"E' la quantità di principio attivo o la purezza del narcotico l'elemento determinate per accertare, a parità di peso del compendio, la sussistenza della circostanza dell'ingente quantità."
SEZIONE VI PENALE
Sentenza 26 luglio 2007, n. 30534
(Presidente Oliva – Relatore Agrò)
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza indicata in epigrafe
2. Contro tale decisione ricorre F. L. il quale, in primo luogo, deduce il vizio di motivazione relativamente alla sua identificazione nel soggetto che ebbe ad incontrare i corrieri della droga.
In subordine lamenta il riconoscimento della sussistenza dell'aggravante dell'ingente quantità, riconoscimento fondato sul principio attivo della droga, elemento che non trova riferimenti normativi. D'altronde la stessa aggravante per la stessa partita di droga sarebbe stata esclusa dal Gip nei confronti di Leonardo
3. Ricorre A. G. che lamenta in primo luogo che la pronunzia abbia respinto la sua eccezione di improcedibilità dell'azione penale (eccezione avanzata ai sensi dell'art. 405 comma 1 bis c.p.p.) rifacendosi ad argomenti riguardanti la posizione di Nunzio Panella e altre posizioni e non valutando che, per quanto riguarda il ricorrente, esisteva una sentenza della Cassazione che affermava l'insussistenza degli indizi per il reato associativo.
Con un secondo motivo si duole del vizio di motivazione circa la ritenuta sussistenza di un'associazione per delinquere finalizzata al commercio della droga e circa la partecipazione del ricorrente a tale associazione. La sentenza, nonostante i motivi d'appello relativi al punto, non spiegherebbe perché sia proprio A. G. (e non un suo fratello) l'interlocutore del padre P. e quali criteri siano stati adottati per sovvertire il giudizio di mancanza di elementi già espresso dalla Cassazione.
Con un terzo motivo rileva che la pronunzia avrebbe affermato l'esistenza di un'associazione in assenza degli elementi costitutivi del delitto e in particolare quello del numero dei sodali.
Si duole infine della determinazione della pena e del diniego delle attenuanti generiche.
In primo luogo ha ribadito con ulteriori argomenti l'applicabilità alla specie del comma 1 bis dell'art. 405 c.p.p., per come introdotto dall'art. 3 della legge n. 46 del 2006.
Ha quindi sostenuto l'inutilizzabilità degli atti di indagine anteriori al compimento della maggior età dell'imputato, inutilizzabilità non superata dal fatto che il reato permanente si è perfezionato dopo la maggiore età, in quanto la notitia criminis era stata appresa quando l'imputato era ancora minorenne e in quanto tra Tribunale dei minorenni e Tribunale ordinario vi sarebbe una ripartizione di giurisdizione e non di competenza ai sensi dell'art. 26 comma 1 c.p.p..
Ribadisce nel merito il vizio di motivazione relativo all'identificazione dell'autore del reato e sottolinea come non sia stato nemmeno identificato quale ruolo avrebbe avuto il ricorrente nell'associazione per delinquere, ruolo che, con disparità di trattamento rispetto ai coimputati, sembra essere stato surrogato dal rapporto di parentela col presunto capo. Ripropone poi il problema del numero dei partecipanti all'associazione, con particolare riguardo alla posizione di tal "penna bianca", la cui qualità di sodale non sarebbe stata dimostrata. Si duole infine del diniego delle attenuanti generiche che sarebbe stato motivato per relationem nonostante che in sede di appello la responsabilità del ricorrente fosse stata ridimensionata.
Considerato in diritto
1. Il ricorso del L. è privo di fondamento.
Va infatti rilevato che, stando alla decisione del Tribunale, l'identificazione nel ricorrente del soggetto interlocutore nelle conversazioni intercettate e del soggetto che intervenne nella sosta dei corrieri presso il ristorante X. di Pompei appare dovuta alla diretta conoscenza del timbro di voce e delle fattezze del L. da parte della polizia. In appello, la difesa del ricorrente, sembrando far acquiescenza alle risultanze così accertate, ha allora sostenuto la tesi, confutata nella sentenza impugnata e oggi abbandonata, che il giungere del L. presso il ristorante, certo nella sua storicità, non era però dovuto a ragioni di droga.
Sulla questione che per la prima volta oggi viene avanzata (che cioè gli agenti operanti nel ristorante X. non conoscevano il sembiante fisico del L.) la decisione impugnata non aveva dunque ragione per pronunziarsi. La questione peraltro non è proponibile in questa Sede in quanto da un lato tipica quaestio facti e dall'altro non dedotta nelle fasi di merito.
2. Quanto poi all'aggravante dell'art.
La quale nella specie è stata ragionevolmente ritenuta per un sequestro di kg. 1,953 di cocaina con principio attivo pari al 66%.
Né può dedursi una sorta di disparità di trattamento con riguardo a concorrenti nel reato giudicati in separato processo, dato che preliminarmente si sarebbe dovuto dimostrare che sia corretta la soluzione raggiunta per costoro ed erronea quella adottata per il ricorrente, dimostrazione che invece non è stata nemmeno tentata.
3. Alla reiezione del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
4. Venendo così al ricorso del G., senza addentrarsi in questioni di diritto intertemporale, va subito respinta la censura di violazione dell'art. 405 1 bis c.p.p., per la ragione risolutiva che nella specie
La norma invocata intende creare un raccordo tra la fase cautelare e quella di merito, onde evitare contraddizioni di dicta in ordine alla sussistenza e alla rilevanza degli stessi elementi probatori. Essa perciò, giusta del resto la sua dizione letterale, è applicabile quando
La stessa norma invece non riguarda l'esame della Cassazione sulla sufficienza o sulla tenuta logica dell'argomentazione in materia di indizi, anche se, come nella specie, si sia profilata la necessità di una nuova deliberazione da parte del giudice di merito.
5. Ancora da respingersi è la questione dell'utilizzabilità degli indizi raccolti durante la minore età del ricorrente, dato che, anche a voler condividere le premesse della deduzione (ma nulla impone al p.m., nell'uso discrezionale dei suoi poteri di indagine, di frazionare il reato non figurandoselo come permanente), il rapporto tra giudice dei minori e tribunale ordinario è di separazione funzionale di competenza, nell'ambito del principio di unità della giurisdizione penale, con applicabilità pertanto dell'art. 26 comma 1 c.p.p..
6. Non v'è poi difetto di motivazione in ordine all'identificazione nel ricorrente, dato che il tenore delle conversazioni (dà del papà al padre) ha confermato la sua qualità di interlocutore, ricavata in primo luogo (e a preferenza di fratelli) dal riconoscimento del timbro di voce di A. G. da parte degli operanti.
7. Fondata (e assorbente gli ulteriori motivi) è per contro la censura di violazione di legge circa la ritenuta sussistenza di un'associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, di cui il ricorrente avrebbe fatto parte.
Va rilevato che nella sentenza di primo grado non si poneva questione sulla pluralità soggettiva dell'associazione ipotizzata, essendosi identificati, oltre a P. G. capo del sodalizio, quali componenti dello stesso F. L., S. C. e il ricorrente.
Con la sentenza in esame sia il L. che il C. sono stati assolti dal reato associativo per non aver commesso il fatto, e, onde assicurare l'elemento soggettivo del sodalizio, si è ritenuto farne parte anche un non meglio identificato “penna bianca” o “testa bianca” o “testa calda”, soggetto che appare quale interlocutore in alcune conversazioni intercettate, con il ruolo di fornitore della droga.
La pronunzia in esame, per sostenere la partecipazione di questo individuo all'associazione di P. G. si vale del costante insegnamento di questa Corte secondo cui l'associazione può costituirsi anche tra fornitore abituale e acquirente. Tuttavia, pur nella correttezza dell'impostazione, la medesima decisione assume a torto che tale soggetto fosse un "abituale" fornitore, mostrando invece come costui risultasse coinvolto soltanto in due episodi di spaccio, ravvicinati nel tempo. Insomma dallo stesso testo del provvedimento in esame si ricava che nella specie manca quello stabile raccordo di interessi che, anche e proprio nel citato insegnamento giurisprudenziale, è costitutivo dell'affectio societatis.
In tal modo la figura di “penna bianca”, occasionalmente coinvolta in specifici, singoli affari, non si identifica in un componente del sodalizio. E questo, a sua volta, non raggiunge la consistenza soggettiva richiesta dalla legge per integrare la figura criminosa.
Ne derivano le conseguenze espresse nel dispositivo.
P.Q.M.
1 commento:
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