"Il fatto che il territorio comunale sia assoggettato a vincoli di carattere paesistico, di per sé non comporta l'assoggettamento di qualsiasi intervento al regime concessorio, ma solo l'inapplicabilità della procedura cosiddetta di denuncia dell’inizio dell'attività, sempre che si dimostri l'esistenza di uno specifico vincolo gravante sull'immobile oggetto dell'intervento (cosa che, tra l'altro, nella specie non risulta dagli atti di causa).
Pertanto, il giudizio sulla assoggettabilità o meno dell'intervento in questione al regime concessorio deve essere condotto alla stregua della natura dell'opera ed in particolare sulla riconducibilità della stessa alla nozione di pertinenza, che l'art. 7 d.l. 23 gennaio 1982 n. 9, convertito in l. 25 marzo 1982 n. 94 assoggetta al regime autorizzatorio. Lo stesso Comune appellante, d'altronde, richiama l'indirizzo della giurisprudenza amministrativa in materia. Indirizzo secondo il quale “ la nozione di pertinenza urbanistica, sottoposta in quanto tale al regime autorizzatorio in luogo di quello concessorio, ha peculiarità proprie che la distinguono da quella civilistica, dal momento che il manufatto deve essere non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di un autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all'edificio principale in modo da evitare il cosiddetto carico urbanistico”. (Consiglio di Stato, sez. VI n. 1174 dell'8.3.2000, sez. V n. 2325 del 18.4.2001 e n. 7822 del 1.3.2003).”
Consiglio di Stato
Sezione V
Decisione 22 ottobre 2007 n. 5515
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Quinta Sezione)
Pres.Carboni Est. Fera
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 5181 del 2002, proposto dal Comune di E., in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Sergio Soria ed Andrea Scognamiglio, domiciliato presso l'avvocato Alfredo Pieretti in Roma, via Fogliano n. 35;
contro
la signora E. N. n.c.;
per la riforma della sentenza del tribunale amministrativo regionale per la Campania, Napoli, sezione quarta, 4 luglio 2001 n. 5238;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della parte appellata;
Esaminate le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti di causa;
Relatore alla pubblica udienza del 17 aprile 2007 il Consigliere Aldo Fera;
Udito l’avv. Soria, come indicato nel verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Oggetto dell’appello è la sentenza specificata in rubrica, con la quale il TAR Campania ha accolto il ricorso proposto dalla signora E. N. e, per l'effetto ha annullato il provvedimento n. 63 del 24 settembre 1998, con il quale il Comune di Ercolano ordinava la demolizione della sopraelevazione di circa mt. 1 di un muro di cinta preesistente in c.a. lungo mt. 20.
Secondo il primo giudice, trattandosi di un manufatto non qualificabile in termini planovolumetrici, "l’opus in oggetto non può ritenersi assurgere al rango della ristrutturazione edilizia e pertanto non andava soggetto alla sanzione demolitoria invece adottata dall’Amministrazione".
Secondo il Comune di Ercolano, la sentenza è errata in quanto non considera:
1. che le opere sanzionate ricadono in territorio sottoposto a vincoli di tutela ambientale ai sensi della legge n. 1497/39, per il quale sono vietate opere che comportino incremento della volumetria (piano territoriale paesistico del Vesuvio), e che richiedano il preventivo rilascio del nulla osta paesaggistico;
2. che non si trattava di opere di ristrutturazione in quanto aggiungevano elementi nuovi e che intervento si sarebbe potuto realizzare solo dopo rilascio dell'autorizzazione di cui all'articolo 7 della legge n. 1497/39, cui il Comune ha correttamente applicato l'articolo 9 della legge n. 47 del 1985.
Conclude quindi chiedendo la riforma della sentenza appellata e, per l'effetto, il rigetto del ricorso di primo grado.
DIRITTO
Oggetto dell’appello è la sentenza di cui all’epigrafe, con la quale il Tar Campania ha annullato l’ordine di demolizione della sopraelevazione di un muro di cinta preesistente, di circa 1 metro di altezza per la lunghezza di 20 metri, con la motivazione che "l’opus in oggetto non può ritenersi assurgere al rango della ristrutturazione edilizia e pertanto non andava soggetto alla sanzione demolitoria invece adottata dall’Amministrazione".
Secondo l’appellante, che si riallaccia ad un "obiter dictum" con il quale il primo giudice richiama ad un ulteriore sostegno della propria tesi l'art. 4 d.l. 5 ottobre 1993 n. 398, convertito in l. 4 dicembre 1993 n. 493, come sostituito dall'art. 2, 60º comma, l. 23 dicembre 1996 n. 662, la sentenza appellata sarebbe errata per una serie di ragioni le quali, comunque, partono a un unico presupposto, cioè che le norme che consentono di procedere a trasformazioni edilizie del territorio con strumenti diversi dalla concessione edilizia (oggi permesso di costruire) sono applicabili solo nel caso in cui l'immobile non sia sottoposto a vincoli di tutela ambientale di cui alla legge n. 1497/39. Va da sé che, nel caso di specie, l'amministrazione sostiene non solo che l'area in questione è vincolata ma che il piano territoriale paesistico consente recinzioni in zona agricola unicamente con paletti di legno e rete metallica.
L'assunto non ha pregio.
Quanto alla prima questione, sta per certo che la norma richiamata (l'art. 4 d.l. 5 ottobre 1993 n. 398), nell'escludere (comma 8) dall'ambito degli interventi subordinati alla denuncia di inizio attività, di cui al precedente comma 7, “gli immobili … assoggettati alle disposizioni di cui alla legge 1° giugno 1939, n. 1089 , alla legge 29 giugno 1939, n. 1497 e 6 dicembre 1991, n. 394, ovvero a disposizioni immediatamente operative dei piani aventi la valenza di cui all'articolo 1-bis del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, o della legge 18 maggio 1989, n. 183, non siano comunque assoggettati dagli strumenti urbanistici a discipline espressamente volte alla tutela delle loro caratteristiche paesaggistiche, ambientali, storico-archeologiche, storico-artistiche, storico-architettoniche e storico-testimoniali", non ha affatto inteso assoggettare al regime della concessione urbanistica (oggi del permesso a costruire) interventi precedentemente assoggettati al regime dell'autorizzazione, ai sensi degli articoli 31 e 48 della legge 5 agosto 1978, n. 457.
Il fatto che il territorio del Comune di E. sia assoggettato a vincoli di carattere paesistico, di per sé non comporta l'assoggettamento di qualsiasi intervento al regime concessorio, ma solo l'inapplicabilità della procedura cosiddetta di denuncia dell’inizio dell'attività, sempre che si dimostri l'esistenza di uno specifico vincolo gravante sull'immobile oggetto dell'intervento (cosa che, tra l'altro, nella specie non risulta dagli atti di causa).
Pertanto, il giudizio sulla assoggettabilità o meno dell'intervento in questione al regime concessorio deve essere condotto alla stregua della natura dell'opera ed in particolare sulla riconducibilità della stessa alla nozione di pertinenza, che l'art. 7 d.l. 23 gennaio 1982 n. 9, convertito in l. 25 marzo 1982 n. 94 assoggetta al regime autorizzatorio. Lo stesso Comune appellante, d'altronde, richiama l'indirizzo della giurisprudenza amministrativa in materia. Indirizzo secondo il quale “ la nozione di pertinenza urbanistica, sottoposta in quanto tale al regime autorizzatorio in luogo di quello concessorio, ha peculiarità proprie che la distinguono da quella civilistica, dal momento che il manufatto deve essere non solo preordinato ad un'oggettiva esigenza dell'edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma deve essere anche sfornito di un autonomo valore di mercato e dotato comunque di un volume modesto rispetto all'edificio principale in modo da evitare il cosiddetto carico urbanistico”. (Consiglio di Stato, sez. VI n. 1174 dell'8.3.2000, sez. V n. 2325 del 18.4.2001 e n. 7822 del 1.3.2003).”
Venendo al caso di specie, quindi, la sopraelevazione del muro di cinta, di circa 1 metro di altezza per la lunghezza di 20 metri, realizzato per sostituire la barriera metallica preesistente e quindi conferire una migliore protezione alla proprietà, senza alterare l’altezza complessiva della recinzione medesima, non solo conferma il già acquisito vincolo pertinenziale ma rappresenta un intervento modesto che non viene ad incidere sul carico urbanistico.
Quanto alla seconda questione, occorre distinguere l'aspetto urbanistico edilizia da quello della tutela paesistica, per cui la sopraelevazione effettuata mediante cemento armato, anziché con paletti di legno e rete metallica, come l'amministrazione afferma essere previsto dal piano territoriale paesistico del Vesuvio, esorbita dalla presente vicenda e potrà, semmai, formare oggetto di esame da parte della competente autorità che potrà adottare i relativi provvedimenti a tutela del vincolo.
L’appello, pertanto, deve essere respinto.
Non essendovi costituzione di controparte, non si deve provvedere sulle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, sezione V, respinge l’appello.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente decisione sia seguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17 aprile 2007 , con l’intervento dei signori:
Raffaele Carboni Presidente
Cesare Lamberti Consigliere
Aldo Fera Consigliere estensore
Claudio Marchitiello Consigliere
Marco Lipari Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 22-10-2007
Nessun commento:
Posta un commento