lunedì 30 novembre 2009

Processo civile, rito sommario a cognizione piena, Giurisprudenza

Tribunale di Varese Sezione I Civile Ordinanza 18 novembre 2009

"questo giudice reputa di dovere aderire ai suggerimenti dei primi commentatori della riforma (legge 18 giugno 2009 n. 69), secondo i quali il giudice è chiamato a valutare nell’ordine:

a. l’oggetto “originario” del processo ed i fatti costitutivi della domanda (anche in relazione al valore della causa);

b. le eventuali domande riconvenzionali e quelle nei confronti di terzi e le difese svolte in sede di costituzione dal convenuto e dai terzi;

c. l’impostazione complessiva del sistema difensivo del convenuto (e dei terzi), da cui desumere le questioni, di fatto e di diritto, controverse tra le parti, tenendo anche conto di singole eccezioni di rito e di merito, nonché delle richieste istruttorie già formulate o comunque prospettate quale thema probandum.

Il parametro valutativo da assumere quale primario riferimento per il giudizio di “decidibilità” nelle forme del sommario è, dunque, sicuramente l”oggetto” della causa ed il complesso articolato di difese ed eccezioni introitate nel giudizio, passando, anche, per le richieste istruttorie articolate dalle parti e le eventuali istanze per la estensione del contraddittorio ad altri soggetti. Non è un caso che l’art. 702-ter, comma III, c.p.c. richiami espressamente “le difese svolte dalle parti”, ai fini della eventuale conversione.
All’esito delle valutazioni che precedono, il giudice, tenuto conto della complessità oggettiva e soggettiva della causa, deve prefigurarsi il percorso che, a suo giudizio, si prospetta per la decisione e, dunque, verificarne la sua compatibilità con le forme semplificate. La compatibilità va esclusa ove venga meno uno degli assi portanti del giudizio sommario e, cioè: I) celerità dei tempi e II) snellezza delle forme.
Sulla scorta delle osservazioni dell’autorevole dottrina, il giudice, però, può anche valutare tout court l’eventuale manifesta fondatezza/infondatezza della domanda (detto a contrario, la manifesta infondatezza/fondatezza della difese del convenuto) ove, ad esempio, nonostante la complessità globale del giudizio, una questione di diritto sia idonea a risolvere la lite.
Alla luce delle argomentazioni sin qui svolte, l’istruzione sommaria è quella che dà la stura ad un processo (in concreto) veloce e snello, a prescindere dall’eventuale complessità (in astratto) del fascicolo del procedimento.
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Tribunale di Varese
Sezione I Civile
Ordinanza 18 novembre 2009
(giudice G. Buffone)
Ordinanza
ex art. 702-ter, comma V, c.p.c.
***
L’attrice evoca in giudizio la convenuta assumendo di avere versato a favore di quest’ultima la complessiva somma di euro 8.120,00 ma di non avere ricevuto, come previsto dal sinallagma pattuito, la controprestazione pari ad una partita di fornitura di capi di abbigliamento. Chiede, per l’effetto, il risarcimento del danno (in via equitativa) e la ripetizione dell’importo versato a titolo di corrispettivo, previa declaratoria dell’inadempimento del partner negoziale.
1. Verifichi preliminari
L’odierna controversia rientra tra quelle indicate nell’art. 702-bis, comma I, c.p.c. e, prima facie, è sussistente la competenza territoriale di questo Tribunale.
Preliminare alla decisione in ordine alle richieste istruttorie è la previa qualificazione giuridica del rito sommario di cognizione, nel senso di procedimento di plena cognitio ovvero nel senso di tutela sommaria. Come noto, la dottrina sul punto è divisa. Secondo taluni il rito sommario dovrebbe farsi confluire nei procedimenti sommari non cautelari, tenuto conto della sua collocazione topografica nel codice di rito e vista la sua stessa definizione legislativa. Alcuni commentatori, peraltro, qualificano il suddetto rito come bifasico: il primo grado sarebbe la fase sommaria del giudizio; il secondo grado sarebbe la fase a cognizione piena e, dunque, non un appello.
Altra dottrina reputa che il rito sommario sia a tutti gli effetti un rito ordinario a cognizione piena, atteso che, tra l’altro, si conclude con un provvedimento che passa in giudicato.
A parere di questo giudice, va condivisa l’opinione di quanti in Dottrina hanno ritenuto che il rito sommario non possa iscriversi nell’alveo dei procedimenti a cognizione sommaria. Pare, in particolare, da condividere l’opinione di chi ha parlato di “rito semplificato” di cognizione. Diverse sono le ragioni che conducono a ritenere tale conclusioni l’unica corretta, all’esito del procedimento ermeneutico:
a) in primo luogo, è prevista espressamente la “comunicabilità” tra il rito sommario di cognizione e quello ordinario, atteso che la conversione determina il passaggio di una controversia tra binari paralleli, non ipotizzabile, certo, ove si trattasse di riti ontologicamente differenziati;
b) vi è, poi, che la delega legislativa contenuta nella Legge 69/2009 propone, de jure condendo, la concentrazione dei procedimenti civili in tre soli riti di cognizione ove spicca anche il sommario che è collocato nell’ambito dei procedimenti civili di natura contenziosa nei quali prevalgono caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione: aver richiamato, come uno dei tre modelli di riferimento, il procedimento “sommario” sta a significare che quest’ultimo si colloca al di fuori delle tutele sommarie;
c) l’ordinanza con cui viene definito il procedimento sommario di cognizione produce gli effetti di cui all’art. 2909 c.c. (art. 702-quater, comma I, c.p.c.) e, dunque, come si è autorevolmente scritto, è un processo di cognizione speciale, alternativo al processo a cognizione piena ed idoneo ad impartire tutela dichiarativa nella stessa identica misura di quest’ultimo.
Ne segue – come si è abilmente sostenuto in dottrina - che il procedimento sommario di cognizione ex artt. 702-bis ss. c.p.c. “è in realtà un processo a cognizione piena, poiché nella sua destinazione prevale la funzione di accertare definitivamente chi ha ragione e chi ha torto tra le parti, rispetto alle funzioni che sono proprie dei procedimenti sommari, ma sono completamente assenti dal profilo legislativo di questo istituto”.
2. Istruzione sommaria
Reputa, preliminarmente, questo giudice, che le difese svolte dalle parti non richiedano una istruzione non sommaria e che, per l’effetto, l’attuale controversia possa essere decisa con le forme del processo sommario di cognizione.
Si badi: se il giudice deve decidere sulle sorti del sommario alla prima udienza (fissata ex art. 702-bis, comma III, c.p.c.), ciò vuol dire che la piattaforma probatoria deve essersi per tale momento processuale già stabilizzata, quanto fa ritenere che la natura fisiologica del rito e la sua auspicata celerità impongano alle parti di individuare il thema probandum già negli scritti introduttivi del giudizio, seppur nelle forme snelle del sommario e, dunque, senza le solennità tipiche del giudizio ordinario (ad es., articolazione dei capitoli per i testi). Si vuol dire che l’ultimo momento utile per delimitare il ventaglio delle richieste istruttorie è l’udienza di prima comparizione, ove le parti possono specificare le prove già richieste nei propri atti o formulare istanza per quelle determinate dall’altrui difesa; si può dubitare circa l’articolazione – solo all’udienza di prima comparizione - di “nuove prove” dirette, diverse da quelle già previste negli atti introduttivi, atteso che il sommario, se è snello nell’istruzione, è formale e procedimentalizzato nell’introduzione. E, però, ragioni di ordine sistematico e di coerenza con il rito, impongono di ritenere che le parti possono formulare richieste istruttorie sino alla pronuncia del giudice in ordine alla decidibilità della controversia con le forme del sommario (art. 702-ter, comma V, c.p.c.) e, dunque, sino all’ordinanza che provvede sulle richieste di prova indicando gli atti di istruzione ritenuti rilevanti. Oltre tale sbarramento, alle parti non è consentito dedurre nuovi mezzi di prova poiché si incorrerebbe nel rischio di favorire atteggiamenti difensivi secundum eventum litis, ovvero meramente orientanti a provocare una conversione del rito ove al percorso scelto dal giudice per l’istruzione del sommario si ritenga di preferire il procedimento ordinario. Resta salvo il potere di provvedere a nuovi mezzi di prova ex officio, anche su impulso delle parti, dopo o durante l’istruzione probatoria, ove il giudice lo ritenga necessario, ma senza che possa più provvedersi alla conversione del rito.
Quanto alla valutazione in ordine alla decidibilità nelle forme del sommario, questo giudice reputa di dovere aderire ai suggerimenti dei primi commentatori della riforma (legge 18 giugno 2009 n. 69), secondo i quali il giudice è chiamato a valutare nell’ordine:
a. l’oggetto “originario” del processo ed i fatti costitutivi della domanda (anche in relazione al valore della causa);
b. le eventuali domande riconvenzionali e quelle nei confronti di terzi e le difese svolte in sede di costituzione dal convenuto e dai terzi;
c. l’impostazione complessiva del sistema difensivo del convenuto (e dei terzi), da cui desumere le questioni, di fatto e di diritto, controverse tra le parti, tenendo anche conto di singole eccezioni di rito e di merito, nonché delle richieste istruttorie già formulate o comunque prospettate quale thema probandum.
Il parametro valutativo da assumere quale primario riferimento per il giudizio di “decidibilità” nelle forme del sommario è, dunque, sicuramente l”oggetto” della causa ed il complesso articolato di difese ed eccezioni introitate nel giudizio, passando, anche, per le richieste istruttorie articolate dalle parti e le eventuali istanze per la estensione del contraddittorio ad altri soggetti. Non è un caso che l’art. 702-ter, comma III, c.p.c. richiami espressamente “le difese svolte dalle parti”, ai fini della eventuale conversione.
All’esito delle valutazioni che precedono, il giudice, tenuto conto della complessità oggettiva e soggettiva della causa, deve prefigurarsi il percorso che, a suo giudizio, si prospetta per la decisione e, dunque, verificarne la sua compatibilità con le forme semplificate. La compatibilità va esclusa ove venga meno uno degli assi portanti del giudizio sommario e, cioè: I) celerità dei tempi e II) snellezza delle forme.
Sulla scorta delle osservazioni dell’autorevole dottrina, il giudice, però, può anche valutare tout court l’eventuale manifesta fondatezza/infondatezza della domanda (detto a contrario, la manifesta infondatezza/fondatezza della difese del convenuto) ove, ad esempio, nonostante la complessità globale del giudizio, una questione di diritto sia idonea a risolvere la lite.
Alla luce delle argomentazioni sin qui svolte, l’istruzione sommaria è quella che dà la stura ad un processo (in concreto) veloce e snello, a prescindere dall’eventuale complessità (in astratto) del fascicolo del procedimento.
Orbene, applicando le regole di diritto sin qui illustrate al caso di specie, è chiaro che sia non solo possibile ma anche opportuna una istruzione sommaria. Ed, infatti, va in primo luogo osservato che l’azione esperita può beneficiare di un riparto degli oneri probatori di favore per il creditore (art. 1218 c.c. come interpretato dalle SS.UU. 13533/2001), cosicché l’istruzione è circoscritta ad una verifica del titolo negoziale (documentale) e dell’esatto adempimento (onere probatorio gravante sul debitore). Va, poi, rilevato che il processo presenta un indice minimo di complessità soggettiva (due parti) e che non è stato esteso il perimetro del procedimento, vuoi in senso soggettivo (vocatio in ius di terzi), vuoi in senso oggettivo (domande riconvenzionali).
Per tali motivi, non va disposta la conversione ex art. 702-ter, comma III, c.p.c. e può provvedersi alla decisione in ordine agli atti di istruzione cui provvedere.
3. Atti di istruzione
L’attore ha dedotto ed allegato documentalmente il proprio adempimento, avendo fornito prova scritta del bonifico effettuato nei confronti della convenuta. Ha, poi, dato prova documentale del rapporto intercorso tra le parti, anche allegando la corrispondenza in itinere intervenuta trai contraenti ed avente, essenzialmente, ad oggetto le ragioni per cui, a fronte del pagamento anticipato della merce, il debitore non provvedesse ad eseguire la sua prestazione.
La convenuta non si è costituita
Orbene, in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca ai sensi dell’art. 1218 c.c. deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (Cass. civ., Sez. Unite, 30/10/2001, n. 13533 in Corriere Giur., 2001, 12, 1565; Cass. civ., Sez. Unite, 24/03/2006, n. 6572). Ed, infatti, la disciplina dell’onere della prova assume un rilievo particolare nell'ambito dell'inadempimento delle obbligazioni contrattuali, ove il Codice civile (art. 1218) introduce una presunzione – definita dalla dottrina - "semplificante", in deroga alla regola generale dell'art. 2697 c.c., accollando al debitore, che non abbia eseguito esattamente la prestazione dovuta, l'onere di provare che l'inadempimento o il ritardo siano stati provocati da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (salvo, ovviamente, provare fatti estintivi, modificativi o impeditivi dell’altrui pretesa; es. l’avvenuto esatto adempimento).
Alla luce delle considerazioni che precedono, va rigettata la richiesta di prova orale formulata dall’attrice atteso che, fornita prova documentale del rapporto ed allegato l’altrui inadempimento, è onere del debitore fornire prova liberatoria ex art. 1218 c.c.
4. Calendario del processo
La Legge 18 giugno 2009 n. 69 ha introdotto nelle disposizione di attuazione al codice di rito, l’art. 81-bis c.p.c., in virtù del quale, il giudice, quando provvede sulle richieste istruttorie, sentite le parti e tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa, fissa il calendario del processo con l’indicazione delle udienze successive e degli incombenti che verranno espletati. Reputa questo Tribunale che il calendario del processo non sia applicabile al rito semplificato di cognizione. La funzione della calendarizzazione delle udienze, infatti, risponde all’esigenza di “programmare”, con le parti, la durata del procedimento civile, con indicazione dei singoli arresti procedimentali che si andranno a seguire nel tempo e tanto al fine di garantire un tempo ragionevole di definizione del giudizio. Se, allora, questa è la ratio essa non si rileva sintonica con il giudizio sommario ove, come già si è detto, il rito è già per sua natura celere e snello. Ma vi è di più: l’introduzione del calendario andrebbe a vulnerare la stessa natura ontologica del rito sommario. Si andrebbe, infatti, ad introdurre un elemento di rigidità nell’istruttoria deformalizzata del procedimento semplificato (“il giudice provvede nel modo che ritiene più opportuno”). Non va sottaciuto, poi, che l’art. 81-bis cit. segue all’art. 81 il quale è chiaramente modellato sul processo ordinario di cognizione atteso che regola la fissazione delle singole udienze di istruzione.
Per i motivi illustrati, nel giudizio sommario il giudice non deve provvedere alla fissazione del calendario del processo, atteso che il suddetto incombente non è compatibile con “i procedimenti, anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa” (secondo la dizione della delega legislativa conferita per la riorganizzazione dei riti civili, v. legge 69/2009).
Ad ogni modo, non essendovi istruttoria nel caso di specie, il calendario, comunque, non dovrebbe essere annesso alla odierna pronuncia.
La causa va rinviata per la discussione finale, abilitando il difensore a produrre, entro quella data, uno scritto difensivo conclusivo e riepilogativo delle richieste.
P.q.m.
letto ed applicato l’art. 702-ter, comma V, c.p.c.
rinvia
la causa per la discussione all’udienza del 18 dicembre 2009 ore 10.30.
Ordinanza letta in udienza
Varese, lì 18 novembre 2009
Il Giudice
dott. Giuseppe Buffone

domenica 29 novembre 2009

Processo breve, disegno di legge

Schema di disegno di legge contenente misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell’articolo 111 della Costituzione e dell’articolo 6 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo.

(Testo presentato al Senato della Repubblica il 12 novembre 2009)

Articolo 1
(Modifiche alla legge 24 marzo 2001, n. 89)

1. All’articolo 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, le parole “Chi ha subito” sono sostituite dalle seguenti: “In attuazione dell’articolo 111, secondo comma, della Costituzione, la parte che ha subito”;
b) al comma 3, la lettera b) è abrogata;
c) dopo il comma 3, sono aggiunti i seguenti:
«3-bis. Ai fini del computo del periodo di cui al comma 3, il processo si considera iniziato, in ciascun grado, alla data di deposito del ricorso introduttivo del giudizio o dell’udienza di comparizione indicata nell’atto di citazione, ovvero alla data del deposito dell’istanza di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, ove applicabile, e termina con la pubblicazione della decisione che definisce lo stesso grado. Il processo penale si considera iniziato alla data di assunzione della qualità di imputato. Non rilevano, agli stessi fini, i periodi conseguenti ai rinvii del procedimento richiesti o consentiti dalla parte, nel limite di 90 giorni ciascuno.
3-ter. Non sono considerati irragionevoli, nel computo di cui al comma 3, i periodi che non eccedono la durata di due anni per il primo grado, di due anni per il grado di appello e di ulteriori due anni per il giudizio di legittimità, nonché di un altro anno in ogni caso di giudizio di rinvio. Il giudice, in applicazione dei parametri di cui al comma 2, può aumentare fino alla metà i termini di cui al presente comma.
3-quater. Nella liquidazione dell’indennizzo, il giudice tiene conto del valore della domanda proposta o accolta nel procedimento nel quale si assume verificata la violazione di cui al comma 1. L’indennizzo è ridotto ad un quarto quando il procedimento cui la domanda di equa riparazione si riferisce è stato definito con il rigetto delle richieste del ricorrente, ovvero quando ne è evidente l’infondatezza.
3-quinquies. In ordine alla domanda di equa riparazione di cui all’articolo 3, si considera priva di interesse, ai sensi dell’articolo 100 del codice di procedura civile, la parte che, nel giudizio in cui si assume essersi verificata la violazione di cui al comma 1, non ha presentato, nell’ultimo semestre anteriore alla scadenza dei termini di cui al primo periodo del comma 3-ter, una espressa richiesta al giudice procedente di sollecita definizione del giudizio entro i predetti termini, o comunque quanto prima, ai sensi e per gli effetti della presente legge. Se la richiesta è formulata dopo la scadenza dei termini di cui al comma 3-bis, l’interesse ad agire si considera sussistente limitatamente al periodo successivo alla sua presentazione. Nel processo davanti alle giurisdizioni amministrativa e contabile è sufficiente il deposito di nuova istanza di fissazione dell'udienza, con espressa dichiarazione che essa è formulata ai sensi della presente legge. Negli altri casi, la richiesta è formulata con apposita istanza, depositata nella cancelleria o segreteria del giudice procedente.
3-sexies. Il giudice procedente e il capo dell’ufficio giudiziario sono avvisati senza ritardo del deposito dell’istanza di cui al comma 3-quinquies. A decorrere dalla data del deposito, il processo civile è trattato prioritariamente ai sensi degli articoli 81, secondo comma, e 83 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, con esclusione della deroga prevista dall’articolo 81, secondo comma, e di quella di cui all’articolo 115, secondo comma, delle medesime disposizioni di attuazione; nei processi penali si applica la disciplina dei procedimenti relativi agli imputati in stato di custodia cautelare; nei processi amministrativi e contabile l’udienza di discussione è fissata entro novanta giorni. Salvo che nei processi penali, la motivazione della sentenza che definisce il giudizio è limitata ad una concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione si fonda. Il capo dell’ufficio giudiziario vigila sull’effettivo rispetto di tutti i termini acceleratori fissati dalla legge»;
d) In sede di prima applicazione, nei giudizi pendenti in cui sono già decorsi i termini di cui all’articolo 2, comma 3-ter, della legge n. 89 del 2001, l’istanza di cui al comma 3-quinquies dello stesso articolo 2 è depositata entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.».

Articolo 2
(Estinzione del processo per violazione dei termini di durata ragionevole)

1. Nel codice di procedura penale, dopo l’articolo 346 è inserito il seguente:
Art. 346-bis - (Non doversi procedere per estinzione del processo). 1. Il giudice nei processi per i quali la pena edittale determinata ai sensi dell’art. 157 del codice penale è inferiore nel massimo ai dieci anni di reclusione dichiara non doversi procedere per estinzione del processo quando:

a) dal provvedimento con cui il pubblico ministero esercita l’azione penale formulando l’imputazione ai sensi dell’articolo 405 sono decorsi più di due anni senza che sia stata emessa la sentenza che definisce il giudizio di primo grado;
b) dalla sentenza di cui alla lettera a) sono decorsi più di due anni senza che sia stata pronunciata la sentenza che definisce il giudizio di appello;
c) dalla sentenza di cui alla lettera b) sono decorsi più di due anni senza che sia stata pronunciata sentenza da parte della Corte di cassazione;
d) dalla sentenza con cui la Corte di cassazione ha annullato con rinvio il provvedimento oggetto del ricorso è decorso più di un anno senza che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.

2. Il corso dei termini indicati nel comma 1 è sospeso:

a) nei casi di autorizzazione a procedere, di deferimento della questione ad altro giudizio e in ogni altro caso in cui la sospensione del procedimento penale è imposta da una particolare disposizione di legge;
b) nell’udienza preliminare e nella fase del giudizio, durante il tempo in cui l’udienza o il dibattimento sono sospesi o rinviati per impedimento dell’imputato o del suo difensore, ovvero su richiesta dell’imputato o del suo difensore, sempre che la sospensione o il rinvio non siano stati disposti per assoluta necessità di acquisizione della prova;
c) per il tempo necessario a conseguire la presenza dell’imputato estradando.

3. Nelle ipotesi di cui agli articoli 516, 517 e 518 in nessun caso i termini di cui al comma 1 possono essere aumentati complessivamente per più di tre mesi.

4. Alla sentenza irrevocabile di non doversi procedere per estinzione del processo si applica l’articolo 649.

5. Le disposizioni dei commi 1, 2, 3 e 4 non si applicano nei processi in cui l’imputato ha già riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta la riabilitazione, o è stato dichiarato delinquente o contravventore abituale o professionale, e nei processi relativi a uno dei seguenti delitti, consumati o tentati:

a) delitto di associazione per delinquere previsto dall’articolo 416 del codice penale;
b) delitto di incendio previsto dall’articolo 423 del codice penale;
c) delitti di pornografia minorile previsti dall’articolo 600-ter del codice penale;
d) delitto di sequestro di persona previsto dall’articolo 605 del codice penale;
e) delitto di atti persecutori previsto dall’articolo 612-bis del codice penale f) delitto di furto quando ricorre la circostanza aggravante prevista dall’art.4 della legge 8 agosto 1977, n.533, o taluna delle circostanze aggravanti previste dall’articolo 625 del codice penale;
g) delitti di furto previsti dall’articolo 624-bis del codice penale;
h) delitto di circonvenzione di persone incapaci, previsto dall’articolo 643 del codice penale;
i) delitti previsti dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale;
l) delitti previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale;
m) delitti commessi in violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all’igiene sul lavoro e delle norme in materia di circolazione stradale;
n) reati previsti nel testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286;
o) delitti di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti previsti dall’art. 260, commi 1 e 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152.

6. In caso di dichiarazione di estinzione del processo, ai sensi del comma 1, non si applica l’articolo 75 comma 3. Quando la parte civile trasferisce l’azione in sede civile, i termini a comparire di cui all’art. 163 bis del codice di procedura civile sono ridotti della metà, e il giudice fissa l’ordine di trattazione delle cause dando precedenza al processo relativo all’azione trasferita.

7. Le disposizioni del presente articolo non si applicano quando l’imputato dichiara di non volersi avvalere della estinzione del processo. La dichiarazione deve essere formulata personalmente in udienza ovvero è presentata dall’interessato personalmente o a mezzo di procuratore speciale. In quest’ultimo caso la sottoscrizione della richiesta deve essere autenticata nelle forme previste dall’articolo 583, comma 3.».

Articolo 3
(Entrata in vigore)

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

2. Le disposizioni dell’articolo 2 si applicano ai processi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, ad eccezione di quelli che sono pendenti avanti alla Corte d’appello o alla Corte di cassazione.».

giovedì 26 novembre 2009

Coniugi, convenzione fondo patrimoniale, per l'opponibilità ai terzi deve esserci l'annotazione nell'atto di matrimonio

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Sentenza 13 ottobre 2009, n. 21658


il terzo interessato deve non solo consultare i registri immobiliari al fine di verificare la situazione relativa ad un determinato bene immobile, ma anche verificare se il titolare è coniugato e, in caso positivo, controllare se a margine dell'atto di matrimonio sia stata annotata una convenzione derogatoria.




SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Sentenza 13 ottobre 2009, n. 21658

Svolgimento del processo

I coniugi F.G. e S.R. convenivano in giudizio la BCI (Banca Commerciale Italiana) per ottenere l'accertamento dell'inefficacia delle iscrizioni ipotecarie accese dall'istituto di credito sui beni costituiti da essi coniugi in fondo patrimoniale con atto del 20/4/1990.

La BCI, costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda deducendo che la costituzione del fondo patrimoniale era inopponibile ad essa banca essendo stata annotata a margine dell'atto di matrimonio, ex art. 162 c.c., in data successiva all'iscrizione ipotecaria.

Gli attori chiedevano ed ottenevano di chiamare in causa il Comune di Nocera Superiore in quanto responsabile della mancata annotazione pur avendo il notaio rogante notificato l'atto costitutivo del fondo in data 4/5/1990.

Il Comune si costituiva chiedendo il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti.

Con sentenza 486/00 l'adito tribunale di Nocera Inferiore rigettava la domanda nei confronti della BCI poichè l'atto costitutivo del fondo patrimoniale non era stato annotato a margine dell'atto di matrimonio come prescritto dall'art. 162 c.c. ed essendo irrilevante la conoscenza dello stesso altrimenti (per effetto delle trascrizioni) conseguita dal terzo. Il tribunale dichiarava poi inammissibile la chiamata in causa del Comune in quanto non richiesta alla prima udienza.

Avverso la detta decisione i coniugi F.- S. proponevano appello al quale resistevano la BCI ed il Comune di Nocera Superiore.

Con sentenza 12/3/2003 la corte di appello di Salerno rigettava il gravame osservando per quel che ancora rileva in questa sede: che, con atto notarile del 20/4/1990, S.R., con l'assenso del marito, aveva costituito in fondo patrimoniale ex art. 162 c.c., per far fronte ai bisogni della famiglia, alcuni beni immobili mantenendone la proprietà; che l'atto, trascritto presso la Conservatoria dei RR.II. di Salerno in data 26/4/1990, era stato notificato dal notaio rogante all'ufficio dello stato civile di Nocera Superiore in data 4/5/1990 ed era stato poi annotato a margine dell'atto di matrimonio in data (OMISSIS); che, emessi due decreti ingiuntivi a carico dei coniugi F.- S. e a favore della BCI, quest'ultima aveva iscritto ipoteca giudiziale anche sui beni costituiti in fondo patrimoniale; che gli appellanti avevano reiterato la domanda di inefficacia dell'iscrizione ipotecaria sui beni della S. costituenti il fondo patrimoniale sostenendo la prevalenza della trascrizione dell'atto di costituzione pur se non annotato a margine dell'atto di matrimonio; che il gravame era infondato alla stregua di un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità e di merito, con il conforto anche della Corte Costituzionale; che tutti i rilievi al riguardo svolti dagli appellanti trovavano puntuale risposta nel detto orientamento giurisprudenziale; che la stipulazione del fondo patrimoniale, essendo una tipica convenzione matrimoniale, doveva essere annotata ex art. 162 c.c., ad istanza del notaio rogante, a margine dell'atto di matrimonio dei coniugi in favore dei quali il fondo era stato costituito; che detta convenzione era soggetta al terzo comma del citato articolo che condizionava l'opponibilità ai terzi alla annotazione del relativo contratto a margine dell'atto di matrimonio;

che la trascrizione, pure prevista dall'art. 2647 c.c., per effetto dell'abrogazione dell'u.c. di tale art., doveva intendersi degradata a mera pubblicità notizia del vincolo inidonea ad assicurare la detta opponibilità derivante solo dall'annotazione a margine dell'atto di matrimonio; che pertanto, avendo la BCI iscritto ipoteca sui beni immobili della S. quando non era stata ancora annotata a margine dell'atto di matrimonio la convenzione costitutiva del fondo patrimoniale, il vincolo di destinazione non era opponibile alla creditrice pur essendo stata trascritta la convenzione nei RR.II. di Salerno; che la domanda di risarcimento non poteva trovare accoglimento alla cuce dei principi di correttezza e buona fede in quanto, non essendo la costituzione del fondo patrimoniale opponibile per legge al creditore, l'iscrizione ipotecaria non poteva costituire comportamento valutabile alla stregua dei detti principi; che non potevano essere accolti i motivi di gravame relativi alla pretesa responsabilità del Comune per la tardiva annotazione della convenzione a margine dell'atto di matrimonio agendo il Sindaco, nell'esercizio della funzione di tenuta dei registri dello stato civile, quale organo dello Stato con conseguente legittimazione passiva di questo nella controversia in esame.

La cassazione della sentenza della corte di appello di Salerno è stata chiesta dai coniugi F.- S. con ricorso affidato a quattro motivi.

Con il primo motivo di ricorso i citati coniugi denunciano violazione degli artt. 167 e 162 c.c., nonchè vizi di motivazione, deducendo che la costituzione di fondo patrimoniale in questione riguarda solo immobili di proprietà esclusiva di essa S.R. e che essi coniugi avevano già in precedenza optato per il regime patrimoniale di separazione dei beni. Pertanto - a prescindere dalle impostazioni teoriche che escludono dal novero delle convenzioni matrimoniali il negozio costitutivo del fondo patrimoniale - difetta nella specie la natura di "convenzione matrimoniale" trattandosi di atto unilaterale di uno solo dei coniugi relativo a beni di sua esclusiva proprietà.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 2647, 2685, 1175 e 1375 c.c., nonchè del rapporto tra i primi due articoli con gli artt. 162 e 167 c.c., sostenendo che è errata la ricostruzione operata dalla corte di appello in ordine ai rapporti intercorrenti tra la trascrizione nei registri immobiliari e l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio ai fini dell'opponibilità ai terzi dell'atto di costituzione di beni immobili in fondo patrimoniale. Ad avviso dei coniugi F.- S. "le due forme di pubblicità conservano una natura complementare avendo un diverso campo di applicazione: l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio ha ad oggetto il regime patrimoniale diverso da quello della comunione legale oppure la modifica del regime scelto al matrimonio ........; la trascrizione di cui all'art. 2647 c.c. è invece necessaria al fine di rendere opponibile ai terzi l'atto costitutivo del fondo patrimoniale avente ad oggetto beni immobili". L'annotazione di cui all'art. 162 c.c. ha quindi la finalità di rendere conoscibili l'esistenza ed il contenuto del fondo patrimoniale, mentre la trascrizione di cui all'art. 2647 c.c. assolve la funzione dichiarativa generale svolta da detto istituto. Inoltre, pur qualificando la pubblicità della iscrizione come mera "pubblicità notizia", ha errato la corte di appello nel non censurare il comportamento della banca che - conoscendo la finalizzazione del patrimonio alla realizzazione degli interessi della famiglia evincibile dalla trascrizione dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale - in violazione dei principi di buona fede e correttezza, oltre che di normale prudenza, ha fatto gravare sui beni immobili iscrizione ipotecaria rendendo in tal modo gli stessi inutilizzabili per i bisogni della famiglia. La banca era a conoscenza non solo del vincolo di destinazione sui beni, ma anche della origine del credito azionato non generato per gli interessi della famiglia.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell'art. 170 c.c. e vizi di motivazione rilevando che il credito posto a base dei decreti ingiuntivi e della iscrizione ipotecaria è successivo alla costituzione del fondo patrimoniale e riguarda rapporti tra la banca e società (garantita da obbligazione fideiussoria assunta da essi coniugi) instaurati per scopi estranei ai bisogni della famiglia, con conseguente impossibilità di agire su beni immobili vincolati ai detti bisogni.

Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione del R.D. 9 luglio 1939, n. 1238, art. 1, anche in relazione all'art. 2043 c.c., lamentando l'errore commesso dalla corte di appello nell'aver escluso la legittimazione passiva del Sindaco. Deducono i ricorrenti che nella specie è evidente il cattivo funzionamento dell'intera struttura organizzativa del Comune di Nocera Superiore i cui uffici avevano impiegato circa sei anni ad annotare a margine dell'atto di matrimonio l'atto di costituzione del fondo patrimoniale in questione. Pertanto il Sindaco, pur agendo in veste di ufficiale di Governo quale organo dello Stato, anche nel servizio dello stato civile è titolare di una competenza funzionale propria con obbligo di organizzare i servizi nella maniera più efficiente e in modo tale da non arrecare danni a terzi.

La s.p.a. Intesa Gestione Crediti (subentrata a seguito di fusione in tutti i rapporti giuridici della Banca Commerciale Italiana) e il Comune di Nocera Superiore hanno resistito con separati controricorsi.

La seconda sezione civile di questa Corte, con ordinanza 27/10/2008 n. 25857, rilevato che i primi due motivi di ricorso investivano una questione di particolare importanza, ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione alle sezioni unite in base alle considerazioni svolte in detta ordinanza.

Il Primo Presidente ha quindi disposto l'assegnazione del ricorso alle sezioni unite.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

L'ordinanza a seguito della quale la causa è stata assegnata a queste sezioni unite pone la questione se la costituzione del fondo patrimoniale sia o meno una convenzione matrimoniale. L'ordinanza, pur prendendo atto dell'assenza di un contrasto all'interno dell'orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo cui la costituzione del fondo patrimoniale è una convenzione matrimoniale, invita ad una rimeditazione del problema. Osserva l'ordinanza che l'atto con il quale viene costituito il patrimonio familiare non è una convenzione matrimoniale come si rileva dalla constatazione che lo stesso è disciplinato autonomamente nel capo 6^ Libro 1^ del c.c. e menzionato nell'art. 2647 c.c., comma 1. Rileva inoltre l'ordinanza che la stessa natura dell'atto in questione "parrebbe escludere la riconducibilità dello stesso alle convenzioni matrimoniali".

Prosegue l'ordinanza che per aderire all'interpretazione fatta propria dalla corte di appello nella sentenza impugnata si dovrebbe accedere "ad una interpretazione estensiva dell'art. 162 c.c. al fine di ricomprendervi qualsiasi negozio che ponga beni appartenenti a persone coniugate in una condizione giuridica diversa da quella propria del regime patrimoniale legale, con conseguente funzione di pubblicità notizia della trascrizione, in quanto il considerare convenzione matrimoniale un atto unilaterale, in ipotesi posto in essere da un terzo, comporterebbe una interpretazione analogica (vietata) e non semplicemente estensiva dell'art. 162 c.c., comma 4".

Afferma invece l'ordinanza che l'opponibilità ai terzi dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale, "avente natura dichiarativa", non può che discendere dalla trascrizione ex art. 2647 c.c. e non dall'annotazione a margine dell'atto di matrimonio ex quarto comma art. 162 c.c.. Diversamente, precisa l'ordinanza, non potrebbe non essere rilevata l'incongruità di un sistema pubblicitario nel quale al terzo acquirente, pur a conoscenza del vincolo gravante sul bene in virtù del controllo nei registri immobiliari, tale vincolo non sarebbe opponibile in quanto non annotato a margine dell'atto di matrimonio.

Devono quindi essere esaminate le seguenti questioni: 1) se l'atto di costituzione del fondo patrimoniale di cui all'art. 167 c.c. sia o meno una convenzione matrimoniale ai fini dell'applicabilità della disposizione dell'art. 162 c.c., comma 4; 2) se, data risposta positiva al quesito che precede, l'opponibilità ai terzi dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale - avente ad oggetto beni immobili - sia subordinata all'annotazione a margine dell'atto di matrimonio a prescindere dalla trascrizione del medesimo atto imposta dall'art. 2647 c.c..

Ai detti quesiti la corte di merito ha dato risposta positiva con sentenza che queste sezioni unite devono confermare confermando in tal modo i principi recentemente affermati da questa Corte con la sentenza 25/3/2009 n. 7210 pronunciata dopo la pubblicazione della citata ordinanza delle seconda sezione civile (richiamata ed esaminata nella detta sentenza) e con la quale è stato deciso un ricorso promosso dai coniugi F.- S. sulla base degli stessi quattro motivi prospettati con il ricorso in esame relativo ad una analoga fattispecie.

Per quel che riguarda il primo motivo di ricorso va innanzitutto rilevata l'inammissibilità - puntualmente eccepita dalla società resistente - della censura con la quale i menzionati coniugi prospettano per la prima volta in questa sede di legittimità la tesi secondo cui nella specie sarebbe da escludere la sussistenza di una "convenzione matrimoniale" in quanto "nell'atto costitutivo del fondo la presenza dell'altro coniuge sig. F.G. è richiesta per la sola accettazione". Deducono in proposito i ricorrenti che il fondo patrimoniale in questione è stato costituito "con atto unilaterale di uno solo dei coniugi e con beni che rientravano nella sua proprietà esclusiva sicchè alla costituzione per atto unilaterale non possono applicarsi sic et simpliciter le norme speciali della pubblicità".

Al riguardo è appena il caso di osservare che la detta censura si basa su una questione - costituzione del fondo patrimoniale in esame da parte di uno solo e di entrambi i coniugi - non prospettata nei giudizi di merito. Della detta questione non si fa infatti alcun cenno nella sentenza impugnata nella quale, anzi, nella esposizione in fatto si da atto che i coniugi F.- S. nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado avevano dedotto di aver costituito, con atto del 20/4/1990, un fondo patrimoniale e, nella parte motiva, si premette che con il detto atto S.R. "con l'assenso del marito" aveva costituito il fondo patrimoniale. Sul punto va ribadito il principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità secondo cui nel giudizio di cassazione, a parte le questioni rilevabili di ufficio (sulle quali non si sia formato il giudicato), non è consentita la proposizione di doglianze che, modificando la precedente impostazione difensiva, pongano a fondamento delle domande e delle eccezioni titoli diversi da quelli fatti valere nel pregresso giudizio di merito e prospettino comunque questioni fondate su elementi di fatto nuovi e difformi da quelli ivi proposti. I motivi del ricorso per cassazione devono infatti investire, a pena di inammissibilità, statuizioni e problematiche che abbiano formato oggetto del giudizio di appello per cui non possono essere prospettate questioni nuove o nuovi temi di indagine involgenti accertamenti non compiuti perchè non richiesti in sede di merito.

Pertanto ove il ricorrente in sede di legittimità proponga una questione non trattata nella sentenza impugnata, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere (nella specie non rispettato) non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito.

Nella specie tale onere non è stato rispettato: nel ricorso non si afferma che essi coniugi nei giudizi di merito avevano sostenuto l'impossibilità di ravvisare nella specie una "convenzione matrimoniale" per essere stato costituito il fondo patrimoniale con atto unilaterale della sola S..

La riportata tesi esposta dai ricorrenti con la parte non è quindi deducibile in questa sede di legittimità perchè introduce per la prima volta un autonomo e diverso sistema difensivo che postula indagini e valutazioni non compiute dal giudice di appello perchè non richieste.

Va peraltro aggiunto che nessuna specifica censura risulta essere stata mossa dai ricorrenti con il motivo in esame alla parte della sentenza impugnata con la quale la corte di appello - confermando la decisione del tribunale che aveva rigettato la domanda dei coniugi F.- S. "perchè l'atto costitutivo del fondo patrimoniale non risultava annotato a margine dell'atto di matrimonio come prescritto dall'art. 162 c.c." (pagina 3 sentenza impugnata) - ha espressamente affermato che "la stipulazione del fondo patrimoniale" è ai sensi dell'art. 167 c.c. "una tipica convenzione matrimoniale" (pagina 11 citata sentenza). La detta parte della sentenza non ha formato oggetto di specifica critica da parte dei ricorrenti con il motivo in esame per cui deve ritenersi avente efficacia di giudicato la riportata affermazione della corte di merito secondo cui il negozio costitutivo del fondo patrimoniale è una convenzione matrimoniale, così come ripetutamente e costantemente affermato nella giurisprudenza di legittimità e - implicitamente - dalla Corte Costituzionale nella sentenza 6/4/1995 n. 111 e le cui conclusioni (come segnalato nell'ordinanza di rimessione) non sono state condivise "dalla stragrande maggioranza della dottrina" che ne ha evidenziato e lamentato "le incongruenze".

Non meritevole di accoglimento è anche il secondo motivo di ricorso con il quale i coniugi F.- S. hanno sollevato numerose ed articolate censure tutte analiticamente e dettagliatamente esaminate - e risolte in senso sfavorevole alle tesi dei ricorrenti - da questa Corte con la sopra citata sentenza 7210/2009 con motivazione che queste Sezioni Unite condividono e fanno propria per cui verrà di seguito sinteticamente riportata anche perchè conforme ai principi in materia numerose volte affermati nella giurisprudenza di legittimità (sentenze 8/10/2008 n. 24798; 30/9/1998 n. 24332; 16/11/2007 n. 23745; 5/4/2007 n. 8610; 15/3/2006 n. 5684; 19/11/1999 n. 12864; 1/10/1999 n. 10859; 27/11/1987 n. 8824).

La costituzione del fondo patrimoniale di cui all'art. 167 c.c. - compresa tra le convenzioni matrimoniali secondo quanto ritenuto dalla corte di merito con affermazione che non può più essere posta in discussione - è soggetta alle disposizioni dell'art. 162 c.c. circa le forme delle convenzioni medesime, ivi incluso il terzo comma "che ne condiziona l'opponibilità ai terzi all'annotazione del relativo contratto a margine dell'atto di matrimonio, mentre la trascrizione del vincolo per gli immobili, ai sensi dell'art. 2647 c.c., resta degradata a mera pubblicità-notizia" (inidonea ad assicurare detta opponibilità) e non sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile, che non ammette deroghe o equipollenti, restando irrilevante la conoscenza che i terzi abbiano acquisito altrimenti della costituzione del fondo. Ne consegue che, in mancanza di annotazione del fondo patrimoniale a margine dell'atto di matrimonio, il fondo medesimo non è opponibile ai creditori che - come appunto nella specie - abbiano iscritto ipoteca sui beni del fondo essendo irrilevante la trascrizione del fondo nei registri della conservatoria dei beni immobili.

Alle dette conclusioni si perviene essenzialmente sulla base delle seguenti considerazioni.

L'abrogazione ad opera della L. n. 151 del 1975, art. 206, comma 4 del previdente dell'art. 2647 c.c., comma 4 - che considerava la trascrizione del vincolo familiare requisito di opponibilità ai terzi - rende evidente l'intento del legislatore di degradare la trascrizione del fondo a pubblicità notizia e di riservare l'opponibilità del vincolo ai terzi all'annotazione di cui all'art. 162 c.c., u.c.. L'annotazione a margine dell'atto di matrimonio della data del contratto, del notaio rogante e delle generalità dei contraenti che hanno partecipato alla costituzione del fondo patrimoniale mira a tutelare, ancor più che per il passato, i terzi che pongono in essere rapporti giuridici con i coniugi.

La detta funzione attribuita dalla annotazione ex art. 162 c.c. - consentire al terzo di ottenere una completa conoscenza circa la condizione giuridica dei beni cui il vincolo del fondo si riferisce attraverso la lettura del relativo contratto - e l'eliminazione dell'art. 2647 c.c., u.c. consentono di affermare che la detta annotazione costituisce l'unica formalità pubblicitaria rilevante agli effetti della opponibilità della convenzione ai terzi e che la trascrizione del vincolo ex art. 2647 c.c. è stata degradata al rango di pubblicità-notizia. Il fondo patrimoniale risulta quindi sottoposto ad una doppia forma di pubblicità: annotazione nei registri dello stato civile (funzione dichiarativa); trascrizione (funzione di pubblicità notizia). Infatti quando la legge non ricollega alla trascrizione un particolare effetto ben determinato, si è in presenza di una pubblicità notizia. Il legislatore tutte le volte in cui ha voluto attribuire alla pubblicità determinati effetti lo ha detto esplicitamente, mentre laddove non ha detto nulla deve ritenersi trattarsi di pubblicità notizia.

Sono peraltro numerose le disposizioni analoghe all'art. 2647 c.c. nell'attuale formulazione e mai si è dubitate che esse - non ricollegando all'omissione della trascrizione alcuna sanzione specifica - configurino casi di pubblicità-notizia. Vanno ricordate le norme dettate dalla L. 1 giugno 1939, n. 1089, art. 2, comma 2 e art. 3, comma 2, che riguardano il vincolo di indisponibilità sui beni di interesse culturale; dalla L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 7, comma 5, a proposito dei vincoli sull'edilizia abitativa convenzionata; nonchè dalla L. Fall., art. 88, comma 2, a proposito della presa in consegna dei beni del fallito da parte del curatore, art. 166, comma 2 e art. 191, comma 2 della stessa legge.

In definitiva, in base al descritto quadro normativo, il terzo interessato deve non solo consultare i registri immobiliari al fine di verificare la situazione relativa ad un determinato bene immobile, ma anche verificare se il titolare è coniugato e, in caso positivo, controllare se a margine dell'atto di matrimonio sia stata annotata una convenzione derogatoria.

A conferma di quanto precede va segnalata la sentenza 6 aprile 1995 n. 111 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata, in riferimento agli artt. 3 e 29 Cost., la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli art. 162 c.c., u.c., artt. 2647 e 2915 c.c., nella parte in cui non prevedono che, per i fondi patrimoniali costituiti sui beni immobili a mezzo di convenzione matrimoniale, l'opponibilità ai terzi sia determinata unicamente dalla trascrizione dell'atto sui registri immobiliari, anzichè pure dalla annotazione a margine dell'atto di matrimonio. Ha osservato il giudice delle leggi che la necessità di effettuare ricerche sia presso i registri immobiliari, sia presso i registri dello stato civile (questi ultimi meno accessibili e sia pur meno affidabili) costituisce un onere che, sebbene fastidioso, non può dirsi eccessivamente gravoso, non soltanto rispetto al principio di tutela in giudizio, ma anche rispetto all'art. 29 Cost., che semmai tutela gli aspetti etico-sociali della famiglia e non è quindi, utilmente invocabile come parametro del contrasto, ed all'art. 3 Cost., in quanto una duplice forma di pubblicità (cumulativa, ma a fini ed effetti diversi) per la costituzione dei fondi in parola trova giustificazione nel generale rigore necessario alle deroghe al regime legale e nell'esigenza di contemperare gli interessi contrapposti della conservazione del patrimonio per i figli fino alla maggiore età dell'ultimo di essi e dell'impedimento di un uso distorto dell'istituto a danno delle garanzie dei creditori.

Consegue da quanto precede che - al contrario di quanto sostenuto dai ricorrenti con il secondo motivo e conformemente a quanto affermato dalla corte di appello nella sentenza impugnata - l'annotazione di cui all'art. 162 c.c., comma 4 (norma speciale) è l'unica forma di pubblicità idonea ad assicurare l'opponibilità della convenzione matrimoniale ai terzi, mentre la trascrizione di cui all'art. 2647 c.c. (norma generale) ha funzione di mera pubblicità-notizia.

L'opponibilità ai terzi dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale (avente ad oggetto beni immobili) è quindi subordinata all'annotazione a margine dell'atto di matrimonio a prescindere dalla trascrizione del medesimo atto imposta dall'art. 2647 c.c..

Va infine rilevata l'insussistenza della asserita violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. denunciata dai coniugi F.- S. nell'ultima parte del motivo di ricorso in esame con riferimento al comportamento della BCI asseritamene contrario ai principi di correttezza e buona fede.

In via preliminare va segnalato che nella sentenza impugnata non si fa alcuna menzione della acquisita prova della conoscenza da parte dell'istituto bancario della costituzione del fondo patrimoniale sui beni ipotecati.

Peraltro, anche a voler dare per scontata la detta conoscenza da parte della BCI, il comportamento di quest'ultima non si porrebbe in contrasto con i menzionati principi di correttezza e buona fede rientrando nella sua libertà e discrezionalità la scelta dello strumento riconosciuto dall'ordinamento con il quale tutelare le garanzie del proprio credito.

Non va sottaciuto inoltre che alle regole di correttezza e buona fede devono ispirarsi entrambe le parti di un rapporto obbligatorio per cui se una di esse sia inadempiente e persista nel suo inadempimento, l'altra ben e legittimamente può avvalersi di tutti gli strumenti (nella specie l'iscrizione ipotecaria sui beni del debitore prevista dall'art. 2808 c.c. e segg.) previsti dall'ordinamento per porre rimedio all'inadempimento ed al conseguente pregiudizio subito dalla parte adempiente.

Dalle considerazione che precedono deriva logicamente l'infondatezza del terzo motivo di ricorso sopra riportato - relativo all'asserita violazione dell'art. 170 c.c. - posto che la censura ivi sviluppata presuppone l'opponibilità all'istituto bancario creditore del fondo patrimoniale costituito dai coniugi ricorrenti. Esclusa - per le ragioni sopra esposte - la detta opponibilità, è evidente che ben poteva il detto istituto aggredire i beni dei propri debitori non sottoposti ai vincoli di indisponibilità derivanti dalla disciplina dettata dall'istituto del fondo patrimoniale.

Del pari è infondato il quarto motivo di ricorso - concernente la richiesta risarcitoria nei confronti del Comune di Nocera Superiore - ed al riguardo è sufficiente il richiamo al principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui nell'esercizio della funzione di tenuta dei registri dello stato civile, il sindaco assumendo la veste di ufficiale di Governo, agisce quale organo dello Stato in posizione di dipendenza gerarchica anche rispetto agli organi statali centrali (Ministero della giustizia) e locali di grado superiore (Procuratore della Repubblica). Pertanto nelle controversie relative allo svolgimento di tale funzione (nella specie mancata annotazione nei registri dello stato civile della costituzione di un fondo patrimoniale) la legittimazione passiva appartiene non al Comune, ma allo Stato (in tali sensi, tra le tante, sentenze 25/3/2009 n. 7210; 14/2/2000 n. 1599).

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Sussistono giusti motivi - in considerazione, tra l'altro, della natura controversa, della peculiarità, della complessità e della rilevanza delle questioni trattate tanto che il relativo esame è stato sottoposto al vaglio a queste Sezioni Unite - che inducono a compensare per intero tra tutte le parti le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e compensa per intero tra tutte le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2009.

lunedì 23 novembre 2009

Tettoia di legno abusiva, modeste dimensioni, presupposti per escludersi la sanzione della demolizione

T.A.R. Abruzzo - Pescara Sezione I Sentenza 29 ottobre 2009, n. 645

"La tettoia è chiaramente a servizio del fabbricato sulla cui parete esterna si appoggia e tenuto conto delle sue dimensioni e di questa sua specifica funzione e collocazione, non può considerarsi né opera di "ristrutturazione edilizia" ai sensi della lett. d) dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, né di "nuova costruzione" ai sensi dei punto e.1 ed e.6. dello stesso art. 3, atteso che nel provvedimento impugnato non si menzionano vincoli ambientali o paesaggistici o specifiche e contrarie disposizioni delle n.t.a. del p.r.g..
La tettoia non può, quindi, essere ricondotta nell’ambito degli interventi che l’art. 10, I comma, del d.P.R. n.380/2001 sottopone a preventivo permesso di costruire, ma, più correttamente, a quelli sottoposti a preventiva denuncia di inizio attività ai sensi del successivo art. 22, I comma, non essendo ravvisabile, di contro, alcuna delle ipotesi che il precedente art.6 considera attività edilizia libera.
La sanzione applicabile era, quindi, quella pecuniaria prevista dall’art. 37 del d.P.R. n. 380/2001 e non la demolizione prevista dal precedente art. 33.




T.A.R.

Abruzzo - Pescara

Sezione I

Sentenza 29 ottobre 2009, n. 645

(Pres. Eliantonio, Est. Ranalli)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Abruzzo

sezione staccata di Pescara (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso n. 643 del 2004 proposto da D. N., rappresentato e difeso Biase Di Candido e dall’avv. Roberto Tartaglia, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Pescara, Via Gramsci n.3;

contro

il COMUNE di SAN SALVO, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Walter Putaturo, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Pescra, Via Marco Polo n.106;

nei confronti di

Ufficio Tecnico del Comune di San Salvo, in persona del responsabile pro-tempore, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

- del provvedimento 26.8.2004 con cui il Responsabile del Servizio urbanistica ha ordinato al ricorrente la demolizione di una tettoia in legno;

- di ogni altro atto presupposto, conseguente e connesso.

Visto il ricorso con i relativi allegati, notificato il 13.11.2004 e depositato il 13.12.2004; Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune intimato;

Vista l’ordinanza 13 gennaio 2005 n. 13 con cui questo Tribunale ha accolto la domanda cautelare proposta ai sensi dell’art. 21 della legge n.1034/1971;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore, alla pubblica udienza dell’8 ottobre 2009, il Cons. Luigi Ranalli ed uditi i difensori delle parti, come da relativo verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO E DIRITTO

I- A seguito di quanto accertato dalla Polizia municipale il 4.8.2004, il Responsabile del Servizio urbanistica del Comune di San Salvo, richiamato l’art. 33 del d.P.R. n.380/2001, con atto del 27.8.2004 n.17867, notificato il 6.9.2004, ha ordinato D. N., proprietario, la demolizione della tettoia in legno (m 7,5 x 4,70) realizzata senza permesso di costruire con un lato sul muro di cinta a delimitazione della proprietà e per l’altro lato sulla parete esterna del fabbricato in via Galilei n.15.

Il provvedimento è stato impugnato dall’interessato con il ricorso in esame, deducendosi la violazione dell’art. 10 del d.P.R. n.380/2001, in quanto si tratta di pertinenza con volume inferiore al 20% dell’edificio cui accede, non soggetta a permesso di costruire ma, eventualmente, a denuncia di inizio attività.

La difesa del Comune di San Salvo con l’atto di costituzione in giudizio ha chiesto che il ricorso sia respinto in quanto infondato, avendo la tettoia modificato la sagoma dell’edificio e trasformato il muro di cinta in un corpo aggiunto.

II- Tanto premesso, il Collegio considera fondato il dedotto ed unico motivo di gravame.

La tettoia è chiaramente a servizio del fabbricato sulla cui parete esterna si appoggia e tenuto conto delle sue dimensioni e di questa sua specifica funzione e collocazione, non può considerarsi né opera di "ristrutturazione edilizia" ai sensi della lett. d) dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001, né di "nuova costruzione" ai sensi dei punto e.1 ed e.6. dello stesso art. 3, atteso che nel provvedimento impugnato non si menzionano vincoli ambientali o paesaggistici o specifiche e contrarie disposizioni delle n.t.a. del p.r.g..

La tettoia non può, quindi, essere ricondotta nell’ambito degli interventi che l’art. 10, I comma, del d.P.R. n.380/2001 sottopone a preventivo permesso di costruire, ma, più correttamente, a quelli sottoposti a preventiva denuncia di inizio attività ai sensi del successivo art. 22, I comma, non essendo ravvisabile, di contro, alcuna delle ipotesi che il precedente art.6 considera attività edilizia libera.

La sanzione applicabile era, quindi, quella pecuniaria prevista dall’art. 37 del d.P.R. n. 380/2001 e non la demolizione prevista dal precedente art. 33.

Il ricorso va, dunque, accolto.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nell’importo in dispositivo fissato, tenuto conto della fase cautelare.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo, Sezione staccata di Pescara, accoglie il ricorso in epigrafe indicato e, per l’effetto, annulla l’ordine di demolizione adottato il 27.8.2004 n.17867 dal Responsabile del Servizio urbanistica del Comune di San Salvo.

Condanna il Comune di San Salvo al pagamento della somma di Euro 3.000,00 (tremila/00) a favore del ricorrente D. N., per spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Pescara, nella camera di consiglio dell’8 ottobre 2009, con l’intervento di:

Michele Eliantonio, Presidente FF

Dino Nazzaro, Consigliere

Luigi Ranalli, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 29/10/2009.

giovedì 19 novembre 2009

riforma Brunetta, circolare applicativa

MINISTERO DELLA FUNZIONE PUBBLICA, CIRCOLARE 11 novembre 2009

UFFICIO PERSONALE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI SERVIZIO TRATTAMENTO DEL PERSONALE

OGGETTO: decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 – controlli sulle assenze per malattia.

Alle Amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001

Sul Supplemento ordinario n. 197/L alla Gazzetta ufficiale del 31 ottobre 2009 è stato pubblicato il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, recante “Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”. Il decreto legislativo, stante l’ordinario termine di vacatio legis, entrerà in vigore il 15 novembre prossimo.

Il provvedimento normativo contiene sostanziali novità in materia di valutazione, di ordinamento del lavoro nelle pubbliche amministrazioni e di responsabilità dei pubblici dipendenti.

In disparte l’analisi dei vari aspetti innovativi della disciplina, che sarà oggetto di successivi approfondimenti, considerato l’impegno profuso sin dall’inizio del mandato nel contrastare l’assenteismo nelle pubbliche amministrazioni, si ritiene utile richiamare già ora l’attenzione delle amministrazioni su alcuni aspetti della normativa in materia di controlli sulle assenze contenuta nel provvedimento in questione.

In proposito, l’art. 69 del d.lgs. n. 150 ha introdotto nel corpo del d.lgs. n. 165 del 2001 – tra gli altri – l’art. 55 septies, rubricato “Controlli sulle assenze”. Il comma 5 di tale ultimo articolo specificamente dispone:

“5. L'Amministrazione dispone il controllo in ordine alla sussistenza della malattia del dipendente anche nel caso di assenza di un solo giorno, tenuto conto delle esigenze funzionali e organizzative. Le fasce orarie di reperibilità del lavoratore, entro le quali devono essere effettuate le visite mediche di controllo, sono stabilite con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione.”.

Per quanto riguarda il primo periodo del comma, rimane immutata la disciplina sostanziale già introdotta con l’art. 71 comma 3 del d.l. n. 112 del 2008 (il quale viene contestualmente abrogato dall’art. 72 comma 1 del d.lgs. n. 150 del 2009) e, con essa, rimangono valide le indicazioni già fornite in precedenza circa l’interpretazione della norma (Circolari nn. 7 e 8 del 2008 e Circolare n. 1 del 2009).

Si ribadisce pertanto che la legge ha voluto prevedere per le amministrazioni un dovere generale di richiedere la visita fiscale, anche nelle ipotesi di prognosi di un solo giorno, ma che ha tenuto conto anche della possibilità che ricorrano particolari situazioni, che giustificano un certo margine di flessibilità nel disporre il controllo valutandone altresì l’effettiva utilità. Ad esempio, nel caso di imputazione a malattia dell’assenza per effettuare visite specialistiche, cure o esami diagnostici, l’amministrazione che ha conoscenza della circostanza a seguito della comunicazione del dipendente deve valutare di volta in volta, in relazione alla specificità delle situazioni, se richiedere la visita domiciliare di controllo per i giorni di riferimento.

Infatti, il tentativo di effettuare l’accesso al domicilio del lavoratore da parte del medico della struttura competente potrebbe configurarsi come ingiustificato aggravio di spesa per l’amministrazione in quanto, in assenza del dipendente, potrebbe non avere lo scopo di convalidare la prognosi.

Possono rientrare inoltre nella valutazione delle esigenze funzionali ed organizzative eccezionali impedimenti del servizio del personale derivanti ad esempio da un imprevedibile carico di lavoro o urgenze della giornata.

Si fa presente che, ove quanto è già stato oggetto dell’iniziale accertamento fiscale dovesse essere modificato da certificazioni mediche successive, l’amministrazione è tenuta a chiedere un’ulteriore visita fiscale per l’accertamento della nuova situazione.

Il comma 5 in esame fa poi rinvio ad un decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione per determinare le fasce orarie di reperibilità entro le quali debbono essere effettuate le visite di controllo. In proposito, la materia è stata oggetto di successivi interventi normativi. Infatti, l’originario comma 3 dell’art. 71 del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, in l. n. 133 del 2008, prevedeva che “(…) Le fasce orarie di reperibilità del lavoratore, entro le quali devono essere effettuate le visite mediche di controllo, sono dalle ore 8.00 alle ore 13.00 e dalle ore 14.00 alle ore 20.00 di tutti i giorni, compresi i non lavorativi e i festivi”. Con questa disposizione veniva superata la disciplina dei CCNL di comparto delle fasce di reperibilità che individuava un regime orario più ridotto di quattro ore al giorno (dalle ore 10 alle ore 12 e dalle ore 17 alle ore 19).

Successivamente, l'art. 17, comma 23, lett. c), del d.l. n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, in l. n. 102 del 2009, ha abrogato la menzionata disposizione. Ciò ha comportato la necessità di far riferimento alle fasce già individuate in precedenza con la disciplina contrattuale, le quali pertanto sono da ritenersi vincolanti sino a quando non entrerà in vigore la regolamentazione che sarà contenuta nel decreto ministeriale.
Pertanto, le fasce allo stato da osservare per l’effettuazione delle visite fiscali sono le seguenti:

dalle ore 10 alle ore 12 e dalle ore 17 alle ore 19.

Si coglie peraltro l’occasione per anticipare che con l’adozione del decreto ministeriale si intende ampliare le fasce orarie di reperibilità, ma contestualmente introdurre delle deroghe all’obbligo di reperibilità in considerazione di specifiche situazioni anche in relazione a stati patologici particolari.

Si segnala infine che nel contesto più generale della responsabilizzazione dei dirigenti, obiettivo perseguito con l’approvazione della riforma contenuta nel d.lgs. n. 150 del 2009, l’art. 55 septies del d.lgs. n. 165 del 2001, introdotto con la menzionata riforma, al comma 6 prevede che il responsabile della struttura in cui il dipendente lavora e il dirigente eventualmente preposto all’amministrazione generale del personale, secondo le rispettive competenze, curano l’osservanza delle disposizioni relative alle assenze per malattia, al fine di “prevenire o contrastare, nell’interesse della funzionalità dell’ufficio, le condotte assenteistiche”. Per il caso di inadempimento colposo rispetto a questo dovere di vigilanza la legge prevede la possibilità, nel rispetto del contraddittorio, di comminare una sanzione a carico del dirigente consistente nella decurtazione della retribuzione di risultato (art. 21 del d.lgs. n. 165 del 2001 come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2009). A questa si possono aggiungere anche le sanzioni previste per il mancato esercizio o la decadenza dell’azione disciplinare per omissioni del dirigente di cui all’art. 55 sexies comma 3 del d.lgs. n. 165 del 2001 come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2009, consistenti nella sospensione dal servizio con privazione della retribuzione di un ammontare variabile a seconda della gravità del fatto e nella mancata attribuzione della retribuzione di risultato in proporzione alla durata della sospensione dal servizio.

IL MINISTRO PER LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E L’INNOVAZIONE

Renato Brunetta

lunedì 16 novembre 2009

Consiglio di Stato, formalità della rinuncia al ricorso

TAR Napoli, Sez. V, 26 gennaio 2006 / 17 maggio 2006, n. 4518 (Pres. D'Alessandro, est. Sabatino)

"L’abbandono del ricorso è quindi rimesso integralmente a colui che agisce, ed è sottoposto alle sole condizioni della provenienza dalla parte, o dal suo procuratore all’uopo espressamente autorizzato, e dell’intervenuta conoscenza della controparte dell’atto di rinuncia, conoscenza da conseguirsi in modo formale (e quindi con notifica o dichiarazione agli atti, come indica la norma, ma anche mediante altre forme equipollenti, quali il deposito in udienza dell'atto di rinuncia sottoscritto dalla parte personalmente, ex multis Consiglio Stato, sez. IV, 17 gennaio 2002, n. 244; o anche con dichiarazione sottoscritta dalla ricorrente e, per adesione, anche dalle difese della altre parti costituite, vedi T.A.R. Valle d'Aosta, 16 gennaio 2002, n. 4)"

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA CAMPANIA
QUINTA SEZIONE DI NAPOLI
composto dai Signori Magistrati:
Carlo d’Alessandro Presidente
Diego Sabatino Referendario relatore
Michelangelo Francavilla Referendario
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella udienza pubblica del 26 gennaio 2006 sul ricorso 12460/2004 proposto da Cristian Conforto, Antonio Forinese, Fabiana Della Corte e Paola Gerla, elettivamente domiciliati, presso lo studio del procuratore avv. Giuseppe Abbamonte, che li rappresenta e difende in virtù di mandato a margine del ricorso introduttivo
contro
Provincia di Napoli, in persona del presidente della giunta provinciale legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Napoli, piazza Matteotti 1, presso lo studio del procuratore avv. Luciano Scetta, che la rappresenta e difende in virtù di mandato in calce al ricorso notificato
nonché
Nicola Fabozzi, non costituito
e con l’intervento di
Marianna Siviero, elettivamente domiciliata in Napoli, centro direzionale isola E/5, presso lo studio legale Parrella associali, , unitamente al procuratore avv. Francesco Parrella, che la rappresenta e difende in virtù di mandato a margine dell’atto di intervento;
per l’annullamento, previa sospensione,
della determinazione n. 9894 del 12 ottobre 2004 del dirigente coordinatore p.t. e del dirigente p.t. dell’area risorse umane – ufficio reclutamento, che prende atto della graduatoria di merito delle selezioni per l’accesso al corso di reclutamento per titoli ed esami a n. 16 posti di funzionario amministrativo cat. D pos. ec. D1 riservato ai dipendenti dell’amministrazione della Provincia di Napoli – città metropolitana cod. AG8;
di ogni altro atto comunque presupposto, connesso o consequenziale;
nonché, con motivi aggiunti depositati il 3 gennaio 2005:
della nota dirigenziale n. 14250 del 12 novembre 2004, di risposta alle richieste di chiarimenti prodotta dai ricorrenti;
per quanto occorra, della nota n. 13520 del 29 ottobre 2004, di risposta all’atto di accesso ai documenti formulata dai ricorrenti;
di ogni altro atto comunque presupposto, connesso o consequenziale;
Letto il ricorso ed i relativi allegati, e tutti gli atti di causa;
Udito il relatore alla pubblica udienza, Referendario Diego Sabatino;
Uditi altresì i difensori, come da verbale d’udienza;
Ritenuto in fatto
Con ricorso iscritto al n. 12460/2004, le parti ricorrenti impugnavano il provvedimento indicato in epigrafe. A sostegno delle doglianze, veniva evidenziato il comportamento illegittimo dell’amministrazione, che aveva disposto, prendendo atto della delibera impugnata, l’esclusione delle parti ricorrenti dal corso di reclutamento per titoli ed esami a n. 16 posti di funzionario amministrativo cat. D pos. ec. D1 riservato ai dipendenti dell’amministrazione della Provincia di Napoli – città metropolitana.
Censurato il provvedimento, ne veniva così richiesto l’annullamento, con vittoria di spese processuali.
Si costituiva la parte resistente, Provincia di Napoli, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.
Interveniva altresì nel giudizio Marianna Siviero.
Dopo l’accoglimento della domanda di provvedimento cautelare inaudita altera parte, dato con decreto n. 5338/2004, alla udienza del 2 dicembre 2004 la domanda di sospensiva veniva cancellata dal ruolo ed alla successiva udienza del 20 gennaio 2005, successiva alla sua riproposizione, accolta con ordinanza n. 340/2005.
All’udienza del 26 gennaio 2006, il ricorso è stato discusso ed assunto in decisione, previa dichiarazione al verbale di causa da parte della difesa delle parti ricorrente della sopravvenuta carenza di interesse per tutti, in relazione alla circostanza di aver potuto perfezionare la rinuncia unicamente per Cristian Conforto.
Considerato in diritto
Il ricorso è improcedibile in parte per intervenuta rinuncia agli atti ed in parte per sopravvenuta carenza di interesse.
Come prevede espressamente l’art. 46 del Regio Decreto 17 agosto 1907, n. 642, di approvazione del procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, “in qualunque stadio della controversia si può rinunciare al ricorso mediante dichiarazione sottoscritta dalla parte o dall'avvocato munito di mandato speciale e depositato nella segreteria, o mediante dichiarazione verbale, di cui è steso processo.
Il rinunziante deve pagare le spese degli atti di procedura compiuti.
La rinunzia dev'essere notificata alla controparte, eccetto il caso in cui sia fatta oralmente all'udienza”.
L’abbandono del ricorso è quindi rimesso integralmente a colui che agisce, ed è sottoposto alle sole condizioni della provenienza dalla parte, o dal suo procuratore all’uopo espressamente autorizzato, e dell’intervenuta conoscenza della controparte dell’atto di rinuncia, conoscenza da conseguirsi in modo formale (e quindi con notifica o dichiarazione agli atti, come indica la norma, ma anche mediante altre forme equipollenti, quali il deposito in udienza dell'atto di rinuncia sottoscritto dalla parte personalmente, ex multis Consiglio Stato, sez. IV, 17 gennaio 2002, n. 244; o anche con dichiarazione sottoscritta dalla ricorrente e, per adesione, anche dalle difese della altre parti costituite, vedi T.A.R. Valle d'Aosta, 16 gennaio 2002, n. 4).
Intervenute le dette formalità, spetta infine al giudice pronunciare, espressamente ed a seguito di un accertamento che coinvolga la presenza dei detti requisiti, l'estinzione del giudizio, permanendo, fino a quel momento, il potere del rinunciante di revocare il proprio atto (da ultimo, T.A.R. Lazio, sez. II, 20 giugno 1991, n. 1125).
Effetto della rinuncia è pertanto, dal lato sostanziale, quello di determinare la cristallizzazione della situazione dedotta al momento anteriore della proposizione del ricorso, dall’altro lato, di carattere schiettamente processuale, quello di comportare l’obbligo di provvedere al rimborso delle spese sostenute dalla controparte (che tuttavia costituisce una posizione disponibile delle parti costituite, potendovi queste rinunciare, da ultimo T.A.R. Valle d'Aosta, 16 gennaio 2002, n. 4).
Venendo al caso in questione, non può non notarsi come le dette condizioni siano state integralmente adempiute, almeno per quanto attiene il ricorrente Conforto.
In relazione agli altri, la dichiarazione del difensore, al verbale d’udienza, che le altre parti, condividendo la posizione sostanziale del rinunciante, ritengono che sia venuto meno il loro interesse alla pronuncia, può essere condivisa dal Collegio, estendendo in tal senso la pronuncia di improcedibilità.
Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente le spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, quinta sezione di Napoli, definitivamente pronunciando, disattesa e respinta ogni diversa istanza, domanda, deduzione ed eccezione, così provvede:
1. Dichiara improcedibile il ricorso n. 12460/2004, in parte per intervenuta rinuncia ed in parte per sopravvenuta carenza di interesse;
2. Compensa integralmente tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Napoli, nella Camera di Consiglio del 26 gennaio 2006.

mercoledì 11 novembre 2009

Occupazione di fatto della P.A. con giurisdizione dell' AGO, occupazione con titolo anche annullato con giurisdizione del GA

Consiglio di Stato Sezione IV Sentenza 30 ottobre 2009, n. 6705

" E' ormai consolidato, anche dopo la nota sentenza della Corte Costituzionale nr. 204 del 6 luglio 2004, l’orientamento secondo cui rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia avente a oggetto la domanda risarcitoria conseguente a una occupazione avente il proprio originario fondamento in un titolo poi annullato, trattandosi in questo caso di danno riconducibile non a mero comportamento materiale, ma all’esercizio, ancorché scorretto o illegittimo, di pubblici poteri (cfr. “ex multis” Cons. Stato, Ad. Pl., 22 ottobre 2007, nr. 12; Cons. Stato, sez. IV, 8 giugno 2009, nr. 3509; id., 3 settembre 2008, nr. 4112)."

"Corollario è che sono assorbite nella giurisdizione ordinaria le controversie afferenti a comportamenti della P.A. in materia espropriativa non riconducibili, nemmeno mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere e, quindi, attuati in carenza di potere od in via di mero fatto"




Consiglio di Stato

Sezione IV

Sentenza 30 ottobre 2009, n. 6705

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

sul ricorso in appello nr. 6581 del 2003, proposto dalle sig.re S. A. e C. A., rappresentate e difese dagli avv.ti Alfredo Bianchini ed Enrico Romanelli, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, viale Giulio Cesare, 14,

contro

- il MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro “pro tempore”, e la PREFETTURA DI UDINE, in persona del Prefetto “pro tempore”, rappresentati e difesi “ope legis” dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati per legge presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12;
- la FERROVIE DELLO STATO S.p.A., in persona del legale rappresentante “pro tempore”, non costituita;

nei confronti di

IMPRESA PIZZAROTTI & C. S.p.a, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giorgio Cugurra e Salvatore Alberto Romano, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, viale XXI Aprile, 11,

per l’annullamento,

“in parte qua”, della sentenza nr. 7/2003 del 22 gennaio 2003 del T.A.R. del Friuli – Venezia Giulia, depositata in data 27 gennaio 2003.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno, della Prefettura di Udine e dell’Impresa Pizzarotti & C. S.p.a.;

Viste le memorie prodotte dalle appellanti (in data 23 settembre 2009) e dalla società appellata (in data 25 settembre 2009) a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 6 ottobre 2009, il Cons. Raffaele Greco;

Uditi l’avv. Pafundi, su delega dell’avv. Bianchini, per le appellanti, l’avv. dello Stato Grumetto per l’Amministrazione e l’avv. Morrone, su delega dell’avv. Romano, per l’Impresa Pizzarotti & C. S.p.a.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

Le signore S. A. e C. A. hanno impugnato, per quanto d’interesse, la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio, pur dopo aver annullato il decreto di esproprio emesso dalla società Ferrovie dello Stato S.p.a. su suoli di loro proprietà, ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo la domanda risarcitoria dalle stesse formulata in relazione all’illegittima occupazione e irreversibile trasformazione dei predetti suoli.

A sostegno dell’impugnazione, le appellanti hanno dedotto l’erroneità della decisione appellata nella parte in cui i giudici di primo grado hanno denegato la propria giurisdizione in ordine alla domanda risarcitoria spiegata in relazione all’annullamento degli atti espropriativi.

Pertanto, esse hanno chiesto riformarsi la sentenza gravata, accertandosi il proprio diritto al risarcimento del danno subito, da quantificare attraverso un’apposita consulenza tecnica d’ufficio.

Resistono il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Udine nonché l’Impresa Pizzarotti & C. S.p.a. (designata esecutrice delle opere cui era funzionale l’esproprio), chiedendo la reiezione dell’appello e l’integrale conferma della sentenza impugnata.

All’udienza del 6 ottobre 2009, la causa è stata introitata per la decisione.

DIRITTO

Viene nuovamente all’attenzione di questo Consesso la vicenda espropriativa interessante il terreno sito in Cervignano del Friuli di proprietà delle odierne appellanti, signore S. A. e C. A., ai fini della realizzazione di un nuovo scalo ferroviario da parte della società Ferrovie dello Stato S.p.a.

Gli atti della procedura espropriativa “de qua” sono stati già una volta annullati in sede giurisdizionale, nel giudizio conclusosi con la decisione dell’Adunanza Plenaria nr. 14 del 7 giugno 1999; tuttavia, l’Amministrazione ha proseguito il procedimento notificando alle signore A. un decreto di esproprio, come se nulla fosse accaduto.

A seguito di nuovo ricorso delle interessate, il T.A.R. del Lazio ha annullato anche il predetto decreto di esproprio, per illegittimità derivata, dichiarando però il proprio difetto di giurisdizione in ordine all’ulteriore istanza con la quale le ricorrenti avevano chiesto la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno: è limitatamente a questa statuizione che le signore A. hanno impugnato la sentenza del T.A.R., chiedendone l’annullamento ovvero la riforma.

Tanto premesso, l’appello è fondato nella parte in cui si lamenta l’erroneità della declaratoria di inammissibilità della domanda risarcitoria.

Ed invero, il primo giudice ha ritenuto che, una volta annullati gli atti del procedimento espropriativo, il danno cagionato dall’occupazione e dalla irreversibile trasformazione del suolo illegittimamente espropriato sarebbe riconducibile a mera attività materiale, e quindi esulerebbe dalla giurisdizione del giudice amministrativo.

Tale affermazione non può essere condivisa.

Infatti, è ormai consolidato, anche dopo la nota sentenza della Corte Costituzionale nr. 204 del 6 luglio 2004, l’orientamento secondo cui rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia avente a oggetto la domanda risarcitoria conseguente a una occupazione avente il proprio originario fondamento in un titolo poi annullato, trattandosi in questo caso di danno riconducibile non a mero comportamento materiale, ma all’esercizio, ancorché scorretto o illegittimo, di pubblici poteri (cfr. “ex multis” Cons. Stato, Ad. Pl., 22 ottobre 2007, nr. 12; Cons. Stato, sez. IV, 8 giugno 2009, nr. 3509; id., 3 settembre 2008, nr. 4112).

Le considerazioni che precedono, contrariamente all’avviso di parte appellante, non consentono tuttavia a questa Sezione di affrontare il merito dell’istanza risarcitoria, imponendo invece una pronuncia di annullamento con rinvio al giudice di primo grado ai sensi dell’art. 35 della legge 6 dicembre 1971, nr. 1034.

Pertanto, è in tale sede che dovranno essere affrontati gli aspetti relativi alla quantificazione del danno risarcibile, e prima ancora i profili inerenti alla sussistenza stessa dei presupposti per l’accoglimento della domanda attorea (in particolare, quanto alla colpa dell’Amministrazione, tenuto conto dei vizi di legittimità a suo tempo ravvisati negli atti della procedura espropriativa e dell’epoca in cui questi si sono verificati).

Ne discende, ancora, che resta riservata al definitivo anche ogni determinazione in ordine alle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, sezione Quarta, accoglie l’appello e, per l’effetto, annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice di primo grado.

Riserva al definitivo le determinazioni in ordine alle spese di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 ottobre 2009 con l’intervento dei Signori:

Gaetano Trotta, Presidente

Giuseppe Romeo, Consigliere

Antonino Anastasi, Consigliere

Sergio De Felice, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere, Estensore

Depositata in cancelleria il 30 ottobre 2009.

Address

Studio Legale avv. Santo De Prezzo Erchie (Brindisi - Italy) via Principe di Napoli, 113
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