domenica 30 settembre 2007

Prescrizione, decorso ed impedimenti soggettivi


Cassazione civile , sez. lavoro, sentenza 18.09.2007 n° 19355

Danno – azione risarcitoria – prescrizione – dies a quo – decorso oggettivo – sussistenza – conoscenza effettiva – irrilevanza [art. 2935 c.c.]

Il decorso della prescrizione ha valore oggettivo, perché mira ad assicurare certezza ai rapporti giuridici, con la conseguenza che può verificarsi anche senza che il danneggiato ne abbia cognizione.

Il fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione è solo quella che deriva da cause giuridiche che ostacolino l'esercizio del diritto e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto.(1) (2)


In senso contrario, si potrebbe affermare che la tesi massimata rischia di individuare un vuluns al diritto di difesa, ex art. 24 Cost., perché inibisce al danneggiato di far valere i suoi diritti basati su un’ignoranza incolpevole e non evitabile.

(1) In senso contrario a tale pronuncia, si veda Cassazione lavoro 10441/2007.
(2) In dottrina, sia consentito il rinvio a Viola, La prescrizione dei danni lungolatenti.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Sentenza 18 settembre 2007, n. 19355

(Pres. Sciarelli - est. Celentano)

Svolgimento del processo

Con sentenza non definitiva del 23 maggio 2003 il Tribunale di Torino dichiarava prescritto il diritto di M. M. ad ottenere dalla datrice di lavoro, Michelin Italiana s.p.a., il risarcimento del danno biologico e morale derivante da due patologie (neoplasia vescicale e otite auricolare sinistra) che il lavoratore imputava alle sostanze nocive presenti nell'ambiente di lavoro.

Con sentenza non definitiva dell'11/25 maggio 2004 la Corte di Appello di Torino rigettava l'appello con riferimento alla ricordata eccezione dì prescrizione.

I giudici di secondo grado osservavano che, con riferimento all'azione di risarcimento danni da malattie contratte nell'ambiente di lavoro, l'art. 2935 ce. va interpretato nel senso che la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui la malattia si è manifestata in modo da essere percepita come tale dal danneggiato; la mancata conoscenza dell'eziologia professionale della patologia costituisce un ostacolo di mero fatto, che non influisce sulla decorrenza della prescrizione.

Nella fattispecie in esame la neoplasia era stata diagnosticata nell'ottobre 1988 e l'otite si era manifestata nel 1990, mentre la prima richiesta di risarcimento era stata formulata con lettera del 15 ottobre 2001.

Per la cassazione di tale decisione ricorre, formulando due motivi di censura, M. M..

La Michelin Italiana s.p.a resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 2935 c.c., omesso esame di punti decisivi e carenza di motivazione, la difesa del ricorrente sostiene che, nel particolare settore della tutela della salute del lavoratore, la decorrenza della prescrizione dell'azione risarcitoria nei confronti del datore di lavoro non può essere collegata solo alla manifestazione o esteriorizzazione del danno, come avviene in settori diversi, ma presuppone la conoscibilità della natura professionale della malattia,

Fa derivare tale conclusione dalla esistenza di un dovere di informazione, posto dal legislatore a carico del datore di lavoro, in ordine ai rischi delle lavorazioni (art. 4 del d.P.R. n. 303 del 1956), e dalla necessità di una interpretazione sistematica dell'art. 2935 nel settore delle azioni derivanti da malattie professionali, con la conseguente applicazione di quella giurisprudenza formatasi sull'art. 112 del d.P.R. n. 1124 del 1965, che richiede, appunto, per la decorrenza della prescrizione triennale, che il lavoratore sia stato in grado di conoscere la natura professionale della malattia.

Invoca alcune sentenze di questa Corte (la n. 1716 del 24 marzo 1979, sulla conoscibilità del danno da responsabilità medica, e la n. 4774 del 1997).

2. Con il secondo motivo la difesa del ricorrente deduce che, ove dovesse ritenersi preferibile la soluzione che ricollega la decorrenza della prescrizione di cui all'art. 2935 ce. alla sola manifestazione del danno, andrebbe sottoposta alla Corte Costituzionale la questione della compatibilità di una tale interpretazione con gli artt. 32 e 35 della Costituzione. L'art. 2935 citato sarebbe sospetto di illegittimità costituzionale, secondo il ricorrente, "nella parte in cui consente il decorso della prescrizione dell'azione del risarcimento del danno biologico prima del momento della conoscenza della eziologia professionale nella ipotesi di omessa informativa ex art. 4 D.P.R. 303/1956, in ultimo ribadita e rafforzata dalla legge n. 626/1994"

3. Il ricorso non è fondato.

4. L'art. 2935 del codice civile statuisce che "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere."

Poiché funzione principale della prescrizione è quella di assicurare certezza ai rapporti giuridici, dottrina e giurisprudenza sono concordi nell'affermare che la impossibilità di far valere il diritto, alla quale l'art. 2935 cod. civ. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ostacolino l'esercizio del diritto e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione tra le quali, salvo l'ipotesi di dolo prevista dal n. 8 del citato articolo, non rientra l'ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, né il dubbio soggettivo sulla esistenza di tale diritto ed il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento (cfr., fra le più recenti, Cass., 7 novembre 2005 n. 21495; 28 luglio 2004 n. 14249; 7 maggio 2004 n. 8720; 11 dicembre 2001 n. 15622; 18 settembre 1997 n. 9291).

Ne consegue che può accadere che la prescrizione compia il suo corso senza che l'interessato sappia di essere titolare di un diritto.

5. Con riferimento alla formulazione del primo comma dell'art. 112 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (L'azione per conseguire le prestazioni di cui al presente titolo si prescrive nel termine di tre anni dal giorno dell'infortunio o da quello della manifestazione della malattia professionale") e alle sentenze della Corte Costituzionale n. 116/69 e 544/90, la giurisprudenza della Corte si è decisamente orientata nel senso che la prescrizione dell'azione nei confronti dell’INAIL, per conseguire le prestazione di cui al d.P.R. n. 1124/65, inizia a decorrere dal momento in cui la malattia professionale si sia manifestata con certezza, abbia raggiunto la misura di invalidità indennizzabile e ne sia conoscibile la eziologia professionale (Cass., 1 dicembre 1999 n. 13370; 11 luglio 2001 n. 9388; 11 febbraio 2004 n. 2625; 1 marzo 2004 n. 4151; 18 agosto 2004 n. 16178; 2 febbraio 2005 n. 2002; 26 giugno 2006 n. 14717).

Per quanto concerne la speciale prescrizione di cui al citato art. 112 e le prestazioni previste per le malattie professionali, si è dato quindi rilievo ad un elemento, quale la conoscibilità della eziologia professionale della malattia, che rappresenta qualcosa di più rispetto alla semplice manifestazione della patologia, ma resta pur sempre in un ambito di oggettività per così dire scientifica.

La conoscibilità di cui ci stiamo occupando, infatti, non solo è cosa diversa dalla conoscenza, ma altro non è che la possibilità che un determinato elemento (nella fattispecie la origine professionale di una malattia) sia riconoscibile in base alle conoscenze scientifiche del momento.

Non rileva invece (e non potrebbe rilevare, pena lo sconfinamento nel campo della pura soggettività) il grado di conoscenze e di cultura del soggetto interessato dalla malattia.

Lo stesso ricorrente evidenzia, a pag. 11 del ricorso, i pericoli, ai fini di una corretta decorrenza della prescrizione, di una conoscibilità che varia da soggetto a soggetto, allorquando afferma che il signor M. ebbe a sospettare della natura professionale della malattia "solo a seguito della lettura di un articolo giornalistico che dava conto della pendenza di un procedimento penale avanti il Tribunale di Torino avente ad oggetto numerosi casi di omicidi e lesioni colpose in danno di ex compagni di lavoro del ricorrente, tutti colpiti da neoplasie vescicali e polmonari."

È fin troppo evidente che non si può far decorrere la prescrizione dal momento in cui si sia letto un determinato articolo o un testo medico.

6. Ne consegue che la decorrenza della prescrizione, individuata dai giudici del merito rispettivamente nell'ottobre 1988 e nel 1990, allorquando sono state diagnosticate la neoplasia vescicale e la otite auricolare sinistra, anche se si volesse adottare in sede di interpretazione dell'art. 2935 ce. Un criterio introdotto dalla giurisprudenza con riferimento all'art. 112 del d.P.R. n. 1124 del 1965, avrebbe potuto essere contestata solo deducendosi che in quegli anni (fra il 1988 ed il 1990) le conoscenze scientifiche non consentivano di collegare le malattie citate ad un inquinamento dell'ambiente di lavoro.

Ma tale assunto non viene prospettato dalla difesa M.; sicché va affermata la infondatezza del primo motivo.

7. Le considerazioni fin qui svolte evidenziano la manifesta infondatezza della eccezione di illegittimità costituzionale avanzata in via subordinata.

L'omessa informativa, da parte del datore di lavoro, dei rischi presenti nell'ambiente di lavoro, non costituisce elemento tale da impedire, una volta accaduto un infortunio o contratta e manifestata una malattia professionale, la decorrenza della prescrizione.

Ne consegue che nessuna lesione del diritto alla salute o al lavoro, di cui agli artt. 32 e 35 della Costituzione invocati dalla difesa M., risulta dalla

individuazione della decorrenza della prescrizione come fissata dal legislatore nell'art. 2935 del codice civile.

8.11 ricorso va pertanto rigettato.

La natura della controversia e la delicatezza delle problematiche afirontate giustifica la compensazione per la metà delle spese di giudizio. La restante metà va posta a carico del soccombente.

P.T.M.

La Corte rigetta il ricorso, compensa per la metà le spese di giudizio e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della società resistente, della restante metà di tali spese, che liquida, nell'intero, in € 21,00 per spese ed € 2.000,00 per onorario di avvocato, oltre spese generali, IVA e c.p.a.

lunedì 24 settembre 2007

Vendita o permuta?

Cassazione civile , sez. II, sentenza 16.04.2007 n° 9088

Qualificazione negoziale [Artt. 1346, 1362, 1363 e 1369 c.c.]

Agli effetti della qualificazione del contratto, è necessario pertanto ricostruire gli interessi comuni e personali, che le parti avevano inteso regolare con il negozio, ed accertare se i contraenti avessero voluto cedere un bene in natura contro una somma di denaro, che per ragioni di opportunità avevano parzialmente commutata in un altro bene, ovvero avessero concordato lo scambio tra loro di due beni in natura e fossero ricorsi all'integrazione in denaro soltanto per colmare la differenza di valore tra i beni stessi.




SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

Sentenza 16 aprile 2007, n. 9088

Svolgimento del processo

La S.r.l. X. con atto notificato nel dicembre 1997 convenne S.G., B.P. e l'Istituto Salesiano Giovanni Bosco davanti al Tribunale di Brescia e, esposto che il S. ed il B. - promissari della vendita di un terreno in Brescia della superficie di mq 7283 con sovrastante fabbricato, denominato "Cascina Magnolie", in forza di preliminare stipulato con l'Istituto Salesiano Don Bosco - con contratto del 28 novembre 1996 avevano promesso di far sì che l'Istituto entro il 31 dicembre 1996 cedesse e vendesse l'immobile oggetto del preliminare a essa attrice al prezzo di L. 800.000.000, da corrispondere in parte in denaro ed in parte con permuta di 160 degli 861,5 mq di appartamenti che sarebbero stati ricavati dalla ristrutturazione della cascina, e che i convenuti, nonostante il decorso del termine e l'invito a stipulare il contratto definitivo, non avevano adempiuto all'obbligazione assunta, domandò la pronuncia di una sentenza che producesse, ex art. 2932 c.c., gli effetti traslativi della proprietà degli immobili previsti dalla promessa di vendita dell'Istituto Salesiano Don Bosco al S. ed al B. e dal preliminare stipulato da questi ultimi con la società o, in subordine la risoluzione del preliminare per inadempimento dei convenuti e la loro condanna al risarcimento dei danni.

Resisterono il S. ed il B. ed il Tribunale con sentenza n. 443/2001 respinse le domande della società sul rilievo che l'unico atto sul quale la società aveva fondato le sue pretese, avendo i promittenti nel corso del processo conseguito la proprietà dell'immobile, integrava una semplice minuta, o puntuazione, priva di efficacia contrattuale.

La decisione, gravata dalla società X., venne confermata il 13 giugno 2003 dalla Corte di Brescia il 28 novembre 1996, che rigettò l'impugnazione.

Premesso che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado (e dalle stesse parti), l'atto sottoscritto il 28 novembre 1996 andava qualificato come un preliminare di permuta di cosa presente con la cosa futura - costituita dai mq 160 degli appartamenti contornati di blu nell'allegato C - e conguaglio a carico della società, osservò il giudice di secondo grado che doveva essere rilevata d'ufficio la nullità del contratto per non essere determinato nè determinabile l'oggetto della permuta, in quanto l'allegato C non risultava sottoscritto dagli appellati e le planimetrie che dovevano costituirlo non risultavano neppure contornate di blu, e che la nullità non era esclusa dalla clausola che riconosceva all'acquirente la possibilità di corrispondere l'equivalente monetario degli appartamenti, atteso che il contratto di permuta sarebbe stato snaturato dalla originaria eseguibilità soltanto della obbligazione del pagamento di un prezzo e, in ogni caso, la clausola non evidenziava l'esistenza di una obbligazione alternativa, ma di una facoltà di adempimento alternativo ad una obbligazione semplice.

La società X. è ricorsa con due motivi per la cassazione della sentenza e gli intimati S. e B. hanno resistito con controricorso notificato il 9 dicembre 2003, illustrato da successiva memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, il ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., e l'omessa o insufficiente motivazione, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in punto di interpretazione e qualificazione del contratto intervenuto tra le parti come preliminare di permuta e non come preliminare di compravendita.

La sentenza impugnata, nell'indagare sulla comune volontà delle parti, aveva eluso i criteri ermeneutici di interpretazione del contratto secondo il senso letterale delle parole adoperate e delle singole clausole "le une per mezzo delle altre", non tenendo conto che l'atto era stato titolato "contratto preliminare di compravendita" e che, in coerenza con la titolazione, il suo testo indicava le parti come "venditori" ed "acquirente", l'atto definitivo come "compravendita" ed il "prezzo" (di totali L. 800.000.000) quale corrispettivo del terreno, ricomprendendo tra le modalità del suo pagamento la corresponsione di L. 400.000.000 mediante la permuta di parte degli appartamenti ricavati dalla ristrutturazione della cascina ovvero, a scelta dell'acquirente, mediante corrispondente versamento in denaro.

Aveva poi arbitrariamente affermato che senza la permuta degli alloggi le parti non avrebbero concluso il contratto, costituendo una petizione di principio la deduzione che la permuta costituiva l'unica obbligazione dedotta in quanto rappresentava il 50% dell'operazione, e non aveva considerato che gli appartamenti da trasferire erano stati descritti nel preliminare in relazione al loro estensione e valore commerciale e non alle res di per sè stesse ed i promittenti si erano dichiarati pronti a ricevere in denaro l'intero corrispettivo della cessione dei terreni.

Nell'individuare il concorso tra le due obbligazioni, infine, aveva malamente applicato la disciplina delle obbligazioni facoltative, giacchè la previsione della facoltà di corrispondere in denaro anche l'altra metà del prezzo in una postilla manoscritta in calce al testo dattiloscritto del contratto, evidenziava che la clausola era stata frutto di un preciso accordo e ritenuta rilevante dalle parti ai fini della definizione delle rispettive obbligazioni.

Con il secondo motivo, deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 1346 e 1369 c.c., nonchè dell'art. 1367 c.c., e l'omessa o insufficiente motivazione, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 e 5, in punto di indeterminatezza ed indeterminabilità degli appartamenti oggetto della permuta.

Il riferimento nel contratto alla sola superficie degli immobili da permutare, nonchè al prezzo unitario convenzionale di L. 2.500.000 al mq, e la possibilità, di apportare ad essi le modifiche volute tanto dai promittenti quanto dalla promissaria e quelle rese necessarie dalle limitazioni imposte per il rilascio della concessione edilizia, con proporzionale riduzione del prezzo e scelta di altri appartamenti, chiarivano che i cespiti erano stati individuati dai contraenti per genere e che per i promittenti non era rilevante il trasferimento di specifici immobili.

Pur in assenza di sottoscrizione dell'allegato C e di individuazione in esso con un contorno blu degli immobili da trasferire, il principio della conservazione del contratto imponeva, dunque, di attribuire validità alla determinazione della res debita in quota percentuale delle costruzioni da eseguire sull'area che sarebbe stata trasferita alla promissaria ed il giudice nel dare attuazione del preliminare poteva operare un intervento riequilibrativo delle contrapposte pretazioni per consentire all'atto la realizzazione di effetti sostanzialmente conformi a quelli voluti e previsti dalle parti.

I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono entrambi fondati.

Un contratto traslativo della proprietà, nel quale la controprestazione abbia cumulativamente ad oggetto una cosa in natura ed una somma di denaro, ove venga superata la ravvisabilità di una duplicità di negozi, di cui uno di adempimento mediante datio in solutum, o, in virtù del criterio dell'assorbimento, l'ipotesi di un unico negozio a causa mista, può realizzare tanto la fattispecie di una compravendita con integrazione del prezzo in natura quanto quella di permuta con supplemento in denaro e, in tale ultimo caso, la questione dell'individuazione del negozio in concreto voluto e posto in essere dalle parti non può essere risolta con il mero richiamo all'equivalenza (o anche prevalenza) economica del valore del bene in natura o della somma di denaro che unitamente costituiscono la controprestazione, dovendo invece essere determinata in ragione della prevalenza giuridica dell'una o dell'altra prestazione.

Agli effetti della qualificazione del contratto, è necessario pertanto ricostruire gli interessi comuni e personali, che le parti avevano inteso regolare con il negozio, ed accertare se i contraenti avessero voluto cedere un bene in natura contro una somma di denaro, che per ragioni di opportunità avevano parzialmente commutata in un altro bene, ovvero avessero concordato lo scambio tra loro di due beni in natura e fossero ricorsi all'integrazione in denaro soltanto per colmare la differenza di valore tra i beni stessi.

Di detto accertamento era onerata la sentenza di merito, che, oltre a dovere a tale fine applicare le comuni regole di ermeneutica contrattuale e, in primo luogo, le norme cd. strettamente interpretative, che danno rilievo al senso letterale delle parole adoperate, al comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto, ed al significato delle varie clausole valutate nel loro complesso, aveva anche l'obbligo di consentire, mediante l'esposizione di ragioni idonee, la ricostruzione del percorso logico seguito per giungere ad attribuire all'atto negoziale la qualificazione, tra le altre possibili, di preliminare di permuta con supplemento in denaro. A tale obbligo non ha però adempiuto, giacchè non appare argomento adeguato a sostenere la qualificazione data al contratto la mera e sola constatazione che l'acquirente si era impegnata, da una parte, a permutare 160 mq, valutati L. 400.000.000 "di appartamenti che l'acquirente costruirà ristrutturando la cascina Magnolie ..." e dall'altra, a corrispondere altre L. 400.000.000, da pagare quanto a L. 350.000.000, in due rate mensili, mentre i restanti L. 50.000.000 venivano corrisposti "a titolo di caparra" al momento della sottoscrizione del suddetto atto.

La decisione non esamina, infatti, e non risponde ai rilievi decisivi della ricorrente che nel contratto, titolato "preliminare di compravendita", il corrispettivo del trasferimento del terreno era stato qualificato come prezzo e quantificato in complessive L. 800.000.000, ricomprendendo la permuta di immobili del valore di L. 400.000.000 tra le modalità del suo pagamento, e che la clausola manoscritta in calce al contratto, secondo cui l'acquirente poteva monetizzare i beni da permutare alla data prevista per la loro consegna, lasciava intendere, che la cessione di beni in natura era stata prevista dalle parti per motivi di opportunità del compratore e non per un significativo interesse dei venditori all'acquisto degli immobili.

Circostanza, quest'ultima, che poteva trovare riscontro nella quantificazione della superficie degli appartamenti e nell'indicazione del valore unitario di detta superficie, nella genericità del riferimento alla loro inclusione tra quelli contornati di blu nella planimetria allegata al contratto, nella possibilità di una loro modifica da parte dell'acquirente o dei venditori e nella stessa mancata sottoscrizione dell'allegato C, che, negata dalla sentenza la natura di minuta, o puntuazione, riconosciuta dal giudice di primo grado, non avrebbe potuto essere recuperata quale motivo di nullità del contratto senza una disamina della possibilità di attribuire a tale circostanza, in virtù del principio di conservazione del negozio giuridico sancito dall'articolo 1367 c.c., il valore sintomatico, unitamente alle altre elencate, di una volontà delle parti di ritenere sufficiente ai fini dell'individuabilità della prestazione la ricomprensione degli immobili nel genus limitatum costituito dagli appartamenti che sarebbero stati ricavati dalla ristrutturazione e di rimettere al momento dell'adempimento la concreta individuazione della prestazione, considerata la facoltà di scelta che le parti si erano riservata, quella attribuita al debitore dall'art. 1286 c.c., comma 1, e, eventualmente, l'opzione monetaria riconosciuta all'acquirente.

Alla fondatezza dei motivi di ricorso attinenti al vizio di motivazione in ordine alla qualificazione del contratto ed alla determinabilità del suo oggetto segue la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, anche per le spese del giudizio di legittimità, con assorbimento della questione relativa alla natura alternativa o facoltativa dell'obbligazione del pagamento dell'equivalente in denaro.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2007.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2007.

Intervento edilizio, zona vincolata, ipotesi tassative di sindacabilità per discrezionalità tecnica

Ente locale, determinazioni di compatibilità
Consiglio di Stato , sez. IV, decisione 20.03.2007 n° 3020

Le determinazioni relative alla compatibilità di un intervento edilizio con la disciplina vincolata della zona su cui insistono (e tale deve intendersi l’apprezzamento negativo nella specie censurato) sono state, in particolare, ritenute sindacabili, in quanto espressive di discrezionalità tecnica, nelle sole ipotesi di illogicità manifesta, di deficit motivazionale ovvero di conclamato errore di fatto (Cons. St., sez. IV, 31 gennaio 2005, n.256). errore di fatto. (1)

(1) In tema di discrezionalità tecnica, si veda anche il problema della previsione in un bando di prove preselettive (Consiglio di Stato 3008/2007).



Consiglio di Stato

Sezione IV

Decisione 20 marzo 2007, n. 3020

(Pres. Saltelli, Est. Deodato)

N.3020/2007
Reg. Dec.
N. 5738 Reg. Ric.
Anno 2005

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

Sul ricorso in appello n.5738 del 2005 proposto da X. S.p.A. (già fallimento de “X.”), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Cecinato ed elettivamente domiciliata presso lo studio del dr. Grez in Roma, Lungotevere Flaminio n.46;

CONTRO

Comune di K., in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. P. G. Relleva ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in Roma, Viale Mazzini n.142;

E NEI CONFRONTI DI

Legambiente, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. F. De Giorgio ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. A. Colucci in Roma, Via I. C. Falbo n.22;

PER L’ANNULLAMENTO

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sez.I di Lecce, n. 2380/2005;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di K. e di Legambiente;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 20 marzo 2007 il Consigliere Carlo Deodato ed uditi, altresì, per le parti l’avv. Cecinato, l’avv. Cerceo su delega dell’avv. Relleva e l’avv. Ciociola su delega dell’avv. De Giorgio;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO E DIRITTO

1.- Con la decisione appellata il T.A.R. per la Puglia, sezione di Lecce, respingeva il ricorso proposto dal fallimento de “X.” S.p.A. avverso il provvedimento di diniego (n. 5376 in data 5 aprile 2004) opposto dal Comune di K. ad un’istanza di condono relativa ad un complesso edilizio, con destinazione turistica, realizzato da X. S.p.A. in assenza di concessione edilizia ed in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ed idrogeologico.

Avverso tale decisione proponeva rituale appello il fallimento de “X.” S.p.A., criticando la correttezza delle argomentazioni assunte a sostegno della pronuncia reiettiva gravata, ribadendo la sussistenza dei vizi denunciati a carico del provvedimento impugnato in prima istanza e concludendo per l’annullamento di quest’ultimo e per la condanna del Comune appellato al risarcimento dei danni, in riforma della sentenza appellata.

Resistevano il Comune di K. e Legambiente, contestando la fondatezza delle censure dedotte a sostegno dell’appello, difendendo la legittimità del diniego di condono controverso e concludendo per la reiezione del ricorso e per la conferma della decisione impugnata.

A seguito della chiusura del fallimento, il giudizio veniva proseguito dalla società X., tornata in bonis, che rassegnava le medesime conclusioni già formulate dalla curatela.

Le parti illustravano ulteriormente le loro ragioni mediante il deposito di memorie difensive.

Il ricorso veniva, quindi, trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 20 marzo 2007.

2.- L’appello è infondato, alla stregua delle considerazioni di seguito svolte, e va, conseguentemente, respinto.

3.- Deve premettersi, sotto un profilo strettamente metodologico, che, nei casi in cui il provvedimento impugnato risulti sorretto da più ragioni giustificatrici tra loro autonome, logicamente indipendenti e non contraddittorie, il giudice, qualora ritenga infondate le censure indirizzate verso uno dei motivi assunti a base dell’atto controverso, idoneo, di per sé, a sostenerne ed a comprovarne la legittimità, ha la potestà di respingere il ricorso sulla sola base di tale rilievo, con assorbimento delle censure dedotte avverso altri capi del provvedimento, indipendentemente dall’ordine con cui i motivi sono articolati nel gravame, in quanto la conservazione dell’atto implica la perdita di interesse del ricorrente all’esame delle altre doglianze (cfr. ex multis Cons. St., sez. V, 10 giugno 2005, n.3052).

4.- In coerenza con il metodo di esame appena precisato, occorre, allora, rilevare che l’infondatezza, per come appresso argomentata, del motivo di ricorso inteso a contestare la correttezza del rilievo ostativo pertinente al rischio idrogeologico derivante dalla realizzazione degli interventi in prossimità al fiume Lenne ed in assenza di cautele relative alla tenuta dell’area boschiva vicina al corso d’acqua (sulla quale insiste l’insediamento che si chiedeva di condonare), formalmente e sostanzialmente autonomo, nonché idoneo, da solo, a sorreggere il diniego di condono, esime il Collegio dalla disamina delle censure indirizzate agli altri capi della motivazione di quest’ultimo (per la riscontrata inutilità della loro definizione) e, in particolare, a quello pertinente alle sopravvenute revoche dei pareri favorevoli (al rilascio del titolo) originariamente espressi dallo stesso Comune e dal Soprintendente per i beni ambientali, a artistici e storici per la Puglia.

5.- Come già rilevato, nel penultimo capoverso della parte motiva dell’atto controverso, il Comune di K. ha riscontrato, in coerenza con i rilievi formalizzati dall’Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Puglia, la sussistenza di un pericolo di tenuta idrogeologica del terreno sul quale è stato realizzato il complesso recettivo in questione, giudicato ostativo al rilascio del titolo richiesto dalla società X..

5.1- Quest’ultima censura la correttezza di tale rilievo per un duplice ordine di ragioni: a) l’insussistenza, in capo al Comune, di una potestà valutativa della compatibilità dell’intervento con i vincoli paesaggistico ed idrogeologico, diversa ed ulteriore da quella già formalizzata, in senso favorevole (per effetto degli annullamenti giurisdizionali delle revoche degli assensi già espressi), sia dallo stesso Comune che dalla Soprintendenza; b) l’erroneità e l’infondatezza, nel merito, dell’apprezzamento negativo della sicurezza idrogeologica dell’area.

Entrambi i rilievi si appalesano destituiti di fondamento.

5.2- In ordine al primo, e’ sufficiente rilevare che il Comune, nell’esercizio della funzione, ad esso intestata, relativa al condono di opere edilizie realizzate in assenza di titolo conserva la potestà di apprezzarne la compatibilità con i vincoli gravanti sull’area di riferimento (quale autorità, peraltro, anche istituzionalmente preposta al compimento di tale valutazione) e che la circostanza che gli atti di autotutela di precedenti assensi siano stati successivamente annullati in sede giurisdizionale per vizi meramente formali non priva l’Amministrazione titolare della competenza relativa alla verifica di tutti i presupposti prescritti per la concessione della sanatoria (tra i quali il rispetto dei vincoli assume valenza primaria e prioritaria) del potere di apprezzare, anche autonomamente, la coerenza dell’intervento con le esigenze di tutela paesaggistica ed ambientale imposte dai vincoli gravanti sull’area interessata dall’opera.

5.3- In merito al rilievo relativo alla asserita erroneità della valutazione circa il rischio di insicurezza idrogeologica, si osserva, invece, che l’apprezzamento censurato esprime una tipica potestà tecnico-discrezionale e che lo stesso deve, di conseguenza, intendersi sindacabile negli stretti limiti del controllo giurisdizionale ammesso per quella tipologia di valutazioni.

Le determinazioni relative alla compatibilità di un intervento edilizio con la disciplina vincolata della zona su cui insistono (e tale deve intendersi l’apprezzamento negativo nella specie censurato) sono state, in particolare, ritenute sindacabili, in quanto espressive di discrezionalità tecnica, nelle sole ipotesi di illogicità manifesta, di deficit motivazionale ovvero di conclamato errore di fatto (Cons. St., sez. IV, 31 gennaio 2005, n.256).

Così precisati i confini del sindacato giurisdizionale esercitabile nella fattispecie controversa, si deve, allora, rilevare che, dall’analisi del passaggio motivazionale in questione, non si ricava alcuno degli indici, sopra dettagliati, di uno scorretto esercizio della discrezionalità tecnica.

La valutazione espressa dal Comune circa la sussistenza di un pericolo di tenuta idrogeologica del terreno ove insiste l’insediamento turistico in questione non può, in particolare, ritenersi manifestamente illogica, risultando, al contrario, coerente con le risultanze emerse dall’espletata istruttoria, sprovvista di adeguato sostegno motivazionale, essendo stati espressamente ed analiticamente indicati, nel corpo dell’atto, gli elementi di fatto sulla cui base è stato assunto l’apprezzamento negativo, ovvero inficiata da palesi errori di fatto, non essendo dato di riscontrare una comprovata discordanza tra la reale situazione dei luoghi e quella esaminata dall’amministrazione.

6.- Alle considerazioni che precedono conseguono, in definitiva, la reiezione dell’appello e la conferma della statuizione gravata.

7.- Sussistono, nondimeno, giusti motivi per disporre la compensazione, tra tutte le parti, delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, respinge il ricorso indicato in epigrafe e compensa tra le parti le spese di giudizio;

ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 20 marzo 2007, con l'intervento dei signori:

Carlo Saltelli - Presidente f.f.

Carlo Deodato - Consigliere Estensore

Salvatore Cacace - Consigliere

Sergio De Felice - Consigliere

Eugenio Mele - Consigliere

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE F.F.
Carlo Deodato Carlo Saltelli

IL SEGRETARIO
Giacomo Manzo

giovedì 20 settembre 2007

Formulario, variazione servitù e transazione

Scrittura privata

Variazione di servitù e transazione

Con la presente scrittura privata, da valere ad ogni effetto di legge, redatta in data ____________-fra i sigg.

- ___________, nato a ____il________________, e residente a______________alla Via___________n.______, cof. Fisc._________, Proprietario del fondo dominante sito in _______________distinto al catasto al foglio__part.lla_____;

e

- ___________, nato a ____il________________, e residente a______________alla Via___________n.______, cof. Fisc._________, Proprietario del fondo servente sito in _______________distinto al catasto al foglio__part.lla_____;

Premesso

A) che esiste sul fondo servente di proprietà dei sigg.______sopra costituiti e, precisamente nella particella X del foglio Y, una servitù di passaggio i favore del fondo dominante di proprietà del sig.______sopra costituito;

B) che tra le parti generalizzate esiste pendente una causa avente n. 00/07, incardinata dinanzi al Tribunale di xxxxxxxxxx, Dott. X, avente ad oggetto la richiesta di parte attrice della traslazione della suddetta servitù di passaggio dalla particella x alla particella xxx del fondo servente. Si precisa che il sig.____non è costituito nel predetto giudizio, poiché ha ritenuto, come ancora oggi ritiene sottoscrivendo, di non opporsi allo spostamento della servitù di passaggio in altro luogo del fondo servente; all’uopo il sig. dichiara di rinunciare a qualunque tipo di indennizzo.

C) Che, nella fase istruttoria del predetto procedimento civile, è intervenuta consulenza tecnica d’ufficio a firma geom. _____, il quale ha stabilito la possibilità senza nocumento per alcuno di traslare detta servitù di passaggio dal lato est del fondo servente al lato ovest dello stesso.

Tanto premesso, tutte le parti costituite, valutato ogni vantaggio e disagio,

convengono e stipulano quanto segue

1) le parti, con la sottoscrizione della presente scrittura privata, esprimono irrevocabilmente la volontà di traslare la servitù di passaggio oggi esistente e meglio sopra descritta in altro luogo, sempre insistente sul fondo servente, a cura e spese esclusive dei sigg.___;

2) i proprietari del fondo servente si impegnano a costruire e realizzare una servitù di passaggio nel fondo servente di loro proprietà tale da sfociare nel fondo dominante riportato su particella n. xxx del foglio xx nel punto ove le parti onerate riservano di decidere;

3) la costruendo servitù sarà realizzata per una larghezza di metri 4, con spianamento del suolo, pulizia e battimento dello stesso, comunque in modo tale da conseguire il passaggio ai sigg.___--sopra costituiti, proprietario del fondo dominante;

4) la costituzione e realizzazione di codesta nuova servitù di passaggio sarà posta a solo ed esclusivo carico, per oneri e spese, dei sigg._______________________, i quali dovranno provvedervi entro e non oltre giorni 10 dalla sottoscrizione della presente scrittura privata;

5) i sigg. _____sopra generalizzati, danno atto che esiste altra servitù di passaggio costituita fra i soli sig:::e che percorre, in adiacenza al fondo servente di _____, il fondo del____, dalla particella xx alla particella xx;

6) a proposito di codesta servitù, descritta al punto sub 5 della presente scrittura privata, gli stessi____confermano essere la stessa costituita a vantaggio reciproco di loro stessi con carattere perenne;

7) tutte le parti costituite convengono che della detta servitù costruendo potranno usufruire e trarre vantaggio di passaggio anche gli stessi sig.____, in quanto attuali proprietari o terzi in quanto futuri acquirenti della consistenza di proprietà dei______;

8) il sig.__-, all’avvenuta costruzione della nuova servitù di passaggio da parte dei sig________, rinunceranno definitivamente, come in effetti rinunciano con la sottoscrizione della presente scrittura privata, al passaggio attraverso la servitù oggi esistente sulla part.lla n. xx e xx del foglio xx, con diritto dei sig______di apporre cancello di ingresso privato;

9) i sig_________dichiarano espressamente di rinunciare con la sottoscrizione della presente scrittura privata ad ogni diritto maturato e/o maturando sulla servitù di passaggio oggi esistente;

10) i sig_, pro bono pacis e a totale indennizzo del sig._________, versano al sig_________ la somma somma di €____________ in contanti; costoro_____accettano tale somma, ognuna per la propria parte, per le causali per cui viene versata e quietanzano con la sottoscrizione della della presente scrittura. I sig. _____________-dichiarano all’uopo di essere stati pienamente soddisfatti e di non avere più null’altro a pretendere dai sig._____;

11) Tutte le parti costituite di chiamano di abbandonare il giudizio civile avente RG n. ___incardinato innanzi al Tribunale di _______ Dott._, avente ad oggetto la traslazione dell’attuale servitù di passaggio, con espressa rinuncia agli atti ed a ogni altra azione;

12) Tutte le parti costituite dichiarano che le relative spese, competenze ed onorari di causa sono compensate tra le parti.

13) I sig.___________si impegnano a recarsi presso il Notaio di fiducia nominato dai sig.___________________-per data e l’ora comunicata loro a mezzo di lettera raccomandata a.r. e ciò al fine di provvedere alla registrazione e trascrizione della presente scrittura privata, le cui spese sono poste ad esclusivo carico dei sig__________;

14) I sig______- autorizzano fin da oggi i sig________ad accedere nei propri fondi nelle adiacenze dell’immobile ivi esistente e di proprietà degli stessi _______________, al fine di installare provvisorie impalcature per la ristrutturazione del predetto immobile;

15) I sig.____________ autorizzano inoltre i sig.______________a realizzare nell’adiacenza del muro di confine dell’immobile di loro proprietà con i loro fondi (particella n. 111)) un marciapiedi di cm 40 al fine di preservare il predetto immobile dall’umidità delle infiltrazioni.

16) Le parti accettano dichiarano di accettare le lettere sub A) B) C) ed i nr 1) 2) 3)_______________della presente scrittura privata.

Letto, confermato e sottoscritto.

lì,,________

mercoledì 19 settembre 2007

Giudizio Tar, impugnativa demolizione, improcedibilità per presentazione istanza sanatoria

TAR Toscana, sez. III, sentenza 03.04.2007 n° 550

La presentazione di domanda di sanatoria in pendenza di giudizio sull'ingiunzione di demolizione ed atti eventuali conseguenziali rende tale giudizio improcedibile in quanto l'esito della domanda o è positivo e l'interesse della parte ricorrente è soddisfatto oppure la domanda ha esito negativo ma l'Amministrazione ha l'obbligo di rideterminarsi con una nuova sanzione che sostituisce quella impugnata. In ogni caso quindi l'interesse all'impugnativa viene meno. (1)

(1) In tema di istanza di sanatoria e silenzio assenso, si veda Consiglio di Stato 2120/2007.


T.A.R.

Toscana

Sezione III

Sentenza 3 aprile 2007, n. 550

(Pres. Radesi, Est. Di Nunzio)

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA TOSCANA

- III^SEZIONE-

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 4588/94 proposto da T. D., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Paolo Emilio Falaschi e Duccio Traina ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in Firenze, Via Lamarmora n. 14;

contro

- il COMUNE DI SIENA, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. Mario Borsi ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'Avv. Natale Giallongo in Firenze, Via G. B. Vico n. 22;

per l’annullamento

1) del provvedimento 3 settembre 1994 del Sindaco di Siena, recante diniego di condono edilizio;

2) del parere negativo della Commissione edilizia integrata dell'11 luglio 1994;

3) dell'ordinanza 8 ottobre 1994 del Sindaco di Siena di cessazione dell'attività di officina;

nonchè,

per l’annullamento

dei motivi aggiunti depositati il 3 gennaio 1995 aventi ad oggetto:

1) l'ordinanza n. 249 dell'8 ottobre 1994 con la quale viene ordinato al ricorrente la demolizione, entro 90 (novanta) giorni dalla notifica la demolizione dei manufatti con il ripristino dello stato dei luoghi;

2) l'ordinanza n. 263 del 24 ottobre 1994 con la quale viene ordinato l'immediata cessazione della attività di autofficina svolta da molti anni

dal ricorrente all'interno dei manufatti non condonati in parola;

Visto il ricorso e la relativa documentazione;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Amministrazione intimata;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Udito, alla pubblica udienza del 31 gennaio 2007 - relatore il Consigliere Giuseppe DI NUNZIO -, l'avv. P. Celli delegato da D.M. Traina;

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO E DIRITTO

Il ricorrente ha impugnato i provvedimenti indicati in epigrafe coi quali gli è stata ingiunta la demolizione di alcuni manufatti abusivi previa la reiezione della domanda di condono e, di conseguenza, gli è stata ordinata la cessazione della attività di autofficina ivi svolta.

Con ricorso introduttivo deduce i seguenti motivi:

Motivo primo - Eccesso di potere per genericità, indeterminatezza e contraddittorietà della motivazione - Violazione dell'art. 32 Legge n. 47/1985; dell'art. 7 Legge 1497/1939; degli artt. 17 e 25 R.D. 3/6/1940 n. 1357;

Motivo secondo - Violazione degli artt. 31, 32 e 35 L. n. 47/85. Eccesso di potere per travisamento dei luoghi ed errore di fatto. Mancato utilizzo del potere di dettare prescrizioni per evitare la compromissione del paesaggio. Disparità di trattamento.

Motivo terzo - Illegittimità derivata.

Con atto di motivi aggiunti lamenta inoltre:

Motivo quarto aggiunto per sopravvenuta nuova domanda di sanatoria, sulla base del nuovo condono edilizio di cui al D.L. 27/9/94 n. 551 conseguente ulteriore illegittimità, anche sotto questo profilo, delle già impugnate ordinanze di demolizione e di immediata cessazione dell'attività di autofficina. Necessità ex lege (art. 38 L. 47/1985) di sospensione di qualsivoglia sanzione amministrativa in pendenza della procedura per il nuovo condono edilizio.

Il ricorrente ha depositato una nuova domanda di condono edilizio, n. prot. 49750 del 30-12-94, prevista in base alla normativa sopravvennuta.

E' orientamento consolidato di questo ed altri T.A.R. (TA.R. Toscana, III, 17.2.06 n. 470; Campania, VI, 7.7.05 n. 9395; 1.3.05 n. 1407; 16.12.04 n. 19171; Basilicata, 20.12.04 n. 823; 17.7.02 n. 519; ecc.) che la presentazione di domanda di sanatoria in pendenza di giudizio sull'ingiunzione di demolizione ed atti eventuali conseguenziali rende tale giudizio improcedibile in quanto l'esito della domanda o è positivo e l'interesse della parte ricorrente è soddisfatto oppure la domanda ha esito negativo ma l'Amministrazione ha l'obbligo di rideterminarsi con una nuova sanzione che sostituisce quella impugnata. In ogni caso quindi l'interesse all'impugnativa viene meno.

In definitiva il ricorso deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse.

Le spese di lite possono essere compensate, tenuto conto che la legge non dispone in modo esplicito l'obbligo per l'Amministrazione di rideterminarsi dopo la presentazione di una domanda di condono.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione III^, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo dichiara improcedibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Firenze, il 31 gennaio 2007, dal Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana, in Camera di Consiglio, con l’intervento dei signori:

Avv. Angela RADESI - Presidente

Dott. Giuseppe DI NUNZIO - Consigliere, est.

Dott. Raffaele POTENZA - Consigliere

F.to Angela Radesi

F.to Giuseppe Di Nunzio

F.to Mara Vagnoli Collaboratore di Cancelleria

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 3 APRILE 2007

Firenze, lì 3 aprile 2007

Il Collaboratore di Cancelleria
F.to Mara Vagnoli

martedì 18 settembre 2007

Vendita, garanzie dei consumatori

Decreto Legislativo 2 febbraio 2002, n. 24

"Attuazione della direttiva 1999/44/CE su taluni aspetti della vendita e delle garanzie di consumo"


pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 57 del 8 marzo 2002 - Supplemento Ordinario n. 40



IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 76 e 87 della Costituzione;

Vista la legge 29 dicembre 2000, n. 422 (legge comunitaria 2000), ed in particolare l'articolo 1, commi 1 e 3, e l'allegato B;

Vista la direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo;

Visto l'articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 21 novembre 2001;

Acquisiti i pareri delle competenti commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 1° febbraio 2002;

Sulla proposta dei Ministri per le politiche comunitarie e delle attivita' produttive, di concerto con i Ministri degli affari esteri, della giustizia e dell'economia e delle finanze;

E m a n a
il seguente decreto legislativo:

Art. 1.
Disciplina della vendita dei beni di consumo

1. Dopo il paragrafo 1 della sezione II del capo I del titolo III del libro IV del codice civile e' inserito il seguente paragrafo:
"1-bis. - Della vendita dei beni di consumo.
1519-bis (Ambito di applicazione e definizioni). - Il presente paragrafo disciplina taluni aspetti dei contratti di vendita e delle garanzie concernenti i beni di consumo. A tali fini ai contratti di vendita sono equiparati i contratti di permuta e di somministrazione nonche' quelli di appalto, di opera e tutti gli altri contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre.
Ai fini del presente paragrafo si intende per:
a) consumatore: qualsiasi persona fisica che, nei contratti di cui al comma primo, agisce per scopi estranei all'attivita' imprenditoriale o professionale eventualmente svolta;
b) beni di consumo: qualsiasi bene mobile, anche da assemblare, tranne:
1) i beni oggetto di vendita forzata o comunque venduti secondo altre modalita' dalle autorita' giudiziarie, anche mediante delega ai notai;
2) l'acqua e il gas, quando non confezionati per la vendita in un volume delimitato o in quantita' determinata;
3) l'energia elettrica;
c) venditore: qualsiasi persona fisica o giuridica pubblica o privata che, nell'esercizio della propria attivita' imprenditoriale o professionale, utilizza i contratti di cui al comma primo;
d) produttore: il fabbricante di un bene di consumo, l'importatore del bene di consumo nel territorio della Unione europea o qualsiasi altra persona che si presenta come produttore apponendo sul bene di consumo il suo nome, marchio o altro segno distintivo;
e) garanzia convenzionale ulteriore: qualsiasi impegno di un venditore o di un produttore, assunto nei confronti del consumatore senza costi supplementari, di rimborsare il prezzo pagato, sostituire, riparare, o intervenire altrimenti sul bene di consumo, qualora esso non corrisponda alle condizioni enunciate nella dichiarazione di garanzia o nella relativa pubblicita';
f) riparazione: nel caso di difetto di conformita', il ripristino del bene di consumo per renderlo conforme al contratto di vendita.
Le disposizioni del presente paragrafo si applicano alla vendita di beni di consumo usati, tenuto conto del tempo del pregresso utilizzo, limitatamente ai difetti non derivanti dall'uso normale della cosa.

1519-ter (Conformita' al contratto). - Il venditore ha l'obbligo di consegnare al consumatore beni conformi al contratto di vendita.
Si presume che i beni di consumo siano conformi al contratto se, ove pertinenti, coesistono le seguenti circostanze:
a) sono idonei all'uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo;
b) sono conformi alla descrizione fatta dal venditore e possiedono le qualita' del bene che il venditore ha presentato al consumatore come campione o modello;
c) presentano la qualita' e le prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo, che il consumatore puo' ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura del bene e, se del caso, delle dichiarazioni pubbliche sulle caratteristiche specifiche dei beni fatte al riguardo dal venditore, dal produttore o dal suo agente o rappresentante, in particolare nella pubblicita' o sull'etichettatura;
d) sono altresi' idonei all'uso particolare voluto dal consumatore e che sia stato da questi portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto e che il venditore abbia accettato anche per fatti concludenti.
Non vi e' difetto di conformita' se, al momento della conclusione del contratto, il consumatore era a conoscenza del difetto o non poteva ignorarlo con l'ordinaria diligenza o se il difetto di conformita' deriva da istruzioni o materiali forniti dal consumatore.
Il venditore non e' vincolato dalle dichiarazioni pubbliche di cui al comma secondo, lettera c), quando, in via anche alternativa, dimostra che:
a) non era a conoscenza della dichiarazione e non poteva conoscerla con l'ordinaria diligenza;
b) la dichiarazione e' stata adeguatamente corretta entro il momento della conclusione del contratto in modo da essere conoscibile al consumatore;
c) la decisione di acquistare il bene di consumo non e' stata influenzata dalla dichiarazione.
Il difetto di conformita' che deriva dall'imperfetta installazione del bene di consumo e' equiparato al difetto di conformita' del bene quando l'installazione e' compresa nel contratto di vendita ed e' stata effettuata dal venditore o sotto la sua responsabilita'. Tale equiparazione si applica anche nel caso in cui il prodotto, concepito per essere installato dal consumatore, sia da questo installato in modo non corretto a causa di una carenza delle istruzioni di installazione.

1519-quater (Diritti del consumatore). - Il venditore e' responsabile nei confronti del consumatore per qualsiasi difetto di conformita' esistente al momento della consegna del bene.
In caso di difetto di conformita', il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformita' del bene mediante riparazione o sostituzione, a norma dei commi terzo, quarto, quinto e sesto, ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto, conformemente ai commi settimo, ottavo e nono.
Il consumatore puo' chiedere, a sua scelta, al venditore di riparare il bene o di sostituirlo, senza spese in entrambi i casi, salvo che il rimedio richiesto sia oggettivamente impossibile o eccessivamente oneroso rispetto all'altro.
Ai fini di cui al comma terzo e' da considerare eccessivamente oneroso uno dei due rimedi se impone al venditore spese irragionevoli in confronto all'altro, tenendo conto:
a) del valore che il bene avrebbe se non vi fosse difetto di conformita';
b) dell'entita' del difetto di conformita';
c) dell'eventualita' che il rimedio alternativo possa essere esperito senza notevoli inconvenienti per il consumatore.
Le riparazioni o le sostituzioni devono essere effettuate entro un congruo termine dalla richiesta e non devono arrecare notevoli inconvenienti al consumatore, tenendo conto della natura del bene e dello scopo per il quale il consumatore ha acquistato il bene.
Le spese di cui ai commi secondo e terzo si riferiscono ai costi indispensabili per rendere conformi i beni, in particolare modo con riferimento alle spese effettuate per la spedizione, per la mano d'opera e per i materiali.
Il consumatore puo' richiedere, a sua scelta, una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto ove ricorra una delle seguenti situazioni:
a) la riparazione e la sostituzione sono impossibili o eccessivamente onerose;
b) il venditore non ha provveduto alla riparazione o alla sostituzione del bene entro il termine congruo di cui al comma sesto;
c) la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuata ha arrecato notevoli inconvenienti al consumatore.
Nel determinare l'importo della riduzione o la somma da restituire si tiene conto dell'uso del bene.
Dopo la denuncia del difetto di conformita', il venditore puo' offrire al consumatore qualsiasi altro rimedio disponibile, con i seguenti effetti:
a) qualora il consumatore abbia gia' richiesto uno specifico rimedio, il venditore resta obbligato ad attuarlo, con le necessarie conseguenze in ordine alla decorrenza del termine congruo di cui al comma sesto, salvo accettazione da parte del consumatore del rimedio alternativo proposto;
b) qualora il consumatore non abbia gia' richiesto uno specifico rimedio, il consumatore deve accettare la proposta o respingerla scegliendo un altro rimedio ai sensi del presente articolo.
Un difetto di conformita' di lieve entita' per il quale non e' stato possibile o e' eccessivamente oneroso esperire i rimedi della riparazione o della sostituzione, non da' diritto alla risoluzione del contratto.

1519-quinquies (Diritto di regresso). - Il venditore finale, quando e' responsabile nei confronti del consumatore a causa di un difetto di conformita' imputabile ad un'azione o ad un'omissione del produttore, di un precedente venditore della medesima catena contrattuale distributiva o di qualsiasi altro intermediario, ha diritto di regresso, salvo patto contrario o rinuncia, nei confronti del soggetto o dei soggetti responsabili facenti parte della suddetta catena distributiva.
Il venditore finale che abbia ottemperato ai rimedi esperiti dal consumatore, puo' agire, entro un anno dall'esecuzione della prestazione, in regresso nei confronti del soggetto o dei soggetti responsabili per ottenere la reintegrazione di quanto prestato.

1519-sexies (Termini). - Il venditore e' responsabile, a norma dell'articolo 1519-quater, quando il difetto di conformita' si manifesta entro il termine di due anni dalla consegna del bene.
Il consumatore decade dai diritti previsti dall'articolo 1519-quater, comma secondo, se non denuncia al venditore il difetto di conformita' entro il termine di due mesi dalla data in cui ha scoperto il difetto. La denuncia non e' necessaria se il venditore ha riconosciuto l'esistenza del difetto o l'ha occultato.
Salvo prova contraria, si presume che i difetti di conformita' che si manifestano entro sei mesi dalla consegna del bene esistessero gia' a tale data, a meno che tale ipotesi sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformita'.
L'azione diretta a far valere i difetti non dolosamente occultati dal venditore si prescrive, in ogni caso, nel termine di ventisei mesi dalla consegna del bene; il consumatore, che sia convenuto per l'esecuzione del contratto, puo' tuttavia far valere sempre i diritti di cui all'articolo 1519-quater, comma secondo, purche' il difetto di conformita' sia stato denunciato entro due mesi dalla scoperta e prima della scadenza del termine di cui al periodo precedente.

1519-septies (Garanzia convenzionale). - La garanzia convenzionale vincola chi la offre secondo le modalita' indicate nella dichiarazione di garanzia medesima o nella relativa pubblicita'.
La garanzia deve, a cura di chi la offre, almeno indicare:
a) la specificazione che il consumatore e' titolare dei diritti previsti dal presente paragrafo e che la garanzia medesima lascia impregiudicati tali diritti;
b) in modo chiaro e comprensibile l'oggetto della garanzia e gli elementi essenziali necessari per farla valere, compresi la durata e l'estensione territoriale della garanzia, nonche' il nome o la ditta e il domicilio o la sede di chi la offre.
A richiesta del consumatore, la garanzia deve essere disponibile per iscritto o su altro supporto duraturo a lui accessibile.
La garanzia deve essere redatta in lingua italiana con caratteri non meno evidenti di quelli di eventuali altre lingue.
Una garanzia non rispondente ai requisiti di cui ai commi secondo, terzo e quarto rimane comunque valida e il consumatore puo' continuare ad avvalersene ed esigerne l'applicazione.

1519-octies (Carattere imperativo delle disposizioni). - E' nullo ogni patto, anteriore alla comunicazione al venditore del difetto di conformita', volto ad escludere o limitare, anche in modo indiretto, i diritti riconosciuti dal presente paragrafo. La nullita' puo' essere fatta valere solo dal consumatore e puo' essere rilevata d'ufficio dal giudice.
Nel caso di beni usati, le parti possono limitare la durata della responsabilita' di cui all'articolo 1519-sexies, comma primo, ad un periodo di tempo in ogni caso non inferiore ad un anno.
E' nulla ogni clausola contrattuale che, prevedendo l'applicabilita' al contratto di una legislazione di un paese extracomunitario, abbia l'effetto di privare il consumatore della protezione assicurata dal presente paragrafo, laddove il contratto presenti uno stretto collegamento con il territorio di uno Stato membro dell'Unione europea.

1519-nonies (Tutela in base ad altre disposizioni). - Le disposizioni del presente paragrafo non escludono ne' limitano i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell'ordinamento giuridico".

Art. 2.
Norme transitorie

1. Le disposizioni di cui all'articolo 1 non si applicano alle vendite dei beni e ai contratti equiparati per i quali la consegna al consumatore sia avvenuta anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto.

2. Fino al 30 giugno 2002, le disposizioni di cui all'articolo 1519-septies del codice civile, introdotto dall'articolo 1 del presente decreto, non si applicano ai prodotti immessi sul mercato prima della data di entrata in vigore del presente decreto.

Misura cautelare, non è nullo il provvedimento amministrativo emesso in violazione

Nullità provvedimento, elusione del giudicato, misura cautelare, insussistenza
TAR Liguria, sez. II, sentenza 02.02.2007 n° 158

Nullità provvedimento – elusione del giudicato – misura cautelare – insussistenza [L. 241/1990]

Non sussiste la nullità del provvedimento emesso in violazione del giudicato di una misura cautelare, attestata la natura provvisoria e non definitiva di quest’ultima.

TAR Liguria

Sezione II

Sentenza 2 febbraio 2007, n. 158

N. 00158/2007 REG.SEN.
N. 01053/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1053 del 2005, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
X. S.n.c., rappresentato e difeso dall'avv. Gian Fausto Lucifredi, con domicilio eletto in Genova, via San Lorenzo 21/5;

contro

Comune di K., in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Daniele Granara, con domicilio eletto in Genova, via Bartolomeo Bosco 31/4;
A.s.l. n.3 – Genovese, in persona del legale rappresentante non costituito in giudizio;

nei confronti di

R. M., non costituito in giudizio;

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

dell'ordinanza 16/08/2005 n. 36 del responsabile dell'area del Comune stesso, notificata il 19/08/2000 recante sospensione dell'autorizzazione sanitaria e chiusura temporanea dell'esercizio di ristorazione ricorrente, limitatamente alle preparazioni gastronomiche che richiedono cottura e quindi implicano produzione di fumi e vapori, nonchè ordine di adeguamento ai rilievi sollevati dall'ASL ivi citato (proposta 22/06/2005 prot. 106967 A.S.L. 3 Genovese - Dirigente U.O. Igiene degli alimenti e nutrizione) e di ogni altro atto comunque connesso, presupposto e/o conseguente, nonchè per il risarcimento del danno comunque derivato e derivando dai provvedimenti stessi; nonchè per la nuova ordinanza del 20/07/2006 n. 25 sugli stessi presupposti e con la stessa portata del provvedimento sospeso.

Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di K.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21/12/2006 il dott. Luca Morbelli e uditi per le parti l’avv. G. F. Lucifredi per la ricorrente e l’avv. D. Granara per il Comune di K.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

Con ricorso notificato in data 14 ottobre 2005 al Comune di K. e all’ASL n. 3 Genovese e depositato il successivo 19 ottobre 2005 la società X. s.n.c. impugnava, chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, l'ordinanza 16/08/2005 n. 36 del responsabile dell'area del Comune stesso, recante sospensione dell'autorizzazione sanitaria e chiusura temporanea dell'esercizio di ristorazione ricorrente, limitatamente alle preparazioni gastronomiche che richiedono cottura e quindi implicano produzione di fumi e vapori.

Avverso il provvedimento impugnato venivano dedotti i seguenti motivi:

1) violazione dell’art. 15 della l.283/1962, degli artt. 22 e 25 del d.p.r. 327/1980 dell’art. 8 d.lgs. n. 507/98, in quanto l’amministrazione avrebbe utilizzato la previsioni legislative relative alla igiene degli alimenti per inibire l’emissione nell’aria di fumi provenienti dalla ottura dei cibi;

2) incompetenza, in quanto il provvedimento è stato adottato dal responsabile del servizio commercio privo di competenza in materia;

3) difetto di presupposti, violazione di legge, in quanto nessuna norma impone l’obbligo di un adeguato impianto di depurazione per la cottura dei cibi;

4) eccesso di potere per contraddittorietà con precedenti atti , travisamento dei fatti, falsità dei presupposti, in quanto il provvedimento impugnato si fonda su un accertamento della ASL n. 3 che ha rilevato esclusivamente la mancanza del piano di autocontrollo;

5) violazione della normativa sull’accesso agli atti e partecipazione al procedimento, violazione dei principi generali sul diritto al contraddittorio, in quanto l’accesso agli atti è stato negato adducendo la mancata conclusione del procedimento;

6) eccesso di potere per falsità dei presupposti e travisamento e violazione di legge, in quanto la proposta dell’ASL n. 3 non vincolava il Comune che invece ha inteso ritenere la natura vincolata della stessa.

La ricorrente formulava altresì domanda risacitoria.

Si costituiva in giudizio l’amministrazione comunale.

Con ordinanza 26 ottobre 2005 n. 516 il Collegio, rilevata la non rispondenza della violazione descritta nel provvedimento impugnato alla norma fondante il potere esercitato, accoglieva l’istanza incidentale di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato.

Con successiva ordinanza n. 25 in data 20 luglio 2006 il Comune di K. ordinava alla ricorrente di provvedere alla installazione dell’impianto per la depurazione dei fumi e degli odori derivanti dalla preparazione dei cibi.

L’ordinanza veniva impugnata dalla ricorrente mediante la deduzione di motivi aggiunti con atto notificato in data 26 luglio 2006 e depositato in data 28 luglio 2006.

Con ordinanza 30 agosto 2006 n. 300 veniva accolta l’istanza incidentale di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato.

All’udienza pubblica del 21 dicembre 2006 il ricorso è passato in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è proposto avverso l'ordinanza 16/08/2005 n. 36 del responsabile dell'area del Comune stesso, recante sospensione dell'autorizzazione sanitaria e chiusura temporanea dell'esercizio di ristorazione ricorrente, limitatamente alle preparazioni gastronomiche che richiedono cottura e quindi implicano produzione di fumi e vapori.

Il ricorso è fondato.

A seguito di un esposto di cittadini di K. l’Asl n. 3 Genovese effettuava in data 9 giugno 2005 ispezione presso i locali della ricorrente ad esito della quale l’Ispettore di igiene rimetteva gli atti per la valutazione in ordine alla richiesta di provvedimenti ingiuntivi "ai fini della predisposizione di idonei accorgimenti per far sì che il fumo non risulti nocivo".

In data 15. giugno 2005 sullo stesso verbale di ispezione veniva apposta l’annotazione "vista la relazione del 9.6.05 inviare al Comune di K. proposta di provvedimenti del Sindaco per l’adozione da parte della società ricorrente di piani di autocontrollo ai sensi del d.lgs. 155/97".

Con comunicazione in data 22 giugno 2005 inviata al Comune di K. l’Asl n. 3 proponeva al Sindaco l’adozione di provvedimento ingiuntivo per l’adozione di impianti per la depurazione dei fumi e degli odori provenienti dalla cucina.

Il Comune emetteva a questo punto l’ordinanza impugnata in principalità.

Il ricorso è fondato avuto riguardo alla censura di carenza di potere e di assenza di presupposti dedotta con il primo motivo.

Deve, invero, rilevarsi come anche dal sopralluogo dell’A.s.l. n. 3 in data 9.6.2005 non risultino in alcun modo irregolarità nella preparazione produzione manipolazione e vendita di sostanze alimentari essendo si rilevato soltanto l’emissione di fumi.

In particolare il citato verbale evidenzia che "la cottura degli alimenti viene effettuata mediante un grill alimentato a legna, ampiamente descritto a fascicolo e negli allegati, situato nei pressi del banco bar posizionato sotto il camino collegato a canna fumaria sfociante a tetto. Il tiraggio di tale impianto risulterebbe efficiente in quanto pur essendo acceso al momento della visita i fumi di combustione venivano completamente assorbiti. La legna repeR. nei pressi è di tipo non resinoso, ed asciutta. Nel momento in cui la combustione ha raggiunto un buon regime si è potuto accedere presso l’abitazione di uno dei reclamanti in via della Repubblica 123/4 da dove sono state scattate le foto… L’odore di fumo derivante dalla combustione di legna … effettivamente chiaramente accertibile già quando era meno visibile. In… l’odore diventava più penetrante e visibile …seguito del posizionamento sul grill di alimenti da …. I fumi di disperdevano nell’abitato circostante … camino".

Come è agevole rilevare nessuna irregolarità o infrazione nella produzione o manipolazione degli alimenti sussiste e soprattutto nessun elemento sussiste che consenta di ritenere il pericolo per la salute.

Ne consegue l’inapplicabilità dell’art. 15 della l. 30 aprile 1962 relativa alla disciplina igienica della produzione e vendita delle sostanze alimentari e bevande e delle disposizioni del relativo regolamento attuativo d.p.r. 26.3.1980 n. 327.

L’art. 22 d.p.r. 327/1980 stabilisce:" i provvedimenti di chiusura temporanea o definitiva degli stabilimenti ed esercizi, previsti dall’art. 15 della legge, sono adottati con particolare riguardo allo stato di pericolo per la salute pubblica derivante dalla non igienicità delle operazioni di lavorazione o deposito, ovvero dalla natura o condizione delle sostanze prodotte o poste in vendita."

I due presupposti ai quali la norma subordina l’esercizio del potere sono costituiti dalla non igienicità delle lavorazioni od operazioni ovvero della natura e della condizione delle sostanze prodotte e dal pericolo per la salute pubblica.

Nel caso di specie non sussistono né l’uno né l’altro dei presupposti evidenziati.

L’unico elemento rilevato dalla Asl è costituito dalla presenza di fumo "molesto".

Elemento che non pare sufficiente a sorreggere il provvedimento impugnato.

A tal riguardo è agevole osservare che il principio di legalità e tipicità dei provvedimenti amministrativi non consente all’amministrazione di esercitare il potere al di fuori delle ipotesi previste dalla legge.

Donde la illegittimità del provvedimento impugnato.

Con motivi aggiunti la società ricorrente ha impugnato l’ordinanza 20 luglio 2006 n. 25 con veniva ingiunto alla società ricorrente l’installazione dell’apparecchiatura idonea all’abbattimento dei fumi e degli odori derivanti dalla preparazione dei cibi.

Deve preliminarmente essere disattesa la censura di nullità ai sensi dell’art. 21 septies l. 241/90.

Deve invero rilevarsi come l’ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo prevista dalla norma invocata attiene alle ipotesi di contrasto del provvedimento con un giudicato.

Ne consegue che la norma stessa non vale a disciplinare le ipotesi in cui il provvedimento contrasta con le statuizioni di un ordinanza cautelare ancorché non più soggetta a gravame. Ed invero la intrinseca provvisorietà delle misure cautelari, che possono essere modificate e revocate, non consente di attribuire alle stesse la definitività nella regolazione del rapporto proprie delle sentenze passate in cosa giudicata.

Peraltro il Collegio osserva che, essendo stata emanata anche l’ordinanza 20 luglio 2006 n. 25 sulla base degli stessi presupposti della precedente ordinanza la stessa si appalesa viziata.

Anche tale ordinanza deve essere pertanto essere annullata.

Deve esaminarsi la domanda risarcitoria formulata dalla ricorrente.

Sotto un primo profilo deve escludersi la risarcibilità di danni derivanti dalla diminuzione degli incassi correlativa alla perdita della clientela derivante dalla impossibilità di servire alla stessa cibi cotti atteso, da un lato, la tempestiva sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati e, dall’altro, la assenza di qualsivoglia prova del danno subito.

Sotto altro profilo la ricorrente chiede il risarcimento del danno conseguente al venir meno della possibilità di alienazione dell’esercizio alienazione ormai già concordata.

Anche questa voce di danno non appare suscettibile di risarcimento per difetto di elementi probatori.

Invero la documentazione prodotta dalla ricorrente copia proposta irrevocabile di acquisto in data 8.4.2005, copia assegno prima rata del prezzo e copia raccomandata 27.8.2005 di revoca delle proposta non appaiono sufficienti a ritenere al Collegio integrata la prova del chance della cui lesione si lamenta la ricorrente.

I documenti di cui sopra, infatti, costituiscono scritture private e come tali liberamente valutabili dal giudice.

Le stesse, peraltro, appaiono prive di data certa nonché di qualsivoglia elemento dal quale inferire l’autenticità della sottoscrizione.

L’assegno addirittura è sprovvisto di data.

Né sussiste alcun elemento per ritenere l’autenticità della raccomandata di disdetta.

Né tale dubbio in ordine alla autenticità può essere superato dal Colleigo atteso che la prova testimoniale, l’unica che nella specie potrebbe consentire di giungere alla conferma, da parte del sottoscrittore, della documentazione di cui si discute non è esperibile nella giurisdizione ammnistrativo generale di legittimità.

Ne consegue che in ossequio al principio dell’onere della prova la domanda risarcitoria deve essere respinta. .

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale della Liguria, sezione seconda, definitivamente pronunciando accoglie il ricorso principale in epigrafe e gli accessivi motivi aggiunti e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati.

Respinge la domanda risarcitoria.

Condanna l’amministrazione comunale resistente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in complessivi €. 2000,00 (duemila/00) oltre IVA e CPA come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 21/12/2006 con l'intervento dei signori:

Paolo Peruggia, Presidente FF

Luca Morbelli, Primo Referendario, Estensore

Angelo Vitali, Referendario

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

IL SEGRETARIO

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 02/02/2007.

Ordine di demolizione, accertamento del dolo o colpa, insussistenza


TAR Lazio, sez. II ter, sentenza 21.05.2007 n° 5519

L'ordinanza di demolizione, pur ascrivendosi alla categoria delle misure amministrative di natura sanzionatoria, non è correlata ad un accertamento di dolo o colpa del soggetto cui si imputa la trasgressione. La responsabilità amministrativa per l'esecuzione dell'ordine può coinvolgere anche il proprietario del terreno indipendentemente dalla consapevolezza dell'abuso.

T.A.R.

Lazio

Sezione II ter

Sentenza 21 maggio 2007, n. 5519

N.17537/95 Reg.Ric.
N Reg.Sent.
N. Reg.Sez.
Anno 2007

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO

SEZIONE II ter

composto dai Magistrati:

Michele PERRELLI - PRESIDENTE
Antonio VINCIGUERRA - CONSIGLIERE rel.est.
M.Cristina QUILIGOTTI - CONSIGLIERE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 17537/1995 R.G. proposto da G. Aldo, rappresentato e difeso dagli avv.ti Carlo Arnulfo e Francesca Petullà, ed elettivamente domiciliato in Roma, via Salaria - 314;

contro

Comune di Roma, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Rosalda Rocchi, ed elettivamente domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove - 21;

e nei confronti di

B. S., non costituito in giudizio;

per ottenere

l'annullamento dell'ordinanza dirigenziale 18.10.1995 n. 1389, con la quale la Circoscrizione XI del Comune di Roma ha disposto demolizione di opere edili e riduzione in pristino dei luoghi, con sospensione delle attività edificatorie e previsione dell'acquisto di diritto al patrimonio comunale nel caso di inadempimento entro novanta giorni;

Visto il ricorso con gli atti e documenti allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Amministrazione intimata;

Viste le memorie prodotte dalle parti e gli atti tutti della causa;

Uditi alla pubblica udienza del 21.5.2005, con designazione del Consigliere dott. Antonio Vinciguerra relatore della causa, l’avv. Francesca Pernigotti, delegata dall'avv. Carlo Arnulfo per il ricorrente, e l’avv. Rosalda Rocchi per l’Amministrazione resistente;

Considerato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue

FATTO

Con ordinanza dirigenziale 18.10.1995 n. 1389 la Circoscrizione XI del Comune di Roma ha ingiunto al sig. A. G. la demolizione, previa sospensione delle eventuali attività edificatorie, di opere edilizie abusive in quanto prive di titolo concessorio, realizzate su terreno di sua proprietà.

Il sig. G. impugna il provvedimento e deduce la sua estraneità all'abuso, giacché il terreno è affittato al sig. S. B..

Il Comune di Roma si è costituito in giudizio e ha presentato memoria di controdeduzioni, concludendo con richiesta di reiezione del ricorso.

La causa passa in decisione all'udienza del 21.5.2007.

DIRITTO

L'art. 7 della legge 28.2.1985 n. 47 prevede, nel testo vigente all'epoca dell'accertamento dell'abuso edilizio, la sanzione della demolizione delle opere realizzate senza concessione edificatoria e del ripristino dei luoghi, disposti a mezzo ingiunzione, e l'acquisizione gratuita del bene e dell'area di sedime al patrimonio del Comune (commi 2 e 3) nel caso in cui il responsabile dell'abuso non esegua l'ingiunzione entro novanta giorni.

È quest'ultima disposizione, l'acquisto gratuito dell'area al patrimonio comunale come conseguenza dell'omessa esecuzione dell'ordine demolitorio, a determinare la cointeressenza del proprietario del terreno nell'adempimento all'ingiunzione di demolire l'opera abusiva e ricondurre in pristino l'area. Anch'egli, quindi, risulta destinatario della sanzione (come espressamente previsto, ora, dall'art. 31 del D.P.R. 6.6.2001 n. 380).

Occorre considerare, inoltre, che l'ordinanza di demolizione, pur ascrivendosi alla categoria delle misure amministrative di natura sanzionatoria, non è correlata ad un accertamento di dolo o colpa del soggetto cui si imputa la trasgressione. La responsabilità amministrativa per l'esecuzione dell'ordine, quindi, può coinvolgere anche il proprietario del terreno indipendentemente dalla consapevolezza dell'abuso.

E ciò a prescindere dalla responsabilità civile che possa seguire al pregiudizio subito dal proprietario per la realizzazione dell'opera abusiva e, dunque, per le conseguenze amministrative derivate. Responsabilità che concerne la sfera di rapporti tra il proprietario dell'area e il costruttore.

Da quanto premesso occorre concludere per la reiezione del ricorso.

Sussistono giusti motivi per compensare, tra le parti, le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione II ter, rigetta il ricorso in epigrafe.

Compensa interamente tra le parti le spese e gli onorari di lite.

Ordina che la sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21.5.2007.

Michele Perrelli PRESIDENTE

Antonio Vinciguerra CONSIGLIERE est.

sabato 15 settembre 2007

Iscrizione della causa a ruolo. Termine di decorrenza dalla data di ricezione




E' consolidata la giurisprudenza della S.C., secondo cui va rilevato l'errore della sentenza impugnata, che ha computato il termine di dieci giorni per la costituzione dell'appellante dalla data in cui la medesima aveva provveduto alla consegna del plico per la spedizione a mezzo del servizio postale.


Cassazione civile , sez. I, 21 maggio 2007 , n. 11783



Inizio documento

Fatto

Con sentenza del 26 marzo - 8 maggio 2003 il Tribunale di Verona, in accoglimento della domanda proposta dal Centro sportivo culturale Wu Shing nei confronti di C.K., dichiarava risolto il contratto di affitto di azienda stipulato dalle parti per inadempimento della convenuta, che condannava al pagamento della somma di Euro 9.037,99, con gli interessi legali.
L'appello proposto dalla C. era dichiarato improcedibile dalla Corte di Appello di Venezia con sentenza del 25-31 maggio 2004.
Rilevava in motivazione detta Corte che l'atto di citazione in appello era stato notificato a mezzo del servizio postale, con spedizione avvenuta in data 12 novembre 2003, e che la causa era stata iscritta a ruolo il 24 novembre 2003; dovendo aversi riguardo per il notificante, sulla base del principio di diritto enunciato nella sentenza della Corte Costituzionale 26 novembre 2002 n. 477, alla data di spedizione, e non a quella di effettiva ricezione del plico, la costituzione dell'appellante in detta data era da considerare tardiva.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la C. deducendo due motivi. Ha resistito con controricorso il Centro sportivo culturale Wu Shing.

Diritto
Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 165 c.p.c., art. 347 c.p.c., comma 1, art. 348 c.p.c., comma 1, si deduce che la sentenza impugnata, nell'affermare che il termine per la costituzione dell'appellante decorre dal momento della spedizione dell'atto a mezzo del servizio postale, si è arrogata poteri, in termini di illegittimità costituzionale derivata, spettanti soltanto alla Corte Costituzionale, che con la richiamata sentenza n. 477 del 2002 non ha affatto investito l'art. 165 c.p.c..
Si sostiene altresì l'erroneità della tesi sostenuta, tale da comportare una riduzione del termine di cui all'art. 165 c.p.c., in danno del notificante, in quanto fatto decorrere da un momento nel quale l'iscrizione a ruolo non può essere effettuata, per essere l'atto da depositare ancora nelle mani dell'ufficiale giudiziario.
Il motivo è fondato.
Come è noto, a seguito della sentenza n. 477 del 2002, della successiva sentenza n. 28 del 2004 e delle ordinanze n. 97, 107, 132 e 153 del 2004, n. 154 del 2005 della Corte Costituzionale - che hanno ravvisato quale soluzione costituzionalmente obbligata delle questioni sottoposte allo scrutinio di legittimità quella desumibile dal principio, già in precedenza affermato, della sufficienza del compimento delle sole formalità che non sfuggono alla disponibilità del notificante - opera nell'ordinamento processuale civile il principio, ora assunto come norma generale sulle notificazioni, secondo il quale, qualunque sia la modalità di trasmissione, la notifica di un atto processuale si considera perfezionata in momenti diversi per il richiedente e per il destinatario della notifica, dovendo le garanzie di conoscibilità dell'atto da parte di quest'ultimo contemperarsi con il diverso interesse del primo a non subire le conseguenze negative dell'intempestivo esito del procedimento notificatorio per la frazione sottratta alla sua disponibilità, così che per il notificante la notifica deve intendersi effettuata al solo compimento delle formalità a lui direttamente imposte dalla legge (v. più di recente sul punto Cass. 2007 n. 2261; 2006 n. 22480; 2006 n. 21760; 2006 n. 10216; 2006 n. 2593; 2006 n. 239).
Resta peraltro fermo che in ogni ipotesi in cui la norma preveda che un adempimento debba essere compiuto in uno spazio temporale decorrente dalla avvenuta notificazione, e quindi non vengano in rilievo questioni di decadenza conseguenti al tardivo compimento di attività non riferibili al richiedente la notifica, la predetta distinzione dei momenti di perfezionamento non trova applicazione, dovendo la notificazione considerarsi per entrambe le parti compiuta al tempo della sua effettuazione nei confronti del destinatario, e quindi, nel caso di notifica effettuata a mezzo posta, alla data di ricezione dell'atto, certificata nell'avviso di ricevimento. Ciò vale a dire che l'anticipazione del perfezionamento della notificazione al momento della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario, integrando una tutela per il notificante diligente, in relazione alla esigenza di garantire il suo diritto di difesa ed anche sotto il profilo del principio di ragionevolezza, non ha ragione di operare e non opera - come hanno precisato le Sezioni Unite nell'ordinanza n. 458 del 2005 - con riguardo ai casi in cui il momento di perfezionamento della notifica assume rilevanza (non già ai fini dell'osservanza di un termine A pendente nei confronti del notificante, bensì) per stabilire il dies a quo inerente alla decorrenza di un termine successivo del processo.
Quest'ultimo principio ha trovato reiterata applicazione nella giurisprudenza di questa Suprema Corte con riguardo al deposito in cancelleria del ricorso per cassazione notificato a mezzo del servizio postale, lì dove si è affermato che il termine per detto deposito previsto dall'art. 369 c.p.c., a pena di improcedibilità decorre non già dalla consegna del ricorso per la notifica, ma dal perfezionamento della notifica stessa per il destinatario (v., tra le altre, S.U. 2005 n. 458, cit.; Cass. 2004 n. 18087; 2004 n. 13065;
2004 n. 8642; 2003 n. 11201), nonchè con riferimento all'osservanza dei termini per comparire, ai sensi dell'art. 163 bis c.p.c., ed alla nozione di giorno della notificazione indicato nella stessa norma, da intendere come il giorno in cui si realizza il perfezionamento del procedimento notificatorio nei confronti del destinatario (Cass. 2006 n. 8523).
Tale indirizzo, al quale in questa sede si intende dare continuità, non solo non si pone in termini di contrasto con le richiamate pronunce della Corte Costituzionale - le quali peraltro, come è noto, incidono nel quadro normativo di riferimento limitatamente alla questione esaminata e decisa nel senso della incostituzionalità - ma appare del tutto coerente con il rilievo svolto nella richiamata sentenza n. 28 del 2004 e nella successiva ordinanza n. 153 del 2004, lì dove il Giudice della legittimità delle leggi ha precisato che la scissione soggettiva del momento di perfezionamento della notifica lascia fermo il principio che la produzione degli effetti che alla notificazione stessa sono ricollegati è condizionata al perfezionamento del procedimento notificatorio anche per il destinatario: tale precisazione, svolta con riferimento ai termini e agli adempimenti e comunque alle conseguenze a favore o a carico del destinatario, soccorre certamente anche in relazione a quelli a favore o a carico del notificante, con la conseguenza che ai fini degli altri effetti sostanziali e processuali che l'ordinamento ricollega alla notificazione questa continua a perfezionarsi per il notificante nello stesso momento in cui si perfeziona per il destinatario.
Va d'altro canto considerato che la costituzione dell'appellante deve avvenire, ai sensi dell'art. 347 c.p.c., secondo le forme del procedimento dinanzi al Tribunale, e quindi, secondo il disposto dell'art. 165 c.p.c., mediante deposito in cancelleria della nota di iscrizione a ruolo (la quale deve indicare anche la data di notificazione della citazione, ai sensi dell'art. 71 disp. att. c.p.c.) ed il fascicolo di parte, contenente, tra l'altro, l'originale della citazione. E se pure è vero che secondo la giurisprudenza di questa Corte non sussistono ostacoli normativi a che la costituzione avvenga ancor prima del perfezionamento della notificazione, atteso che il richiamato art. 347 c.p.c., non commina alcuna sanzione per F ipotesi di iscrizione a ruolo e costituzione in giudizio antecedente alla notifica dell'appello, onde detta costituzione, pur integrando un iter irregolare del rapporto processuale, non comporta l'invalidità dell'appello, sempre che l'atto di citazione sia regolarmente notificato (v. sul punto Cass. 1987 n. 6674), è tuttavia altrettanto vero che tale possibilità di anticipata costituzione non incide sulla corretta individuazione del termine legale di costituzione.
Nè può valere ancora in contrario il richiamo alla sentenza della stessa Corte Costituzionale n. 107 del 2004 ed alla successiva ordinanza n. 154 del 2005, che hanno dichiarato la prima inammissibile e la seconda manifestamente infondata, rispettivamente, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 647 c.p.c., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui prevede che l'opposizione a decreto ingiuntivo non possa essere proseguita, in caso di tardiva costituzione in giudizio dell'opponente, anche quando il mancato rispetto del termine derivi da ritardo nella riconsegna dell'originale notificato dell'atto di opposizione da parte dell'ufficiale giudiziario, e la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell'artt. 645 c.p.c., comma 2, artt. 647 e 165 c.p.c., in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui fa decorrere il termine di costituzione dell'opponente a decreto ingiuntivo dalla notificazione dell'opposizione, anzichè dalla restituzione dell'originale o da altro atto cui possa collegarsi la conoscenza dell'inizio del termine, e nella parte in cui non consente che il giudizio di opposizione possa proseguire, qualora la mancata tempestiva costituzione dell'opponente sia dipesa da caso fortuito o forza maggiore. Va al riguardo osservato che nel dichiarare l'inammissibilità e la manifesta infondatezza delle eccezioni di costituzionalità prospettate, entrambe attinenti alla rilevanza del ritardo nella restituzione all'opponente dell'originale dell'atto notificato, e quindi non involgenti direttamente la questione della individuazione del momento di decorrenza del termine legale di costituzione, il giudice della legittimità delle leggi ha richiamato la possibilità di iscrizione a ruolo della causa (con il deposito della ed. velina) fin dal momento della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario, peraltro espressamente prevista, nel caso di notificazione a mezzo posta, dalla L. n. 890 del 1982, art. 5, comma 3, ma ha ancora una volta chiarito che resta ferma, in ogni caso, la decorrenza del termine finale dalla consegna al destinatario.

Iscrizione della causa a ruolo. Termine di decorrenza.






Ai fini della decorrenza del termine per l'iscrizione a ruolo della causa, in quale momento la notificazione si considera perfezionata? Con la consegna all'Ufficiale Giudiziario o con la consegna al destinatario?

Cassazione civile , sez. I, 21 maggio 2007 , n. 11783



Inizio documento

Fatto

Con sentenza del 26 marzo - 8 maggio 2003 il Tribunale di Verona, in accoglimento della domanda proposta dal Centro sportivo culturale Wu Shing nei confronti di C.K., dichiarava risolto il contratto di affitto di azienda stipulato dalle parti per inadempimento della convenuta, che condannava al pagamento della somma di Euro 9.037,99, con gli interessi legali.
L'appello proposto dalla C. era dichiarato improcedibile dalla Corte di Appello di Venezia con sentenza del 25-31 maggio 2004.
Rilevava in motivazione detta Corte che l'atto di citazione in appello era stato notificato a mezzo del servizio postale, con spedizione avvenuta in data 12 novembre 2003, e che la causa era stata iscritta a ruolo il 24 novembre 2003; dovendo aversi riguardo per il notificante, sulla base del principio di diritto enunciato nella sentenza della Corte Costituzionale 26 novembre 2002 n. 477, alla data di spedizione, e non a quella di effettiva ricezione del plico, la costituzione dell'appellante in detta data era da considerare tardiva.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la C. deducendo due motivi. Ha resistito con controricorso il Centro sportivo culturale Wu Shing.

Diritto
Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 165 c.p.c., art. 347 c.p.c., comma 1, art. 348 c.p.c., comma 1, si deduce che la sentenza impugnata, nell'affermare che il termine per la costituzione dell'appellante decorre dal momento della spedizione dell'atto a mezzo del servizio postale, si è arrogata poteri, in termini di illegittimità costituzionale derivata, spettanti soltanto alla Corte Costituzionale, che con la richiamata sentenza n. 477 del 2002 non ha affatto investito l'art. 165 c.p.c..
Si sostiene altresì l'erroneità della tesi sostenuta, tale da comportare una riduzione del termine di cui all'art. 165 c.p.c., in danno del notificante, in quanto fatto decorrere da un momento nel quale l'iscrizione a ruolo non può essere effettuata, per essere l'atto da depositare ancora nelle mani dell'ufficiale giudiziario.
Il motivo è fondato.
Come è noto, a seguito della sentenza n. 477 del 2002, della successiva sentenza n. 28 del 2004 e delle ordinanze n. 97, 107, 132 e 153 del 2004, n. 154 del 2005 della Corte Costituzionale - che hanno ravvisato quale soluzione costituzionalmente obbligata delle questioni sottoposte allo scrutinio di legittimità quella desumibile dal principio, già in precedenza affermato, della sufficienza del compimento delle sole formalità che non sfuggono alla disponibilità del notificante - opera nell'ordinamento processuale civile il principio, ora assunto come norma generale sulle notificazioni, secondo il quale, qualunque sia la modalità di trasmissione, la notifica di un atto processuale si considera perfezionata in momenti diversi per il richiedente e per il destinatario della notifica, dovendo le garanzie di conoscibilità dell'atto da parte di quest'ultimo contemperarsi con il diverso interesse del primo a non subire le conseguenze negative dell'intempestivo esito del procedimento notificatorio per la frazione sottratta alla sua disponibilità, così che per il notificante la notifica deve intendersi effettuata al solo compimento delle formalità a lui direttamente imposte dalla legge (v. più di recente sul punto Cass. 2007 n. 2261; 2006 n. 22480; 2006 n. 21760; 2006 n. 10216; 2006 n. 2593; 2006 n. 239).
Resta peraltro fermo che in ogni ipotesi in cui la norma preveda che un adempimento debba essere compiuto in uno spazio temporale decorrente dalla avvenuta notificazione, e quindi non vengano in rilievo questioni di decadenza conseguenti al tardivo compimento di attività non riferibili al richiedente la notifica, la predetta distinzione dei momenti di perfezionamento non trova applicazione, dovendo la notificazione considerarsi per entrambe le parti compiuta al tempo della sua effettuazione nei confronti del destinatario, e quindi, nel caso di notifica effettuata a mezzo posta, alla data di ricezione dell'atto, certificata nell'avviso di ricevimento. Ciò vale a dire che l'anticipazione del perfezionamento della notificazione al momento della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario, integrando una tutela per il notificante diligente, in relazione alla esigenza di garantire il suo diritto di difesa ed anche sotto il profilo del principio di ragionevolezza, non ha ragione di operare e non opera - come hanno precisato le Sezioni Unite nell'ordinanza n. 458 del 2005 - con riguardo ai casi in cui il momento di perfezionamento della notifica assume rilevanza (non già ai fini dell'osservanza di un termine A pendente nei confronti del notificante, bensì) per stabilire il dies a quo inerente alla decorrenza di un termine successivo del processo.
Quest'ultimo principio ha trovato reiterata applicazione nella giurisprudenza di questa Suprema Corte con riguardo al deposito in cancelleria del ricorso per cassazione notificato a mezzo del servizio postale, lì dove si è affermato che il termine per detto deposito previsto dall'art. 369 c.p.c., a pena di improcedibilità decorre non già dalla consegna del ricorso per la notifica, ma dal perfezionamento della notifica stessa per il destinatario (v., tra le altre, S.U. 2005 n. 458, cit.; Cass. 2004 n. 18087; 2004 n. 13065;
2004 n. 8642; 2003 n. 11201), nonchè con riferimento all'osservanza dei termini per comparire, ai sensi dell'art. 163 bis c.p.c., ed alla nozione di giorno della notificazione indicato nella stessa norma, da intendere come il giorno in cui si realizza il perfezionamento del procedimento notificatorio nei confronti del destinatario (Cass. 2006 n. 8523).
Tale indirizzo, al quale in questa sede si intende dare continuità, non solo non si pone in termini di contrasto con le richiamate pronunce della Corte Costituzionale - le quali peraltro, come è noto, incidono nel quadro normativo di riferimento limitatamente alla questione esaminata e decisa nel senso della incostituzionalità - ma appare del tutto coerente con il rilievo svolto nella richiamata sentenza n. 28 del 2004 e nella successiva ordinanza n. 153 del 2004, lì dove il Giudice della legittimità delle leggi ha precisato che la scissione soggettiva del momento di perfezionamento della notifica lascia fermo il principio che la produzione degli effetti che alla notificazione stessa sono ricollegati è condizionata al perfezionamento del procedimento notificatorio anche per il destinatario: tale precisazione, svolta con riferimento ai termini e agli adempimenti e comunque alle conseguenze a favore o a carico del destinatario, soccorre certamente anche in relazione a quelli a favore o a carico del notificante, con la conseguenza che ai fini degli altri effetti sostanziali e processuali che l'ordinamento ricollega alla notificazione questa continua a perfezionarsi per il notificante nello stesso momento in cui si perfeziona per il destinatario.
Va d'altro canto considerato che la costituzione dell'appellante deve avvenire, ai sensi dell'art. 347 c.p.c., secondo le forme del procedimento dinanzi al Tribunale, e quindi, secondo il disposto dell'art. 165 c.p.c., mediante deposito in cancelleria della nota di iscrizione a ruolo (la quale deve indicare anche la data di notificazione della citazione, ai sensi dell'art. 71 disp. att. c.p.c.) ed il fascicolo di parte, contenente, tra l'altro, l'originale della citazione. E se pure è vero che secondo la giurisprudenza di questa Corte non sussistono ostacoli normativi a che la costituzione avvenga ancor prima del perfezionamento della notificazione, atteso che il richiamato art. 347 c.p.c., non commina alcuna sanzione per F ipotesi di iscrizione a ruolo e costituzione in giudizio antecedente alla notifica dell'appello, onde detta costituzione, pur integrando un iter irregolare del rapporto processuale, non comporta l'invalidità dell'appello, sempre che l'atto di citazione sia regolarmente notificato (v. sul punto Cass. 1987 n. 6674), è tuttavia altrettanto vero che tale possibilità di anticipata costituzione non incide sulla corretta individuazione del termine legale di costituzione.
Nè può valere ancora in contrario il richiamo alla sentenza della stessa Corte Costituzionale n. 107 del 2004 ed alla successiva ordinanza n. 154 del 2005, che hanno dichiarato la prima inammissibile e la seconda manifestamente infondata, rispettivamente, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 647 c.p.c., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui prevede che l'opposizione a decreto ingiuntivo non possa essere proseguita, in caso di tardiva costituzione in giudizio dell'opponente, anche quando il mancato rispetto del termine derivi da ritardo nella riconsegna dell'originale notificato dell'atto di opposizione da parte dell'ufficiale giudiziario, e la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell'artt. 645 c.p.c., comma 2, artt. 647 e 165 c.p.c., in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui fa decorrere il termine di costituzione dell'opponente a decreto ingiuntivo dalla notificazione dell'opposizione, anzichè dalla restituzione dell'originale o da altro atto cui possa collegarsi la conoscenza dell'inizio del termine, e nella parte in cui non consente che il giudizio di opposizione possa proseguire, qualora la mancata tempestiva costituzione dell'opponente sia dipesa da caso fortuito o forza maggiore. Va al riguardo osservato che nel dichiarare l'inammissibilità e la manifesta infondatezza delle eccezioni di costituzionalità prospettate, entrambe attinenti alla rilevanza del ritardo nella restituzione all'opponente dell'originale dell'atto notificato, e quindi non involgenti direttamente la questione della individuazione del momento di decorrenza del termine legale di costituzione, il giudice della legittimità delle leggi ha richiamato la possibilità di iscrizione a ruolo della causa (con il deposito della ed. velina) fin dal momento della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario, peraltro espressamente prevista, nel caso di notificazione a mezzo posta, dalla L. n. 890 del 1982, art. 5, comma 3, ma ha ancora una volta chiarito che resta ferma, in ogni caso, la decorrenza del termine finale dalla consegna al destinatario.
In applicazione dei richiamati principi di diritto va rilevato l'errore della sentenza impugnata, che ha computato il termine di dieci giorni per la costituzione dell'appellante dalla data in cui la medesima aveva provveduto alla consegna del plico per la spedizione a mezzo del servizio postale.
Ritenuto peraltro che la ricezione dell'atto di appello, risultante dall'avviso di ricevimento, avvenne il 13 novembre 2003, e tenuto conto che il 23 novembre 2003 era giorno festivo, la costituzione in giudizio della C. alla data del 24 novembre 2003 deve ritenersi tempestiva.
Il secondo motivo di ricorso resta logicamente assorbito.
La sentenza impugnata va pertanto cassata e la causa rinviata ad altro Giudice, che si designa nella Corte di Appello di Venezia in diversa composizione, che provvederà all'esame dell'atto di impugnazione e pronuncerà anche sulle spese di questo giudizio di cassazione.


P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Venezia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 13 aprile 2007.
Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2007

Ritenuto peraltro che la ricezione dell'atto di appello, risultante dall'avviso di ricevimento, avvenne il 13 novembre 2003, e tenuto conto che il 23 novembre 2003 era giorno festivo, la costituzione in giudizio della C. alla data del 24 novembre 2003 deve ritenersi tempestiva.
Il secondo motivo di ricorso resta logicamente assorbito.
La sentenza impugnata va pertanto cassata e la causa rinviata ad altro Giudice, che si designa nella Corte di Appello di Venezia in diversa composizione, che provvederà all'esame dell'atto di impugnazione e pronuncerà anche sulle spese di questo giudizio di cassazione.


P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Venezia in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 13 aprile 2007.
Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2007

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