sabato 26 febbraio 2011

Cambiale valida con firma illeggibile; si, per la persona giuridica; no, per la persona fisica traente

CASSAZIONE - VENERDI' 28 GENNAIO 2011

Titolo valido con la ragione sociale e la mera sigla non esclude il reato di falsità materiale


“quando invece il titolo sia sottoscritto in nome e per conto di una persona giuridica, basta che venga ad espressione la ragione sociale di essa, senza che sia necessario propalare l'identità di chi si sottoscrive nella dichiarata qualità di legate rappresentante. In tali condizioni, il vaglia cambiario la cui sottoscrizione rechi la ragione sociale della società traente e la sigla - sia pur illeggibile - di colui che per essa si obbliga, spendendo la qualità di legale rappresentante, è perfettamente allineato al requisito di cui all'art. 8 R.D. 14 dicembre 1933 n. 1669”



 
Cassazione, sez. I, 28 gennaio 2011, n. 3103

Motivi della decisione
 
Con sentenza in data 7 aprile 2009 la Corte d'Appello di Perugia, confermando la decisione assunta dal locale Tribunale - sezione distaccata di Città di Castello in esito al giudizio abbreviato, ha riconosciuto (...) responsabile del delitto di falsità materiale in cambiale continuata; ha quindi tenuto ferma la sua condanna alla pena di legge e al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
In fatico era accaduto che il (...) allo scopo di procurare liquidità, avesse firmato quattro cambiali apponendovi l'indicazione, quale traente, della ditta (...) s.r.l. e simulando, con una sigla, la sottoscrizione del legale rappresentante di essa; e che ne avesse poi fatto uso consegnandole a (...) per la messa in circolazione.
Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, per il tramite del difensore, affidandolo a un solo motivo. Con esso contesta la configurabilità del reato, non potendosi qualificate come sottoscrizione la sigla illeggibile apposta sui titoli, i quali pertanto non potevano essere considerati cambiali in difetto del requisito di cui all'art. 8 R.D. 14 dicembre 1933 n. 1669.
Il ricorso non è fondato.
Nel verificare la sussistenza, nella sottoscrizione della cambiale, del requisito di cui all'art. 8 R.D. 14 dicembre 1933 n. 1669, è necessario tenere presente che l'indicazione del nome e cognome del soggetto obbligato è richiesta soltanto quando costui sia una persona fisica (sebbene, anche in tal caso, per l'identificazione di un imprenditore individuale basti la ditta); quando invece il titolo sia sottoscritto in nome e per conto di una persona giuridica, basta che venga ad espressione la ragione sociale di essa, senza che sia necessario propalare l'identità di chi si sottoscrive nella dichiarata qualità di legate rappresentante. In tali condizioni, il vaglia cambiario la cui sottoscrizione rechi la ragione sociale della società traente e la sigla - sia pur illeggibile - di colui che per essa si obbliga, spendendo la qualità di legale rappresentante, è perfettamente allineato al disposto della norma dianzi citata: onde non ha fondamento la tesi secondo la quale non sarebbe configurabile il reato in quanto la falsità non riguarderebbe, nel caso di specie, un titolo cambiario formalmente valido, né una promessa di pagamento.
Il diverso approdo interpretativo cui è giunta la prima sezione civile di questa Suprema Corte con la sentenza n. 1058 del 25 gennaio 2001 (citata dal ricontare) in consapevole contrasto con Cass. civ. sez. 1, 19 giugno 1987 n. 5374, non convince perché contraddetto dal tenore letterale del citato art. 8 R.D. 14 dicembre 1933 n. 1669, che fa salva la validità del titolo cambiario anche quando l'identità del sottoscrittore, anziché con l'uso del nome e cognome, sia manifestata attraverso la denominazione della ditta: lo stesso criterio non può non ritenersi applicabile alla società, la cui identità è univocamente espressa dalla ragione sociale, mentre i poteri del sottoscrittore sono verificabili attraverso l'indicazione del rapporto organico, donde deriva la legale rappresentanza del soggetto collettivo.
L'aver dunque emesso quattro vaglia cambiari recanti la mendace indicazione quale traente, della società (...) srl, con l’apposizione della sigla falsamente attribuita al suo amministratore, facendone poi uso con la consegna ad altri per la presentazione in banca, ha ripetutamente integrato il delitto di cui agli 491 c.p., così come correttamente statuito dal giudice di merito.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 
P.Q.M.
 
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

mercoledì 23 febbraio 2011

I limiti del diritto di cronaca e giornalismo di inchiesta

CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE V PENALE
Sentenza 27 ottobre 2010 – 1 febbraio 2011, n. 3674



"Rientra cioè nell'esercizio del diritto di cronaca giudiziaria riferire atti di indagini e atti censori provenienti dalla pubblica autorità, ma non è consentito effettuare ricostruzioni, analisi, valutazioni tendenti ad affiancare e precedere attività di polizia e magistratura, indipendentemente dai risultati di tali attività. E' quindi in stridente contrasto con il diritto/dovere di narrare fatti già accaduti, senza indulgere a narrazioni e valutazioni "a futura memoria", l'opera del giornalista che confonda cronaca su eventi accaduti e prognosi su eventi a venire. In tal modo, egli, in maniera autonoma, prospetta e anticipa l'evoluzione e l'esito di indagini in chiave colpevolista, a fronte di indagini ufficiali né iniziate né concluse, senza essere in grado di dimostrare la affidabilità di queste indagini private e la corrispondenza a verità storica del loro esito. Si propone ai cittadini un processo agarantista, dinanzi al quale il cittadino interessato ha, come unica garanzia di difesa, la querela per diffamazione.

il giornalista ha integrato le dichiarazioni della fonte conoscitiva con altri dati di riscontro, realizzando la funzione investigativa e valutativa rimessa all'esclusiva competenza dell'autorità giudiziaria. E' quindi pienamente conforme alle risultanze processuali e a una loro razionale valutazione la conclusione della corte di merito, secondo cui il testo pubblicato non può ritenersi un'asettica riproduzione di dichiarazioni - a prescindere della loro riservatezza - del Ra., ma un articolato discorso che, comprendendo altri dati storici, tende inequivocabilmente a sostenere la verità del contenuto di queste, a fronte di indagini in corso proprio per l'accertamento di questa verità.

A ciascuno il suo: agli inquirenti il compito di effettuare gli accertamenti, ai giudici il compito di verificarne la fondatezza, al giornalista il compito di darne notizia, nell'esercizio del diritto di informare, ma non di suggestionare, la collettività.

L'assenza di verità dei fatti narrati - finanziamenti di provenienza mafiosa all'ascendente manager dell'informazione e del trattenimento televisivi- comporta l'evidente carica diffamatoria della narrazione e la totale assenza di evidenza del corretto esercizio del diritto di cronaca giudiziaria. Il ricorso va quindi rigettato.
"


SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE V PENALE

Sentenza 27 ottobre 2010 – 1 febbraio 2011, n. 3674

Svolgimento del processo

Con sentenza 21.9.09, la corte di appello di Roma, in riforma della sentenza S.5.06 del tribunale della stessa sede, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di R.T.C. per morte dell'imputato, ha confermato, nei confronti di G.H.P., la dichiarazione di estinzione per prescrizione del reato di diffamazione in danno di B.S.. Il difensore del G. H. ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

1. violazione di legge in riferimento all'art. 129 c.p.p., comma 2, per mancato riconoscimento dell'esimente del diritto di cronaca. La corte di appello ha riconosciuto la fondatezza della tesi difensiva, secondo cui sulla corrispondenza tra quanto narrato (le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, il finanziere Ra.) e quanto accaduto non incide la circostanza che tali dichiarazioni fossero contenute in un processo verbale segretato. Ha ugualmente riconosciuto che il controllo sulla veridicità della notizia non deve estendersi alla veridicità di quanto riferito dal collaboratore di giustizia, ma solo alla corrispondenza tra il suo contenuto e il testo dell'articolo. Da queste premesse non ha tratto la logica conclusione sulla evidenza della prova che il fatto contestato non costituisce reato, per esercizio della scriminante del diritto di cronaca. Ha invece rilevato che nell'articolo erano contenute considerazioni tratte da altre dichiarazioni di altri soggetti, coinvolti nell'inchiesta, sui presunti finanziamenti della mafia al gruppo Fininvest. Tali ulteriori considerazioni apparirebbero dirette ad avvalorare la credibilità del dichiarante, realizzando la funzione di riscontro,che deve essere rimessa all'esclusiva competenza dell'autorità giudiziaria. Secondo il ricorrente, questo ragionamento è auto-contraddittorio: il diritto di cronaca si esercita anche informando i lettori che, nell'ambito della medesima inchiesta, vi sono altre dichiarazioni che sono da mettere in relazione con la prima già riportata. Posto che queste altre dichiarazioni sono state fedelmente riportate, la prova della verità dei fatti deve considerarsi evidente,di qui l'evidenza della causa di giustificazione, così come prescrive l'art. 129 c.p.p., comma 2. 2. vizio di motivazione : la corte non ha spiegato le ragioni per cui riportare fedelmente le dichiarazioni di Ra. costituisce esercizio del diritto di cronaca e,invece, riportare fedelmente altre dichiarazioni o l'aver riferito il contenuto di altri documenti (dettagliatamente elencati e depositati nel presente procedimento) esclude la configurabilità della scriminante, quanto meno sotto il profilo della "prova evidente".

L'illogicità della motivazione emerge anche dalla mancanza di giudizio sui singoli passaggi dell'articolo e dalla mancanza di indicazione di alcuno dei profili diffamatori delle sue affermazioni.

Motivi della decisione

Il ricorso non merita accoglimento.

L'esimente invocata nel presente processo è quella rientrante nell'esercizio del diritto di informare i cittadini sull'andamento degli accertamenti giudiziali a carico di altri consociati, cioè il diritto di cronaca giudiziaria. E' interesse dei cittadini essere informati su eventuali violazioni di norme penale e civili, conoscere e controllare l'andamento degli accertamenti e la reazione degli organi dello stato dinanzi all'illegalità, onde potere effettuare consapevoli valutazioni sullo stato delle istituzioni e sul livello di legalità caratterizzante governanti e governati, in un determinato momento storico.

Secondo un condivisibile orientamento interpretativo, il diritto di cronaca giornalistica, giudiziaria o di altra natura, rientra nella più vasta categoria dei diritti pubblici soggettivi, relativi alla libertà di pensiero e al diritto dei cittadini di essere informati, onde poter effettuare scelte consapevoli nell'ambito della vita associata. E' diritto della collettività ricevere informazioni su chi sia stato coinvolto in un procedimento penale o civile, specialmente se i protagonisti abbiano posizioni di rilievo nella vita sociale, politica o giudiziaria. In pendenza di indagini di polizia giudiziaria e di accertamenti giudiziali nei confronti di un cittadino, non può essere a questi riconosciuto il diritto alla tutela della propria reputazione: ove i limiti del diritto di cronaca siano rispettati, la lesione perde il suo carattere di antigiuridicità.

Va comunque precisato che la reputazione del soggetto coinvolto in indagini e accertamenti penali non è tutelata rispetto all'indicazione di fatti e alla espressione di giudizi critici, a condizione che questi siano in correlazione con l'andamento del procedimento. Rientra cioè nell'esercizio del diritto di cronaca giudiziaria riferire atti di indagini e atti censori provenienti dalla pubblica autorità, ma non è consentito effettuare ricostruzioni, analisi, valutazioni tendenti ad affiancare e precedere attività di polizia e magistratura, indipendentemente dai risultati di tali attività. E' quindi in stridente contrasto con il diritto/dovere di narrare fatti già accaduti, senza indulgere a narrazioni e valutazioni "a futura memoria", l'opera del giornalista che confonda cronaca su eventi accaduti e prognosi su eventi a venire. In tal modo, egli, in maniera autonoma, prospetta e anticipa l'evoluzione e l'esito di indagini in chiave colpevolista, a fronte di indagini ufficiali né iniziate né concluse, senza essere in grado di dimostrare la affidabilità di queste indagini private e la corrispondenza a verità storica del loro esito. Si propone ai cittadini un processo agarantista, dinanzi al quale il cittadino interessato ha, come unica garanzia di difesa, la querela per diffamazione.

E' quindi pienamente condivisibile la decisione della sentenza impugnata, laddove, nel caso in esame, esclude l'evidenza del corretto esercizio del diritto di cronaca, istituzionalmente riconosciuto a fini informativi di fatti già accaduti: il giornalista ha integrato le dichiarazioni della fonte conoscitiva con altri dati di riscontro, realizzando la funzione investigativa e valutativa rimessa all'esclusiva competenza dell'autorità giudiziaria. E' quindi pienamente conforme alle risultanze processuali e a una loro razionale valutazione la conclusione della corte di merito, secondo cui il testo pubblicato non può ritenersi un'asettica riproduzione di dichiarazioni - a prescindere della loro riservatezza - del Ra., ma un articolato discorso che, comprendendo altri dati storici, tende inequivocabilmente a sostenere la verità del contenuto di queste, a fronte di indagini in corso proprio per l'accertamento di questa verità.

A ciascuno il suo: agli inquirenti il compito di effettuare gli accertamenti, ai giudici il compito di verificarne la fondatezza, al giornalista il compito di darne notizia, nell'esercizio del diritto di informare, ma non di suggestionare, la collettività.

L'assenza di verità dei fatti narrati - finanziamenti di provenienza mafiosa all'ascendente manager dell'informazione e del trattenimento televisivi- comporta l'evidente carica diffamatoria della narrazione e la totale assenza di evidenza del corretto esercizio del diritto di cronaca giudiziaria. Il ricorso va quindi rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate in complessivi Euro 1.200,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in complessivi Euro 1.200,00, oltre accessori come per legge.

lunedì 14 febbraio 2011

RCA, la polizza deve essere legalmente stipulata con il proprietario

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE Sentenza 2 dicembre 2010 - 21 gennaio 2011, n. 1408

il giudice, ha escluso che sia legalmente possibile imporre alla compagnia il diritto del contraente di assicurare, mediante polizza a sé intestata, il veicolo in proprietà altrui.


SEZIONE III CIVILE

Sentenza 2 dicembre 2010 - 21 gennaio 2011, n. 1408

Fatto e diritto

La Corte, rileva:

il M. citò in giudizio la compagnia Commerciai Union Insurance perché fosse dichiarato il suo diritto di assicurare per la R.C. auto un veicolo intestato a sua madre (che egli sosteneva da lui stesso abitualmente condotto) mediante polizza a se stesso intestata per altro veicolo di sua proprietà (e, dunque, con la medesima classe di merito); la domanda, accolta dal G.d.P. di Piedimonte Matese, è stata respinta dal Tribunale di S. Maria C.V.;

il M. propone ora ricorso per cassazione a mezzo di quattro motivi e non si difende l'intimata compagnia;

osserva, il primo motivo sostiene che la domanda non concerneva la stipula di un nuovo contratto a favore di terzo, bensì il riconoscimento del diritto di poter stipulare un contratto assicurativo anche da parte di chi non è proprietario del veicolo ma ne è solo il conducente;

il secondo motivo sostiene la violazione degli artt. 1469 bis e segg. c.c., in quanto sarebbe vessatoria per il consumatore la clausola che impedisce di assicurare mediante la medesima polizza (e la medesima classe di merito) una vettura altrui ma pur sempre in uso del conducente;

il terzo motivo censura la scorrettezza processuale della controparte;

il quarto motivo censura la sentenza nel punto in cui ha condannato l'attuale ricorrente al pagamento delle spese dei due gradi del giudizio;

i motivi, che non fanno che ripetere quanto già sostenuto nei giudizi del merito, sono infondati in quanto il giudice, dopo avere escluso che sia legalmente imposto alla compagnia il diritto del contraente di assicurare mediante polizza a sé intestata il veicolo in proprietà altrui, è passato all'interpretazione del contratto ed ha escluso che da esso derivi per l'assicurato la pretesa vantata; ha, altresì, con motivazione congrua e logica, escluso la natura vessatoria delle condizioni di contratto, sia a norma dell'art. 1341 c.c., sia a norma degli artt. 1469 bis e segg. c.c.;

quanto alla condanna alle spese dei giudizi di merito, essa è legittima conseguenza della soccombenza dell'attore;

il ricorso deve essere, pertanto, respinto, senza doversi provvedere in ordine alle spese del giudizio di cassazione, in considerazione della mancata difesa della parte intimata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

mercoledì 2 febbraio 2011

Lavoratore, presupposti del diritto ai permessi mensili retribuiti ex art. 33 legge 104 del 1992

SENTENZA N 63 DEL 14 GENNAIO 2011-TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PUGLIA

La sentenza interviene sulla vexata quaestio relativa all'interpretazione dell'art. 33 della legge 104/92, con riferimento alla sussistenza del requisito della assistenza continua del disabile nel caso in cui la sede di lavoro del dipendente si trovi a notevole distanza dal luogo di residenza dell'assistito. La pronuncia del TAR chiarisce che il requisito della continuità non coincide con l'assistenza quotidiana, ma è sufficiente che l'assistenza si svolga secondo criteri di sistematicità ed adeguatezza, che non si possono escludere nel caso di lontananza del dipendente dal luogo dell'assistito. In altri termini, la distanza non può essere considerata elemento risolutivo per la mancata concessione del beneficio.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1371 del 2009, proposto da: 
Maresciallo Caio, rappresentato e difeso dall'avv. Sempronio, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Tizio; 
contro
Ministero dell'Economia e delle Finanze - Comando Generale della Guardia di Finanza - Comando Regionale Puglia della Guardia di Finanza, in persona del Ministro, Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliata per legge in Bari, via Melo, 97; 
per l'annullamento
“- della determina n. 0244824/09 emessa il giorno 06/05/2009, e notificata il 29/05/09, di rigetto dell’istanza del ricorrente volta ad ottenere la possibilità di usufruire dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, L. 104/92
e per la condanna
della Amministrazione intimata al risarcimento dei danni eventualmente derivanti dal comportamento della stessa.”

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista l’ordinanza n. 591 dell’1 ottobre 2009, di accoglimento dell’istanza incidentale di sospensione cautelare;
Vista l’ordinanza della Sezione IV del Consiglio di Stato, n. 420 del 27 gennaio 2010, di rigetto dell’istanza cautelare in primo grado, in riforma della suddetta ordinanza di questo T.A.R.;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2010 la dott.ssa Rosalba Giansante e udito per la parte ricorrente il difensore, l’avv. Sempronio; nessuno è comparso per l’Amministrazione resistente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Espone in fatto il M.C. Maresciallo Caio, dipendente della Guardia di Finanza, in forza alla Tenenza di Cerignola (FG), di aver presentato in data 12.02.2009 istanza volta ad ottenere tre giorni di permesso mensili, ai sensi dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 per poter assistere la madre, sig.ra Immacolata Maffini, nata a Marcianise (CE) il 22.01.1948 e residente a Latina, affetta da disabilità sensoriale (art. 50 della legge n. 342 del 2000) e cecità parziale in entrambi gli occhi accertate dalla Commissione per l’accertamento dell’handicap della Azienda U.S.L. di Latina - Distretto di Latina.
Aggiunge di aver allegato alla suddetta istanza tre dichiarazioni sostitutiva di atto di notorietà attestanti rispettivamente l’impossibilità per gli altri componenti dell’originario nucleo familiare, Francesco Esposito e Stefania Esposito, di prestare assistenza continua alla madre per motivi personali, il mancato ricovero a tempo pieno in strutture ospedaliere o simili della sig.ra Immacolata Maffini e che il nucleo familiare di origine era composto dalla citata sig.ra Maffini in stato di vedovanza.
Il ricorrente riferisce inoltre che con fonogramma del 27.02.2009, notificato il 30.03.2009, il Comandante Regionale del Comando Regionale Puglia della Guardia di Finanza aveva rigettato la sua istanza; che esso ricorrente aveva contestato tale decisione con memorie scritte; che con provvedimento n. 0244824/09 del 06.05.2009, notificato il 29.05.09, l’istanza veniva nuovamente rigettata per mancanza del requisito della continuità.
Il ricorrente ha, quindi, proposto il presente ricorso ritualmente notificato il 27.07.2009 e depositato nella Segreteria del Tribunale il 27.08.2009, con il quale ha chiesto l’annullamento del suddetto provvedimento di rigetto n. 0244824/09 del 06.05.2009 e la condanna della Amministrazione resistente al risarcimento dei danni eventualmente derivanti dal comportamento della stessa.
A sostegno del gravame il ricorrente ha dedotto le seguenti censure:
1 - violazione e falsa applicazione dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, così come modificato dall’art. 19 della legge n. 53 del 2000.
2 - eccesso di potere per errata interpretazione dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992;
3 – violazione degli artt. 3 e 33 della legge n. 104 del 1992, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, degli artt. 7, 25 e 26 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, degli artt. 4, comma 1, lettera B ed art. 19 della Convenzione delle Nazioni Unite, sui diritti delle persone con disabilità.
Il M.C. Esposito ha contestato quanto rappresentato nel provvedimento impugnato e cioè che il requisito della continuità non sussisterebbe a causa della eccessiva distanza intercorrente tra la sede di servizio e la località di residenza del soggetto portatore di handicap, in quanto, conformemente a quanto ritenuto dall’INPS nella circolare n. 90 del 23 maggio 2007, il requisito della continuità dovrebbe avere i caratteri della sistematicità ed adeguatezza piuttosto che il carattere della assistenza quotidiana; parte ricorrente lamenta altresì l’illegittimità del provvedimento impugnato in quanto sarebbe stato emanato in violazione dell’art. 7 Carta dei Diritti Fondamentali dell’Uomo che prevederebbe il rispetto della vita privata e della vita familiare; né sarebbe condivisibile la motivazione del provvedimento di rigetto nella parte in cui richiama la suddetta circolare laddove essa dispone che il requisito della sistematicità dell’assistenza “non dovrebbe trovare applicazione in relazione alle Forze di Polizia ovvero ad una categoria di lavoratori, comunque legata ad una sede di servizio stabile” in quanto già l’uso del condizionale esprimerebbe i dubbi su detta interpretazione.
Il M.C. Esposito ha chiesto altresì la condanna dell’amministrazione resistente al risarcimento dei danni prodotti dalla mancata concessione dei permessi richiesti, danno da individuarsi nella sofferenza derivante dalla impossibilità di poter usufruire delle giuste tutele previste dalla legge ispirata alla tutela dei più deboli prevista dalla Costituzione; tale danno non necessiterebbe di prova avendo parte resistente procurato una lesione di valori costituzionalmente tutelati con l’adozione del provvedimento impugnato e sarebbe da liquidarsi in via equitativa.
Si è costituito a resistere in giudizio il Ministero dell’Economia e delle Finanze, a mezzo dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, chiedendo il rigetto del gravame.
Entrambe le parti hanno prodotto documentazione.
Parte ricorrente ha presentato una memoria per la camera di consiglio e l’Avvocatura Distrettuale dello Stato in data 17.09.2009 ha depositato la relazione illustrativa del Comando Regionale Puglia della Guardia di Finanza del 07.09.2009.
Alla camera di consiglio del 30 settembre 2009, con ordinanza n. 591, è stata accolta la domanda incidentale di sospensione cautelare.
Con ordinanza n. 420 del 27 gennaio 2010, la Sezione IV del Consiglio di Stato ha rigettato l’istanza cautelare proposta in primo grado, in riforma della suddetta ordinanza di questo T.A.R..
Il M.C. Esposito ha presentato una ulteriore memoria per l’udienza di discussione.
Alla udienza pubblica del 3 dicembre 2010 la causa è stata chiamata e assunta in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è fondato e deve, pertanto, essere accolto.
Coglie nel segno il motivo di censura con il quale il ricorrente ha dedotto la violazione, falsa applicazione ed errata interpretazione dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992.
Il Collegio ritiene utile, preliminarmente, focalizzare la regola di diritto da applicare alla fattispecie in esame.
L’art. 33 della legge n. 104 del 1992 al comma 3, concernente la fruibilità di permessi mensili retribuiti da parte del lavoratore, aveva inizialmente previsto che: “Successivamente al compimento del terzo anno di vita del bambino, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravità, nonchè colui che assiste una persona con handicap in situazione di gravità parente o affine entro il terzo grado, convivente, hanno diritto a tre giorni di permesso mensile, fruibili anche in maniera continuativa a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno”; il comma 5, disciplinante la sede di lavoro più vicina ed il trasferimento, recitava: “Il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, con lui convivente, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.”
Successivamente il legislatore è intervenuto modificando la suddetta normativa con la legge n. 53 del 2000; l’art. 19 di tale legge, per quello che in questa sede interessa, alla lettera a), concernente il comma 3 del suddetto art. 33, dopo le parole: “permesso mensile” ha inserito le seguenti parole: “coperti da contribuzione figurativa”; ed alla lettera b), relativamente al comma 5, dello stesso art. 33 ha soppresso le parole: “con lui convivente”; l’art. 20, recante Estensione delle agevolazioni per l'assistenza a portatori di handicap, al comma 1 ha altresì disposto: “Le disposizioni dell'art. 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, come modificato dall'art. 19 della presente legge, si applicano anche qualora l'altro genitore non ne abbia diritto nonchè ai genitori ed ai familiari lavoratori, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assistono con continuità e in via esclusiva un parente o un affine entro il terzo grado portatore di handicap, ancorchè non convivente.”
Dal dato letterale della suddetta disciplina, applicabile alla fattispecie oggetto di gravame così come sopra richiamata dopo le modifiche apportate dalla legge n. 53 del 2000, essendo il provvedimento impugnato stato adottato in data 06.05.2009, emerge che il legislatore del 2000 con l’art. 19 ha soppresso le parole: “con lui convivente” limitatamente nel comma 5 concernente la sede di lavoro più vicina ed il trasferimento, ma non per il comma 3 relativo ai permessi mensili retribuiti che riguardano la fattispecie per cui è causa.
Tuttavia il successivo art. 20 della medesima legge n. 53 del 2000, seppure richiama l’art. 33 come modificato dal precedente art. 20, estende l’applicabilità delle disposizioni dell'intero art. 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ai familiari lavoratori, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assistono con continuità e in via esclusiva un parente o un affine entro il terzo grado portatore di handicap, ancorchè non convivente.” uniformando quindi per tale aspetto la disciplina dei permessi e della sede di lavoro e trasferimento.
Alla luce di quanto sopra il Collegio ritiene che i permessi retribuiti possano essere concessi sia ai familiari lavoratori conviventi che a quelli non conviventi, ma per questi ultimi a condizione che assistano con continuità e in via esclusiva il portatore di handicap.
Passando ad analizzare, sulla base di dette coordinate la fattispecie concreta oggetto di gravame, il Collegio ritiene che la questione centrale posta dall’odierno ricorso sia stabilire se il M.C. Esposito assista con continuità sua madre, considerato che l’esclusività non risulta controversa; tale questione deve essere affrontata tenuto conto che le modifiche introdotte con la legge n. 53 del 2000, come già ha avuto modo di affermare questa Sezione nella sentenza n. 1329 dell’8.04.2010, sono complessivamente caratterizzate da una implementazione del diritto all’assistenza del disabile e che tale criterio, che costituisce la ratio legis, deve presiedere all’attività di interpretazione di tutte le disposizioni di che trattasi al fine di assicurare coerenza al sistema e compatibilità con i principi costituzionali, anche ex art. 3 della Costituzione.
Il Collegio, confermando l’orientamento già fatto proprio da questa Sezione (cfr. sentenza n. 1329/2010 cit.), ritiene che il requisito della continuità dell’assistenza non possa farsi coincidere con una quotidianità dell’assistenza medesima, essendo sufficiente che tale assistenza si svolga secondo criteri di sistematicità e di adeguatezza (orientamenti giurisprudenziali recepiti dall’I.N.P.S. con la circolare n. 90 del 23 maggio 2007), come condisibilmente prospettato da parte ricorrente; tanto è vero che i benefici per cui è causa non possono invece essere riconosciuti solo per l’ipotesi di ricovero del disabile a tempo pieno presso apposita struttura.
Se quanto sopra è vero la distanza non può in sé rappresentare elemento dirimente alla mancata concessione del beneficio, come sostenuto da questa Sezione nell’ordinanza n. 591 dell’1 ottobre 2009 di accoglimento dell’istanza incidentale di sospensione; anche con la suddetta sentenza n. 1329/2010, peraltro richiamata da parte ricorrente nella memoria depositata il 26.11.2010, questa Sezione ha ritenuto che per continuità dell’assistenza, intesa anche come effettività dell’assistenza in favore del disabile da parte del lavoratore, genitore o parente del soggetto stesso, non possa – ai fini della concessione dei giorni di permesso – aversi riguardo in senso ostativo ad una accezione del concetto di lontananza solo in senso spaziale.
Il Collegio ritiene inoltre, concordando con la prospettazione del M.C. Esposito e contrariamente da quanto sostenuto da parte resistente nella relazione illustrativa del Comando Regionale Puglia della Guardia di Finanza del 07.09.2009, che non possa ritenersi condivisibile la motivazione del provvedimento stesso di rigetto laddove richiama la parte della circolare del Comando Generale della Guardia di Finanza n. 113616/102 del 07.04.2008 che prevede che il requisito della sistematicità dell’assistenza “non dovrebbe trovare applicazione in relazione alle Forze di Polizia ovvero ad una categoria di lavoratori, comunque legata ad una sede di servizio stabile”.
In disparte la questione, peraltro evidenziata anche dal ricorrente, che già l’uso del condizionale esprimerebbe i dubbi su detta interpretazione da parte dello stesso Comando Generale della Guardia di Finanza che ha emanato la circolare, il Collegio ritiene che non applicare al personale della Guardia di Finanza il requisito della continuità come sopra inteso e, quindi, ritenendo sufficiente che l’assistenza alla persona handicappata da parte del lavoratore si svolga secondo criteri di sistematicità e di adeguatezza, sistematicità che non può escludersi nel caso di obiettiva lontananza del dipendente dalla sede del disabile, sarebbe discriminante per tale categoria di lavoratori, come peraltro rappresentato nella circolare stessa per altre categorie di lavoratori.
Rientra poi nelle valutazioni personali del lavoratore che assiste la persona handicappata trovare la migliore soluzione organizzativa possibile per dare l’ottimale assistenza alla persona handicappata stessa, compatibile con la lontananza e le specifiche esigenze della persona assistita.
Il Collegio, pur consapevole della difficoltà, ritiene si debba trovare un punto di equilibrio tra i valori tutelati, autoorganizzazione dell’amministrazione ai sensi dell’art. 97 della Carta Fondamentale e salvaguardia del diritto alla salute ai sensi dell’art. 32 della stessa Costituzione, astrattamente configgenti, ma non senza considerare che nel bilanciamento dei contrapposti interessi deve ritenersi preminente, nella materia per cui è causa, il diritto alla salute della persona assistita.
Il profilo di illegittimità dedotto con il suillustrato motivo di ricorso ha una indubbia valenza assorbente rispetto agli altri motivi di gravame, sicché la fondatezza della dedotta censura comporta l’accoglimento del ricorso stesso, senza necessità di pronunziarsi sugli ulteriori motivi d’impugnazione.
Conclusivamente, per i suesposti motivi, il ricorso deve essere accolto e, conseguentemente, deve essere annullato il provvedimento prot. n. 0244824/09 del 06.05.2009 con il quale il Comando Regionale Puglia della Guardia di Finanza ha rigettato l’istanza del ricorrente volta ad ottenere tre giorni di permesso mensili, ai sensi dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, per poter assistere la madre, sig.ra Immacolata Maffini.
Il Collegio rigetta, invece, la domanda per la condanna al risarcimento del danno, pure formulata con il gravame in esame.
Occorre al riguardo evidenziare che seppure la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale ai sensi dell'art. 2059 c.c. che tutela le violazioni gravi di diritti inviolabili della persona, non altrimenti rimediabili. (cfr. Consiglio di Stato, Sezione VI, 23 marzo 2009, n. 1716) si ritiene di dover ulteriormente evidenziare che, anche a voler ammettere la sua configurabilità per una tipologia di danno quale quella addotta nel caso di specie, la relativa domanda va comunque rigettata in quanto il diritto al risarcimento del danno morale, in tutti i casi in cui è ritenuto risarcibile, non può prescindere dalla allegazione da parte del richiedente, degli elementi di fatto dai quali desumere l'esistenza e l'entità del pregiudizio (cfr. Cassazione Sezioni Unite n. 3677/2009).
Nel caso oggetto del presente giudizio la domanda è genericamente formulata e non supportata neanche da un principio di prova.
Il M.C. Esposito lamenta, infatti, genericamente che il danno sarebbe derivato dalla mancata concessione dei permessi richiesti, danno da individuarsi nella “sofferenza derivante dalla impossibilità di poter usufruire delle giuste tutele previste dalla legge ispirata alla nostra Carta Costituzione a tutela dei più deboli”.
Le spese, secondo la regola della soccombenza, devono porsi a carico della parte resistente, nell’importo liquidato nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Respinge la domanda risarcitoria.
Condanna parte resistente al pagamento delle spese processuali e degli onorari di giudizio, che liquida in €. 2.000,00 (duemila/00) in favore del M.C. Maresciallo Caio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2010 con l'intervento dei magistrati:
Pietro Morea, Presidente
Antonio Pasca, Consigliere
Rosalba Giansante, Referendario, Estensore
 


 


L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE
 


 


 

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