce altresì l'illegittima applicazione della procedura di cui all'art. 5 DPR 447/98 sotto un duplice aspetto sia letterale che logico, nonché l'erroneità della sentenza in relazione agli artt. 117 e 118 Cost.

Nel ricorso r.g.n.9966/05 la ditta P. si costituiva e presentava controricorso.

Quale prima deduzione la ditta P. fa presente la correttezza della sentenza impugnata nella parte in cui disattende "l'eccezione preliminare di difetto di legittimazione e/o di interesse a ricorrere".

Invero, si deduce l'interesse in capo alla ditta P. poiché è soggetto operante nel settore del commercio in qualità di titolare di una media struttura di vendita sita nel Comune di Nardò.

Si richiama altresì, la presenza del criterio dello stabile collegamento con la zona dell'intervento poiché i rispettivi esercizi sono localizzati nel medesimo ambito territoriale ovvero in aree comprese nello stesso bacino di influenza commerciale.

In ordine all'applicabilità della procedura semplificata ex art. 5 DPR 447/98 si deduce l'erronea interpretazione della sentenza da parte della società appellante.

Si contesta altresì la censura di parte appellante relativa all'affermazione del giudice di prime cura che gli atti inerenti la procedura finalizzata al conseguimento della medesima in conformità urbanistica si pongano in rapporto di presupposizione logico-giuridica rispetto agli atti volti alla disamina "commerciale" della domanda presentata.

Infine vengono riprodotti integralmente i motivi di gravame formulati nei giudizi di primo grado.

Il Comune di K. proponeva ricorso incidentale deducendo il difetto di interesse a ricorrere della ditta P. perché non attuale e concreto in quanto quest'ultima sarebbe rimasta estranea ai procedimenti che hanno portato agli atti impugnati e pertanto non ricaverebbe alcuna utilità dall'annullamento degli atti amministrativi contestati.

Si deduce l'assenza dell'attualità e della concretezza proprie dell'interesse a ricorrere in capo alla ditta P..

Si ribadisce altresì l'illegittima applicazione della procedura di cui all'art. 5 DPR 447/98 sotto un duplice aspetto sia letterale che logico, nonché l'erroneità della sentenza in relazione agli artt. 117 e 118 Cost.

Nel ricorso r.g.n.9967/05 si costituiva la s.r.l. Y. ribadendo l'interesse a ricorrere e chiedendo il rigetto dell'appello.

La s.r.l. Y. presentava appello incidentale anche come appello autonomo avverso la sentenza impugnata nella parte in cui ha omesso di deliberare le censure relative alla determinazione di inammissibilità della propria richiesta di Nulla Osta regionale assunta dalla Conferenza di Servizi Regionale. Si deduce, pertanto il vizio di infrapetizione sulle censure relative alla inammissibilità della domanda di NOR avanzata dalla W..

Si deduce altresì, la mancata applicazione dell'art. 14 L. 241/90 e dell'art. 8 comma 7 della L R n.11/03, in quanto si tratterebbe di un regime differenziato per quanto attiene al funzionamento della Conferenza di servizi

Rispetto ai poteri decisori che la Conferenza stessa esercita e nei quali soltanto alla regione è attribuito un potere prevalente solo in ordine alla decisione finale.

Si ribadisce l'illegittimità del modus procedendi che ha connotato la Conferenza a partire dall'approvazione del piano- progetto ai sensi dell'art. 5 DPR 447/98.

Quale secondo motivo di appello la Y. s.r.l. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 21 NTA Piano ASI e art. 119 NTA PRG Nardò, nonché la violazione del DM n. 1444/1968.

Invero, si deduce che la Regione nell'affermare l'inammissibilità non avrebbe tenuto conto che la verifica dell'intervento con la compatibilità urbanistica deve essere considerata nel suo complesso e non per singoli dettagli, per cui in ragione dell'intervento e della contemporanea vigenza sulle relative aree del PRG ed del Piano ASI, il regime di utilizzo delle aree in questione andrebbe ricavato dal coagire di tali norme e dal rapporto che regola la coesistenza dei due piani.

Inoltre, in ordine al rapporto di copertura, si deduce, avrebbero dovuto effettuare nuovamente il calcolo dell'indice.

Invero, l'art. 119 escluderebbe la valutazione delle fasce di rispetto stradale con riferimento non al rapporto di copertura bensì agli indici di utilizzazione.

Da ultimo si ribadisce l'esistenza di un'emergenza ambientale connessa alla circostanza che uno degli immobili progettati per le nuove costruzioni è previsto a cavallo di un ciglio di scarpata, dal quale il PUTT prevede per le nuove costruzioni un obbligo di distanza di 50 metri.

Si contesta inoltre, che il progetto della W. sarebbe difforme rispetto al PUG, in quanto sia il centro commerciale food che no food presenterebbe altezze massime di m 12,50 ponendosi in contrasto con le NTA del PUG che prevede un'altezza massima di m 8 per gli edifici commerciali.

La W. s.r.l. propone controricorso ribadendo che i lavori delle conferenze di servizi sarebbero immuni da effettive censure di metodo e di merito e che il modulo della conferenza di servizi previsto dalla L. R. 11/03 assorbirebbe il procedimento vigente del precedente sistema relativo al nulla osta regionale per l'apertura delle grandi strutture di vendita, non contrastando in tal modo con le previsioni dell'art. 14 l. 241/90.

In ordine alla violazione dell'ordine di copertura, la società appellante rileva che nei calcoli allegati al progetto sarebbero incluse anche le fasce di rispetto stradale.

Con il medesimo atto (si fa riferimento alla sola causa r.g.n.9967/05), la W. propone anche appello incidentale e impugna la determinazione della Conferenza di servizi del 21/3/2005 e di pareri dell'Assessorato Regionale all'Urbanistica e Assetto del Territorio prot. n. 1738/2 del 9/3/2005 e del Settore Urbanistica e Ambiente del Comune di Nardò del 12/01/2005 per eccesso di potere per erronea presupposizione in fatto ed in diritto, violazione e falsa applicazione dell'art. 76 NTA del PRG e del PRT ASI, nonché per violazione e falsa applicazione della LR n. 11/03 e dei Regolamenti regionali nn. 1/2003 e 1/2004 per aver ritenuto la destinazione commerciale proposta dal progetto Y. compatibile con la disciplina urbanistica.

Il Comune di K. proponeva ricorso incidentale deducendo il difetto di interesse a ricorrere della Y. s.r.l. perché non attuale in quanto quest'ultima sarebbe rimasta estranea ai procedimenti che hanno portato agli atti impugnati e pertanto non ricaverebbe alcuna utilità dall'annullamento degli atti amministrativi contestati.

Si deduce l'assenza dell'attualità e della concretezza proprie dell'interesse a ricorrere in capo alla Sploletini s.r.l.

Si ribadisce altresì l'illegittima applicazione della procedura di cui all'art. 5 DPR 447/98 sotto un duplice aspetto sia letterale che logico, nonché l'erroneità della sentenza in relazione agli artt. 117 e 118 Cost.

Ricorso r.g.n.8019/2006.

Con ricorso proposto dinanzi al TAR Puglia, Lecce, la X. srl impugnava tutti gli atti di formazione del PUG e dai medesimi presupposti, approvati dal Comune di K. e dalla Regione Puglia richiamati nella citata delibera del CC 62/2005 (tra cui delibera CC 37/2003, delibera GRP 315/2005, verbali della conferenza di servizi 26.7 - 4.8 - 11.8 - 18.8, delibera di GC 388/2005, delibera di GRP 1495/2005 e della nota di comunicazione);

Con la delibera n.62/2005, il CC del Comune di K. aveva approvato in via definitiva il Piano urbanistico generale ai sensi e per gli effetti dell'articolo 11 comma 12 della legge regionale Puglia n. 20 del 2001.

L'iter di approvazione definitiva era passato attraverso la delibera della giunta regionale n.813 del 21.6.2005 che aveva attestato la non compatibilità del PUG ai sensi dell'articolo 11 della legge regionale Puglia n.20 del 2001, rilevando tra l'altro che "per quanto riguarda le nuove zone commerciali, esse appaiono più di natura comprensoriale che comunale e quindi in contrasto con l'indirizzo del D.P.P. (…) la scelta di localizzare in un unico contesto comunale le due uniche grandi strutture di vendita previste per l'intera provincia di Lecce dalla programmazione regionale vigente, peraltro, comporterebbe un evidente squilibrio territoriale e si porrebbe in contrasto con l'obiettivo di ridurre, anche sotto il profilo urbanistico, effetti negativi della localizzazione delle grandi strutture commerciali, obiettivo che è perseguito dal contingentamento previsto per legge" (riportato in stralcio nella delibera di GR 1495/2005, in atti).

Veniva indetta quindi la conferenza di servizi di cui ai commi 9, 10 e 11 del citato articolo di legge.

In sede di conferenza di servizi la Regione Puglia aveva rilevato che, per la zona D7, il Piano comunale non operava le necessarie ed opportune valutazioni urbanistiche di cui al regolamento regionale n.4 del 2001, con particolare riguardo all'articolo 10 - norme urbanistiche per la localizzazione degli insediamenti commerciali - "che detta precise disposizioni in ordine alle scelte di pianificazione comunale riferite al settore commerciale (punto 3 dell'articolo 10), che nel caso di specie complessivamente non trovano riscontro negli atti del PUG in parola".

La Provincia di Lecce, dal suo canto, dichiarava di non aver potuto effettuare "alcuna verifica di compatibilità con il proprio strumento di pianificazione - piano territoriale di coordinamento provinciale - perché, allo stato, non ancora adottato. Tuttavia, confermava la propria posizione, in più occasioni espressa, sfavorevole all'insediamento di ulteriori grandi strutture commerciali sul territorio provinciale, ritenendo che quelle già realizzate erano già in numero eccessivo. Si riteneva inoltre non condivisibile la scelta di localizzare un'area di così considerevoli dimensioni in un unico ambito territoriale per le evidenti, connesse problematiche di squilibrio nell'area vasta provinciale".

Il Comune di K., nella medesima sede, dichiarava che "tutte le determinazioni relative all'insediamento commerciale delle grandi e medie strutture di vendita sono state assunte in varie sedute dal consiglio comunale con attenta valutazione delle implicazioni economiche, sociali ed urbanistiche, e le stesse fra l'altro hanno già prodotto la variante urbanistica recepita dal PUG".

Ai sensi del comma 11 della legge regionale Puglia n.20 del 2001, il verbale della conferenza di servizi veniva sottoposto alla GR, la quale, con delibera 1495 del 25.10.2005, rilevava che "la conferenza di servizi non è pervenuta ad alcuna conclusione concertata, risultando in atti le differenti posizioni di Regione e Provincia di Lecce, sia pure, con diverse motivazioni, rispetto al Comune di K.", e conseguentemente riteneva di "confermare, per quanto attiene alla zona D7-zona commerciale, le valutazioni già espresse con il precedente atto deliberativo n.813 del 2005, nonché quanto rilevato in sede di conferenza di servizi da parte della Regione e della Provincia di Lecce, stante la carenza di elementi giustificativi da parte del Comune di K.".

Come si desume dalle premesse alla delibera di CC n.62/2005, di approvazione definitiva del PUG, "nella seduta consiliare del 16.11.2005, il Comune di K. ha ritenuto opportuno acquisire parere legale pro veritate esterno (con deliberazione di GC n.479 del 2005 ne è stato incaricato il Prof. Stella Richter), in ordine alla legittimità dell'approvazione definitiva del piano urbanistico generale nella sua interezza, pur in presenza della valutazioni espresse dalla Regione Puglia in merito alla zona D7".

Sulla base di tale parere legale, il Comune quindi approvava definitivamente il PUG, ritenendo, tra l'altro, che il controllo di compatibilità esercitato dalla Regione fosse stato esorbitante dai propri poteri individuati dalla legge regionale n.20 del 2001; che comunque la conferenza di servizi deve ritenersi conclusa con esito positivo; che, infine, al deliberato regionale relativo alla zona D7 deve attribuirsi natura di mera valutazione e/o manifestazione di giudizio, non costituente diniego di compatibilità.

Il Tribunale accoglieva il ricorso, ritenendo la illegittimità del piano urbanistico generale per illegittimo contrasto con le valutazioni regionali.

Avverso la suddetta sentenza, propone appello la società W., deducendo quanto segue.

In primo luogo, si insiste nella pregiudiziale di inammissibilità del ricorso di primo grado, in quanto la X. non assume la posizione di titolare in relazione a un interesse urbanistico qualificato, ricoprendo soltanto un interesse di tipo commerciale e di contenuto specifico concorrenziale, neanche attuale e concreto.

Nel merito, si osserva e deduce che è errato il ragionamento contenuto in sentenza, secondo cui il PUG, per quanto riguarda la zona D7, sarebbe stato approvato unilateralmente dal comune in assenza della valutazione di conformità da parte della Regione. Viene dedotto, in contrario, che dall'esame della posizione assunta in sede di conferenza, unica sede del legittimo controllo di compatibilità, si evince che la Regione non ha espresso un vero veto. Al contrario, la valutazione negativa di cui alla delibera G.R. 813 del 21.6.2005, costituisce solo il presupposto della successiva conferenza di servizi, come risulta dal verbale del 18.8.2005. Per quanto riguarda la zona D7, a differenza delle altre parti, tra Regione e comune non si è convenuta alcuna necessità di modifica.

La diversità di valutazione tra comune e Regione non si è conclusa con una determinazione formale in sede di conferenza di servizi, né sono state indicate le modifiche necessarie ai fini del controllo positivo, come richiesto dall'art. 11 comma 9 L.R.20/2001.

Inoltre, il Dirigente del Settore Urbanistico aveva dato formale comunicazione al comune che la Giunta Regionale con delibera n.1495 del 25.10.2005, aveva attestato la compatibilità regionale del PUG del comune di K..

Deve aggiungersi che nel comune di K. il controllo di compatibilità andava effettuato rispetto al Piano Urbanistico Territoriale Tematico per il Paesaggio, approvato con delibera di G.R. 1748/2000, ai sensi dell'art. 6 L.R. 56/1980, che rappresenta l'unico strumento di pianificazione territoriale esistente.

Nell'ambito del procedimento di copianificazione descritto dall'articolo 11 della legge regionale n.20 del 2001, il comma 7 dispone che "qualora il DRAG e/o il PTCP non siano stati ancora approvati, la Regione effettua il controllo di compatibilità rispetto ad altro strumento regionale di pianificazione territoriale ove esistente, ivi inclusi i piani già approvati ai sensi degli articoli da 4 a 8 della legge regionale 31 maggio 1980, n. 56, ovvero agli indirizzi regionali della programmazione socio-economica e territoriale di cui all'articolo 5 del d. lgs. 267/2000".

Si è costituita la società X. eccependo in via preliminare la carenza di contraddittorio, non essendo stata evocata in giudizio la Regione Puglia, alla quale è da imputare il dissenso espresso in sede di conferenza di servizi rispetto allo strumento urbanistico generale adottato.

Alla udienza pubblica del 23 gennaio 2007 le cause sono state trattenute in decisione.

Questa sezione, dopo avere proceduto alla riunione delle cause su indicate, per connessione oggettiva e soggettiva, con provvedimento n.1920 del 2 maggio 2007, ordinava la integrazione del contradditorio nei confronti della Regione Puglia, che non risultava evocata in giudizio di appello e rinviava la causa alla udienza pubblica del 27 novembre 2007.

A seguito di tale provvedimento parte appellante società W., a mezzo del suo difensore, rappresentava di avere già notificato in data 22 settembre 2006 (deposito avvenuto in data 10 ottobre 2006 nel fascicolo 8019/2006), alla Regione Puglia.

In conseguenza della già avvenuta proposizione dell'appello nei confronti della Regione Puglia, e quindi della sostanziale inutilità e erroneità della ordinanza di integrazione del contraddittorio, chiedeva la anticipazione della udienza di discussione delle cause rispetto alla udienza del 27 novembre 2007.

Il Presidente della Quarta Sezione del Consiglio di Stato, sulla base dell'effettivo rinvenimento di un secondo appello in originale, notificato in data 22 settembre 2006 alla Regione Puglia, nel fascicolo di ufficio, anticipava la udienza di discussione al 10 luglio 2007 rispetto alla udienza del 27 novembre 2007.

Nella causa di cui al n.r.g.8019/2006, si costituiva la Regione Puglia con controricorso del 26 giugno 2007, chiedendo il rigetto dell'appello.

Con memoria successiva la Regione Puglia eccepiva la mancanza di notifica del gravame, come risulta anche dalla delibera di conferimento dell'incarico. Inoltre, osservava che in modo "singolare", la notifica del secondo appello alla Regione Puglia, sarebbe avvenuta, come si evince dalla relata di notifica, alla anteriore data del 22 settembre 2006, mentre il mandato del primo appello notificato nonché la redazione dell'atto originale di appello sono datati 25 settembre 2006 (notifica avvenuta in data successiva).

Con atto di deposito del 4 luglio 2007 il difensore di W. srl depositava attestazione dell'ufficiale giudiziario della Corte di Appello di Bari del 2/7/2007 concernente la notifica del ricorso di appello in data 28.9.2006 alla Regione Puglia.

Secondo la affermazione dell'ufficiale giudiziario di Bari Mario Renna "La data (22/09/2006) è evidente errore materiale".

Alla udienza di discussione del 10 luglio 2007 le cause sono state chiamate per la discussione.

Come si evince dai verbali di causa, l'avv. Matassa, legale della Regione Puglia, dichiarava di essersi costituito, ma che la Regione Puglia non ha rinvenuto il ricorso in appello aggiungendo di non avere avuto termini a difesa.

L'avv. Quinto per la società W. dichiarava che la Regione Puglia è stata ritualmente evocata in giudizio sia in primo che in secondo grado e che il ricorso in appello è stato ritualmente notificato come risulta da relata di notifica e dalla certificazione dell'ufficiale giudiziario della Corte di Appello di Bari, depositata in atti.

Dopo ampia e articolata discussione, alla medesima udienza pubblica del 10 luglio 2007 le cause sono state trattenute.

DIRITTO

1.In primo luogo, va osservato che questa Sezione già ha provveduto a riunire i su indicati ricorsi (r.g.nn.9964/05, 9965/05, 9966/05, 9967/05 e 8019/06) sulla base della loro connessione sia oggettiva che in parte soggettiva.

I primi quattro ricorsi hanno ad oggetto quattro sentenze che si sono pronunciate tutte sulla legittimità della variante in forma semplificata che contemplava l'intervento della grande struttura di vendita (GSV).

Pertanto, trattandosi di impugnazione dei medesimi atti, i ricorsi sono connessi.

L'ultimo ricorso (r.g.n.8019/06) ha ad oggetto la sentenza che ha annullato il successivo - rispetto alla variante - piano regolatore generale (o PUG) che prevedeva e consentiva il medesimo intervento.

Anche tale ultimo ricorso deve intendersi connesso con i quattro precedenti a causa della correlazione tra i due atti (variante semplificata e piano generale successivo) per le ragioni ampiamente indicate nella pronuncia della Sezione del 2 maggio 2007.

Al riguardo, in sintesi è qui il caso di ribadire che da un lato il PUG consente di ritenere possibile successivamente quanto previsto nella precedente variante in forma semplificata; mentre dall'altro lato, laddove dovessero ritenersi illegittimi l'adozione e/o la approvazione del piano regolatore generale, l'intervento in questione, già contemplato in variante, sarebbe allo stato definitivamente precluso.

Il Collegio deve affrontare e trattare tutte le questioni attinenti sia alla legittimità della variante in forma semplificata (ricorsi 9964-9967/05) che alla legittimità del PUG, anche per gli effetti medio tempore tra i due atti, non ritenendo che la reiezione dell'appello relativo al PUG possa comportare una processuale improcedibilità degli altri appelli o dei relativi ricorsi originari.

2.Come detto, i ricorsi r.g.nn.9964/05, 9965/05, 9966/05 e 9967/05 riguardano le sentenze che in primo grado, su ricorso di diversi soggetti (X., J., P., Y.) hanno annullato i medesimi atti di approvazione del progetto per la realizzazione di un complesso produttivo della società W. (delibera di C.C. del comune di K. n.68 del 26.11.2004 e seguenti atti del procedimento ex art. 5 DPR 447/98 sfociati nel verbale della conferenza di servizi dell'8.10.2004) utilizzando lo strumento della variante in forma semplificata di cui all'art. 5 DPR 447/98.

L'appello r.g.n.8019/2006 riguarda la impugnativa da parte di W. srl della sentenza del TAR Puglia, Lecce, che su ricorso della società X. ha impugnato la approvazione da parte del comune di K. del suo piano regolatore generale (anche detto PUG), che contemplava l'intervento voluto dalla W. srl.

3.Con tutti gli appelli (anche quello di cui al r.g.n.8019/2006), la società W. formula un primo mezzo, con il quale lamenta la ingiustizia delle sentenze di primo grado, perché non hanno concluso per la inammissibilità dei ricorsi originari, difettando in capo agli originari ricorrenti la legittimazione e/o l'interesse a ricorrere.

La tesi della inammissibilità dei ricorsi di primo grado è sostenuta anche dal comune di K. con il ricorso incidentale.

Per parte appellante sussiste carenza di interesse a ricorrere in capo ai ricorrenti di prime cure, in quanto la ritenuta inammissibilità per violazione di parametri urbanistico della domanda finalizzata alla approvazione di un progetto di insediamento produttivo di tipo commerciale non comporterebbe una posizione qualificata tale da assurgere ad interesse rilevante sul piano sostanziale e quindi in sede giurisdizionale.

Ad avviso del Collegio il motivo di censura è infondato.

Invero, l'interesse a ricorrere sussiste ogni qual volta sia configurabile un'utilità concreta, anche solo di carattere morale che il ricorrente si ripromette di ottenere dall'accoglimento del ricorso, tenuto conto della situazione giuridica dello stato in cui versa.

Conseguentemente, si ritiene che i ricorrenti di primo grado siano effettivamente investiti di una posizione collocabile nell'alveo dell'interesse a ricorrere perché l'eventuale annullamento degli atti avversati, anche per quel che concerne gli assensi commerciali conseguiti dai medesimi, conferirebbe agli stessi nuovamente la potenzialità di concorrere nel contesto delle previsioni insediative di grandi strutture di vendita in territorio provinciale, che si traducono esclusivamente nella assentibilità di due centri commerciali provinciali, di cui uno di tipo alimentare e uno di tipo non alimentare.

Ma a prescindere dalla possibilità successiva di concorrere a diverse strutture di vendita, ad opinione del Collegio è sufficiente alle condizioni dell'azione il criterio del collegamento territoriale.

In materia di grandi strutture di vendita, il criterio dello stabile collegamento territoriale che deve legare il ricorrente alla area di operatività del controinteressato per poterne ulteriormente qualificare la posizione processuale e conseguentemente il diritto di azione, scaturisce da un concetto di vicinitas più ampio di quello prospettato di consueto .

La delibera con la quale il Consiglio Comunale approva un progetto di localizzazione di una mega struttura commerciale (costituita da un'area commerciale integrata volta alla distribuzione di prodotti alimentari e da un centro commerciale finalizzato alla vendita di beni non alimentari) in variazione allo strumento urbanistico generale è inoltre procedimentalmente ma anche processualmente strettamente connessa al successivo atto di assenso regionale all'esercizio della relativa attività economica, emanato dai competenti organi in forza della regolamentazione attuativa della legge che disciplina, a livello regionale, l'esercizio del commercio.

L'articolo 31 comma 9 della l. n. 1150 del 17 agosto 1942 (c.d. legge Urbanistica), stabilisce testualmente che " Chiunque può ricorrere contro il rilascio della licenza (oggi concessione/permesso a costruire) edilizia in quanto in contrasto con le disposizioni di leggi o dei regolamenti o con le prescrizioni di piano regolatore generale e dei piani particolareggiati di esecuzione ".

L'espressione "chiunque" sembra configurare, ad una semplice disamina del dato letterale, un'atipica azione popolare urbanistica, diretta a tutelare efficacemente l'interesse generale ad un corretto utilizzo del territorio, la cui trasformazione e modificazione deve avvenire nel rispetto degli strumenti pianificatori predisposti dagli organi competenti.

Pertanto, un'azione popolare urbanistica posta a presidio della correttezza dell'attività amministrativa, richiede comunque la presenza, in capo al ricorrente, di una posizione qualificata costituita dalla vicinitas: in particolare, dopo le prime pronunce tendenti a circoscrivere la legittimazione ad agire ai soli proprietari frontisti, si è progressivamente estesa la platea dei soggetti abilitati al ricorso riconoscendo un più ampio interesse di zona.

L'orientamento oggi pacificamente condiviso ravvisa nell'espressione " chiunque " adoperata dal legislatore un preciso riferimento al proprietario di un immobile sito nella zona interessata alla costruzione, o a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa, senza che sia necessario dimostrare ulteriormente la sussistenza di un interesse qualificato alla tutela giurisdizionale (Cfr. Cons. St., sez. V, 13 luglio 2000 n. 3904, Cons. St., sez. V, 27 settembre 1991 n. 1183), che, caso di insediamento di Grandi Strutture di Vendita, va inteso nel senso specificato.

L'elemento della vicinitas, proprio perché suscettibile di una molteplicità di contenuti correlati a situazioni soggettive, è ex se sufficiente a conferire la legittimazione al ricorso, tenuto conto che quest'ultimo costituisce strumento di difesa della tipologia di zona e dunque di tutela delle esistenti proprietà (o attività imprenditoriali) di fronte ad opere che ne turbino l'ordinato sviluppo.

Questo concetto di vicinitas, nella contestazione dell'insediamento di grandi strutture commerciali, si specifica identificandosi nella nozione di "stesso bacino d'utenza della concorrente", tale potendo essere ritenuto anche un raggio di azione di decine di chilometri, come nella specie.

Si può pertanto affermare che, quando la programmazione regionale disciplina gli obiettivi di presenza di grandi strutture di vendita limitando grandemente le autorizzazioni commerciali rilasciabili per il legittimo esercizio delle relative attività economiche, la legittimazione e l'interesse all'impugnazione degli atti di approvazione dei progetti sul versante urbanistico ex art. 5 del dpr 447/98 , nonché degli assensi annonari, vadano riconosciuti alla società commerciale non necessariamente proprietaria che abbia dimostrato, attraverso concrete iniziative amministrative, di volersi radicare nello stesso bacino d'utenza della concorrente, anche se a decine di chilometri di distanza, avvalendosi della medesima programmazione insediativa regionale e del medesimo ambito provinciale di azione, anche se essa società ricorrente non ambisce alla medesima struttura di vendita, ma si oppone solo all'insediamento altrui, per la tutela di un bene o di una attività giuridicamente qualificata.

La " vicinitas ", pertanto, per i titolari e proprietari di strutture di vendita, rappresenta un collegamento stabile tra il ricorrente qualificato per l'attività esercitata e la zona interessata dall'intervento assentito e va valutata alla stregua di un giudizio che tenga conto della natura e delle dimensioni dell'opera realizzata, della sua destinazione, delle sue implicazioni urbanistiche ed anche delle conseguenze prodotte dal nuovo insediamento sulla "qualità della vita" di coloro che per residenza, attività lavorativa e simili, sono in durevole rapporto con la zona in cui sorge la nuova opera (Consiglio Stato , sez. V, 28 giugno 2004 , n. 4790).

4. In ordine alla questione, prospettata con gli atti di appello della società W. srl, relativa all'utilizzo della strumento normativo di cui all'art. 5 del DPR 447/1998, il Collegio ritiene di dover rigettare gli appelli e di dover confermare le pronunce di primo grado per le ragioni che seguono.

Il Comune di K. ha adottato una variante a mezzo dello strumento di cui all'art. 5 DPR 447/98 che però non può consentire alla amministrazione comunale di appropriarsi di funzioni del livello territoriale superiore, valutando interessi di natura sovracomunale.

La natura e gli effetti della variante al P.R.G. prevista per la realizzazione di insediamenti produttivi dall'art. 5 del DPR 447/1998, come modificato dal DPR 440/2000, sono identici a quelli della variante urbanistica ordinaria: ambedue sono destinate ad incidere sull'assetto del territorio, dettando una disciplina nuova e diversa da quella in vigore.

L'art. 5 DPR 447/98 disegna un procedimento - alternativo rispetto agli ordinari strumenti di modifica della pianificazione urbanistica - preordinato alla individuazione di aree da destinare ad impianti produttivi mediante variante specifica al piano vigente (in tal senso, C. Stato, IV, 3.3.2006, n.1038).

La differenza riguarda il procedimento e cioè la modalità specifica di inizio del procedimento di variazione dello strumento urbanistico che nell'art. 5 è collegata alla presentazione da parte di un privato di un progetto che ottenga il parere favorevole della conferenza di servizi, mentre ordinariamente la proposta di variazione dello strumento urbanistico è affidata alla iniziativa della Amministrazione comunale (C. Stato, VI, 25.6.2007, n.3593).

La finalità sottesa alla disciplina in materia di insediamento di attività produttive - che è quella di agevolare la concretizzazione delle iniziative economiche presenti in una determinata area - non può però comportare né lo stravolgimento dei principi e delle regole essenziali per una corretta e razionale gestione del territorio comunale, né soprattutto, l'esautoramento dei poteri pianificatori che l'ordinamento urbanistico demanda, in via concorrente, alla autorità regionale.

Pertanto si è affermato che la regione, a fronte di un modello procedimentale per la approvazione della variante che ha natura chiaramente derogatoria per procedura rispetto a quello generale, ben potrebbe intervenire per circoscriverne la portata, adottando misure vincolanti ragionevolmente atte a scongiurare il rischio che l'istituto dell'art. 5 DPR 447/98 finisca per eludere la logica unitaria della pianificazione territoriale (in tal senso, C. Stato, IV, 14.4.2006, n.2170).

Nella specie, in realtà, non si controverte sull'intervento regionale, ma su un esautoramento dei poteri regionali da parte della amministrazione comunale.

Il Collegio ritiene di dover rigettare, in quanto infondati, gli appelli proposti dalla società W., in quanto nella applicazione dello strumento di cui all'art. 5 DPR 447/98 non possono essere violate ed esautorate le competenze di tipo sovracomunale della Regione.

Se il contrasto dell'intervento proposto rispetto agli strumenti urbanistici vigenti costituisce uno dei requisiti previsti per l'avvio della procedura derogatoria contemplata dall'art. 5 DPR 447/98, alla stregua della medesima norma le autorità amministrative titolari della potestà pianificatoria urbanistica (comune ed Ente Regione) conservano, nell'ambito della sede semplificata della conferenza di servizi decisoria il potere, ampiamente discrezionale, di approvare o meno il progetto proposto in variante puntuale allo strumento urbanistico generale vigente.

Ne consegue, con riferimento alla variante adottata nella specie, che la c.d. variante semplificata, introdotta nel panorama ordinamentale dall'art. 5 DPR 447/1998, è istituto da un lato alternativo e dall'altro eccezionale, comportando una consistente deroga al modello ordinario di approvazione di una variazione allo strumento urbanistico, in funzione anticipatoria e sostitutiva delle capacità revisionali delle esigenze di sviluppo del territorio, in attuazione dell'interesse pubblico di assecondare con prontezza insediamenti produttivi. Tale modello in sostanza agisce sul piano delle modalità di esercizio del potere ma non si traduce nell'ampliamento della struttura del potere che rimane pur sempre una proiezione delle competenze proprie.

Ne deriva quindi che la interpretazione applicativa della norma deve essere ristretta a quanto espressamente previsto o ad esso facilmente riconducibile, che non può estendersi a situazioni ulteriori e diverse da quelle contemplate dalla legge.

E' pertanto, come statuito dal primo giudice, illegittimo il ricorso alla variante di cui al citato art. 5 al fine di conseguire la approvazione di un progetto per la realizzazione di un impianto produttivo che esula dalle competenze proprie dell'ente comunale, essendo assoggettato a un tipo di pianificazione che si colloca ad un diverso livello di governo, in quanto non rispettoso dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza stabiliti dall'art. 118 Costituzione.

In definitiva, il principio da affermare è che il progetto di insediamento di un impianto di vendita come quello sopra descritto e voluto da W. riguardando grandi strutture di vendita (GSV) soggette a programmazione quantitativa e localizzativa che esula dalle competenze di un determinato e singolo comune (ma è di altri enti territoriali sovradimensionati), non rientra nell'ambito di applicazione del citato art. 5, considerato che la procedura semplificata riguarda solo le previsioni urbanistiche di singoli comuni e nell'ambito dei territori dei medesimi e non può riguardare la gestione di interessi per definizione sovracomunali (come le GSV della Regione).

5. Con gli atti di appello incidentali le società X., e Y. (ricorsi 9964, e 9967) hanno proposto appello incidentale rispetto alle sentenze impugnate, nella parte in cui vi sarebbe stata una omissione di pronuncia o infrapetizione, per mancata pronuncia sulla asserita illegittimità del diniego opposto nei propri confronti.

Gli appelli incidentali sono infondati.

Come osservato con riguardo alla sussistenza dell'interesse a ricorrere - che sussiste proprio perché, oltre alla vicinitas come sopra spiegata, che si raccorda a specifiche posizioni tutelate, i soggetti concorrenti potrebbero partecipare in futuro alla assegnazione di altre (grandi o medie) strutture di vendita, una volta precluso l'assentimento alla società W. - allo stato gli appellanti incidentali non si trovano, né hanno in tal senso proposto motivi di censura, in una situazione tale da dimostrare la definitiva "spettanza" del provvedimento a favore dell'intervento della struttura di vendita che li riguarda, che potrà, se del caso, emergere a seguito della riedizione della attività amministrativa.

6.Deve dichiararsi la inammissibilità per difetto di interesse dell'appello incidentale proposto dalla società W. srl nella causa di cui al ricorso r.g.n.9967/2005 (appellante incidentale Y. srl), per l'assorbente considerazione che è stato rigettato l'appello incidentale proposto da Y. srl, dalla cui proposizione W. traeva interesse all' (ulteriore) appello incidentale.

Vale inoltre il principio di c.d. consumazione della impugnazione, essendo stato già proposto appello principale dal medesimo soggetto W. srl.

La società W. srl è appellante principale, con conseguente preclusione processuale alla proposizione di (ulteriori) appelli incidentali, non altrimenti qualificati.

7.Con riguardo al ricorso r.g.n.8019/2006, relativo alla sentenza che in primo grado ha annullato gli atti relativi alla approvazione del PUG, occorre in via preliminare affrontare la questione relativa alla completezza del contraddittorio, alla regolarità della evocazione in giudizio della regione Puglia (e in ogni caso della notifica dell'appello) e al rispetto dei termini a difesa.

Parte appellante W. ha provveduto, come emerso dagli atti contenuti nel fascicolo di ufficio, con atto del 5.10.2006 e depositato in data 10.10.2006, a produrre ulteriore ricorso in originale notificato in data 22 settembre 2006.

Il Collegio ritiene di dover prescindere dall'esame delle questioni relative al rispetto dei termini a difesa per la Regione Puglia, alla ordinanza di integrazione del contraddittorio adottata da questa sezione, alla ritualità della evocazione in giudizio della regione Puglia.

Da un lato quest'ultimo ente pubblico si è comunque costituito in giudizio, con conseguente sanatoria, salva la verifica delle preclusioni verificatesi nel frattempo (argomenta ex art. 164, ultimo comma c.p.c.); dall'altro lato, nel merito, come si vedrà, l'appello della società W. è comunque infondato e come tale da rigettare.

8. Con la delibera n. 62/2005, il Consiglio comunale di K. ha approvato in via definitiva il Piano urbanistico generale ai sensi e per gli effetti dell'articolo 11 comma 12 della legge regionale Puglia n. 20 del 2001.

L'iter di approvazione definitiva è passato attraverso la delibera della giunta della Regione Puglia n. 813 del 21.6.2005 che ha attestato la non compatibilità del PUG ai sensi dell'articolo 11 della legge regionale Puglia n. 20 del 2001, rilevando tra l'altro che "per quanto riguarda le nuove zone commerciali, esse appaiono più di natura comprensoriale che comunale e quindi in contrasto con l'indirizzo del D.P.P. (...) la scelta di localizzare in un unico contesto comunale le due uniche grandi strutture di vendita previste per l'intera provincia di Lecce dalla programmazione regionale vigente, peraltro, comporterebbe un evidente squilibrio territoriale e si porrebbe in contrasto con l'obiettivo di ridurre, anche sotto il profilo urbanistico, effetti negativi della localizzazione delle grandi strutture commerciali, obiettivo che è perseguito dal contingentamento previsto per legge" (riportato in stralcio nella delibera di GR 1495/2005, in atti).

È stata indetta quindi la conferenza di servizi di cui ai commi 9, 10 e 11 del citato articolo di legge.

In sede di conferenza di servizi la Regione Puglia ha rilevato che, per la zona D7, il Piano comunale non opera le necessarie ed opportune valutazioni urbanistiche di cui al regolamento regionale n. 4 del 2001, con particolare riguardo all'articolo 10 - norme urbanistiche per la localizzazione degli insediamenti commerciali - "che detta precise disposizioni in ordine alle scelte di pianificazione comunale riferite al settore commerciale (punto 3 dell'articolo 10), che nel caso di specie complessivamente non trovano riscontro negli atti del PUG in parola".

La Provincia di Lecce, nella medesima sede procedimentale della conferenza di servizi indetta, ha dichiarato di non aver potuto effettuare "alcuna verifica di compatibilità con il proprio strumento di pianificazione - piano territoriale di coordinamento provinciale - perché, allo stato, non ancora adottato. Tuttavia, conferma la propria posizione, in più occasioni espressa, sfavorevole all'insediamento di ulteriori grandi strutture commerciali sul territorio provinciale, ritenendo che quelle ad oggi realizzate siano già in numero eccessivo. Si ritiene inoltre non condivisibile la scelta di localizzare un'area di così considerevoli dimensioni in un unico ambito territoriale per le evidenti, connesse problematiche di squilibrio nell'area vasta provinciale".

Il Comune di K., nella medesima sede, ha dichiarato che "tutte le determinazioni relative all'insediamento commerciale delle grandi e medie strutture di vendita sono state assunte in varie sedute dal consiglio comunale con attenta valutazione delle implicazioni economiche, sociali ed urbanistiche, e le stesse fra l'altro hanno già prodotto la variante urbanistica recepita dal PUG".

Ai sensi del comma 11 della legge regionale Puglia n. 20 del 2001, il verbale della conferenza di servizi è stato sottoposto alla Giunta Regionale, la quale, con delibera 1495 del 25.10.2005, ha rilevato che "la conferenza di servizi non è pervenuta ad alcuna conclusione concertata, risultando in atti le differenti posizioni di Regione e Provincia di Lecce, sia pure, con diverse motivazioni, rispetto al Comune di K.".

La Giunta Regionale quindi ha ritenuto di "confermare, per quanto attiene alla zona D7-zona commerciale, le valutazioni (negative, ndr) già espresse con il precedente atto deliberativo n. 813 del 2005, nonché quanto rilevato in sede di conferenza di servizi da parte della Regione e della Provincia di Lecce, stante la carenza di elementi giustificativi da parte del Comune di K.".

Nonostante la conferma del diniego regionale, come si evince dalle premesse della delibera del Consiglio Comunale n. 62/2005, di approvazione definitiva del PUG, "nella seduta consiliare del 16.11.2005, il Comune di K. riteneva di acquisire parere legale pro veritate esterno (con deliberazione di GC n. 479 del 2005 ne è stato incaricato il Prof. Paolo Stella Richter), in ordine alla legittimità dell'approvazione definitiva del piano urbanistico generale nella sua interezza, pur in presenza della valutazioni (negative) espresse dalla Regione Puglia in merito alla zona D7".

Sulla base di tale parere legale, il Comune approvava definitivamente il PUG, ritenendo il controllo di compatibilità esercitato dalla Regione del tutto esorbitante ( e quindi illegittimo) dai propri poteri individuati dalla legge regionale n. 20 del 2001; che comunque la conferenza di servizi era da ritenersi conclusa con esito positivo; che, infine, al deliberato regionale relativo alla zona D7 doveva attribuirsi natura di mera valutazione e/o manifestazione di giudizio, non costituente diniego di compatibilità.

Il giudice di prime cure, su ricorso della società X., ha accolto il ricorso per l'annullamento della approvazione del PUG.

La società W. propone appello affermando la legittimità della attività del Consiglio Comunale di K. nella approvazione dello strumento urbanistico generale.

9.L'appello è infondato per le considerazioni che seguono, riguardanti sia la normativa regionale pugliese, sia i principi generali in materia pianificatoria che gli atti per come effettivamente adottati dai vari enti nella procedura in questione.

L'art. 11 Legge Regionale PUGLIA 27/07/2001 n. 20, rubricato "Formazione del PUG", prevede al comma settimo che "il PUG così adottato viene inviato alla Giunta regionale e alla Giunta provinciale ai fini del controllo di compatibilità rispettivamente con il DRAG e con il PTCP, ove approvati. Qualora il DRAG e/o il PTCP non siano stati ancora approvati, la Regione effettua il controllo di compatibilità rispetto ad altro strumento regionale di pianificazione territoriale ove esistente, ivi inclusi i piani già approvati ai sensi degli articoli da 4 a 8 della legge regionale 31 maggio 1980, n. 56, ovvero agli indirizzi regionali della programmazione socio-economica e territoriale di cui all'articolo 5 del d. lgs. 267/2000".

Il comma 8 prevede che la Giunta regionale e la Giunta provinciale si pronunciano entro il termine perentorio di centocinquanta giorni dalla ricezione del PUG, decorso inutilmente il quale il PUG si intende controllato con esito positivo.

Il comma 9 prevede che qualora la Giunta regionale o la Giunta provinciale deliberino la non compatibilità del PUG rispettivamente o con il PTCP, il Comune promuove, a pena di decadenza delle misure di salvaguardia di cui all'articolo 13, entro il termine perentorio di centottanta giorni dalla data di invio del PUG, una Conferenza di servizi …… In sede di Conferenza di servizi le Amministrazioni partecipanti, nel rispetto del principio di copianificazione, devono indicare specificamente le modifiche necessarie ai fini del controllo positivo.

Il comma 10 prevede che la Conferenza di servizi assume la determinazione di adeguamento del PUG alle modifiche di cui al comma 9 entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data della sua prima convocazione, l'inutile decorso del quale comporta la definitività delle delibere regionale e/o provinciale di cui al comma 9, con contestuale decadenza delle misure di salvaguardia.

Il comma 11 prevede che la determinazione di adeguamento della Conferenza di servizi deve essere recepita dalla Giunta regionale e/o dalla Giunta provinciale entro trenta giorni dalla data di comunicazione della determinazione medesima. L'inutile decorso del termine comporta il controllo positivo da parte della Giunta regionale e/o della Giunta provinciale.

Il comma 12 prevede che il Consiglio comunale approva il PUG in via definitiva in conformità delle deliberazioni della Giunta regionale e/o della Giunta provinciale di compatibilità o di adeguamento di cui al comma 11, ovvero all'esito dell'inutile decorso del termine di cui ai commi 8 e 11.

10.In sede di conferenza di servizi, la Regione in fatto ha ribadito una specifica contrarietà delle previsioni della zona D7 proprio rispetto agli indirizzi di programmazione socio-economica e territoriale di cui all'articolo 5 del d.lgs. n. 267 del 2000.

Per quanto riguarda il parametro rispetto al quale la Regione ha effettuato il suo controllo (negativo) di compatibilità, l'ente regionale si è attenuto agli indirizzi di cui sopra.

Tra gli indirizzi in parola rientrano, in particolare, anche quelli di cui alla legge regionale n. 11 del 2003 (Nuova disciplina del commercio), che all'articolo 12 comma 1 dispone che "I Comuni, entro centottanta giorni dall'emanazione del provvedimento attuativo di cui all'articolo 2 , comma 1, lettera a), individuano le aree idonee all'insediamento di strutture commerciali attraverso i propri strumenti urbanistici, in conformità degli indirizzi generali di cui all'articolo 3 , con particolare riferimento al dimensionamento della funzione commerciale nelle diverse articolazioni previste all'articolo 5" .

L'articolo 3, lettera e), per quanto di specifico interesse, tra gli indirizzi generali cui devono conformarsi i comuni prevede proprio l'equilibrio funzionale e insediativo delle strutture commerciali in rapporto con l'uso del suolo e delle risorse territoriali, in raccordo con le disposizioni della legge regionale 31 maggio 1980, n. 56 in materia di tutela del territorio e della deliberazione della Giunta regionale del 13 novembre 1989, n. 6320 , relativa ai criteri per la formazione degli strumenti urbanistici e per il calcolo del fabbisogno residenziale e produttivo, e della legge regionale 27 luglio 2001, n. 20 (Norme generali di governo e uso del territorio).

La Regione, inoltre, nel riferire il proprio avviso contrario in conferenza, ha fatto altresì riferimento all'articolo 10 del regolamento n. 4 del 2001, attuativo della precedente legge regionale in materia di commercio n. 24 del 1999 (abrogata dall'articolo 28 della legge regionale n. 11 del 2003), che, nel prevedere che gli strumenti urbanistici dei comuni devono conservare un razionale ed equilibrato assetto della rete distributiva, anticipa i contenuti del citato articolo 3 della successiva legge regionale 11/2003.

11.Per inciso, il Collegio osserva che non può rilevare, in senso contrario, come invece sostenuto dalla società W. srl nelle sue difese, la sentenza n. 1922/2007 di questa Sezione sul ricorso r.g.n.8703/2006, di rigetto in appello sul ricorso per l'annullamento del regolamento regionale che, dal punto di vista commerciale e annonario, consentiva una pluralità di grandi strutture di vendita sulla medesima zona.

Vale infatti la considerazione che tale vaglio di legittimità da un lato ero limitata all'aspetto meramente commerciale e dall'altro ero limitata all'unico motivo di censura; in nessun modo era valutata in quella sede la scelta di localizzazione di GSV dal punto di vista urbanistico e/o edilizio, oggetto invece del procedimento pianificatorio contestato

La sentenza di rigetto su menzionata si è limitata alla reiezione dell'unico motivo di censura, consistente nel lamentato eccesso di potere e conseguente richiesta di consulenza tecnica di ufficio per la correttezza dei dati assunti.

In conclusione, è destituita di fondamento la tesi di una illegittimità - per violazione del parametro di riferimento - del diniego del controllo di compatibilità da parte della Regione, in disparte la preliminare considerazione che il diniego andava dovutamente impugnato.

12.Né è sostenibile che, in fatto, la Regione si sia espressa positivamente e non negativamente.

A parte la contraddittorietà delle argomentazioni, perché da un lato il controllo negativo sarebbe illegittimo perchè esorbitante, mentre dall'altro lato il controllo negativo sarebbe invece di tipo positivo o soltanto un mero giudizio, privo di altri effetti giuridici, l'assunto è smentito in fatto.

Dalla lettera dei verbali della conferenza di servizi e dalle delibere della giunta regionale n. 813 del 21.6.2005 e n. 1495 del 25.10.2005, emerge con chiarezza la contrarietà della Regione con riferimento alla zona D7.

Conseguentemente, ogni affermazione del comune circa un presunto esito positivo della conferenza, è sconnessa dalla conclusione effettiva e appare,come rilevato dal primo giudice, decontestualizzata e incoerente, non riferibile al contenuto sostanziale del verbale.

Appare quindi una mera espressione "di stile" la affermazione da parte del comune del controllo positivo regionale, se riferita al solo timbro o visto di compatibilità generale, che fa salva invece la esclusione per la zona D7, per la quale rimane il diniego di controllo.

Nel verbale della conferenza di servizi assumono importanza centrale le dichiarazioni delle parti, mentre il giudizio finale (positivo) sull'esito della conferenza, in quanto tale, non vincola l'interprete, così come non è vincolante il giudizio espresso dal dirigente di settore nella nota di trasmissione della delibera di GR n. 1495 del 2005 (a maggior ragione in quanto quest'ultima delibera conferma le valutazioni, negative, sulla compatibilità, già espresse dalla Regione in conferenza, "stante la carenza di elementi giustificativi da parte del Comune di K.").

La contrarietà espressa, per quanto riguarda la zona D7 che interessa, non può essere smentita dalla espressione formale rappresentata dal timbro finale da parte della Regione.

Né il timbro (che in teoria secondo la tesi di parte appellante, concreterebbe un vaglio positivo), né la espressione finale di giudizio positivo, pur esistente, possono sovvertire le espressioni e i giudizi realmente negativi da parte dell'ente regionale, quali risultano sia dalla lettura completa dei verbali della conferenza di servizi che dalla espressa volontà della Regione, che si esprime sì positivamente, ma con salvezza di quanto rappresentato in senso negativo per la zona D/7.

La conclusione positiva da parte del comune sull'esito della conferenza è quindi completamente in contrasto con l'effettivo esito della medesima e con gli atti effettivamente espressi dall'ente regionale nel corso del procedimento.

L'operato della amministrazione comunale, ad opinione di questo Collegio, è quindi illegittimo né possono condividersi le conclusioni del parere legale pro veritate sulla base delle quali il Consiglio Comunale ha adottato i suoi atti.

La tesi sostenuta dal comune di K., sulla base della quale si fonda anche l'appello della W. srl, è da ritenersi destituita di fondamento sia in fatto che in diritto.

In fatto, non si può condividere la affermazione che la posizione della regione sia stata solo di espressione di un giudizio negativo, che non si concreterebbe in un controllo negativo di compatibilità.

Come si evince dalla ricostruzione degli atti adottati nella fattispecie, la Regione si è espressa (sia in prima che in seconda battuta confermando la propria posizione contraria) in realtà nel senso del diniego di compatibilità, che ai sensi della legge regionale comportava prima la indizione della conferenza di servizi e successivamente una delibera di adeguamento da parte della medesima conferenza (rectius, dai soggetti riuniti in conferenza).

13.Inoltre, non è condivisibile in diritto la affermazione sul ruolo della regione, che in base alla legge regionale quasi degraderebbe rispetto al ruolo del comune, anche se formalmente il comune provvede da solo sia alla adozione che alla approvazione dello strumento urbanistico generale.

E' evidente che il ruolo dell'ente regionale nella approvazione dello strumento urbanistico generale deve corrispondere alla ponderazione e valutazione degli interessi dei diversi livelli di governo.

Allo stesso modo è errata la tesi in base alla quale sarebbe la Regione (e non il comune), che si è espressa nel senso di diniego di compatibilità, ad essere onerata alla reazione giurisdizionale e alla impugnazione degli atti a sé sfavorevoli (come la successiva approvazione da parte dell'organo comunale).

Come si vedrà successivamente, non è questo il senso della legge regionale pugliese sulla pianificazione urbanistica.

In linea generale e astratta, il ruolo della Regione Puglia nella copianificazione urbanistica, ai sensi della l. reg. n. 20 del 2001, non può essere degradato a mero ausilio o apporto istruttorio, ma è di gestione e cura esclusiva degli interessi affidati al proprio livello di governo coinvolti dalla pianificazione territoriale del Comune.

Il principio di sussidiarietà verticale, infatti, non vale a relegare a mero suggerimento non vincolante per l'autorità comunale (di prossimità) una espressa manifestazione di dissenso formulata dalla Regione in riferimento a interessi sovracomunali di dimensione regionale.

Formalmente la legge regionale pugliese in questione attribuisce al comune sia il potere di adozione che di approvazione del PUG. E in tale solo senso può sostenersi che, a causa della approvazione finale di chiusura del procedimento da parte del comune, il piano regolatore generale non ha la solita natura di atto complesso a complessità c.d. ineguale, ma appare come atto di sola imputazione del comune.

Tuttavia, tra la adozione e la approvazione del Piano Regolatore Generale (o PUG) trova collocazione - oltre alla conferenza di servizi - un controllo di compatibilità della Regione, che nella specie si è chiuso in senso negativo.

Conseguentemente, in presenza di ulteriore dissenso regionale e in mancanza di tale adeguamento, l'avere dato corso alla approvazione del PUG da parte del comune rende illegittima la medesima approvazione, come tale esponendola ad annullamento.

Ai fini dell'adozione del piano urbanistico generale, il procedimento di cui all'art. 11 l. reg. Puglia 27 luglio 2001 n. 20, prevede una copianificazione, all'interno della quale si collocano, oltre al comune procedente, anche Provincia e Regione, la cui funzione non può che essere quella della cura degli interessi affidati al proprio livello di governo.

Con riguardo alla cura dei diversi interessi, appartenenti ai diversi livelli di governo territoriale, la espressione «controllo di compatibilità», contenuta nel citato art. 11, indica il ruolo della Regione nella copianificazione, che non può essere di mero ausilio o apporto istruttorio, ma di gestione esclusiva degli interessi sovracomunali di dimensione, appunto, regionale, coinvolti dalla pianificazione territoriale del comune.

Il mancato raggiungimento dell'intesa rende sicuramente illegittimo il piano urbanistico adottato dall'ente locale comunale, non potendo le valutazioni di questo prevalere su quelle regionali.

La competenza si determina sui contenuti e sulla dimensione degli interessi coinvolti.

L'intreccio delle competenze a diverso livello di governo - e il fenomeno della articolazione su più livelli di governo della cura di interessi pubblici differenziati e nei contenuti e nella dimensione territoriale - fa sì che le attribuzioni di ciascuna autorità rispetto al proprio livello di governo si pongano come limite di competenza rispetto alle altre.

Nella ipotesi in cui la composizione degli interessi differenziati non avvenga nella sede propria, la conferenza dei servizi, la tutela dell'interesse sovraordinato rispetto a quello locale avviene sul piano della patologia dell'attività e si concreta nella illegittimità dell'atto finale, nella parte in cui ha dato, all'interesse sovraordinato, una disciplina ritenuta non conforme dalla autorità competente in corrispondenza della struttura e dimensione territoriale di quello specifico interesse.

La disciplina del procedimento porta a ritenere che se la composizione degli interessi non avviene nella sede istituzionale, il conflitto tra le diverse previsioni si traduce in concreto in un effetto obbligatorio verso i comuni, consistente nel dovere di questi ultimi di adeguare il piano regolatore alle osservazioni dell'ente territoriale deputato a valutare l'interesse pubblico sovraordinato.

14. Sulla base delle considerazioni sopra esposte, vanno respinti gli appelli principali relativi ai ricorsi r.g.n.9964/05, 9965/05, 9966/05, 9967/05; vanno respinti gli appelli incidentali proposti dalle società X., e Y. srl nei ricorsi 9964/05 e 9967/05; va dichiarato inammissibile l'appello incidentale proposto da W. nel ricorso 9967/05.

Va rigettato in quanto infondato l'appello relativo al ricorso r.g.n.8019/2006. Ne consegue la conferma integrale delle impugnate sentenze.

A causa della complessità delle questioni trattate, sussistono giustificati motivi per disporre la integrale compensazione delle spese tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, così provvede:

respinge gli appelli principali relativi ai ricorsi r.g.n.9964/05, 9965/05, 9966/05, 9967/05; respinge gli appelli incidentali proposti dalle società X. e Y. srl nei ricorsi 9964/05 e 9967/05; dichiara inammissibile l'appello incidentale proposto da W. nel ricorso 9967/05; respinge l'appello proposto da W. srl relativo al ricorso r.g.n.8019/2006.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del 10 luglio 2007, con l'intervento dei magistrati:

Paolo Salvatore, Presidente

Pier Luigi Lodi, Consigliere

Bruno Mollica, Consigliere

Carlo Deodato, Consigliere

Sergio De Felice, Consigliere, estensore

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

Sergio De Felice Paolo Salvatore

Depositata in Segreteria Il 12/09/2007.


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