lunedì 4 febbraio 2013

Fallimento e Concordato preventivo, rapporto

" Anche la giurisprudenza di questa Corte, formatasi sulla nuova disciplina del concordato, ha inoltre ribadito lo stretto nesso intercorrente fra l'esito negativo dell'istanza di concordato - nelle diverse fasi dell'ammissione e dell'omologazione - e la dichiarazione di fallimento (C. 08/9743), essendo stato segnatamente precisato: che il ricorso contro il decreto del tribunale che neghi l'ingresso alla procedura di concordato preventivo è inammissibile "quando è inscindibilmente connesso.. alla successiva e conseguenziale sentenza dichiarativa di fallimento (anche non contestuale), dovendo in tal caso farsi valere i vizi del decreto mediante l'impugnazione della sentenza" (C. 11/3586, che a sua volta richiama C. 10/8186); che le questioni attinenti al decreto di inammissibilità devono "essere dedotte con la stessa impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, in quanto il predetto rapporto si atteggia come un fenomeno di conseguenzialità (eventuale del fallimento all'esito negativo della prima procedura) e di assorbimento (dei vizi del predetto diniego in motivi di impugnazione della seconda), che determina una mera esigenza di coordinamento tra i due procedimenti" (C. 12/18190, che a sua volta richiama C. 11/3059); che il decreto di annullamento del concordato preventivo non è autonomamente impugnabile mancando il necessario interesse, e ciò in quanto l'eventuale accoglimento dell'impugnazione non potrebbe avere alcuna incidenza sulla validità e l'efficacia della sentenza di fallimento, potendo questa essere revocata soltanto all'esito ed in accoglimento di apposito reclamo (C. 12/2671).
Ed è proprio quest'ultimo profilo che appare di specifico rilievo, atteso che l'indispensabile interesse al ricorso in tema di concordato presuppone inevitabilmente l'esito positivo di quello contro la dichiarazione di fallimento, risultando del tutto inutile in caso contrario l'eventuale accoglimento del primo ricorso, non consentendo tale esito alcuna possibilità di incidenza sugli effetti di una non più contestabile sentenza di fallimento."





SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521
Svolgimento del processo
1. Con ricorso depositato il 7.10.2008 la Idraulica Sud s.a.s.

presentava istanza di ammissione a concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, con la quale assumeva che il presumibile ricavato della vendita avrebbe consentito il soddisfacimento integrale sia dei creditori privilegiati che di quelli chirografari.

In data 29.10.2008 il Tribunale di Cosenza adito dichiarava aperta la procedura di concordato preventivo ed il commissario giudiziale, con la relazione depositata quattro giorni prima dell'adunanza dei creditori fissata per il 19.1.2009, rilevava che il valore dei beni ceduti avrebbe consentito il soddisfacimento integrale dei soli creditori privilegiati, apparendo a suo giudizio verosimile ritenere che i creditori chirografari avrebbero potuto realizzare unicamente una somma pari al 45% circa del credito vantato. All'approvazione della proposta da parte della maggioranza dei creditori faceva poi seguito il giudizio di omologazione, nell'ambito del quale nessun creditore proponeva opposizione, mentre il commissario giudiziale esprimeva parere negativo in ordine alla fattibilità della stessa, sulla base del rilievo che la società debitrice avrebbe sottostimato il passivo e sovrastimato l'attivo, circostanza da cui sarebbe disceso che i creditori chirografari non avrebbero potuto ottenere una somma superiore al 33,56% del loro credito.

Il tribunale quindi, ritenendo fondate le deduzioni del commissario giudiziale e conseguentemente condivisibile la relativa valutazione, rigettava la domanda di omologazione del concordato con decisione che, reclamata dalla debitrice, veniva successivamente confermata dalla Corte di Appello di Catanzaro.

2. In particolare la Corte territoriale, dopo aver preliminarmente affermato che ai sensi della normativa vigente doveva essere riconosciuto al tribunale un potere autonomo di controllo in ordine alla concreta fattibilità del piano, potere da esercitare doverosamente "sia nella fase di ammissione del concordato che in quella successiva di approvazione", osservava poi nel merito che risultavano condivisibili le deduzioni del commissario giudiziale in relazione alla consistenza dell'attivo e del passivo della società debitrice.

Da ciò doveva pertanto desumersi che la proposta sulla quale i creditori avevano prestato il loro consenso non sarebbe stata in realtà concretamente realizzabile e, conseguentemente, che il concordato non poteva essere omologato.

3. Avverso il detto decreto la Idraulica Sud ha proposto ricorso per cassazione affidato a undici motivi, poi ulteriormente illustrati da memoria, cui non hanno resistito gli intimati.

4. Successivamente il Tribunale di Cosenza, a seguito di istanza del Banco di Napoli che assumeva di essere creditore della Idraulica Sud per un importo di Euro 453.139,87, con sentenza del 23.7.2010 dichiarava il fallimento della società (che era stata posta in liquidazione) e del socio accomandatario, avendo ritenuto che il relativo attivo patrimoniale non avrebbe consentito l'integrale soddisfacimento dei creditori sociali.

5. La decisione, reclamata dai falliti, veniva poi confermata dalla Corte di Appello di Catanzaro, che in particolare sui diversi punti sottoposti al suo esame osservava quanto segue.

Innanzitutto la Corte territoriale rilevava preliminarmente che in data 7.10.2008 la Idraulica Sud aveva presentato domanda di concordato preventivo davanti al Tribunale di Cosenza, il cui esito era stato negativo.

Il primo giudice l'aveva infatti respinta con decreto poi confermato dalla Corte di Appello e allo stato non ancora definitivo, poichè impugnato con ricorso per cassazione.

La persistente pendenza del giudizio sopra richiamato aveva dunque indotto il fallito a sostenere che il diniego di omologa della domanda di concordato preventivo, non accompagnato dalla contestuale dichiarazione di fallimento, non avrebbe prodotto effetti esecutivi immediati e tale circostanza, secondo gli appellanti, avrebbe comportato la non proponibilità del ricorso per fallimento prima della definizione del processo relativo al mancato accoglimento della domanda di concordato preventivo.

L'assunto dei falliti, secondo la Corte di Appello, sarebbe stato tuttavia errato, poichè la definizione del procedimento avente ad oggetto l'omologazione del concordato preventivo non sarebbe pregiudiziale rispetto alla definizione del reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento, e ciò alla luce del disposto della L. Fall., art. 180, comma 7, (secondo il quale "il tribunale, se respinge il concordato... dichiara il fallimento del debitore, con separata sentenza emessa contestualmente al decreto"). L'istanza di fallimento presentata dal Banco di Napoli avrebbe poi legittimato l'intervento del tribunale, la cui decisione sarebbe stata conseguente all'accertata sussistenza dei requisiti di cui alla L. Fall., artt. 1 e 5.

Analogamente priva di pregio sarebbe poi stata l'ulteriore censura con la quale gli appellanti avevano sostenuto il difetto di legittimazione del Banco di Napoli, atteso che la contestata qualità di creditore sarebbe risultata dalla documentazione prodotta.

Infine anche la doglianza concernente la pretesa insussistenza dell'insolvenza non sarebbe stata condivisibile, considerato che dagli accertamenti svolti, e segnatamente dall'esito della disposta consulenza tecnica, sarebbe emerso un consistente sbilanciamento tra l'attivo patrimoniale ed il passivo, mentre nessuna riserva sarebbe stata sollevata dalla fallita relativamente ai requisiti dimensionali della società.

6. Avverso la detta sentenza la Idraulica Sud ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui hanno resistito con controricorso gli intimati.

Successivamente all'udienza del 29.11.2011, fissata per la trattazione del ricorso proposto dalla Idraulica Sud s.a.s. contro il decreto con il quale la Corte di Appello di Catanzaro aveva confermato il provvedimento di rigetto della domanda di omologazione del concordato emesso dal Tribunale, questa Corte rilevava l'opportunità di rimettere gli atti al Primo Presidente della Corte, per l'eventuale assegnazione alle sezioni unite. La ragione della proposta di rimessione veniva individuata nel fatto che, tra le diverse censure prospettate dalla Idraulica Sud, quella relativa alla pretesa insindacabilità nel merito della proposta di concordato era stata già sottoposta più di una volta all'attenzione di questa Corte, che le aveva risolte con motivazioni non del tutto coincidenti.

La connessione esistente fra il ricorso sopra richiamato e quello oggetto del presente giudizio, attinente alla dichiarazione di fallimento della medesima società conseguente al rigetto dell'istanza di concordato preventivo, induceva poi a disporre la rimessione degli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite anche di quest'ultimo ricorso, in vista di una eventuale possibile trattazione unitaria delle due impugnazioni.

La controversia veniva quindi decisa all'esito dell'udienza pubblica del 20.11.2012.
Motivi della decisione
7. Con il ricorso n. 5383/11, proposto contro la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro che aveva rigettato il reclamo contro il provvedimento con il quale era stato dichiarato il proprio fallimento, la Idraulica Sud ha innanzitutto sollecitato, in via logicamente pregiudiziale, la riunione del procedimento con quello ugualmente pendente fra le stesse parti davanti a questa Corte (R.G. 25898/09), avente ad oggetto l'impugnazione avverso il decreto di omologa del concordato preventivo.

In proposito va osservato che certamente non è configurabile nella specie una ipotesi di riunione obbligatoria dei procedimenti, che trae il suo presupposto nell'esistenza di una pluralità di impugnazioni contro una stessa sentenza (art. 335 c.p.c.), laddove l'oggetto delle censure dei ricorsi in esame riguarda due provvedimenti del tutto distinti.

Ritiene tuttavia il Collegio che sussistono ugualmente le condizioni per disporre nel senso richiesto, atteso che l'istanza in questione è stata formulata in ragione della pretesa connessione esistente fra i due provvedimenti impugnati e tale presupposto, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, è sufficiente per consentire al giudice - anche in sede di legittimità - di decidere discrezionalmente per la riunione dei procedimenti quando la trattazione separata prospetti l'eventualità di soluzioni contrastanti, ovvero siano ravvisabili ragioni di economia processuale, ovvero siano configurabili profili di unitarietà sostanziale e processuale della controversia (C. 10/18050, C. 08/16405, C. 02/18072, C. 95/9288), ipotesi quest'ultima all'evidenza riscontrabile nel caso in esame.

8. Soffermando quindi l'attenzione sulle doglianze prospettate nei due distinti atti di impugnazione, si osserva che con il primo ricorso (vale a dire quello n. 25898/09) la Idraulica Sud ha rispettivamente denunciato:

1) nullità del provvedimento impugnato, perchè recante la sottoscrizione del solo presidente e non anche dell'estensore;

2) nullità del provvedimento impugnato ex art. 134 c.p.c., comma 2, art. 111 Cost., poichè a suo dire "integralmente ricalcato su quello del Tribunale Cagliari 20 marzo 2009", pertanto sorretto da motivazione soltanto apparente, risultante in quanto tale "inidonea a consentire quell'indispensabile controllo delle ragioni che stanno a base della decisione";

3) violazione degli artt. 70 n. 5, 158, 161 e 354 c.p.c., L. Fall., artt. 132, 180 e 183, per la mancata partecipazione al giudizio del Procuratore Generale;

4) violazione della L. Fall., art. 160, artt. 2214, 2217 e 2302 c.c., L. Fall., artt. 28, 169 e 55, art. 172, comma 1, art. 175, comma 1, nonchè vizio di motivazione, sotto i seguenti aspetti: a) la Corte di Appello non avrebbe debitamente considerato che nella specie era stato proposto un concordato con cessione dei beni, rispetto al quale non vi sarebbe obbligo da parte del debitore di garantire una soddisfazione minima o una percentuale di pagamento; b) il commissario giudiziale aveva sostanzialmente espresso un giudizio negativo in ordine alla realizzabilità della proposta concordataria nei termini indicati, avendo ritenuto che nel concreto il soddisfacimento dei creditori sarebbe stato inferiore alla misura percentuale prospettata. Indipendentemente dalla minore o maggiore fondatezza del rilievo questo sarebbe stato tuttavia comunque ininfluente, atteso che al riguardo non era stata sollevata alcuna contestazione da parte del ceto creditorio neppure nel giudizio di omologazione, nel quale per l'appunto non era intervenuta alcuna costituzione in opposizione; c) erroneamente il tribunale avrebbe contrastato il giudizio di fattibilità del concordato, e ciò sotto un duplice aspetto, vale a dire: 1) perchè a torto aveva identificato il parametro valutativo utilizzabile a tal fine nella coincidenza della percentuale di soddisfacimento ricavabile dalla cessione dei beni con quella originariamente prospettata; 2) perchè non aveva disposto alcuna indagine a sostegno della decisione adottata sul punto; d) alla relazione del professionista allegata alla proposta (che segnatamente avrebbe attestato la sua fattibilità) avrebbe dovuto essere attribuita piena efficacia probatoria relativamente a quanto ivi indicato ove, come nel caso in esame, non specificamente contestata; e) il commissario giudiziale avrebbe errato nella stima sia del passivo (irragionevolmente aumentato) che dell'attivo (a torto ridimensionato), con ciò dando luogo alla formulazione di giudizi non sorrettì da adeguata motivazione, ed inoltre i commissario giudiziale avrebbe operato violando il principio del contraddittorio per effetto della mancata interlocuzione preventiva con esso proponente e per non essersi costituito nel giudizio di omologazione;

5) violazione della L. Fall., art. 172, e vizio di motivazione, per la contraddizione rilevabile fra la prima relazione del commissario giudiziale ed il suo parere motivato, nonchè per la sua costituzione in sede di impugnazione (mentre, come detto, era rimasto contumace nel giudizio di omologa), laddove aveva spiegato anche domande giudiziarie, e ciò in contrasto con il ruolo di parte formale che gli riconoscerebbe la giurisprudenza di questa Corte;

6) violazione dell'art. 167 c.p.c., e vizio di motivazione poichè, per effetto dell'omessa contestazione da parte del commissario giudiziale e dei creditori in ordine alla domanda formulata dal debitore nel giudizio di omologazione, il giudice del merito avrebbe dovuto astenersi da ogni controllo probatorio al riguardo e ritenere sussistenti le circostanze di fatto articolate nel giudizio di concordato;

7) violazione della L. Fall., art. 160, in relazione all'art. 1455 c.c., e L. Fall., L. Fall., art. 173, considerato che in tema di inadempimento la risoluzione può essere dichiarata quando, per effetto della condotta di una delle parti, si sia verificato uno squilibrio fra le prestazioni tale da "intaccare l'obbligazione primaria ed essenziale del contratto stesso", ipotesi non riscontrabile nel caso di specie, caratterizzato dal fatto che i creditori avrebbero comunque aderito alla proposta, pur a fronte di un possibile esito di soddisfacimento del credito limitato al 45% del suo valore;

8) violazione della L. Fall., artt. 173, 175 e 186, e vizio di motivazione, atteso che "l'accentuazione della natura contrattuale dell'istituto concordatario" avrebbe comunque dovuto indurre a ritenere irrilevanti, ai fini della revoca L. Fall., ex art. 173, le condotte non fraudolente, e comunque ad escludere la rilevanza di questioni essenzialmente attinenti alla fattibilità del concordato, in quanto tali rimesse all'apprezzamento dei creditori;

9) violazione della L. Fall., artt. 28, 55, 161, 162, 169, 175 e 180, artt. 2214, 2217 e 2302 c.c., e vizio di motivazione, con riferimento all'omissione rilevata a proposito dei beni personali del socio illimitatamente responsabile, rilievo che, oltre ad essere stato erroneamente formulato poichè non sorretto da adeguati riscontri, avrebbe dovuto comportare una rimessione in istruttoria, anzichè il giudizio negativo articolato sul punto;

10) violazione dei medesimi articoli indicati sub 9) e uguale vizio di motivazione, in ragione del fatto che la proposta di concordato non sarebbe suscettibile di modifiche dopo l'inizio delle operazioni di voto e non potrebbe altresì essere sottoposta ad un controllo da parte del tribunale, per una verifica in ordine alla effettiva prospettiva di realizzazione dell'attivo nella misura indicata;

11) violazione dei medesimi articoli indicati sub 9) e uguale vizio di motivazione poichè, in assenza di opposizioni, il giudizio in ordine alla non fattibilità del piano era stato espresso unicamente dal commissario giudiziale (che per di più avrebbe reso un parere contrastante con la precedente relazione). Ciò avrebbe dunque determinato la violazione del diritto di difesa di esso ricorrente, in quanto l'esito negativo della domanda di concordato non sarebbe stato conseguente "ad un accertamento di merito con giudizio autonomo", come pur sarebbe dovuto accadere.

8.1 - Con il secondo atto di impugnazione (vale a dire quello n. 5383/11), l'Idraulica Sud ha poi rispettivamente denunciato:

1) violazione della L. Fall. artt. 168, 180 e 183, artt. 739 e 741 c.p.c., nonchè vizio di motivazione poichè, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di Appello, il diniego di omologa del concordato preventivo non accompagnato dalla contestuale dichiarazione di fallimento non avrebbe potuto comportare effetti esecutivi immediati, e ciò in quanto la L. Fall., art. 180, comma 5, doterebbe di esecutività provvisoria soltanto il decreto di omologazione del concordato, e non anche quello di accoglimento dell'opposizione. Da ciò deriverebbe che la proposizione di una istanza di fallimento, essendo ancora pendente il giudizio relativo al rigetto della domanda di omologa, avrebbe dovuto comportare la sospensione dell'istruttoria prefallimentare fino alla definizione del giudizio promosso contro il provvedimento di rigetto della domanda di omologazione del concordato, anzichè una delibazione nel merito della richiesta, come verificatosi;

2) violazione della L. Fall., art. 180, artt. 131, 132, 135 e 282 c.p.c., e vizio di motivazione, poichè l'affermazione della Corte di Appello secondo la quale il citato art. 180 non richiederebbe, ai fini dell'eventuale dichiarazione di fallimento, il rigetto della domanda di concordato con sentenza passata in giudicato, sarebbe errata, e ciò sia perchè l'articolo in questione prevede che il rigetto della domanda di omologazione del concordato debba avvenire con decreto e non con sentenza, sia perchè la provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado sarebbe configurabile soltanto con riferimento alla diversa ipotesi di "pronunce di condanna suscettibili secondo i procedimenti di esecuzione disciplinati dal terzo libro del codice di rito civile" (p. 67 ricorso);

3) violazione della L. Fall., artt. 16, 162, 168 e 180, e vizio di motivazione, in relazione all'affermazione della Corte di Appello per la quale il ricorso per la dichiarazione di fallimento non potrebbe essere assimilato ad un'azione esecutiva ed essere quindi assoggettato alla disciplina dettata dalla L. Fall., art. 168.

Il rilievo tuttavia sarebbe errato atteso che il fallimento sarebbe una esecuzione collettiva, sicchè la domanda di fallimento non sarebbe proponibile una volta presentato il ricorso per concordato preventivo, preclusione che si protrarrebbe fino alla data della definizione del detto procedimento;

4) violazione della L. Fall., artt. 6 e 7, artt. 100 e 623 c.p.c., e vizio di motivazione, con riferimento all'omessa rilevazione della carenza di legittimazione attiva del Banco di Napoli, unico creditore istante-, e alla connessa violazione del divieto della dichiarazione del fallimento di ufficio.

Ed infatti il Banco non avrebbe potuto essere considerato creditore, poichè: a) il credito azionato, oltre a non essere munito di esecutività, era stato contestato; b) la pendenza del giudizio in ordine alla sua fondatezza avrebbe precluso al giudice fallimentare la possibilità di una delibazione sommaria sul punto; c) gli elementi acquisiti nel corso dell'istruttoria ne avrebbero comunque escluso la sussistenza. Per di più il Banco di Napoli non avrebbe avuto comunque interesse alla proposizione del ricorso atteso che, se omologato, il concordato avrebbe dato causa alla cessione dei beni mentre, se non omologato, sarebbe stata in ogni modo proponibile l'istanza di fallimento;

5) violazione della L. Fall., artt. 5, 55, 78, 168 e 169, artt. 115 e 167 c.p.c., art. 2697 c.c., e vizio di motivazione, considerato che l'attivo patrimoniale avrebbe consentito di assicurare l'integrale soddisfacimento dei creditori sociali, mentre il contrario giudizio espresso al riguardo sarebbe stato imputabile ad una inadeguata interpretazione della documentazione prodotta, e segnatamente della memoria difensiva di esso ricorrente in data 4.11.2010, oltre che del contenuto della relazione di consulenza tecnica disposta in sede prefallimentare.

9. Per quanto proposto successivamente al ricorso contro il provvedimento confermativo del rigetto del concordato, ritiene il Collegio che debba essere esaminato dapprima quello contro la sentenza dichiarativa di fallimento, risultando la relativa decisione assorbente rispetto alle censure attinenti alla pretesa erroneità della prima statuizione adottata in sede di omologazione del concordato.

Al riguardo occorre rilevare che, come questa Corte ha avuto modo reiteratamente di affermare nella vigenza della precedente disciplina del concordato, il rigetto dell'omologazione e la dichiarazione di fallimento costituiscono statuizioni fra loro autonome, pur se legate da un rapporto di connessione (C. 97/8323, C. 96/3425, C. 92/660, C. 77/3673).

Della configurazione di tale rapporto nel senso indicato si trae poi conferma dal tenore delle modifiche apportate all'istituto del concordato, atteso che se il legislatore ha eliminato l'automatismo della declaratoria di fallimento una volta definito negativamente il giudizio di omologazione - e ciò in ragione della avvertita necessità di subordinare la fallibilità dell'imprenditore ad istanza di parte (L. Fall., art. 6) -, ha pur tuttavia privilegiato una unicità di soluzione stabilendo che, se il tribunale in sede di omologazione respinge il concordato, ricorrendone i presupposti "dichiara il fallimento del debitore con separata ordinanza emessa contestualmente al decreto", contestualità poi ribadita con riferimento alla previsione del reclamo contro il provvedimento del tribunale (L. Fall., art. 183).

Anche la giurisprudenza di questa Corte, formatasi sulla nuova disciplina del concordato, ha inoltre ribadito lo stretto nesso intercorrente fra l'esito negativo dell'istanza di concordato - nelle diverse fasi dell'ammissione e dell'omologazione - e la dichiarazione di fallimento (C. 08/9743), essendo stato segnatamente precisato: che il ricorso contro il decreto del tribunale che neghi l'ingresso alla procedura di concordato preventivo è inammissibile "quando è inscindibilmente connesso.. alla successiva e conseguenziale sentenza dichiarativa di fallimento (anche non contestuale), dovendo in tal caso farsi valere i vizi del decreto mediante l'impugnazione della sentenza" (C. 11/3586, che a sua volta richiama C. 10/8186); che le questioni attinenti al decreto di inammissibilità devono "essere dedotte con la stessa impugnazione avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, in quanto il predetto rapporto si atteggia come un fenomeno di conseguenzialità (eventuale del fallimento all'esito negativo della prima procedura) e di assorbimento (dei vizi del predetto diniego in motivi di impugnazione della seconda), che determina una mera esigenza di coordinamento tra i due procedimenti" (C. 12/18190, che a sua volta richiama C. 11/3059); che il decreto di annullamento del concordato preventivo non è autonomamente impugnabile mancando il necessario interesse, e ciò in quanto l'eventuale accoglimento dell'impugnazione non potrebbe avere alcuna incidenza sulla validità e l'efficacia della sentenza di fallimento, potendo questa essere revocata soltanto all'esito ed in accoglimento di apposito reclamo (C. 12/2671).

Ed è proprio quest'ultimo profilo che appare di specifico rilievo, atteso che l'indispensabile interesse al ricorso in tema di concordato presuppone inevitabilmente l'esito positivo di quello contro la dichiarazione di fallimento, risultando del tutto inutile in caso contrario l'eventuale accoglimento del primo ricorso, non consentendo tale esito alcuna possibilità di incidenza sugli effetti di una non più contestabile sentenza di fallimento.

9.1 - Passando dunque all'esame del secondo ricorso si osserva che i primi tre motivi di impugnazione devono essere esaminati congiuntamente, poichè sostanzialmente pongono la medesima questione (sia pur rappresentata sotto vari profili), consistente nella individuazione del rapporto intercorrente fra i due procedimenti di concordato preventivo e di fallimento.

La ricorrente ha infatti sostenuto al riguardo che sarebbe stato improponibile il procedimento per dichiarazione di fallimento fino alla data del passaggio in giudicato del provvedimento di rigetto del concordato e che nella specie il giudicato non sarebbe ancora maturato, essendo ancora pendente l'impugnazione contro il detto provvedimento; che la denunciata improponibilità sarebbe risultata anche per altro verso, vale a dire per il fatto che il decreto di rigetto della domanda di concordato sarebbe stato privo di esecutività; che ad analoghe conclusioni avrebbe dovuto indurre la circostanza, non adeguatamente considerata, che l'istanza di fallimento sarebbe stata equiparabile all'atto introduttivo di una procedura esecutiva, in quanto tale preclusa dal chiaro disposto della L. Fall., art. 168.

Secondo la ricorrente, dunque, le concorrenti ragioni sopra indicate avrebbero dato causa ad un rapporto di interdipendenza fra le due procedure in questione, tale cioè da subordinare la trattazione del procedimento per dichiarazione di fallimento all'avvenuta definizione di quella per concordato preventivo, ove a questa (come nella specie) fosse stato dato corso.

L'assunto è infondato.

Come già puntualmente rilevato da questa Corte (C. 12/18190), infatti, il "criterio della prevenzione, che all'epoca correlava le due procedure - di concordato e di fallimento posponendo la pronuncia di fallimento al previo esaurimento della soluzione concordata della crisi dell'impresa", era stato affermato in ragione dell'inciso contenuto nella precedente formulazione della L. Fall., art. 160, per il quale all'imprenditore veniva concessa facoltà di proporre il concordato preventivo fino a che il suo fallimento non fosse stato dichiarato.

Tuttavia il detto inciso è stato eliminato, e pertanto dal mutamento della formulazione letterale della norma sul punto discende necessariamente l'avvenuto superamento di quel principio che sul precedente dettato normativo trovava fondamento.

Nè può correttamente dirsi che il principio in questione possa essere altrimenti desunto in via interpretativa, in ragione dei generali principi vigenti in materia.

Ed invero non ricorre certamente nella specie un'ipotesi di pregiudizialità necessaria, atteso che: non sono sovrapponibili le situazioni esaminate nelle due distinte procedure di fallimento e di concordato (C. 11/3059); la, sospensione è istituto eccezionale che incide in termini limitativi rispetto all'esercizio del diritto di azione, e che pertanto può trovare applicazione soltanto quando la situazione sostanziale dedotta nel processo pregiudicante rappresenti il fatto costitutivo di quella dedotta nella causa pregiudicata (C. 03/14670), ipotesi non ricorrente nel caso in esame; il vigente codice di rito esclude casi di sospensione discrezionale e non prevede inoltre casi di sospensione impropria o atecnica.

Al contrario, deve invece ritenersi che il rapporto tra concordato preventivo e fallimento si atteggi come un fenomeno di conseguenzialità (eventuale del fallimento, all'esito negativo della procedura di concordato) e di assorbimento (dei vizi del provvedimento di rigetto in motivi di impugnazione del successivo fallimento), che determina una mera esigenza di coordinamento fra i due procedimenti (C. 11/3059).

Ne consegue ulteriormente che la facoltà per il debitore di proporre una procedura concorsuale alternativa al suo fallimento non rappresenta un fatto impeditivo alla relativa dichiarazione (C. 12/18190, C. 09/19214), ma una semplice esplicazione del diritto di difesa del debitore, che non potrebbe comunque "disporre unilateralmente e potestativamente dei tempi del procedimento fallimentare", venendo così a paralizzare le iniziative recuperatorie del curatore (C. 18190 cit., C. 97/10383) e ad incidere negativamente sul principio costituzionale della ragionevole durata del processo.

La conseguenzialità logica tra le due procedure non si traduce dunque anche in una conseguenzialità procedimentale, ferma restando la connessione fra l'eventuale decreto di rigetto del ricorso per concordato e la successiva conseguenziale sentenza di fallimento, anche se non emessa contestualmente al primo provvedimento, dovendosi in tal caso farsi valere i vizi del decreto mediante l'impugnazione della sentenza di fallimento (C. 11/3586, C. 08/9743).

9. 2 - Ad identiche conclusioni di infondatezza deve poi pervenirsi per quanto concerne gli ulteriori motivi di impugnazione.

Più precisamente, con il quarto motivo di ricorso la ricorrente ha denunciato il difetto di legittimazione attiva e la carenza di interesse del Banco di Napoli, unico creditore istante, rispettivamente in ragione del fatto che la relativa domanda sarebbe stata supportata da titolo non definitivo, oltre che non esecutivo (il giudice ne avrebbe infatti sospeso l'esecutività), e in considerazione del trattamento meno favorevole che la procedura di fallimento avrebbe riservato ai creditori, rispetto a quella di concordato.

Entrambi i rilievi sono tuttavia privi di pregio.

La L. Fall., art. 6, stabilisce infatti che il fallimento è dichiarato, fra l'altro, su istanza di uno o più creditori, circostanza che non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, nè l'esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all'esclusivo scopo di accertare la legittimazione dell'istante (C. 05/21327, C. 86/6856).

Ne discende che la contestata statuizione è in sintonia con il dettato normativo e con la giurisprudenza di questa Corte, sicchè non è fondatamente deducibile alcuna riserva al riguardo. Quanto al merito della decisione, la stessa risulta adeguatamente motivata, essendo stato segnatamente evidenziato: che il Banco di Napoli figurava nell'elenco dei creditori contenuto nella relazione patrimoniale del debitore; che la qualità di creditore risultava inoltre dal contratto di mutuo fondiario e di finanziamento industriale; che la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo non era da porre in relazione all'esistenza dello stesso, risultante dalla documentazione della società istante oltre che dall'elenco dei debitori. Anche sotto questo riflesso, dunque, la decisione impugnata non appare suscettibile di sindacato da parte di questa Corte.

Quanto alla pretesa carenza di interesse l'assunto è inconsistente, atteso che la sua sussistenza risulta al contrario dall'affermata qualità di creditore (sia pure per effetto di accertamento incidentale) del Banco di Napoli; l'opzione per una o l'altra procedura concorsuale (vale a dire concordato o fallimento) sarebbe comunque rimessa alla valutazione del creditore, non essendo a questa sovrapponibile l'astratto parametro suggerito dal debitore; la procedura di concordato aveva infine registrato (sia pure in via non definitiva) un esito negativo.

9.3 - Resta infine il quinto ed ultimo motivo di impugnazione, incentrato sulla pretesa insussistenza dello stato di insolvenza.

Al riguardo la Idraulica Sud, dopo aver premesso di essere stata posta in liquidazione, ha correttamente precisato che, al fine di stabilire se nella specie ricorresse il requisito di cui alla L. Fall., art. 5, il giudice avrebbe dovuto accertare se gli elementi attivi del patrimonio consentissero o meno di assicurare l'integrale soddisfacimento dei creditori sociali.

Tuttavia anche la Corte di Appello aveva espressamente rilevato che, versando l'Idraulica Sud in uno stato di liquidazione, "la valutazione del requisito di cui alla L. Fall., art. 5, va condotta unicamente al fine di accertare se gli elementi attivi del patrimonio consentano di assicurare l'eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali", vale a dire facendo ricorso all'utilizzazione dello stesso parametro la cui applicazione è stata invocata dalla Idraulica Sud.

Il dissenso manifestato da quest'ultima nei confronti della contestata decisione adottata non riguarda dunque la correttezza del criterio seguito dal giudice nella formazione e formulazione del relativo giudizio, ma attiene piuttosto al merito della statuizione che peraltro, ove supportata da motivazione sufficiente ed immune da vizi logici, non è sindacabile in questa sede di legittimità. Nel caso in esame la Corte territoriale ha dato sufficiente ragione della determinazione assunta sul punto, avendo segnatamente accertato, sulla base dell'espletata consulenza tecnica, che lo sbilanciamento fra attivo (Euro 1.435.590,63) e passivo (Euro 1.679.119,23) risultava pari a Euro 243.528,60 - tale quindi da non consentire il soddisfacimento dei creditori - ed avendo inoltre ritenuto inconsistente la censura prospettata dalla ricorrente in ordine alle sopra indicate conclusioni del consulente tecnico.

L'Idraulica Sud aveva infatti sostenuto che lo sbilancio passivo di Euro 243.528,60 fosse "pressochè interamente dovuto ad interessi bancari maturati dal 7.10.2008 alla data del fallimento" (p. 12), assunto che tuttavia non sarebbe stato confortato da alcun riscontro (".. non è stato offerto al collegio alcun circostanziato elemento di valutazione dal quale poter desumere tale imputazione della somma di Euro 243.528,60.."), mentre al contrario dall'entità del saldo accertato dal consulente tecnico alla data del 7.10.2008 si sarebbe dovuto desumere il mancato computo di interessi per il periodo successivo.

La ricorrente ha per vero censurato le dette considerazioni, lamentando in particolare: a) l'omesso esame della memoria difensiva di appello, con l'allegata consulenza tecnica di ufficio depositata nel giudizio pendente davanti al Tribunale di Cosenza, da cui sarebbe emersa l'insussistenza sia del debito di Euro 139.456,42 nei confronti della Banca di Roma che quello di Euro 85.730,29 nei confronti della Carime; b) l'erroneità della statuizione secondo la quale non sarebbero emersi elementi comprovanti la riferibilità dell'accertato sbilancio agli interessi passivi delle banche a far tempo dalla data del concordato fino a quella del fallimento, assunto che sarebbe smentito dalla consulenza tecnica, oltre che dalla mancata contestazione delle parti sul punto, e che al contrario troverebbe viceversa conferma nella relazione integrativa del consulente tecnico in data 22.7.2010.

Le doglianze sono tuttavia prive di pregio, in quanto generiche e viziate sul piano dell'autosufficienza.

La pretesa erroneità della statuizione non appare infatti confortata da una compiuta rappresentazione dei dati idonei ad evidenziare le ragioni per le quali il contestato giudizio della Corte di appello non sarebbe correttamente formulato, sicchè la censura non risulta supportata dall'indicazione degli elementi necessari per verificarne la fondatezza e finisce per esaurirsi in una non condivisa valutazione di merito della decisione adottata.

Inoltre, come detto, la ricorrente ha sostenuto che il contenuto della consulenza tecnica sarebbe stato diverso, in alcuni punti, da quello apprezzato dal giudice del merito, ma ha pur tuttavia omesso di riportare analiticamente e compiutamente le indicazioni del consulente, con la conseguenza di non consentire al giudicante l'esame diretto di quanto da quest'ultimo esattamente accertato e riferito e di apprezzare quindi la rilevanza dei singoli profili considerati nell'ambito della relazione (e soprattutto delle relative conclusioni) nel suo complesso.

Infine non sembra inutile evidenziare come la delibazione delle doglianze prospettate, richiederebbe inammissibili valutazioni in fatto, in quanto tali non consentite in questa sede di legittimità.

10. L'infondatezza del ricorso contro la sentenza dichiarativa di fallimento della Idraulica Sud comporta dunque, per le ragioni dianzi precisate sub 9, l'inammissibilità dell'ulteriore ricorso avverso il decreto di rigetto del reclamo contro il diniego di omologazione del concordato preventivo.

10.1 - Ritiene tuttavia il Collegio che, come già rilevato con l'ordinanza di rimessione a queste sezioni unite in data 15.12.11, la questione sottoposta al suo esame sia di particolare importanza, e che ciò determini quindi l'opportunità di pronunciare il principio di diritto sulla tematica prospettata, ai sensi dell'art. 363 c.p.c., comma 3.

Più precisamente con la sopra citata ordinanza, come già sinteticamente segnalato nel rappresentare lo svolgimento del processo, i profili di particolare rilievo sui quali erano stati registrati una linea di non totale sintonia nella giurisprudenza di legittimità, un non sopito contrasto nella giurisprudenza di merito ed un ampio dibattito in dottrina con la prospettazione di soluzioni non coincidenti, sono stati rispettivamente individuati: a) nella rilevanza dell'indicazione concernente la misura percentuale di soddisfacimento dei creditori nell'economia della proposta concordataria, anche sotto il profilo della relativa incidenza sulla sua fattibilità; b) nella necessità di stabilire in quale misura l'eventuale non fattibilità del piano possa determinare un'impossibilità dell'oggetto del concordato, e quindi di definire i limiti entro i quali il requisito della fattibilità possa essere suscettibile di sindacato da parte del giudice; c) nell'esigenza di chiarire le conseguenze di un giudizio negativo in ordine alla fattibilità del piano, ove ravvisato un difetto di informazione del ceto creditorio, dovendosi segnatamente valutare se, e nell'ipotesi positiva entro quali limiti, possa essere disposta nuova convocazione dell'adunanza dei creditori per la rinnovazione delle operazioni di voto.

11. Al riguardo giova premettere che il non agevole compito dell'interprete (indirettamente testimoniato dal numero dei contributi dottrinari e giurisprudenziali e della varietà delle soluzioni prospettate o adottate) è essenzialmente determinato, oltre che da una non sempre chiarissima formulazione letterale del dettato normativo, dalla nuova configurazione che il legislatore ha inteso conferire sia alla più rilevante procedura concorsuale, all'evidenza individuabile nel fallimento (si pensi segnatamente al diverso ruolo attribuito al giudice delegato, cui competeva dapprima di dirigere e vigilare le operazioni del curatore, mentre ora gli sono attribuite soltanto funzioni di vigilanza e controllo sulla procedura - L. Fall., art. 25 -, essendo affidati al curatore i compiti gestionali - L. Fall., art. 31 -), che all'istituto del concordato preventivo, e ciò fin dall'emanazione del d.l. 14.3.2005, n. 35, poi convertito con L. 14 maggio 2005, n. 80, cui hanno poi fatto seguito le ulteriori significative modifiche riconducibili al D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, al D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, e da ultimo al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, poi convertito con la L. 7 agosto 2012, n. 134.

Tale nuova configurazione, che come appare dal numero dei provvedimenti normativi succedutisi nel tempo, dallo strumento legislativo utilizzato (due decreti legge, due decreti legislativi), dalle indicazioni contenute nelle relazioni accompagnatrici e nella rubrica dei provvedimenti, è stata ispirata da esigenze di economicità, che si è inteso soddisfare recuperando moduli operativi già adottati in altri ordinamenti, e segnatamente facendo ricorso all'individuazione di misure idonee a snellire le procedure esistenti, a valorizzare la posizione del giudice quale tutore del rispetto della legalità, a rafforzare il ruolo propositivo e decisionale delle parti, modifiche tutte che avrebbero dovuto eliminare (o quanto meno limitare) dispersioni di ricchezze ed attribuire una maggiore flessibilità al mercato.

11.1 - Senza entrare in più specifici dettagli non pertinenti in questa sede, ma venendo al concreto, occorre dunque innanzitutto ribadire che anche la disciplina del concordato preventivo appare ispirata dalle sopra indicate esigenze, e ciò in quanto il conseguimento della migliore economicità realizzabile nelle diverse possibili soluzioni di composizione della crisi di impresa presuppone un'ampia flessibilità della procedura, obiettivo che a sua volta può trovare soddisfacente attuazione - nell'ambito del quadro delineato sul punto dal legislatore - soltanto se adeguatamente valorizzati i profili negoziali della stessa. Peraltro le modifiche dettate dall'avvertita necessità di soddisfare la detta esigenza non hanno trovato riconoscimento in un testo legislativo appositamente ridisegnato per il conseguimento della indicata finalità, ma hanno avuto piuttosto collocazione nell'esistente corpo normativo, ispirato al raggiungimento di finalità del tutto diverse.

Senza voler entrare, neanche a tale proposito, nell'esame di aspetti di carattere generale, solo indirettamente connessi alla controversia in esame, è sufficiente rilevare, per quel che interessa in questa sede, che per quanto sin dalla sua introduzione si discutesse circa la natura dell'istituto del concordato preventivo, essendo questa connotata da profili rilevanti sia sul piano pubblicistico che su quello negoziale, non sembra si possa dubitare del fatto che la precedente disciplina fosse più solidamente ancorata ad uno schema di evidente stampo pubblicistico, in cui al giudice era affidato il compito del controllo di legalità e del merito della proposta, controllo quest'ultimo sostanzialmente finalizzato ad una verifica circa: a) l'effettiva esistenza di un vantaggio economico per i creditori; b) la ragionevole prospettiva del pagamento del 40% dei debiti ovvero l'esistenza di una garanzia in tal senso; c) la meritevolezza dell'imprenditore, sotto il profilo dell'assenza di colpa in ordine all'evento pregiudizievole - e cioè il dissesto - venutosi a determinare.

12. Orbene, così delineato il generale quadro di riferimento, occorre più specificamente passare all'esame delle disposizioni di interesse in tema di concordato, per stabilirne l'esatta portata ai fini dell'individuazione dei compiti assegnati al giudice nella detta procedura e dei termini in cui è consentito o previsto il suo intervento.

12.1 - Come considerazione preliminare occorre innanzitutto evidenziare in proposito che il nuovo L. Fall., art. 160, (la cui rubrica attualmente recita "presupposti per l'ammissione alla procedura"), contrariamente a quanto risultante dalla precedente formulazione, riconosce la più ampia libertà di forma (riconoscimento non contrastato, nei suoi termini generali, dalla previsione relativa al concordato con continuità aziendale di cui alla L. Fall., art. 186 bis, introdotto con il D.L. n. 83 del 2012), limitandosi sostanzialmente a stabilire che l'imprenditore in stato di crisi può proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano, del quale non è predeterminato il contenuto.

Il modulo procedimentale delineato distingue dunque tre elementi, individuabili rispettivamente in una domanda di accesso alla procedura, in una proposta rivolta ai creditori in essa contenuta, nella prospettazione di un piano, indicato come lo strumento idoneo a perseguire gli obiettivi delineati.

Il piano e la documentazione di supporto relativa: all'aggiornamento sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa;

allo stato analitico ed estimativo delle attività dell'imprenditore (in essi compresi l'elenco dei creditori); all'indicazione dei titolari di diritti su beni del debitore; alla segnalazione del valore dei beni, oltre che dei creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili; devono essere poi accompagnati dalla relazione di un professionista, "che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo" (L. Fall., art. 161, comma 3).

Alla stregua della non equivoca formulazione della disposizione da ultimo citata non sembra potersi dubitare del fatto che il legislatore ha inteso demandare esclusivamente al professionista il compito di certificare la veridicità dei dati rappresentati dall'imprenditore e di esprimere una valutazione in ordine alla fattibilità del piano dallo stesso proposto.

Tuttavia, considerato che la L. Fall., art. 162, impone al tribunale di dichiarare l'inammissibilità della proposta di concordato ove constatata l'assenza dei "presupposti di cui all'art. 160, commi 1 e 2, e art. 161", in essi compresi quindi anche quelli concernenti la veridicità dei dati indicati e la fattibilità del piano, la questione che problematicamente viene sottoposta all'attenzione del Collegio riguarda l'individuazione del perimetro di intervento assegnato al giudice, al fine di stabilire se sia stato o meno soddisfatto il requisito di fattibilità del piano prescritto dal citato art. 161.

12.2 - In proposito ritiene innanzitutto il Collegio che il piano, proprio perchè strumento realizzativo della proposta, non possa essere disgiunto dal contenuto di quest'ultima, atteso che la previsione prognostica favorevole del relativo esito è inevitabilmente. connessa, da un punto di vista causale, con la buona riuscita del primo. Posto dunque che la fattibilità del piano, come detto, deve essere attestata dal professionista, occorre stabilire se sia o meno configurabile un potere di sindacato del giudice al riguardo e, nell'ipotesi positiva, quali siano i termini del relativo esercizio.

A tale scopo va innanzitutto evidenziato come, seppur l'istituto del concordato preventivo sia caratterizzato da connotati di indiscussa natura negoziale (come d'altro canto si desume anche dal nome del procedimento), tuttavia nella relativa disciplina siano individuabili evidenti manifestazioni di riflessi pubblicistici, suggeriti dall'avvertita esigenza di tener conto anche degli interessi di soggetti ipoteticamente non aderenti alla proposta, ma comunque esposti agli effetti di una sua non condivisa approvazione, ed attuati mediante la fissazione di una serie di regole processuali inderogabili, finalizzate alla corretta formazione dell'accordo tra debitore e creditori, nonchè con il potenziamento dei margini di intervento del giudice in chiave di garanzia.

12.3 - Quanto sinora esposto non consente tuttavia di offrire una tranquillante risposta ai due quesiti sopra formulati, essendo viceversa indispensabile stabilire, per la finalità indicata, se il prescritto requisito di fattibilità debba essere inteso in senso oggettivo ovvero debba essere ricavato dalla relativa attestazione resa da un professionista legittimato a farlo secondo la normativa vigente, alternativa la cui risoluzione presuppone la corretta configurazione della nozione di "fattibilità del piano di concordato".

12.4 - Al riguardo va innanzitutto premesso che la fattibilità non va confusa con la convenienza della proposta, vale a dire con il giudizio di merito certamente sottratto al Tribunale (salva l'ipotesi di cui alla L. Fall., art. 180, comma 4, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012), così come analogamente non può essere identificata con una astratta verifica in ordine agli elementi dell'attivo e del passivo, anche se in qualche misura da questi possa dipendere.

E' invece più propriamente da ritenere che la fattibilità si traduca in una prognosi circa la possibilità di realizzazione della proposta nei termini prospettati, il che implica una ulteriore distinzione, nell'ambito del generale concetto di fattibilità, fra la fattibilità giuridica e quella economica. Una prima conclusione che si può trarre da questa premessa può dunque essere individuata nel fatto che certamente il controllo del giudice non è di secondo grado, destinato cioè a realizzarsi soltanto sulla completezza e congruità logica dell'attestato del professionista.

Al detto attestato deve infatti essere attribuita la funzione di fornire dati, informazioni e valutazioni sulla base di riscontri effettuati dall'interno, elementi tutti che sarebbero altrimenti acquisibili esclusivamente soltanto tramite un consulente tecnico nominato dal giudice.

Ne consegue dunque che, pur non essendo un consulente del giudice - come si desume dal fatto che è il debitore a nominarlo -, il professionista attestatore ha le caratteristiche di indipendenza (ulteriormente indirettamente rafforzate dalle sanzioni penali previste dalla L. Fall., art. 236 bis, introdotto con il D.L. n. 83 del 2012) e professionalità idonee a garantire una corretta attuazione del dettato normativo.

Deve dunque - ritenersi che egli svolga funzioni assimilabili a quelle di un ausiliario del giudice, come pure si desume dal significativo ruolo rivestito in tema di finanziamento e di continuità aziendale (L. Fall., art. 182 quinquies, di cui al D.L. n. 83 del 2012), circostanza questa che esclude che destinatari naturali della funzione attestatrice siano soltanto i creditori e viceversa comporta che il giudicante ben possa discostarsi dal relativo giudizio, così come potrebbe fare a fronte di non condivise valutazionì di un suo ausiliario.

12.5 - Orbene se non è dubbio che spetti al giudice verificare la fattibilità giuridica del concordato e quindi esprimere un giudizio negativo in ordine all'ammissibilità quando modalità attuative risultino incompatibili con norme inderogabili, profili di incertezza viceversa si pongono, laddove entrino in discussione gli aspetti relativi alla fattibilità economica.

Questa è infatti legata ad un giudizio prognostico, che fisiologicamente presenta margini di opinabilità ed implica possibilità di errore, che a sua volta si traduce in un fattore rischio per gli interessati.

E' pertanto ragionevole, in coerenza con l'impianto generale dell'istituto, che di tale rischio si facciano esclusivo carico i creditori, una volta che vi sia stata corretta informazione sul punto. Peraltro se, come detto, al giudice non è inibito prestare attenzione alla fattibilità del piano, la questione che ne deriva è individuabile nello stabilire se, una volta verificatane l'assoluta impossibilità di realizzazione, egli sia legittimato o meno ad assumere di sua iniziativa una decisione contrastante con le indicazioni ed il giudizio del professionista attestatore.

13. Ritiene il Collegio che una corretta configurazione dei margini di intervento del giudice sotto il profilo or ora evidenziato presuppone la preventiva individuazione della causa concreta del procedimento di concordato sottoposto al suo esame, il che equivale a dire l'accertamento delle modalità attraverso le quali, per effetto ed in attuazione della proposta del debitore, le parti dovrebbero in via ipotetica realizzare la composizione dei rispettivi interessi.

In proposito non sembra inutile premettere, in via generale, che, come si desume dalle recenti modifiche della disciplina del concordato (fra le quali particolarmente significative quelle concernenti la libertà delle forme, il ridimensionamento del ruolo del giudice, l'accentuazione degli aspetti negoziali) e dalle connesse relazioni di accompagnamento, un primo obiettivo di fondo perseguito dal legislatore è univocamente e incontestabilmente individuabile nel superamento dello stato di crisi dell'imprenditore, obiettivo ritenuto meritevole di tutela sotto il duplice aspetto dell'interpretazione della crisi come uno dei possibili e fisiologici esiti della sua attività e della ravvisata opportunità di privilegiare soluzioni di composizione idonee a favorire, per quanto possibile, la conservazione dei valori aziendali, altrimenti destinati ad un inevitabile quanto inutile depauperamento.

Ne consegue dunque che la proposta di concordato deve necessariamente avere ad oggetto la regolazione della crisi, la quale a sua volta può assumere concretezza soltanto attraverso le indicazioni delle modalità di soddisfacimento dei crediti (in esse comprese quindi le relative percentuali ed i tempi di adempimento), rispetto alla quale la relativa valutazione (sotto i diversi aspetti della verosimiglianza dell'esito e della sua convenienza) è rimesso al giudizio dei creditori, in quanto diretti interessati.

13.1 - La detta valutazione, tuttavìa, perchè venga espressa correttamente e determini il giusto esito della instaurata procedura concordatizia, presuppone che i creditori ricevano una puntuale informazione circa i dati, le verifiche interne e le connesse valutazioni, incombenti che assumono un ruolo centrale nello svolgimento della procedura in questione ed al cui soddisfacimento sono per l'appunto deputati a provvedere dapprima il professionista attestatore (rispetto al quale il citato D.L. n. 83, oltre a sottolinearne la necessaria indipendenza, ha introdotto pesanti sanzioni nel caso di falsità nelle attestazioni o nelle relazioni), in funzione dell'ammissibilità al concordato (L. Fall., art. 161), e quindi il commissario giudiziale prima dell'adunanza per il voto (L. Fall., art. 172).

13.2 - Se il legislatore ha dunque incontestabilmente valorizzato l'elemento negoziale sotto l'aspetto sopra indicato nella procedura oggetto di esame, è pur vero che, come precedentemente già evidenziato, non si è curato di cancellare tutti gli aspetti pubblicistici che caratterizzavano la procedura prima della riforma, dato questo che non può essere interpretato come casuale, e ciò sotto il duplice profilo del numero di interventi effettuati (circostanza questa che, ove si fosse voluto, avrebbe reso agevole una più radicale riforma) e della significativa rilevanza degli interessi sostanziali ancora ritenuti meritevoli di tutela.

Si intende cioè fare in particolare riferimento alle forti limitazioni e compressioni che il creditore finisce per subire per effetto del procedimento di concordato, vedendo vanificato il suo diritto di azione pur costituzionalmente garantito e assistendo alla formalizzazione di una limitazione del suo credito, per effetto di maggioranze ipoteticamente non condivise formatesi sul punto.

Una limitazione così significativa, dunque, determinata da un'avvertita esigenza di bilanciamento con le sopra richiamate esigenze di agevolazione dell'imprenditore nell'uscire dallo stato di crisi, può trovare concreta giustificazione - al di là della condivisione o meno nel merito dell'opzione effettuata - soltanto ove ricorrano le due seguenti condizioni: a) che lo svolgimento del procedimento avvenga nel rispetto delle indicazioni del legislatore, vale a dire consentendo ai creditori, dapprima, di votare avendo conoscenza (o avendo avuto modo di conoscere) di tutti i dati a tal fine necessari e, quindi, di esprimere le eventuali riserve nel giudizio di omologazione; b) che la conseguente definizione si realizzi con il raggiungimento della duplice finalità perseguita con l'instaurazione della detta procedura, consistenti nel superamento della situazione di crisi dell'imprenditore (che comunque in tal modo così definisce la sua parentesi commerciale negativa), da una parte, e nel riconoscimento in favore dei creditori di una sia pur minimale consistenza del credito da essi vantato in tempi di realizzazione ragionevolmente contenuti (significativo in tal senso la L. Fall., art. 181, che stabilisce un breve termine di definizione suscettibile di una sola proroga), dall'altra.

Il compito di tutela della legalità del procedimento è all'evidenza demandato al giudice per il ruolo istituzionale svolto, oltre che per i diversi espliciti richiami in tal senso risultanti dal vigente testo normativo (segnatamente L. Fall., art. 162, comma 2, art. 173, art. 180, comma 3).

14. Ne consegue, venendo al concreto, che il margine di sindacato del giudice sulla fattibilità del piano va stabilito, in via generale, in ragione del contenuto della proposta e quindi della identificazione della causa concreta del procedimento nel senso sopra richiamato.

Peraltro, poichè come detto il legislatore non ha imposto aprioristiche predeterminazioni in proposito, ne discende che non è possibile stabilire con una previsione generale ed astratta i margini di intervento del giudice in ordine alla fattibilità del concordato, dovendosi a tal fine tener conto delle concrete modalità proposte dal debitore per la composizione della propria esposizione debitoria.

Avendo poi più specifico riguardo al concordato con cessione dei beni, che interessa in questa sede, il controllo va effettuato sia verificando l'idoneità della documentazione prodotta (per la sua completezza e regolarità) a corrispondere alla funzione che le è propria, consistente nel fornire elementi di giudizio ai creditori (in tal senso la consolidata giurisprudenza di questa Corte, e segnatamente C. 11/3586, C. 10/21860, C. 09/22927), sia accertando la fattibilità giuridica della proposta (si pensi, a titolo esemplificativo, alla cessione di beni altrui), sia infine valutando l'effettiva idoneità di quest'ultima ad assicurare il soddisfacimento della causa della procedura come sopra delineata.

14. 1 - Rientra dunque certamente, nell'ambito del detto controllo, una delibazione in ordine alla correttezza delle argomentazioni svolte e delle motivazioni addotte dal professionista a sostegno del formulato giudizio di fattibilità del piano, così come analogamente deve dirsi per quanto concerne la coerenza complessiva delle conclusioni finali prospettate (si pensi ad esempio ad un giudizio di fattibilità ancorato ad un complesso di dati, la cui sommatoria deponesse viceversa in favore di conclusioni di segno opposto) ovvero l'impossibilità giuridica di dare esecuzione (sia pure parziale) alla proposta di concordato (si pensi ancora, ad esempio, alla programmata cessione di beni di proprietà altrui), ovvero la rilevazione del dato, se emergente "prima facie", da cui poter desumere l'inidoneità della proposta a soddisfare in qualche misura i diversi crediti rappresentati, nel rispetto dei termini di adempimento previsti.

Su quest'ultimo punto in particolare giova evidenziare come la limitazione del diritto dei creditori e la lievitazione dei costi di gestione per effetto del protrarsi della procedura trovi un fisiologico bilanciamento nella previsione di un ristretto termine di durata della procedura (la L. Fall., art. 181, prevede infatti che l'omologazione del concordato debba intervenire nel termine di sei mesi, prorogabile una sola volta), mentre la L. Fall., art. 137, richiamato dall'art. 186 l.f. in tema di risoluzione, stabilisce che il relativo ricorso deve proporsi entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto nel concordato.

Ne consegue la rilevanza del profilo relativo ai tempi di adempimento indicati dal debitore nella proposta e l'incidenza di detto aspetto sulla valutazione di quest'ultima nei suoi termini complessivi e quindi, per la parte di specifico interesse, sul giudizio di fattibilità del concordato.

14.2 - Altrettanto certamente, al contrario, non rientra nell'ambito del controllo sul giudizio di fattibilità esercitabile dal giudice un sindacato sull'aspetto pratico - economico della proposta, e quindi sulla correttezza della indicazione della misura di soddisfacimento percentuale offerta dal debitore ai creditori.

La causa della procedura di concordato sopra richiamata esclude infatti che l'indicazione di una percentuale di soddisfacimento dei creditori da parte del debitore possa in qualche modo incidere sull'ammissione del concordato e d'altro canto, come questa Corte ha pure avuto modo di precisare con recente decisione, quando si tratti di proposta concordatizia con cessione dei beni la percentuale di pagamento eventualmente prospettata non è vincolante, non essendo prescritta da alcuna disposizione la relativa allegazione ed essendo al contrario sufficiente "l'impegno a mettere a disposizione dei creditori i beni dell'imprenditore liberi da vincoli ignoti che ne impediscano la liquidazione o ne alterino apprezzabilmente il valore", salva l'assunzione di una specifica obbligazione in tal senso (C. 11/13817).

D'altro canto, a voler ragionare diversamente (e cioè a ritenere sindacabile dal giudice la percentuale di soddisfacimento del credito indicata) si verrebbe a determinare una sottrazione ai creditori della valutazione circa la fattibilità della proposta di concordato, e ciò in contrasto con l'intenzione del legislatore, oltre che con il contenuto delle modifiche dallo stesso apportate.

Deve dunque concludersi, su questo punto, che i destinatari della proposta di concordato sono i creditori; che ad essi soltanto, pertanto, spetta formulare un giudizio in ordine alla convenienza economica della soluzione prospettata, che a sua volta presuppone una valutazione prognostica in ordine alla fattibilità del piano; che conseguentemente a quest'ultima valutazione resta del tutto estraneo il giudice, nelle varie fasi in cui è potenzialmente chiamato ad intervenire (L. Fall., artt. 162, 173 e 180).

15. Tale conclusione, per vero, era stata già rappresentata in precedenti decisioni di questa Corte (segnatamente C. 11/3586, C. 10/21860, C. 09/22927), rispetto alle quali erano stati talvolta sollevati rilievi critici sulla base di considerazioni di vario tenore, essenzialmente consistenti: nell'obbligo di verifica, da parte del giudice, in ordine alla completezza ed alla regolarità della documentazione ai fini dell'ammissione alla procedura di concordato (L. Fall., art. 163); nella possibilità, per il tribunale, di concedere al debitore un termine per integrazioni del piano e produzione di nuovi documenti, potere sintomatico dell'assegnazione di un ruolo potenzialmente critico e al contempo propulsivo attribuito al riguardo; nella incongruenza di una disciplina per la quale si autorizzerebbe la prosecuzione di una procedura pur a fronte di un prevedibile esito negativo, e ciò in contrasto con un elementare principio di economicità; nella inadeguatezza di un modulo procedimentale, che da una parte richiede la presenza di un giudice in funzione di controllo e dall'altra ne limiterebbe significativamente, fino ad annullarlo, l'effettivo potere di intervento; nella sottovalutazione del dato che il giudice sarebbe comunque "peritus peritorum", sicchè sarebbe irragionevole precludergli una possibilità di sindacato in ordine alle stime effettuate dal professionista di cui alla L. Fall., art. 161.

15.1 - Ad avviso del Collegio i detti rilievi tuttavia, pur evidenziando aspetti critici dell'attuale disciplinà, non colgono nel segno.

Ed infatti non è innanzitutto condivisibile la premessa che implicitamente presuppone la formulazione dei detti rilievi, premessa consistente nel sostanziale svuotamento della funzione istituzionalmente attribuita al giudice che si verrebbe a determinare, ove si ritenesse che questo fosse privato del potere di sindacato in ordine alla fattibilità del piano.

Si è invero già precedentemente precisato in proposito che la procedura di concordato preventivo ha una natura mista, essendo da una parte basata su una previsione di accordo fra le parti, raggiungibile attraverso la prospettazione di una proposta, ma trovando attuazione il detto accordo nell'ambito di una procedura che valga ad assicurare la puntuale indicazione dei dati da parte del debitore, la corretta manifestazione di volontà da parte dei creditori, l'assenza di atti di frode o comunque illecitamente posti in essere dall'imprenditore.

In questo quadro è evidentemente rimessa ai creditori la valutazione in ordine alla convenienza economica della proposta, mentre spetta al tribunale il compito di controllare la corretta proposizione ed il regolare andamento della procedura, presupposto indispensabile al fine della garanzia della corretta formazione del consenso.

Non è dunque certamente marginale il ruolo assegnato dal legislatore al tribunale ove si consideri che, pur nella valorizzazione dell'elemento negoziale che ha inciso in termini restrittivi e limitativi sui poteri precedentemente attribuiti all'organo giudiziario: l'efficacia del relativo accordo, una volta concluso, è comunque subordinata ad un intervento del giudice, cui spetta verificare "la regolarità della procedura e l'esito della votazione" (art. 180, comma 3); il tribunale è titolare di un potere di revoca dell'ammissione al concordato durante l'arco della procedura, ricorrendo le condizioni normativamente previste (L. Fall., art. 173); ai fini della dichiarazione di ammissibilità della proposta al tribunale è conferito al giudice il compito di esaminare criticamente la relazione del professionista che accompagna il piano indicato dall'imprenditore e la documentazione da questi prodotta, consentendogli anche di richiedere integrazioni di contenuto e documentali (L. Fall., art. 162).

Tuttavia lo sbilanciamento in favore dell'elemento negoziale del nuovo procedimento di concordato, rispetto a quello risultante dalla precedente normativa, determina necessariamente una diversa perimetrazione dei poteri di intervento del giudice che, deputato a garantire il rispetto della legalità nello svolgimento della procedura, deve certamente esercitare sulla relazione del professionista attestatore un controllo concernente la congruità e la logicità della motivazione, anche sotto il profilo del collegamento effettivo fra i dati riscontrati ed il conseguente giudizio.

Peraltro è altrettanto certo che, proprio in ragione della diversità del ruolo del giudice cui si è sopra fatto cenno, questi non può esercitare un controllo sulla prognosi di realizzabilità dell'attivo nei termini indicati dall'imprenditore, esulando detta prognosi dalla causa del concordato come precedentemente delineata ed essendo la stessa rimessa alla valutazione dei creditori quali diretti interessati, una volta assicurata la corretta trasmissione dei dati ed acquisite le indicazioni del commissario giudiziale, nell'esercizio delle funzioni di controllo e di consulenza da lui svolte nella veste di ausiliario del giudice.

15. 2 - Quanto infine ai più specifici rilievi concernenti l'obbligo di verifica della regolarità della documentazione, la facoltà di richiedere integrazioni al debitore (innovazione introdotta con il D.Lgs. n. 169 del 2007) ed il preteso rapporto di subordinazione funzionale del professionista rispetto al giudice, è sufficiente considerare, sul primo punto, che l'obbligo di verifica ben può essere soddisfatto controllando la completezza dei dati, la logicità delle argomentazioni svolte, la congruità delle conclusioni con i profili in fatto oggetto di esame; sul secondo, che la detta facoltà non contrasta con il dovere di controllo della legalità attribuito al giudice e non implica in alcun modo che da ciò debba necessariamente discendere il riconoscimento di un potere di controllo di merito; sul terzo, che non appaiono correttamente evocati nel caso di specie principi fissati nel codice di rito e destinati ad operare all'interno del processo civile.

16. Ulteriore questione che si potrebbe astrattamente porre, e che si sarebbe comunque posta nel caso in esame ove il ricorso fosse stato ritenuto ammissibile, riguarda la definizione dell'ambito dei poteri del giudice nei tre diversi momenti di ammissibilità, revoca e omologazione del concordato, e più precisamente lo stabilire se sia o meno configurabile una identità di posizione da parte sua - e pertanto l'utilizzabilità di un medesimo parametro valutativo - nelle differenti fasi sopra indicate, quesito al quale il Collegio ritiene di dover dare risposta positiva.

Ed infatti, per quanto concerne il rapporto fra gli artt. 162 e 163 (rispettivamente inammissibilità della domanda e ammissione alla procedura) e l'art. 173 (revoca dell'ammissione), l'identità del dato testuale (inammissibilità - ammissione e revoca dell'ammissione), l'elencazione delle ipotesi specificamente delineate nell'art. 173 (che richiama sostanzialmente atti di frode, il cui esame rientra nell'ambito dei controlli esercitati dal giudice ai sensi dei citati artt. 162 e 163), il riferimento al venir meno delle "condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato" contenuto nell'art. 173, u.c., sorreggono la conclusione sopra formulata. Analogamente deve poi dirsi per quanto concerne il rapporto fra gli articoli sopra indicati e l'art. 180 in tema di giudizio di omologazione, e ciò per i seguenti concorrenti motivi:

nel caso di mancanza di opposizioni, non è demandato al tribunale alcun accertamento o compito peculiare; la verifica in ordine alla regolarità della procedura, il cui obbligo è richiamato nel terzo comma dell'articolo citato, deve ragionevolmente essere realizzata con la verifica del fatto che anche nel prosieguo della procedura non siano venuti meno quei presupposti la cui mancanza iniziale non avrebbe consentito l'accesso alla procedura; la specifica determinazione dei poteri del giudice va effettuata in considerazione del ruolo a lui attribuito in funzione dell'effettivo perseguimento della causa del procedimento, ruolo che rimane identico nei diversi momenti ora considerati.

17. La valorizzazione poi del dato relativo alla possibilità per il tribunale di disporre di ufficio mezzi istruttori, nel caso di opposizioni proposte nel giudizio di omologazione (dato interpretato da taluno come ulteriore conferma di un significativo ruolo non solo di controllo, ma anche dinamico e propositivo, conferito al giudice nell'ambito della delibazione della proposta concordataria), non coglie nel segno.

Il potere di integrazione dei mezzi istruttori, fra l'altro non infrequentemente riconosciuto dal legislatore nell'ambito processuale per l'assoluta priorità attribuita alla finalità di giustìzia che il processo è fisiologicamente deputato a realizzare (significativi in tal senso, a tìtolo puramente esemplificativo l'art. 507 c.p.p., e art. 281 ter c.p.c., che prevedono la possibilità di assumere prove di ufficio nel corso del dibattimento penale e del processo civile), è infatti riconducibile, oltre che all'adozione del modello dei procedimenti camerali, alla rilevanza pubblicistica riconosciuta alla procedura di concordato, che in quanto tale giustifica un più penetrante controllo del giudice rispetto all'ordinario proprio in vista dell'esigenza di realizzazione dell'interesse pubblico ad essa sotteso, e fa comunque escludere che tale facoltà possa essere interpretata come espressione di un potere di sindacato da parte del giudice, in relazione al contenuto della proposta formulata dall'imprenditore ai creditori.

18. Anche le disposizioni contenute nel D.L. 22 giugno 2012, n. 83, (art. 33), in tema di revisione della legge fallimentare finalizzata a favorire la continuità aziendale, sono state talvolta interpretate nel senso della conferma di un ruolo propositivo del tribunale nell'ambito della valutazione della proposta di concordato, ruolo che mal si concilierebbe con i poteri asseritamente limitati che sarebbero conferiti al giudice ove si ritenesse, conformemente a quanto sinora sostenuto, che il controllo del giudice fosse circoscritto ai profili concernenti la legalità, con esclusione quindi di ogni riflesso attinente il merito della proposta.

In senso contrario deporrebbero infatti la L. Fall., art. 161, comma 7, che, nell'ipotesi di presentazione del ricorso per concordato con riserva di successivo deposito della proposta, del piano e dei documenti, legittima il debitore a compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione "previa autorizzazione del tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni"; l'art. 169 bis, che prevede la possibilità di sospensione dei contratti in corso, nonchè quella del relativo scioglimento subordinatamente all'autorizzazione del giudice; la modifica apportata all'art. 180, comma 4, per la quale il giudizio di convenienza del concordato da parte del tribunale, originariamente stabilito soltanto nel caso di contestazione sul punto da parte di un creditore appartenente ad una classe dissenziente, è stato esteso anche nel caso di mancata formazione di classi, a fronte di contestazioni di creditori rappresentanti il venti per cento dei crediti ammessi al voto; l'art. 182 quinquies, che prevede la possibilità per l'imprenditore di ottenere finanziamenti prededucibili o di pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, se a ciò autorizzato dal tribunale sulla base di attestazione di professionista deponente nel senso della essenzialità delle misure per la prosecuzione dell'attività e della migliore soddisfazione dei creditori; l'art. 186 bis, disciplinante il concordato con continuità aziendale, il cui presupposto è individuato nel giudizio di idoneità della procedura a realizzare il miglior soddisfacimento dei creditori, secondo quanto attestato con relazione da professionista, e che conferisce al tribunale un potere di intervento anche nel corso della procedura ai sensi della L. Fall., art. 173, ove constatata la cessazione dell'attività di impresa ovvero ritenuta manifestamente dannosa per i creditori la sua continuazione.

18. 1 - Anche le sopra richiamate innovazioni normative, tuttavia, ad avviso del Collegio non valgono a modificare le già rappresentate conclusioni.

Innanzitutto è utile ricordare in proposito la modifica apportata alla L. Fall., art. 179, al quale è stato aggiunto un comma, che segnatamente recita "Quando il commissario rileva, dopo l'approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano, ne dà avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all'udienza di cui all'art. 180 per modificare il voto".

Il dettato normativo, nel caso di specie chiarissimo sul punto, esclude dunque incontestabilmente che il tribunale debba avere notizia dell'eventuale mutamento registrato in ordine alle condizioni di fattibilità, il che lascia implicitamente intendere che l'organo giudiziario non dovesse essersene occupato prima, solo così potendosi giustificare la sua indifferenza, rispetto a mutamento di dati altrimenti potenzialmente rilevanti.

18. 2 - Quanto agli altri aspetti sopra indicati, non è contestabile il fatto che le innovazioni in questione abbiano potenziato l'area di intervento dell'organo giudiziario, ma non pare che detto potenziamento possa in alcun modo incidere sul fisiologico ruolo del giudice, quale allo stato designato nell'ambito della procedura di concordato.

Alcune misure appaiono infatti all'evidenza riconducibili alla disposta anticipazione degli effetti del concordato alla data del deposito del ricorso (autorizzazione del debitore al compimento di atti urgenti di straordinaria amministrazione, con il riconoscimento della prededucibilita ai crediti da essi derivanti), altre alla nuova configurazione del concordato con continuità aziendale (subordinazione della continuità, sia dei contratti in corso che dell'attività, all'interesse dei creditori), altre infine all'intento di favorire quanto più possibile la soluzione concordatizia rispetto a quella liquidatoria (previsione della prededucibilità dei finanziamenti).

Si tratta dunque di ipotesi tutte caratterizzate dalla necessità di un intervento urgente, finalizzato a dare corso alla possibilità di accesso alla procedura, circostanza in cui l'assenza momentanea di tutti i controlli altrimenti previsti impone necessariamente l'intervento di un organo terzo in funzione di garanzia dei creditori, organo terzo che per le funzioni svolte nell'ambito della procedura non può non coincidere con quello giudiziario.

La stessa modifica dell'art. 180, laddove è ampliata la competenza del tribunale in tema di valutazione di convenienza della procedura (configurata laddove i creditori dissenzienti rappresentino il 20% de crediti ammessi al voto), non sembra possa trovare ragionevole fondamento nell'intento di ampliare i margini di intervento del giudice nell'ambito della procedura in questione, ma appare piuttosto un bilanciamento in favore del ceto creditorio, determinato dalla modifica apportata alla L. Fall., art. 178, comma 4, che, contrapponendosi alla disciplina previgente, ha introdotto il principio del silenzio assenso nello svolgimento delle operazioni di voto.

19. Conclusivamente, prendendo in esame gli aspetti che per la loro particolare delicatezza hanno dato luogo alla proposta di rimessione della controversia a queste sezioni unite, sembra possa essere correttamente affermato che: a) è irrilevante, nell'economia della proposta concordataria e della sua fattibilità economica, l'indicazione della prevedibile misura di soddisfacimento dei creditori; b) il sindacato del giudice in ordine al requisito di fattibilità giuridica del concordato deve essere esercitato sotto il duplice aspetto del controllo di legalità sui singoli atti in cui si articola la procedura e della verifica della loro rispondenza alla causa del detto procedimento nel senso sopra delineato, mentre non può essere esteso ai profili concernenti il merito e la convenienza della proposta; c) agli eventuali difetti di informazione circa le condizioni di fattibilità del piano consegue il rigetto della domanda. Tuttavia, ove espresso da parte dei creditori un giudizio positivo in ordine alla fattibilità del piano e mutate le condizioni rappresentate rispetto alle previsioni originarie per eventi non riconducibili a dolose o colpose omissioni del debitore, soccorre l'intervenuta modifica della L. Fall., art. 179, che impone al commissario giudiziale la comunicazione del relativo avviso ai creditori, ai fini di una loro eventuale costituzione nel giudizio di omologa per l'eventuale modifica del voto precedentemente espresso.

Infine, quanto all'esito dei due ricorsi oggetto di esame, deve essere rigettato quello contro la dichiarazione di fallimento (R.G. n. 5383/11), mentre va dichiarato inammissibile il ricorso avverso il decreto di rigetto del reclamo contro il diniego di omologa del concordato preventivo (R.G. 25898/09), con l'enunciazione del principio di diritto formulato in dispositivo.

Le spese processuali del giudizio di legittimità devono essere da ultimo liquidate secondo il criterio della soccombenza e quantificate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi nn. 25898/09 e 5383/11, rigetta il ricorso contro la dichiarazione di fallimento, dichiara inammissibile quello avverso il rigetto del reclamo contro il diniego di omologa del concordato ed enuncia il seguente principio di diritto "Il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato, non restando questo escluso dalla attestazione del professionista, mentre resta riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito del detto giudizio, che ha ad oggetto la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti; il controllo di legittimità del giudice si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di concordato preventivo; il controllo di legittimità si attua verificando l'effettiva realizzabilità della causa concreta della procedura di concordato; quest'ultima, da intendere come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, non ha contenuto fisso e predeterminabile essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento, finalizzato al superamento della situazione di crisi dell'imprenditore, da un lato, e all'assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro".

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 3.800, di cui Euro 3.600 a titolo di compenso, per ciascuna delle parti costituite, oltre agli accessori di legge.

domenica 3 febbraio 2013

Sequestro, ammissibilità istanza nella citazione

 
"Vanno disattese, preliminarmente, le eccezioni preliminari e pregiudiziali sollevate dai convenuti e dalla terza intervenuta in ordine all’ammissibilità e procedibilità dell’istanza di sequestro, per essere la stessa contenuta nell’atto di citazione introduttivo del giudizio e non in separato ricorso come prescritto dall’art. 669 bis c.p.c.: competente a decidere sull’istanza cautelare spiegata in corso di causa è, infatti, indefettibilmente, il giudice della causa di merito, sicché da questo punto di vista nessun vizio è riconducibile alla scelta della M di includere l’istanza nel medesimo atto introduttivo del giudizio di merito, trattandosi di modalità al più inficiata da mera irregolarità formale, ma del tutto idonea al raggiungimento dello scopo suo proprio (vale a dire l’instaurazione del contraddittorio con le controparti)"




Tribunale di Lamezia Terme
Ordinanza 6 novembre 2012
(est. G. Ianni)
Il giudice istruttore,
letti gli atti,
a scioglimento della riserva assunta in data 2 novembre 2012;
preso atto della rinuncia alla domanda formalizzata da MG nei confronti di G s.p.a., quale soggetto evocato in giudizio ma senza il rispetto dei termini a comparire di cui all’art. 163 bis c.p.c.;
letta l’istanza di sequestro giudiziario in corso di causa formulata dalla MG con l’atto introduttivo del giudizio;
OSSERVA
1. Con l’atto di citazione introduttivo del giudizio di merito MG ha chiesto (anche) il sequestro giudiziario del 50% delle quote societarie attualmente intestate al marito, PG, in seno alle società S s.a.s. e G s.r.l., allegando il timore di una diminuzione del valore delle predette quote nel tempo necessario alla definizione del giudizio di merito, finalizzato, appunto, ad ottenere l’accertamento della comproprietà della m in relazione alle predette quote.
Sotto il profilo del fumus boni iuris, più in particolare, l’attrice-istante ha dedotto di aver sciolto la comunione legale esistente con il marito in forza di convenzione del 18 maggio 2010, a rogito notar P, con cui i coniugi avevano optato per il regime di separazione dei beni, convenendo espressamente che i beni da essi acquistati in precedenza rimanessero in comunione ordinaria. Dovevano, quindi, considerarsi in comunione ordinaria, a detta della M, anche le quote di partecipazione del P a due società costituite in costanza di matrimonio – appunto la S s.a.s. e la G s.r.l.
Sotto il profilo del periculum in mora, la M ha allegato alcuni comportamenti concludenti del P, indici della sua volontà di ledere gli interessi della moglie, come si ricaverebbe, in particolare, dalla vendita, da parte della S in data 2 dicembre 2009 di un lotto di terreno edificabile per un prezzo di euro 65.000,00; dalla costituzione, pochi mesi dopo la stipula della convenzione di separazione dei beni, di altra società con gli stessi soci della S (la A s.a.s.); dall’acquisto da parte della A s.a.s. di un magazzino per uso commerciale al medesimo prezzo di euro 65.000,00; dall’affitto concesso dalla S alla A dell’intero complesso aziendale dietro un canone di euro 4.000,00 annui.
1.1. Ha resistito P, formulando, preliminarmente, alcune eccezioni pregiudiziali afferenti la procedibilità ed ammissibilità della domanda di merito della M, alla luce dell’identica domanda proposta dalla stessa in sede di separazione giudiziale (quale procedimento tutt’ora pendente dinanzi a questo Tribunale). Altre eccezioni pregiudiziali il P ha mosso in ordine alla scelta in rito fatta dalla M per introdurre l’istanza di sequestro giudiziario, essendo la stessa contenuta nell’atto di citazione e non in separato ricorso come prescritto dall’art. 669 bis c.p.c.
Quanto, invece, ai presupposti per la concessione dell’invocato sequestro, il P ha escluso tanto la sussistenza del fumus boni iuris - dovendosi le quote ritenere entrate non in comunione legale bensì in comunione de residuo ed essendo, comunque, indice di partecipazione personalistica non surrogabile con il subingresso di terzi - quanto quella delpericulum in mora, non avendo egli mai compiuto operazioni dirette a depauperare il patrimonio sociale.
1.2. Hanno resistito la S s.a.s. e la G s.r.l. facendo sostanzialmente propria la difesa del P. E’ volontariamente intervenuta (con intervento adesivo dipendente) la O s.p.a., quale società controllante la G s.p.a., evocata in giudizio dall’attrice (in quanto ritenuta socia della G s.r.l.) ma non costituitasi e nei cui confronti, anche al fine di sanare eventuali problemi di contraddittorio, .l’attrice ha dichiarato di rinunciare ad ogni domanda.
2. Vanno disattese, preliminarmente, le eccezioni preliminari e pregiudiziali sollevate dai convenuti e dalla terza intervenuta in ordine all’ammissibilità e procedibilità dell’istanza di sequestro, per essere la stessa contenuta nell’atto di citazione introduttivo del giudizio e non in separato ricorso come prescritto dall’art. 669 bis c.p.c.: competente a decidere sull’istanza cautelare spiegata in corso di causa è, infatti, indefettibilmente, il giudice della causa di merito, sicché da questo punto di vista nessun vizio è riconducibile alla scelta della M di includere l’istanza nel medesimo atto introduttivo del giudizio di merito, trattandosi di modalità al più inficiata da mera irregolarità formale, ma del tutto idonea al raggiungimento dello scopo suo proprio (vale a dire l’instaurazione del contraddittorio con le controparti).
Non appare ostativa alla trattazione dell’istanza cautelare neppure il fatto che la domanda di divisione sia stata già spiegata nel giudizio di separazione pendente tra le medesime parti, aderendo questo Tribunale all’orientamento (già paventato nell’ordinanza che ha deciso su un’istanza di sequestro proposta anche in quella sede) secondo cui il procedimento di separazione o divorzio, per le peculiarità in rito che lo caratterizzano, non si presta al cumulo con giudizi soggetti alle regole ordinarie i quali, quindi, saranno ammissibili solo se introdotti autonomamente nelle consone forme contenziose: la verosimile declaratoria di inammissibilità a cui pare destinata la domanda di divisione come formulata in quella sede elimina, pertanto, in radice il rischio dell’eventuale conflitto di giudicati e impone di rigettare anche la richiesta di riunione dei giudizi avanzata dalle parti (peraltro non opportuna alla luce della partecipazione al presente procedimento di soggetti diversi dai coniugi separandi).
3. Orbene, ai sensi dell’art. 670 c.p.c. il giudice può autorizzare il sequestro giudiziario di beni mobili o immobili, aziende o altre universalità di beni “quando ne è controversa la proprietà o il possesso ed è opportuno provvedere alla loro custodia o alla loro gestione temporanea”.
Va, anzitutto, sgomberato il campo sulla sussumibilità delle quote societarie nella nozione di beni mobili, anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 670 c.p.c., rappresentando esse beni immateriali ma suscettibili di formare oggetto di diritti (trasferimento inter vivos e mortis causa, assoggettabilità ad esecuzione forzata ecc.) pur con le limitazioni che in concreto possono essere stabilite dai singoli statuti (così, in parte motiva, Cass. 2 febbraio 2009, n. 2569).
Sussistente è, anche, evidentemente, nel caso di specie, una controversia in tema di proprietà e possesso dei predetti beni, in quanto la M chiede l’accertamento della propria contitolarità sulle predette quote, contestata, invece, dal marito.
Tanto premesso in punto di ammissibilità, in ordine al fumus boni iuris occorre osservare che i coniugi, dopo l’iniziale assoggettamento ex lege (in mancanza di diversa volontà) al regime patrimoniale della comunione dei beni, hanno scelto il regime della separazione con convenzione a rogito notar P del 18 maggio 2010, rep. …, racc. …, prevedendo espressamente, quanto agli acquisti effettuati in precedenza, che gli stessi sarebbero rimasti in comunione ordinaria.
La M allega che tra questi beni rientrerebbero anche le quote di partecipazione del marito a due società costituite (incontestatamente) in costanza di matrimonio, la S s.a.s. e la G s.r.l.. Il P deduce, invece, che i proventi di tali partecipazioni non sarebbero entrati in comunione legale (poi diventata comunione ordinaria in forza della convenzione del 18 maggio 2010), bensì in comunione de residuo, il che determinerebbe l’attribuzione alla M di un diritto di credito pari alla metà del valore di quanto spetterà al P al verificarsi di una delle cause di scioglimento delle predette società.
La difesa del P (condivisa anche dalle altre società partecipanti al giudizio) non pare cogliere nel segno, ferma, evidentemente, la possibilità di una differente valutazione in sede di merito.
Come detto, infatti, le quote di società possono assimilarsi ai beni mobili ai fini dell’individuazione del loro regime giuridico generale (cfr. Cass. 2569/2009 cit.), sicché nulla pare ostare all’inquadrabilità delle quote acquistate dal singolo coniuge in regime di comunione legale nella comunione immediata, in virtù dell'ampio tenore dell'art. 177 comma 1 lett. a) c.c. – che parla genericamente di acquisti compiuti in costanza di matrimonio - e in conformità alla "ratio" delle norme sulla comunione, che è quella di realizzare pienamente, anche sul piano dei rapporti patrimoniali, la dimensione comunitaria della vita familiare (ratioche impone, peraltro, un favor communionis nella stessa interpretazione delle norme codicistiche). D’altra parte, anche a voler fare propria la tesi dei convenuti e della terza intervenuta, secondo cui le quote acquistate dal P in costanza di matrimonio rientrerebbero in comunione differita ex art. 178 c.c. in quanto beni strumentali all’esercizio di un’attività di impresa da parte del P, ciò non varrebbe ad escludere, almeno a livello di delibazione sommaria, un diritto della M alla contitolarità delle quote medesime, dovendosi verificare l’esistenza di un simile diritto non al momento (futuro) dello scioglimento della società, bensì al momento (passato) dello scioglimento della comunione legale, coerentemente ai dettami di cui all’art. 178 c.c.
Sussiste, altresì – al di là degli specifici episodi dedotti dall’istante - l’opportunità della gestione delle quote nelle more del giudizio di merito, stante l’elevata conflittualità tra parti (evincibile dal tenore delle difese in atti, dall’estrema difficoltà di una trattativa tra le stesse e dal procedimento di separazione giudiziale pendente dinanzi a questo Tribunale) che fa apparire concreto il rischio di comportamenti in danno dell’istante e dei suoi diritti. Ciò alla luce della funzione propria del sequestro giudiziario, che è quella di garantire la custodia corretta e imparziale del bene oggetto della pretesa restitutoria nelle more della durata del processo di merito.
Non osta all’autorizzazione del sequestro il carattere personalistico delle partecipazioni del M. alle società G s.r.l. e S s.a.s. e le previsioni statutarie contrarie al subingresso di altri soggetti in difetto del consenso unanime degli altri soci (cfr. difese convenuti e terza intervenuta) in quanto l’effetto della comproprietà, verosimile alla luce delle considerazioni che precedono, è una conseguenza voluta dalla legge per attuare il principio d'ordine costituzionale della parità tra i coniugi, come tale da considerarsi preminente rispetto alla volontà dei privati (Cass. 27 maggio 1999, n. 5172; Cass. 18 agosto 1994, n. 7437).
Al fine, tuttavia, di non scompaginare gli assetti societari, considerata la natura interinale e cautelare del presente provvedimento, si reputa opportuno, allo stato, nominare custode delle quote lo stesso P., benché con stringenti oneri di rendicontazione, tali da garantire la posizione e i diritti della M.
La regolamentazione delle spese e competenze della presente fase cautelare viene rimessa alla definizione del merito, trattandosi di istanza formulata in corso di causa.
4. Avendo le parti chiesto alla prima udienza la concessione dei termini di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c., la causa viene differita per la decisione, in contraddittorio, sulle istanze istruttorie. Viene fissato un termine di decorrenza omogeneo al fine di non ledere i diritti di difesa delle parti nelle rispettive repliche.
P.Q.M.
letto l’art. 670 c.p.c.
AUTORIZZA il sequestro giudiziario del 50% delle quote facenti capo a P nell’ambito delle società S s.a.s. e G s.r.l., nominando quale custode, senza diritto di compenso, il medesimo P;
ORDINA alle società interessate (parti in causa) di prendere atto del presente provvedimento ed annotarlo nelle scritture societarie;
IMPONE al P di rendicontare bimestralmente al Tribunale sulla gestione delle quote e l’esercizio dei relativi diritti;
PRECISA che la gestione delle quote, durante il periodo di sequestro, dovrà essere finalizzata alla conservazione del loro valore "economico", con necessità di chiedere previamente l'autorizzazione a questo giudice per l'adozione di tutte le decisioni di maggior importanza, eccedenti l’ambito dell’ordinaria amministrazione;
RIMETTE al merito la regolamentazione delle spese e competenze relative al sub-procedimento cautelare di sequestro;
letto l’art. 183, comma 6, c.p.c.
ASSEGNA alle parti i seguenti termini perentori:
1) un termine di 30 giorni a partire dalla data dell’11 gennaio 2013 per il deposito di memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte;
2) un termine di ulteriori 30 giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall’altra parte, per proporre le eccezioni che siano conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime e per l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali;
3) un termine di ulteriori venti giorni per le sole indicazioni di prova contraria.
RINVIA all’udienza del 4 giugno 2013, ore 10:00, per la decisione, in contraddittorio, sulle eventuali istanze istruttorie;
INVITA le parti che non lo abbiano già fatto a formare i propri fascicoli in conformità a quanto previsto dall'art. 74 disp. att. c.p.c.;
INVITA, altresì, i difensori delle parti che non lo abbiano già fatto ad indicare nei propri scritti difensivi il proprio codice fiscale e quello delle rispettive parti rappresentate in conformità a quanto previsto dall’art. 4 d.l. 193/2009, come convertito dalla legge 24/2010;
MANDA alla cancelleria per le comunicazioni e gli ulteriori adempimenti di competenza.
Lamezia Terme, 6 novembre 2012.
Il giudice

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