martedì 25 agosto 2009

Trasferimento d'ufficio del Magistrato, ipotesi tassative

"Il Collegio, in proposito, rileva che l'obbligo di astensione nei procedimenti amministrativi va verificato con riferimento alle fattispecie circostanziate e tipizzate dall'art. 51 c.p.c. e deve essere comunque riferibile ai fatti specifici destinati a formare oggetto del successivo apprezzamento imparziale (Cons. Stato, IV, 3 marzo 2006 n. 1035)."

T.A.R.

Lazio - Roma

Sezione I

Sentenza 29 aprile 2009, n. 4454

...omissis...

FATTO

Il Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta straordinaria pomeridiana del 22 luglio 2008, ha deliberato, a maggioranza, il trasferimento d'ufficio, ai sensi dell'art. 2 r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, della dott.ssa Mariaclementina Forleo, giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano, per la situazione di incompatibilità determinatasi a seguito delle dichiarazioni rese dalla stessa in trasmissioni televisive o alla stampa in ordine all'esistenza di poteri forti che, anche per il tramite di soggetti istituzionali, avrebbero interferito sull'esercizio delle sue funzioni giurisdizionali e dei rilievi mossi ai pubblici ministeri preposti alle indagini per la cosiddetta "scalata BNL", tesi a manifestare dapprima, allarme per un asserito "rallentamento delle indagini" e, poi, protesta per un supposto "insabbiamento in corso".

Il ricorso è articolato nei seguenti motivi:

- Vizio del procedimento; violazione e falsa applicazione della delibera C.S.M. 18/12/1991; eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e in particolare manifesta contraddittorietà e difetto di motivazione.

La procedura di trasferimento ex art. 2 L.G. non potrebbe essere proseguita qualora, a seguito di trasferimento a domanda ad "altra sede" o ad "altro ufficio", siano venute meno le ragioni di incompatibilità. Il Plenum avrebbe potuto sospendere la procedura di trasferimento in attesa di conoscere l'esito del concorso interno nel quale la ricorrente aveva presentato domanda per essere trasferita ad altro ufficio del Tribunale e di sue sezioni distaccate.

- Violazione e falsa applicazione dell'art. 51, co, 1, n. 3 e co. 2, c.p.c. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche. In particolare, difetto di motivazione, illogicità e travisamento dei fatti.

L'istituto della ricusazione sarebbe univocamente ritenuto applicabile ai procedimenti amministrativi, mentre la Prima Commissione, con nota del 28 maggio 2008, ha dichiarato inammissibile, sul presupposto che l'istituto della ricusazione non sarebbe applicabile ai procedimenti amministrativi, l'istanza di ricusazione proposta dalla ricorrente nei confronti della VicePresidente della stessa Commissione. La prof.ssa Vacca sarebbe venuta meno ai doveri di obiettività, imparzialità e riservatezza che devono contrassegnare l'attività del C.S.M. nell'ambito di una procedura, come quella del trasferimento per incompatibilità ambientale, caratterizzata da estrema rilevanza e delicatezza.

- Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, in particolare falsità della causa, difetto di presupposto, confusione e perplessità. Sviamento.

L'amministrazione avrebbe adottato l'atto con un intento punitivo nei confronti della ricorrente, le cui idee non erano in linea con il pensiero di parte di alcuni settori della magistratura associata.

- Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche. In particolare, difetto di istruttoria e carenza di contraddittorio. Violazione delle norme sul procedimento amministrativo. Contraddittorietà e perplessità dell'azione amministrativa. Difetto di motivazione.

La mera richiesta iniziale di informazioni si sarebbe trasformata in una sorta di capo di incolpazione. La formale apertura del procedimento per incompatibilità ambientale risalirebbe alla seduta del 4 dicembre 2007, in cui parte rilevante dell'attività istruttoria sarebbe già stata espletata, senza l'adozione di un atto formale di avvio del procedimento e senza le dovute garanzie del contraddittorio.

Nella proposta di trasferimento della dott.ssa Forleo, la relazione dissenziente non sarebbe stata nemmeno citata e gli argomenti difensivi sollevati dalla ricorrente sarebbero stati frettolosamente liquidati.

Sarebbe stato necessario ampliare lo spettro dei soggetti da ascoltare e valutare in maniera "critica" le dichiarazioni rese nel procedimento.

- Violazione e falsa applicazione art. 2 r.d.lgs. n. 511/1946; violazione e falsa applicazione delle delibere del CSM del 6.12.2006 e del 24.1.2007. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e in particolare irragionevolezza, illogicità, travisamento, contraddittorietà, erroneità di presupposti.

L'amministrazione avrebbe applicato l'art. 2 del r.d.l. 511/1946 ad una fattispecie concreta che non rientra nella previsione astratta della norma.

La disposizione vigente escluderebbe che una condotta anche solo colposa e, quindi, volontaria del magistrato possa rientrare nel suo ambito di previsione. D'altra parte, diversamente opinando, si farebbe rientrare nella fattispecie normativa in discorso ogni comportamento colpevole del magistrato non sussumibile in fattispecie disciplinari con l'abnorme conseguenza della privazione per l'interessato delle garanzie previste per il procedimento disciplinare e della previsione di un'unica e lesiva sanzione quale quella dell'allontanamento dalla sede occupata.

L'interpretazione offerta dall'amministrazione comporterebbe sostanzialmente che la modifica legislativa dell'art. 2 r.d.l. 511/1946 non abbia alcuna portata innovatrice.

Dalle motivazioni finali della Prima Commissione, si ricaverebbe che ha assunto particolare ed autonoma rilevanza la valutazione del profilo psicologico della ricorrente, sicché per il CSM, sovvertendosi la ratio della legge, la situazione di incompatibilità sarebbe stata determinata dalla personalità, prima ancora che dalla condotta della ricorrente.

In conclusione, il CSM avrebbe violato e falsamente applicato l'art. 2 L.G. nella sua nuova formulazione, valutando, ai fini dell'incompatibilità ambientale, condotte volontarie della ricorrente.

- Violazione e falsa applicazione art. 2 r.d.lgs. 511/1946; violazione e falsa applicazione delle delibere del CSM del 6.12.2006 e del 24.1.2007. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche e in particolare irragionevolezza, illogicità, travisamento, contraddittorietà, erroneità dei presupposti.

L'amministrazione, nell'applicazione del nuovo art. 2 L.G., dovrebbe verificare l'impossibilità da parte del magistrato di svolgere le funzioni con indipendenza ed imparzialità; tuttavia, il CSM, partendo da un presupposto corretto, limitatamente a tale aspetto, avrebbe compiuto una verifica istruttoria ed un esame dei fatti improntata ad un diverso parametro, costituito dall'elemento del prestigio dell'ordine giudiziario, che, dopo la novella legislativa, è divenuto privo di rilievo.

- Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche. In particolare, travisamento dei fatti e manifesta ingiustizia. Carenza istruttoria. Difetto di motivazione. Contraddittorietà.

La Prima Commissione avrebbe ricostruito ed interpretato in maniera errata i fatti e le dichiarazioni dei soggetti interessati per giungere alla proposta di trasferimento.

Con un primo atto di motivi aggiunti, la dott.ssa Forleo ha impugnato la deliberazione, adottata nella seduta del 17 settembre 2008, con cui il CSM ha disposto il suo trasferimento d'ufficio al Tribunale di Cremona con funzioni di giudice, nonché la determinazione con cui il Presidente del Tribunale di Cremona ha dichiarato l'immissione nell'esercizio delle funzioni ed il rapporto informativo per la IV valutazione di professionalità, adottato dal Tribunale di Milano - Ufficio del Giudice per le indagini preliminari.

Ha dedotto l'illegittimità di tali atti, in via derivata, per le medesime ragioni dedotte nel ricorso introduttivo del giudizio.

Con un secondo atto di motivi aggiunti, la ricorrente ha altresì impugnato, per illegittimità derivata, il decreto ministeriale di trasferimento al Tribunale di Cremona.

L'Avvocatura dello Stato, con ampia ed articolata memoria, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso.

La dott.ssa Forleo ha depositato altra memoria a sostegno delle proprie ragioni.

All'udienza pubblica dell'8 aprile 2009, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è fondato e va di conseguenza accolto.

2. In particolare, sono fondate ed assorbenti le censure con cui la ricorrente ha dedotto la violazione dell'art. 2, co. 2, r.d.lgs. 511/1946, come modificato dall'art. 26, co. 1, d.lgs. 109/2006.

La norma stabilisce che i magistrati possono, anche senza il loro consenso, essere trasferiti ad altra sede o destinati ad altre funzioni, previo parere del Consiglio Superiore della Magistratura, quando, per qualsiasi causa indipendente da loro colpa non possono, nella sede occupata, svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza ed imparzialità; il parere del C.S.M. è vincolante quando si tratti di magistrati giudicanti.

Nella formulazione originaria, invece, la fattispecie veniva in essere quando, per qualsiasi causa anche indipendente da loro colpa, i magistrati non potevano, nella sede occupata, amministrare giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell'ordine giudiziario.

Ne consegue che, laddove prima della novella del 2006 gli elementi costitutivi della fattispecie del trasferimento per incompatibilità ambientale - il cui accertamento avviene ovviamente sulla base di scienze non esatte ed è, quindi, espressione di c.d. discrezionalità tecnica - erano costituiti da una situazione, ascrivibile o meno a colpa del magistrato, produttiva di un effetto, l'impossibilità di amministrare giustizia nella sede alle condizioni richieste dal prestigio dell'ordine giudiziario, nell'ordinamento attuale la fattispecie può ritenersi integrata soltanto in presenza di una situazione non attribuibile a colpa del magistrato, che sia produttiva di un effetto costituito dall'impossibilità di svolgere nella sede occupata le proprie funzioni con piena indipendenza ed imparzialità.

Nel caso di specie, il Collegio ritiene che il trasferimento d'ufficio della dott.ssa Forleo ai sensi dell'art. 2 r.d.lgs. 511/1946 sia stato deliberato in carenza di entrambi i presupposti di causa ed effetto previsti dalla norma vigente.

La novella legislativa dell'art. 2 r.d.lgs. 511/1946 deve essere inserita nell'ambito della complessiva riforma legislativa del 2006, operata prima con il d.lgs. 109/2006 - recante la disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché la modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento d'ufficio - e poi con le modifiche ad essa apportate dalla L. 269/2006.

Una delle ragioni principali della riforma è riconducibile all'esigenza di tipizzare gli illeciti disciplinari, atteso che la previgente disciplina era basata sulla c.d. atipicità dell'illecito disciplinare, non indicando quali potessero essere i fatti costituenti infrazione ai doveri deontologici, per cui l'individuazione delle ipotesi di illecito disciplinare spettava in concreto alla Sezione disciplinare del CSM.

L'art. 2 del d.lgs. 109/2006 ha ora tipizzato gli illeciti disciplinari che i magistrati possono compiere nell'esercizio delle funzioni.

Il successivo art. 13 ha previsto che la sezione disciplinare del C.S.M., nell'infliggere una sanzione diversa dall'ammonimento e dalla rimozione, può disporre il trasferimento del magistrato ad altra sede o ad altro ufficio quando, per la condotta tenuta, la permanenza nella stessa sede o nello stesso ufficio appare in contrasto con il buon andamento dell'amministrazione della giustizia, mentre il trasferimento è sempre disposto quando ricorre una delle violazioni previste dall'art. 2, co. 1, lett. a), nonché nel caso in cui è inflitta la sanzione della sospensione dalle funzioni; il secondo comma dell'art. 13 prevede inoltre che, nei casi di procedimento disciplinare per addebiti punibili con una sanzione diversa dall'ammonimento, su richiesta del Ministro della Giustizia o del Procuratore generale presso la Corte di cassazione, ove sussistano gravi elementi di fondatezza dell'azione disciplinare e ricorrano motivi di particolare urgenza, la Sezione disciplinare del C.S.M., in via cautelare e provvisoria, può disporre il trasferimento ad altra sede o la destinazione ad altre funzioni del magistrato incolpato.

Il quadro normativo in materia di trasferimento d'ufficio del magistrato è completato dall'art. 22 del d.lgs. 109/2006, secondo cui, quando il magistrato è sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo punibile, anche in via alternativa, con pena detentiva, o quando al medesimo possono essere ascritti fatti rilevanti sotto il profilo disciplinare che, per la loro gravità, siano incompatibili con l'esercizio delle funzioni, il Ministro della Giustizia o il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione possono chiedere alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura la sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio, e il collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura, anche prima dell'inizio del procedimento disciplinare; nei casi di minore gravità, il Ministro della Giustizia o il Procuratore Generale possono chiedere alla sezione disciplinare il trasferimento provvisorio dell'incolpato ad altro ufficio di un distretto limitrofo.

L'art. 24 del decreto stabilisce infine che l'incolpato, il Ministro della Giustizia ed il Procuratore generale presso la Corte di cassazione possono proporre, contro i provvedimenti in materia di sospensione di cui agli artt. 21 e 22 e contro le sentenze della sezione disciplinare del C.S.M., ricorso per cassazione, nei termini e con le forme previsti dal codice di procedura penale; la Corte di cassazione decide a sezioni unite civili, entro sei mesi dalla data di proposizione del ricorso.

In definitiva, rilevato che il principio dell'inamovibilità del magistrato è sancito dall'art. 107 Cost., il trasferimento d'ufficio del magistrato può avvenire nei seguenti casi:

a) la Sezione disciplinare del C.S.M. deve disporre il trasferimento quale sanzione accessoria di una sanzione disciplinare diversa dall'ammonimento e dalla rimozione ove ricorra una delle violazioni di cui all'art. 2, co. 1, lett. a) e nel caso in cui è inflitta la sanzione della sospensione dalle funzioni (art. 13, co. 1, d.lgs. 109/2006);

b) la Sezione disciplinare del C.S.M. può disporre il trasferimento quale sanzione accessoria di una sanzione disciplinare diversa dall'ammonimento e dalla rimozione se la permanenza nella stessa sede o nello stesso ufficio appare in contrasto con il buon andamento della giustizia (art. 13, co. 1, d.lgs. 109/2006);

c) la Sezione disciplinare del C.S.M. può disporre, in via cautelare e provvisoria, il trasferimento ad altra sede o la destinazione ad altre funzioni del magistrato incolpato nei casi di procedimento disciplinare per addebiti punibili con una sanzione diversa dall'ammonimento, su richiesta del Ministro della Giustizia o del Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, ove sussistano gravi elementi di fondatezza dell'azione disciplinare e ricorrano motivi di particolare urgenza (art. 13, co. 2, d.lgs. 109/2006);

d) la Sezione disciplinare del C.S.M. può disporre il trasferimento provvisorio dell'incolpato ad altro ufficio di un distretto limitrofo, su richiesta del Ministro della Giustizia o del Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, quando il magistrato è sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo punibile, anche in via alternativa, con pena detentiva o quando al medesimo possono essere ascritti fatti rilevanti sotto un profilo disciplinare, nei casi di minore gravità (art. 22 d.lgs. 109/2006);

e) il Ministro della Giustizia, su parere del C.S.M. (vincolante quando si tratta di magistrati giudicanti), può disporre il trasferimento ad altra sede o la destinazione ad altre funzioni quando i magistrati si trovino in una delle situazioni di incompatibilità previste dagli artt. 16 (incompatibilità di funzioni), 18 (incompatibilità di sede per rapporti di parentela o affinità con esercenti la professione forense) e 19 (incompatibilità di sede per rapporti di parentela o affinità con magistrati o ufficiali o agenti di polizia giudiziaria della stessa sede) dell'ordinamento giudiziario approvato con r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 (art. 2, co. 2, r.d.lgs. 511/1946);

f) il Ministro della Giustizia, su parere del C.S.M. (vincolante quando si tratta di magistrati giudicanti), può disporre il trasferimento ad altra sede o la destinazione ad altre funzioni quando i magistrati, per qualsiasi causa indipendente da loro colpa, non possono, nella sede occupata, svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità (art. 2, co. 2, r.d.lgs. 511/1946).

La giurisdizione, per quanto attiene alle ipotesi di trasferimento in esito a procedimento disciplinare di cui alle lett. a) e b), appartiene alla Corte di Cassazione a sezioni unite ai sensi dell'art. 24 d.lgs. 109/2006, per quanto attiene alle ipotesi di trasferimento in via provvisoria di cui alle lett. c) e d), appartiene ancora alla Corte di Cassazione a sezioni unite (ferma restando la giurisdizione amministrativa sulle controversie afferenti ai provvedimenti di individuazione della sede presso cui trasferire il magistrato) in ragione del disposto di carattere generale di cui all'art. 17, co. 3, L. 195/1958, mentre sussiste la giurisdizione amministrativa in relazione alle ipotesi di trasferimento in esito a procedimento amministrativo di cui alle lett. e) ed f).

Così delineata la normativa di riferimento in materia di trasferimento d'ufficio, il Collegio rileva che la fattispecie di trasferimento per incompatibilità ambientale ai sensi dell'art. 2 r.d.lgs. 511/1946 è un'ipotesi residuale rispetto a quella configurata come accessoria alla sanzione disciplinare e, nel nuovo ordinamento, si caratterizza per una minore estensione sia in quanto l'incompatibilità può discendere solo da una causa non imputabile al magistrato nemmeno a titolo di colpa, laddove nella precedente disciplina normativa la fattispecie poteva originare anche da colpa del magistrato, sia perché l'interesse tutelato è ora costituito dall'indipendenza e dall'imparzialità nello svolgimento delle funzioni, mentre prima era costituito dal prestigio dell'ordine giudiziario.

2.1. Nel nuovo sistema, il legislatore ha stabilito e tassativamente indicato talune ipotesi, evidentemente connotate dall'elemento psicologico del dolo o della colpa, che costituiscono illecito disciplinare ed in relazione alle quali il trasferimento d'ufficio costituisce (se sussiste una delle violazioni di cui all'art. 2, co. 1, lett. a), d.lgs. 109/2006 o se è stata inflitta la sanzione della sospensione dalle funzioni) o può costituire (se sussista una delle altre violazioni) sanzione accessoria, mentre una qualunque altra situazione attribuibile a colpa del magistrato non può costituire, a differenza che nel previgente sistema, il presupposto per integrare la fattispecie di trasferimento per incompatibilità ambientale di cui all'art. 2, co. 2, r.d.lgs. 511/1946.

In altri termini, una fattispecie colposa o costituisce un illecito disciplinare e, in esito al relativo procedimento, può comportare il trasferimento d'ufficio del magistrato ai sensi dell'art. 13 d.lgs. 109/2006 oppure non costituisce illecito disciplinare, non avendogli attribuito l'ordinamento un disvalore deontologicamente rilevante, e non può avere come conseguenza il trasferimento d'ufficio del magistrato attraverso l'applicazione dell'art. 2 della Legge Guarentigie, conseguenza invece possibile sulla base della precedente formulazione della norma.

La causa del trasferimento per incompatibilità ambientale previsto dall'art. 2 r.d.lgs. 511/1946, dovendo consistere necessariamente in un fatto indipendente da colpa del magistrato, può peraltro concretarsi anche in una condotta volontaria dello stesso, sempre però che la condotta non sia imputabile a titolo di colpa.

Nella fattispecie in esame, la situazione che, secondo la valutazione del C.S.M., ha determinato l'incompatibilità ambientale è indubbiamente attribuibile ad un comportamento volontario della dott.ssa Forleo ed i riferimenti contenuti nella delibera impugnata sono tali da far ritenere che i fatti siano stati addebitati all'interessata a titolo colposo.

A tal fine, sarebbe già sufficiente considerare che il trasferimento d'ufficio della dott.ssa Forleo è stato deliberato "per la situazione di incompatibilità determinatasi a seguito delle dichiarazioni rese dalla stessa in trasmissioni televisive o alla stampa in ordine all'esistenza di poteri forti che, anche per il tramite di soggetti istituzionali, avrebbero interferito sull'esercizio delle sue funzioni giurisdizionali e dei rilievi mossi ai pubblici ministeri preposti alle indagini per la cosiddetta "scalata BNL", tesi a manifestare dapprima, allarme per un asserito "rallentamento delle indagini" e, poi, protesta per un supposto "insabbiamento in corso".

Nella proposta di trasferimento d'ufficio, in relazione alle "dichiarazioni rese in trasmissioni televisive o alla stampa concernenti l'esistenza di poteri forti che, anche per il tramite di soggetti istituzionali, avrebbero interferito (o tentato di interferire) sull'esercizio delle funzioni giurisdizionali della stessa", è inoltre indicato che "l'interpretazione di tali vicende da parte della dott.ssa Forleo e - ciò che qui interessa - le dichiarazioni pubbliche da lei rese al riguardo sono tuttavia, all'evidenza, gravemente sproporzionate rispetto ai fatti emersi così da procurare un allarme nei colleghi e un discredito della magistratura milanese obiettivamente infondati. In sostanza, a fronte della comune e diffusa percezione, creatasi dopo pubbliche denunce rilasciate soprattutto durante due puntate della trasmissione televisiva "Annozero", che la dott.ssa Forleo subisse delle pressioni o delle intimidazioni personali a causa dei procedimenti giudiziari da lei gestiti, peraltro con la funzione incidentale di giudice per le indagini preliminari, riguardanti la vicenda UNIPOL non sono state accertate, ammettendo anche il reale accadimento dei fatti nella versione fornita dal magistrato, circostanze tali da giustificare una pubblica denuncia così come effettuata dalla dott.ssa Forleo. Altrettanto è a dirsi per i rilievi mossi dalla dott.sa Forleo ai pubblici ministeri preposti alle indagini relative alla cosiddetta "scalata BNL" ... Si tratta di rilievi che dimostrano un rapporto con l'ufficio di Procura caratterizzato da eccessiva disinvoltura e contrario ai più comuni canoni deontologici nonché potenzialmente indicativo di un pregiudizio accusatorio all'evidenza incompatibile con l'imparzialità richiesta al giudice nell'esercizio delle sue funzioni".

La proposta di trasferimento d'ufficio ha in definitiva messo in rilievo che "gli atteggiamenti descritti evidenziano, nella dott.ssa Forleo una notevole propensione a condotte vittimistiche e una marcata carenza di equilibrio, nonché una personalizzazione delle vicende processuali a lei affidate - soprattutto quelle aventi forte carattere mediatico - tali da determinare contrasti, conflitti e sospetti nei confronti dei magistrati di uffici con lei in contatto anche nella sede giudiziaria milanese" ed ha soggiunto che "questa abnorme personalizzazione insieme alla già segnalata carenza di equilibrio è confermata anche da altre vicende risultanti dagli atti (quali i rapporti conflittuali o comunque difficili all'interno dell'ufficio e con il personale amministrativo e la vicenda processuale relativa al procedimento contro Bentiwaa Farida che ha, infine, condotto alla ricusazione della dott.ssa Forleo da parte del procuratore Aggiunto di Milano, dottor Spataro, accolta dalla Corte di appello di Milano)".

Sulla base di tali elementi, è evidente come la causa che avrebbe determinato l'impossibilità di svolgere, nella sede occupata, le proprie funzioni con piena indipendenza ed imparzialità sia stata ritenuta dipendente da colpa del magistrato.

Infatti, la ragione essenziale a base del provvedimento è costituita dall'individuazione di determinate caratteristiche del magistrato interessato, quali "una notevole propensione a condotte vittimistiche" e "una marcata carenza di equilibrio", nonché "una personalizzazione delle vicende processuali a lei affidate", soprattutto quelle aventi forte carattere mediatico.

Tali caratteristiche sono state senz'altro attribuite alla dott.ssa Forleo a titolo di colpa in quanto, nella complessiva formulazione della proposta approvata dal Plenum, appaiono riferirsi ad una condotta del magistrato caratterizzata da negligenza ed imprudenza, tanto che nella stessa proposta di trasferimento il rapporto con l'ufficio di Procura è espressamente rappresentato come contrario ai più comuni canoni deontologici.

Diversamente, come emerge anche dalla discussione in sede plenaria, nell'art. 2 in discorso rientrano "tutte quelle condotte che non sono deontologicamente riprovevoli" (intervento del Cons. Fresa, pag. 71) e quella in esame "è una procedura incolpevole, e cioè che prescinde da una valutazione negativa dei comportamenti contestati al magistrato" (intervento del Cons. Riviezzo, pag. 77).

Il Collegio, pertanto, rileva che, nel caso di specie, la causa per la quale il C.S.M. ha ritenuto sussistere la situazione di incompatibilità ambientale è dipendente da colpa del magistrato, per cui il provvedimento adottato si pone già per tale ragione al di fuori del parametro normativo e risulta quindi adottato in violazione del principio di legalità e di tipicità degli atti amministrativi.

Né, la circostanza che i fatti in questione non possano essere perseguiti in via disciplinare in quanto non costituiscono una delle fattispecie tipizzate dall'art. 2 d.lgs. 109/2006 può condurre a ritenere che siano idonei a fungere da presupposto per l'applicazione della norma di cui all'art. 2 r.d.lgs. 511/1946.

Infatti - rilevato che "il rilasciare dichiarazioni ed interviste in violazione dei criteri di equilibrio e di misura" costituiva la fattispecie di illecito disciplinare prevista dalla lett. bb) dell'art. 2 d.lgs. 109/2006, poi abrogata dall'art. 1, co. 3, lett. b), n. 4, L. 269/2006 - non è sufficiente per l'applicazione della norma de qua che la situazione non sia prevista come disciplinarmente rilevante, essendo necessario, come detto, che il fatto generatore dell'incompatibilità non sia dipeso da colpa del magistrato.

In altri termini, la norma pone chiaramente in evidenza che la causa deve essere indipendente da colpa del magistrato, per cui la fattispecie astratta copre solo e soltanto tali tipologie di situazioni, mentre non afferma affatto, il che pur sarebbe stato possibile nell'esercizio della potestà legislativa discrezionale, che la causa, a prescindere dalla sua imputabilità al magistrato a titolo di colpa, può rinvenirsi in qualunque fatto che, non essendo disciplinarmente rilevante, non possa dare luogo all'avvio del relativo procedimento.

Di talché, se è possibile ritenere che il trasferimento d'ufficio ex art. 2 r.d.lgs. 511/1946 possa essere determinato, oltre che da situazioni che obiettivamente prescindono dalla volontà del magistrato, anche da condotte volontarie dello stesso, è però essenziale per l'integrazione della fattispecie che queste ultime non siano imputabili a titolo di colpa all'interessato.

L'eventuale sussistenza di condotte imputabili a colpa del magistrato che non siano previste come illecito disciplinare, in sostanza, se può dare conto di una sorta di incompletezza del sistema non può certo comportare un ampliamento dell'ambito di applicazione della norma sul trasferimento d'ufficio oltre i chiarissimi elementi letterali in essa contenuti.

D'altra parte, l'art. 2, co. 6, lett. n), della legge delega n. 150/2006 ha espressamente stabilito che il trasferimento ad altra sede o la destinazione ad altre funzioni possono essere disposti con procedimento amministrativo dal C.S.M. solo per una causa incolpevole tale da impedire al magistrato di svolgere le sue funzioni, nella sede occupata, con piena indipendenza ed imparzialità.

Pertanto, già il legislatore delegante aveva previsto, senza possibilità di dubbio, che la causa a base del trasferimento d'ufficio a seguito di procedimento amministrativo dovesse essere incolpevole.

2.2. Il Collegio ritiene che non sussista nemmeno l'altro presupposto della fattispecie, vale a dire l'impossibilità per il magistrato di svolgere, nella sede occupata, le proprie funzioni con piena indipendenza ed imparzialità, per cui anche la relativa censura si rivela fondata.

Il complesso degli elementi a base del provvedimento adottato, infatti, non fornisce un'esauriente spiegazione sulla plausibilità del verificarsi di un tale effetto.

I rilievi contestati alla dott.ssa Forleo, secondo il C.S.M., "dimostrano un rapporto con l'ufficio di Procura caratterizzato da eccessiva disinvoltura e contrario ai più comuni canoni deontologici nonché potenzialmente indicativo di un pregiudizio accusatorio all'evidenza incompatibile con l'imparzialità richiesta al giudice nell'esercizio delle sue funzioni".

Purtuttavia, tale conclusione non appare coerente con le premesse, in quanto non sono comprensibili le ragioni per le quali - dalle dichiarazioni rese in trasmissioni televisive o alla stampa concernenti l'esistenza di poteri forti che, anche per il tramite di soggetti istituzionali, avrebbero interferito (o tentato di interferire) sull'esercizio delle funzioni giurisdizionali del magistrato, ovvero dai rilievi mossi ai pubblici ministeri preposti alle indagini relative alla cosiddetta "scalata BNL" - dovrebbe evincersi l'impossibilità di svolgere le funzioni magistratuali con indipendenza ed imparzialità nella sede di Milano.

Diversamente, atteso che nella proposta di trasferimento approvata dal Plenum, è stato precisato che "l'interpretazione di tali vicende da parte della dott.ssa Forleo e - ciò che qui interessa - le dichiarazioni pubbliche da lei rese al riguardo sono tuttavia, all'evidenza, gravemente sproporzionate rispetto ai fatti emersi così da procurare un allarme nei colleghi e un discredito anche della magistratura milanese obiettivamente infondati" e che gli atteggiamenti della dott.ssa Forleo sono "tali da determinare contrasti, conflitti e sospetti nei confronti dei magistrati di uffici con lei in contatto anche nella sede giudiziaria milanese", sembra che nella valutazione dei presupposti sia stata data rilevanza alla possibilità di amministrare giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell'ordine giudiziario, interesse tutelato nella precedente formulazione della norma, piuttosto che alla possibilità di svolgere le funzioni con piena indipendenza ed imparzialità, interesse tutelato nella vigente formulazione della norma.

Ne consegue che, anche con riferimento a tale aspetto, in assenza di una plausibile ragione per la quale i fatti indicati nel provvedimento in esame possano far ritenere pregiudicata, nella sede occupata, la possibilità di svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza ed imparzialità, risulta violato il principio di legalità e di tipicità degli atti amministrativi, in quanto l'amministrazione ha applicato l'art. 2 r.d.lgs. 511/1946 in carenza degli elementi costitutivi della relativa fattispecie.

3. La fondatezza delle censure esaminate dimostra l'illegittimità dell'azione amministrativa, avendo il C.S.M. applicato l'art. 2 r.d.l. 511/1946 ad una fattispecie concreta che non rientra nella previsione astratta della norma, ed è già di per sè idonea a determinare, assorbite le ulteriori censure, la fondatezza del ricorso ed il suo conseguente accoglimento.

4. In ordine allo svolgimento dell'iter procedimentale che ha condotto all'adozione del provvedimento impugnato, occorre peraltro rilevare, in accoglimento del relativo motivo d'impugnativa, la specifica illegittimità della nota del 28 maggio 2008, con cui la Prima Commissione del C.S.M. ha dichiarato inammissibile l'istanza proposta dal dott. Laudi nell'interesse della dott.ssa Forleo, nella quale si sollecita l'astensione (e, se del caso, la ricusazione) della Prof.ssa Letizia Vacca per effetto di quanto previsto dall'art. 51, co. 1, n. 3 ("il giudice ha l'obbligo di astenersi ... se egli stesso o il coniuge ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori" ), e co. 2 ("In ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice può richiedere al capo dell'ufficio l'autorizzazione ad astenersi"), del codice di procedura civile.

La Commissione, tra l'altro, ha osservato che, con riferimento all'istanza di ricusazione, tale istituto non è applicabile ai procedimenti amministrativi, in assenza di una normativa che ne disciplini i casi ed il procedimento non è in ogni caso applicabile ove non ricorrano le situazioni tassativamente previste dall'art. 51, co. 1, n. 3 e 2 c.p.c..

Il Collegio, in proposito, rileva che l'obbligo di astensione nei procedimenti amministrativi va verificato con riferimento alle fattispecie circostanziate e tipizzate dall'art. 51 c.p.c. e deve essere comunque riferibile ai fatti specifici destinati a formare oggetto del successivo apprezzamento imparziale (Cons. Stato, IV, 3 marzo 2006 n. 1035).

In particolare, l'imparzialità dell'organo deliberante è garantita dall'applicazione dei criteri desumibili dall'art. 49 t.u. n. 3/1957 e, prima ancora, dall'art. 51 c.p.c., i quali impongono l'astensione al componente dell'organo collegiale che versi in situazione di inimicizia personale nei confronti del destinatario del provvedimento finale o abbia manifestato il suo parere sull'oggetto di questo al di fuori dell'esercizio delle sue funzioni procedimentali (Cons. Stato, IV, 7 marzo 2005, n. 867).

Ne consegue che l'istanza di astensione/ricusazione non poteva essere legittimamente dichiarata inammissibile, tanto più che gli apprezzamenti diffusi a mezzo stampa sul magistrato interessato nel corso del procedimento sono stati resi dal Vicepresidente della Prima Commissione, la Commissione che, in quanto competente sulle procedure di trasferimento ai sensi dell'art. 2 r.d.lgs. 511/1946, ha formulato la proposta di trasferimento della dott.ssa Forleo, per cui appare arduo ipotizzare che l'inosservanza dell'eventuale obbligo di astensione da parte del componente del Consiglio non abbia potuto produrre un'alterazione del procedimento, traducendosi in un vizio di legittimità del provvedimento finale.

5. La fondatezza del ricorso introduttivo del giudizio determina, in via derivata, la fondatezza anche dei due atti di motivi aggiunti depositati dalla ricorrente e, per l'effetto, l'annullamento degli atti impugnati.

6. Sussistono giuste ragioni, considerate la complessità e la peculiarità della fattispecie, per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Prima Sezione di Roma, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l'effetto annulla gli atti impugnati.

Dispone la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

giovedì 20 agosto 2009

G.A., rapporto processuale tra ricorso principale e ricorso incidentale

TAR Piemonte-Torino, sez. I, sentenza 11.02.2009 n° 401

“in termini di teoria generale del processo amministrativo applicata alla particolare questione di rapporti tra ricorso incidentale e ricorso principale nelle ipotesi in cui il Giudice non possa procedere all’esame del secondo o delibarne la fondatezza, nel caso all’esame va confermata la declaratoria di irricevibilità ed infondatezza nel merito del mezzo incidentale, già formulata in sede cautelare con l’Ordinanza n. 1071/2008.
Invero, l’ eccezione di irricevibilità del mezzo incidentale, formulata dal ricorrente principale nella memoria depositata in vista della Camera di Consiglio del 18.12.2008 fissata per la decisione della domanda cautelare contestuale al ricorso incidentale, si profila fondata poiché per recente giurisprudenza,condivisa dal Collegio, il ricorso incidentale nelle materie di cui all’art. 23 – bis Legge T.A.R. va notificato entro 45 giorni dalla notifica del ricorso principale (Consiglio di Stato, Sez. V, 11.5.2007, n. 2356; T.A.R. Sicilia – Catania, III, 5.5.2008, n. 8121; T.R.G.A. Trentino Altro Adige – Trento, 21.1.2008, n. 10). La Sezione aderisce all’orientamento in rassegna e lo fa proprio. Ne consegue che risultando il ricorso principale notificato il 26.9.2008, quello incidentale andava consegnato agli Ufficiali giudiziari per la sua notifica entro l’11.11.2008, non rilevando la data di conoscenza dei vizi del provvedimento denunciabili con l’azione incidentale (Cons. di Stato, Sez. VI, 26.4.2002, n. 2234, punto 2.1.1 motiv.). Risulta invece che il ricorso incidentale è stato notificato solo il 9.12.2008, conseguendone la sua incontrovertibile irricevibilità.”

T.A.R.
Piemonte,
Sezione I
Sentenza 11 febbraio 2009, n. 401
(Pres. Bianchi, Est. Graziano)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1169 del 2008, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Impresa G.S.A. Gruppo Servizi Associati Soc.Cons A R.L., in persona del legale rappresentante pro – tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Domenico Colella, Carlo Tangari, con domicilio eletto presso l’avv. Rita Laura Bruno in Torino, via Confienza, 15 Bis;
contro
Azienda Ospedaliera-Universitaria "Maggiore della Carita'" di Novara, in persona del legale rappresentante pro – tempore rappresentato e difeso dagli avv. Cinzia Picco, Prof. Paolo Scaparone, con domicilio eletto presso il secondo in Torino, via S. Francesco D'Assisi, 14;
nei confronti di
Gielle di L. G., rappresentato e difeso dagli avv. Anna Lillo, Silvia Remmert, con domicilio eletto presso la seconda in Torino, via Stefano Clemente, 22;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
del provvedimento, prima non conosciuto, del 17 giugno 2008, con cui l'Azienda Ospedaliero-Universitaria "Maggiore della Carità" di Novara ha disposto l'aggiudicazione provvisoria del "servizio di antincendio elisuperficie H2 ed assunzione dell'incarico di gestore dell'attività ai sensi dell'art. 7 D.M. trasporti 10.03.88, per un periodo di mesi 12" in favore dell'impresa Gielle di L. G.; nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale, ivi compresi tutti i verbali di gara, non conosciuti, nella parte in cui non è stata disposta l'esclusione dell'aggiudicataria provvisoria dalla gara de qua; ed, ove occorra, del bando, del disciplinare e del capitolato speciale d'appalto nei limiti di seguito indicati;
e, con motivi aggiunti depositati in data 9 ottobre 2008,
della determinazione dirigenziale del Direttore della S.C. Tecnico Patrimoniale n. 2002 del 01.10.2008 con cui l'Azienda Ospedaliero-Universitaria "Maggiore della Carità" di Novara ha disposto l'aggiudicazione definitiva del "servizio di antincendio elisuperficie H2 ed assunzione dell'incarico di gestore dell'attività ai sensi dell'art. 7 D.M. trasporti 10.03.88, per un periodo di mesi 12" in favore dell'impresa Gielle di L. G.; nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale, ivi compresi: la determinazione dirigenziale del Direttore della S.C. Tecnico Patrimoniale n. 1335 del 25.06.2008 di aggiudicazione provvisoria dell'appalto; le note 11.9.2008 e 30.9.2008 del medesimo Dirigente e tutti i verbali di gara, nella parte in cui non è stata disposta l'esclusione dell'aggiudicataria dalla gara de qua; ed, ove occorra, del bando, del disciplinare e del capitolato speciale d'appalto nei limiti di seguito indicati.

Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Azienda Ospedaliera-Universitaria "Maggiore della Carita'" di Novara;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Gielle di L. G.;
Esamoinato il ricorso incidentale notificato il 9.12.2008 dalla Impresa Gielle di L. G.;
Esaminate le memorie difensive;
Esaminate le ulteriori produzioni della ricorrente e della controinteressata depositate in vista dell’Udienza pubblica;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'Udienza pubblica del giorno 15/01/2009 il Referendario Avv. Alfonso Graziano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO
1. Con ricorso depositato il 1.10.2008 la G.S.A. Soc. Cons. a r.l. (di seguito, GSA) impugna la determinazione dirigenziale del 17.6.2008, allora sconosciuta, con cui l’Azienda Ospedaliero – Universitaria “Maggiore della Carità” di Novara aggiudicava in via provvisoria all’impresa Gielle di L. G. (di seguito Gielle) l’appalto del servizio di “antincendio elisuperficie H2 ed assunzione dell’incarico di gestore dell’attività ai sensi dell’art. 7. D.M. trasporti 10.3.88” per un anno. Con motivi aggiunti depositati il 9.10.2008 e poi il 17.10.2008 veniva gravata la successiva aggiudicazione definitiva disposta con determinazione dirigenziale n. 2202 del 1.10.2008, la predetta aggiudicazione provvisoria meglio individuata nella determinazione n. 1335 del 25.6.2008, nonché le note e i verbali di gara nella parte in cui non avevano escluso dalla gara l’aggiudicataria.
Alla gara partecipavano quattro imprese, tra cui l’odierna ricorrente e l’aggiudicataria.
Il ricorso originario, poi trasfuso nell’atto per motivi aggiunti, si compone di cinque motivi che vengono appresso riassunti partitamente, in uno con il loro scrutinio.
Alla Camera di Consiglio del 6.11.2008, a cui era stata assegnata la discussione e l’esame della domanda cautelare contestuale al gravame, la Sezione, con Ordinanza n. 898 in data 8.11.2008 delibava l’infondatezza del primo motivo e la fondatezza di diversi altri, fissando l’Udienza pubblica per la trattazione del merito al 15.1.2009 senza,peraltro, accogliere l’istanza cautelare di sospensione dei provvedimenti, ritenendo prevalente l’interesse pubblico alla gestione del servizio.
In parziale riforma della predetta decisione il Consiglio di Stato, adito in appello dalla ricorrente, accoglieva l’incidente cautelare con Ordinanza n. 6491 del 2.12.2008, sul rilievo della necessaria coerenza della tutela cautelare con la situazione acclarata da questo Giudice.
2. Con ricorso incidentale del 9.12.2008, con contestuale istanza cautelare, la Gielle controinteressata impugnava l’ammissione alla gara della ricorrente GSA, deducendone l’illegittimità per violazione dell’art. 38, comma 1, lett. c) del d.lgs. 16. 4 2009, n. 163 per l’asserita carenza del requisito della moralità professionale a causa della allegata sussistenza di condanne penali a carico di uno dei suoi amministratori, tale sig. Alessandro Pedone.
Con Ordinanza n. 1071/2008 assunta nella Camera di Consiglio del 18.12.2008 la Sezione respingeva l’istanza cautelare motivando in ordine si all’irricevibilità del mezzo che alla sua sostanziale infondatezza, come appresso si illustrerà.
All’Udienza Pubblica del 15.01.2009 udita la discussione dei procuratori delle parti e la Relazione del Referendario Avv. Alfonso Graziano ed esaminate le nuove memorie e – soprattutto – la nuova documentazione prodotta dalla controinteressata, il ricorso principale e i relativi motivi aggiunti e quello incidentale, sono stati trattenuti a sentenza.
DIRITTO
1.1 . Va subito avvertito che sulla scorta di nuova documentazione, depositata dalla controinteressata Gielle in vista dell’Udienza Pubblica, il Collegio deve pervenire, relativamente al ricorso principale, a decisione opposta rispetto a quanto prima facie delibato nella Camera di Consiglio del 6.11.2008 con l’Ordinanza n. 898 dell’8.11.2008.
Giova intanto premettere che se si prescindesse dalla prognosi sull’esito del gravame principale, andrebbe preliminarmente scrutinato quello incidentale, atteso che, colpendo lo stesso l’ammissione alla gara dell’impresa GSA, il suo eventuale accoglimento priverebbe quest’ultima della stessa legittimazione al ricorso, riveniente dalla sua posizione qualificata di partecipante alla contestata procedura concorsuale. Il favorevole esito del gravame incidentale importerebbe, dunque, la declaratoria di inammissibilità di quello principale per difetto (originario) di legittimazione a ricorrere. Ed in effetti, il Collegio procederà subito all’esame del mezzo incidentale, stante la sua rapida definizione, siccome già profusamente sceverata in sede di decisione camerale di cui all’Ordinanza n. 1071/2008, allorché difettavano ancora i dirimenti elementi di giudizio di natura documentale –presenti invece oggi – idonei, come più sopra avvertito, a far mutare la decisione sul ricorso principale.
Intende con ciò soggiungere la Sezione che alla luce di siffatto nuovo convincimento sulla sorte di quest’ultimo, la disamina del ricorso incidentale non sarebbe più doverosa, per le seguenti ragioni di teoria generale del processo amministrativo, che è opportuno lumeggiare anche per soffermarsi sui rapporti tra graveme principale incidentale con speciale riguardo alle ipotesi in cui il ricorso principale non possa, per la sua infondatezza o per un sopravvenuto ostacolo processuale approdare ad una sentenza di annullamento. Ritiene opportuno la Sezione enunciare la sua posizione ermeneutica sul punto.
1.2. Va richiamato al riguardo il radicato costrutto giurisprudenziale – fin troppo noto – secondo il quale il ricorso incidentale, ove diretto a contestare la stessa ammissione del ricorrente ad una procedura concorsuale (c.d. ricorso incidentale paralizzante) va esaminato con priorità rispetto a quello principale in quanto suscettibile di determinare il difetto di legittimazione del ricorrente principale in caso di accoglimento, esito che solleva il Giudice, nel caso in cui alla gara abbiano preso parte più di due imprese, dal dovere di esame e decisione del ricorso principale,il quale si rivela in effetti paralizzato dall’azione incidentale. Qualora invece alla procedura abbiano validamente presentato offerta solo le due imprese litiganti, la paralisi dell’azione principale per via dell’accoglimento di quella incidentale non esime il Giudice dall’affrontare anche il gravame principale, come precisato dall’Adunanza Plenaria del 10.11.2008, n. 11, ma già suggerito da precedente giurisprudenza anche di primo grado. In tale ipotesi, infatti, laddove anche il ricorso principale volto a contestare l’illegittima ammissione alla gara e l’aggiudicazione al controinteressato appaia fondato, si profila al Giudice l’esigenza di giustizia di non consentire al ricorrente incidentale vittorioso, di lucrare un’ingiusta posizione di privilegio costituita da un’aggiudicazione in suo favore che si rivela comunque illegittima. Sarebbe contra ius e in antitesi con il principio di legalità che governa l’attività amministrativa, lasciare immutato l’esito di una gara illegittimamente conclusasi o anche, ove ad esempio le censure del ricorrente principale postergato si dirigano non solo contro l’aggiudicazione al controinteressato ma anche, ab imis, contro le stesse modalità procedurali di svolgimento della competizione, illegittimamente condotta. Emerge in tali situazioni l’esigenza ordinamentale di non consentire che per via di un meccanismo processuale che ordinariamente risponde a delle logiche affondate in una doverosa considerazione della condizione dell’azione o di un presupposto processuale, rispettivamente costituiti dall’interesse a ricorrere e dalla legittimazione ad agire del ricorrente principale che si caducano per effetto dell’annullamento della sua partecipazione alla gara, al ricorrente incidentale venga ritagliata un condizione processuale di iperprotezione, a più riprese stigmatizzata dalla giurisprudenza e non consentita dall’ordinamento, anche costituzionale, atteso inoltre che egli, la cui posizione di aggiudicatario sia con buone ragioni contestata, versa in pari causa turpitudinis rispetto al ricorrente principale escluso dalla gara in forza del giudicato di accoglimento del ricorso incidentale.
In siffatte evenienze, dunque, benché sia venuta meno la legittimazione al ricorso del ricorrente principale per via dell’acclarata illegittima sua partecipazione alla gara, il Giudice dovrà comunque esaminare le sue censure, il cui accoglimento, importando l’annullamento dell’intera gara, genererà l’obbligo dell’Amministrazione di indirne una nuova, emendata dei vizi rilevati in sentenza.
1.3. Giova ora evidenziare che la delineata teorica – preliminare esame del gravame incidentale ove di tipo c.d. paralizzante; necessità che anche in caso di suo accoglimento venga scrutinato anche il ricorso principale in caso di partecipazione alla gara delle due sole imprese litiganti – nonché, più in radice, la stessa ratio e finalità dell’istituto del ricorso incidentale giuridicamente postula e logicamente presuppone un ricorso principale efficace, che in quanto tale necessiti (per il controinteressato) di essere contrastato perché suscettibile di accoglimento. Solo in tale ipotesi sorge per il ricorrente incidentale la necessità o l’opportunità difensiva e quindi in ultima analisi l’interesse, di contrapporre al gravame principale un’azione incidentale. E per il Giudice l’utilità di deciderlo preliminarmente, utilità che poi evolve in necessità allorché tale mezzo si profili fondato, privando il ricorrente principale dello stesso titolo di legittimazione processuale unitamente al suo interesse all’eventuale accoglimento delle relative censure. La sopravvenuta perdita di interesse, che pure è talora in giurisprudenza additata a causa di inammissibilità del ricorso principale in caso di favorevole esito di quello incidentale, discende dall’inutilità per il ricorrente di una eventuale sentenza di accoglimento, posto che egli doveva, e in forza della sentenza dovrà, essere escluso dalla gara.
2.1. Orbene, tutte le divisate esigenze e finalità non si profilano in caso di ricorso principale inidoneo a condurre ad una sentenza di annullamento del provvedimento oggetto di impugnativa, perché infondato: in tale ipotesi per il controinteressato il gravame incidentale, volto a paralizzare l’azione principale, ex post si rivela inutile o eccessivo. Per il Giudice emerge parimenti l’inutilità di assumere una decisione sulla legittimità o meno della partecipazione alla gara di un concorrente non vincitore che ha proposto un ricorso non idoneo ad essere accolto e a determinare una decisione di annullamento dell’aggiudicazione al controinteressato o di radicale travolgimento della gara. Le delineate ragioni di logica processuale ed effettuale sottendono, a parere della Sezione, la radicata ed antica affermazione giurisprudenziale e dottrinaria secondo la quale il ricorso incidentale segue le sorti del ricorso principale o costituisce un suo accessorio.
Segnala al riguardo il Collegio che la stessa Sezione V del Consiglio di Stato che con Ordinanza del 5.6.2008 ha investito di questa tematica l’Adunanza Plenaria, ha ribadito, successivamente alla Decisione del Supremo Consesso del 10.10.2008, n. 11 il delineato carattere del gravame incidentale, statuendo che “la sua subalternità, che esiste nella fase di proposizione (il ricorso incidentale in tanto può essere proposto in quanto sia stato proposto un ricorso principale), deve essere mantenuta anche in sede di decisione, nel senso che l’esame del ricorso incidentale può aver luogo, non per il mero fatto che sia stato ritualmente proposto un ricorso principale, ma solo una volta che di quest’ultimo sia stata delibata la fondatezza, perché è solo questa che fa sorgere l’interesse della parte all’esame della censura incidentale” (Consiglio di Stato, Sez. V, 17 dicembre 2008, n. 6292). Del resto, la giurisprudenza di prime cure era già nello stesso senso, avendo precisato che è possibile esaminare il ricorso incidentale soltanto dopo che sia stata delibata la fondatezza del ricorso principale (T.A.R. Toscana, Sez. II, 17.7.2008, n. 1795).
Tanto si è statuito, intuitivamente, perché, come più sopra illustrato, a parere del Collegio è solo un ricorso potenzialmente atto a partorire una sentenza di annullamento del provvedimento da cui il controinteressato riceve utilità, che fa sorgere in questi l’interesse a contrastare l’azione del ricorrente principale contrapponendogli la controazione rappresentata dal gravame incidentale.
La necessità di detta controazione e il correlativo interesse alla stessa, quindi, non si ravvisano là dove l’azione non sia suscettibile di accoglimento, vuoi per difetto di requisiti di fondatezza sostanziale, vuoi per l’insorgenza di un ostacolo di natura processuale che precluda al Giudice di procedere al suo scrutinio.
Ne consegue, a parere della Sezione, che deve predicarsi l’impossibilità di disamina e decisione del ricorso incidentale non solo qualora il ricorso principale si riveli infondato, ma anche nell’ipotesi in cui il ricorso principale sia medio tempore divenuto improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse o destinato ad estinguersi per cessazione della materia del contendere. Anche in siffatte evenienze, invero, il ricorso principale, siccome insuscettibile di decisione in quanto improcedibile o estinto, non è idoneo a generare una sentenza che travolga il provvedimento creativo di posizione di vantaggio in capo al controinteressato.Ne consegue che quest’ultimo anche in questi casi ha perduto interesse a contrapporre all’azione principale la sua controazione e non ha più interesse alla coltivazione e alla decisione del ricorso incidentale, il cui esame diviene per tale via precluso al Giudice.
Il ricorso incidentale dovrà essere dunque, a parere della Sezione, dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse qualora sia impedito lo scrutinio di quello principale per l’insorgenza di una causa di improcedibilità o di estinzione del medesimo.
2.2. Segnala il Collegio che a siffatta conclusione, ancorché non così ben delineata e tecnicamente precisata sul piano definitorio, è già pervenuta la giurisprudenza, avendo affermato una sorta di “caducazione” del ricorso incidentale in caso di estinzione di quello principale. Il Consiglio di Stato, con una decisione non recentissima della V Sezione ma fatta propria e riproposta alla lettera cinque anni dopo dal Giudice di primo grado, ha infatti chiarito che “le censure incidentali sono tali rispetto non già ad uno, piuttosto che ad un altro dei motivi del ricorso principale, bensì a quest'ultimo nel suo complesso, senza che per ciò solo venga meno il carattere accessorio del ricorso incidentale nei riguardi di quello principale, perché, in ogni caso, il primo viene meno per effetto delle cause di estinzione o del rigetto del secondo”. (Consiglio di Stato, Sez. V, 13.2.1998, n. 168) . L’assunto del Giudice d’Appello è stato, come detto, di recente ripreso alla lettera e rinnovato dal Giudice di prime cure, secondo il quale “le censure incidentali sono tali rispetto non già ad uno, piuttosto che ad un altro dei motivi del ricorso principale, bensì a quest'ultimo nel suo complesso, senza che per ciò solo venga meno il carattere accessorio del ricorso incidentale nei riguardi di quello principale, perché, in ogni caso, l'interesse a coltivare il primo viene meno per effetto delle cause d'estinzione o del rigetto del secondo “.(T.A.R. Sicilia - Catania, sez. I, 7 novembre 2003 , n. 1857).
Orbene, ritiene la Sezione di far proprie, rinnovare meglio definire le riportate massime, precisando, come appena sopra si è fatto, intanto che la patologia del ricorso incidentale individuata dal Consiglio di Stato con la decisione n. 168/1998 in caso di estinzione o rigetto del principale è da scrivere alla categoria dell’improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse. Ma, quel che più rileva e innova è la tesi, che la Sezione ritiene di dover e poter affermare, con il conforto dei principi processuali e dell’osservazione del dato reale della dinamica delle evenienze processuali, secondo la quale il venir meno, rectius, l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso incidentale va con sicurezza predicata non solo in caso di estinzione ma anche in quelli di improcedibilità per qualsivoglia ragione, del ricorso principale. Sul punto,infatti, riprendendo le fila di un ragionamento più sopra meglio posto in luce, in simili evenienze il controinteressato non ha più alcun interesse processuale a contrapporre al ricorso principale che insedia la sua posizione di vantaggio creta dal provvedimento impugnato, una controazione, nel che si sostanzia il gravame incidentale, posta e manifesta essendo l’inettitudine del ricorso principale per la sua improcedibilità (o estinzione) a vulnerare il bene della vita da egli conseguito grazie al provvedimento di aggiudicazione impugnato.
2. 3. Qualora, invece, il ricorso principale sia infondato nel merito, il ricorrente incidentale non ha interesse ab origine, come più sopra spiegato, alla sua controazione – a motivo della sua inutilità a fronte di un ricorso principale insuscettibile di accoglimento – ragion per cui in linea puramente teorica dovrebbe affermarsi la stessa inammissibilità del ricorso incidentale per carenza originaria di interesse. Tuttavia, poiché l’infondatezza del gravame principale è predicabile solo ex post, dopo e per effetto della delibazione della sua infondatezza formulata dal Giudice, delibazione all’evidenza non nota e conoscibile dal ricorrente incidentale, il Tribunale non potrà pronunciare l’inammissibilità del gravame incidentale per difetto originario di interesse, ma semplicemente non potrà procedere al suo esame. Ciò che ha affermato, per tale seconda ipotesi, il Consiglio di Stato con la citata decisione n. 6292 del 17.12.2008.
Ecco dunque spiegata la teorica da cui origina la radicata affermazione dottrinaria e giurisprudenziale secondo cui il ricorso incidentale “segue le sorti” del ricorso principale o anche quella per cui il primo è accessorio al secondo (ex multis, T.A.R. Toscana, Sez. II, 17.7.2008, n. 1795;T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 6 giugno 2007 , n. 1465; T.A.R. Lazio – Roma, Sez. I, 4.3.2003, n. 1701) e, secondo la recentissima citata decisione d’appello ad esso addirittura subalterno.
2.4. Ad opinare la contrario e, quindi, a ritenere che il ricorso incidentale debba comunque essere esaminato, si perverrebbe come sopra già accennato al risultato, non consentito dalla legge processuale, di fornire al controinteressato una posizione di particolare privilegio processuale rispetto al ricorrente principale, posizione che l’ordinamento non consente. Sul punto è stato infatti condivisibilmente di recente statuito dal Giudice d’appello che “se così fosse all’ aggiudicatario verrebbe garantita un’ “iperprotezione” ed una posizione di favore venendo ad essere preferita la sua azione, uguale e contraria quanto ad oggetto (l’ esclusione dalla gara) a quella del ricorrente od appellante principale ( Cfr Cons. St., Sez. V., 28 dicembre 2007 n. 5811).
3.1.Tutto ciò chiarito in termini di teoria generale del processo amministrativo applicata alla particolare questione di rapporti tra ricorso incidentale e ricorso principale nelle ipotesi in cui il Giudice non possa procedere all’esame del secondo o delibarne la fondatezza, nel caso all’esame va confermata la declaratoria di irricevibilità ed infondatezza nel merito del mezzo incidentale, già formulata in sede cautelare con l’Ordinanza n. 1071/2008.
Invero, l’ eccezione di irricevibilità del mezzo incidentale, formulata dal ricorrente principale nella memoria depositata in vista della Camera di Consiglio del 18.12.2008 fissata per la decisione della domanda cautelare contestuale al ricorso incidentale, si profila fondata poiché per recente giurisprudenza,condivisa dal Collegio, il ricorso incidentale nelle materie di cui all’art. 23 – bis Legge T.A.R. va notificato entro 45 giorni dalla notifica del ricorso principale (Consiglio di Stato, Sez. V, 11.5.2007, n. 2356; T.A.R. Sicilia – Catania, III, 5.5.2008, n. 8121; T.R.G.A. Trentino Altro Adige – Trento, 21.1.2008, n. 10). La Sezione aderisce all’orientamento in rassegna e lo fa proprio. Ne consegue che risultando il ricorso principale notificato il 26.9.2008, quello incidentale andava consegnato agli Ufficiali giudiziari per la sua notifica entro l’11.11.2008, non rilevando la data di conoscenza dei vizi del provvedimento denunciabili con l’azione incidentale (Cons. di Stato, Sez. VI, 26.4.2002, n. 2234, punto 2.1.1 motiv.). Risulta invece che il ricorso incidentale è stato notificato solo il 9.12.2008, conseguendone la sua incontrovertibile irricevibilità.
3.2. Nel merito, inoltre, come pure profusamente illustrato con l’Ordinanza cautelare di cui alla Camera di Consiglio del 18.12.2008 il ricorso incidentale, con il quale la Gielle, in sintesi, lamenta che la G.S.A. non è stata esclusa dalla gara pur sussistendo condanne passate in giudicato a carico di uno dei suoi amministratori, sig. Pedone, è comunque infondato.
Non sono stati, infatti, forniti elementi di prova dell’assegnazione all’amministratore de quo dei poteri di rappresentanza, attribuendo, da un lato l’art. 36, primo comma dello Statuto della Impresa ricorrente principale, la rappresentanza al presidente, dall’altro, postulando l’art. 26 dello stesso Statuto, per il quale è solo nella possibilità degli amministratori e del presidente indicare quelli che tra loro hanno la rappresentanza, l’adozione di un atto di conferimento della stessa a taluno dei predetti soggetti. Inoltre l’assunto della ricorrente incidentale, secondo cui il Pedone sarebbe munito di poteri di rappresentanza, conseguendone che dovevano essere dichiarati ai sensi dell’art. 38 del Codice i suoi pregiudizi penali passati in giudicato, è anche contraddetto per tabulas dalla domanda - versata con la memoria di controparte del 17.12.2008 - di partecipazione a un pubblico incanto del Ministero dei beni culturali, sottoscritta il 2.12.2005 (epoca in cui il Pedone era già amministratore dal 13.7.2005 e prima delle sue dimissioni) dal Dott. Enrico Dri in qualità di “Presidente Consiglio di Amministrazione – Legale Rappresentante”della ricorrente principale.

4.1. Può ora approdarsi alla disamina del merito del ricorso principale, rispetto al quale, come anticipato, il Collegio deve pervenire a soluzione opposta rispetto ai contenuti e alle conclusioni della delibazione operata in sede cautelare.
Con il primo motivo, dunque, parte ricorrente deduce la violazione della lex specialis e degli artt. 42 e 42 del Codice dei contratti, nonché difetto di istruttoria ed erronea presupposizione, lamentando che l’appalto in controversia aveva ad oggetto due ben distinti servizi, ossia la vigilanza antincendio dell’elisuperficie dell’Ospedale e il servizio di gestore delegato dell’attività ex art. D.M. Trasporti 10.3.1998. Di conseguenza l’aspirante all’affidamento doveva possedere i requisiti di qualificazione per entrambe le attività, in particolare provando di aver realizzato negli ultimi tre esercizi antecedenti la pubblicazione del bando,un fatturato globale e uno relativo a servizi identici a quelli posti in gara, dovendo altresì produrre una dichiarazione dei principali predetti servizi identici. Nella specie la controinteressata avrebbe dichiarato di aver svolto il servizio di gestione elisuperficie solo per l’Ospedale di Cattinara (presidio dell’A.O. di Trieste), là dove dalla consultazione del sito internet di tale Azienda risulterebbe che il ridetto servizio è invece gestito dal direttore generale della stessa e non dall’Impresa Gielle concorrente e poi aggiudicataria della gara.
Il Collegio sul punto ha già precisato nell’Ordinanza n. 898/2008 che, contrariamente all’assunto della ricorrente, l’oggetto della gara era unicamente il servizio antincendio, ciò che si evince a chiare note dalla lex specialis, Norme tecnico amministrative allegate al bando (doc. 4 ricorr., pag.3) il cui art. 1 “Oggetto dell’appalto” stabilisce che lo stesso “ha per oggetto il servizio di guardia ai fuochi ed antincendio da rendere ai sensi dell’art. 5 del D.M. n. 121 del 2.4.1990”, di poi aggiungendo “l’assunzione del ruolo di gestore dell’attività ai sensi dell’art. 7 D.M. dei Trasporti 10.3.1988.”
Ora, anche sul piano lessicale, pur sembrando che la congiunzione “e” potrebbe far ricondurre nell’oggetto del servizio anche tale seconda attività, è peraltro decisiva l’intuizione che “servizio di guardia ai fuochi ed antincendio” e “assunzione del ruolo di gestore dell’attività” sono concettualmente la stessa cosa: un servizio si sostanzia, d’ordinario, nell’assunzione della gestione (“del ruolo di gestore”) dell’attività che il servizio stesso concreta.
Conclusione supportata dall’analisi della normativa di settore a cui fa espresso rinvio la riportata norma di gara nel definire il preteso secondo servizio di “gestore dell’attività ai sensi dell’art. 7 D.M. dei Trasporti 10.3.1988”. Come già evidenziato nell’Ordinanza n. 898/2008, invero, il D.M. 26.10.1997, n. 238, che ha modificato e in parte sostituito il precedente D.M. del 1988 cui rinvia il bando di gara, all’art. 4 precisa che “il responsabile dell’assistenza antincendio è il gestore dell’eliporto”. La normativa di settore di cui alla citata disposizione ministeriale, dunque, definisce in termini di accessorietà quel rapporto tra il servizio di guardia ai fuochi ed antincendio oggetto dell’appalto in causa, e la gestione del medesimo in qualità di “gestore”, a parere del Collegio sul piano concettuale è in rapporto di sostanziale identificazione e coincidenza con il servizio di guardia ai fuochi e antincendio dell’elisuperficie..
L’indicato rapporto, di accessorietà, ovvero, anche di identificazione, tra le due attività componenti l’unitario servizio posto in gara, esclude dunque che l’aspirante debba comprovare due distinti requisiti di qualificazione, come invece pretende la ricorrente, le cui censure sul punto vanno disattese.
4.2. .Con il secondo motivo la G.S.A. lamenta invece la violazione del bando di gara e dell’art. 38, lettere c) ed h) del Codice allegando che la Gielle non ha dichiarato la condanna, passata in giudicato, a pena patteggiata ex art. 444 c.p.c. inflitta al suo titolare dal Pretore di Altamura (BA) per il reato previsto e punito dal’art. 349 c.p. (violazione di sigilli) che, essendo ascrivibile al genus dei reati contro la P.A. cadrebbe nel fuoco del disposto di cui alla lett. c) dell’art. 38 (..reati gravi in danno dello Stato o della Comunità, che incidono sulla moralità professionale), posto che l’Autorità di Vigilanza sui Contratti ha chiarito che per tali debbono intendersi quelli contro la PA, l’ordine pubblico, etc. Il non averlo dichiarato ha impedito alla s.a. di compiere il giudizio di incisione o meno sulla moralità professionale. Con successiva censura si duole poi la ricorrente che la controinteressata ha omesso di dichiarare anche una sentenza penale di condanna del Tribunale di Aosta del 10.3.2005, pronunciata a carico del medesimo legale rappresentante, e portante condanna per turbativa d’asta e la sanzione accessoria dell’incapacità di contrattare con la P.A. per un anno, nonché avrebbe omesso di dichiarare un rinvio a giudizio della Procura di Aosta del 26.6.2007 per reati di falsità ideologica in atto pubblico, turbativa d’asta e quant’altro.
Al riguardo il Collegio, già con l’ordinanza cautelare ha per incidens escluso la sussistenza dell’obbligo di dichiarazione della sentenza di condanna pronunciata dal Pretore di Bari – Sez. di Altamura divenuta irrevocabile il 16.3.1999 (doc. 8 ricorr., certificato del casellario giudiziale) poiché dalla medesima visura documentale risulta essere stata emessa pronuncia, della medesima Autorità giudiziaria penale, di estinzione del reato stesso ex art. 445, comma 2 c.p.p.
Al riguardo la Sezione rammenta di avere già attinto il principio secondo il quale le sentenze di condanna a pena patteggiata ex art. 444 c.p.p., divenute irrevocabili per il passaggio in autorità di cosa giudicata, devono essere dichiarate dal concorrente a gara d’appalto, salvo che siano state dichiarate estinte con formale provvedimento del Giudice dell’esecuzione ex arto 445 c.p.p.
Detta conclusione è stata già raggiunta, in generale in tame di rapporti del privato con la P.A., in diverse pronunce della Sezione e recentemente precisata in materia di pubblici appalti in un caso analogo (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 10.10.2008, n.2568; si è affermata inoltre l’irrilevanza, a beneficio del privato che si rapporta con l’Amministrazione, del c.d. patteggiamento, implicante un implicito accertamento di responsabilità: T.A.R. Piemonte, Sez. I, 7 aprile 2008, n. 546, ove difetti il formale provvedimento di estinzione del Giudice penale).
La ricordata conclusione deve essere ribadita, considerato che trova anche conforto in successiva decisione del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, Sez. V, 31.10.2008, n. 5461). Ne consegue il rigetto della censura in esame.
4.3. Quanto alla lamentata mancata dichiarazione anche della sentenza di condanna n. 197/05 del Tribunale penale di Aosta del 10.3.2005 (doc. 9 produzione ricorr.), giudicata in sede cautelare assoggettata all’obbligo di dichiarazione ex art. 38, lett. c) del Codice, il Collegio osserva che in allora non ravvisava evidenti ragioni, né agli atti, elementi per ritenere che la suindicata sentenza non fosse passata in autorità di cosa giudicata (essendo, tra l’altro, il certificato del casellario giudiziale prodotto dal ricorrente - doc.8 - e non recante menzione di detta sentenza, anteriore di quasi un anno rispetto alle delibere impugnate) e come tale non dovesse essere dichiarata in sede di gara ex art. 38. comma 1, lett. c) del d.lgs. n. 163/2006.
Il certificato del casellario giudiziale della procura della Repubblica di Aosta del 31.1.2009 prodotto dalla controinteressata in data 5.10.2009 in vista dell’Udienza pubblica (doc.1 relativa produzione) dimostra invece il contrario, attestando che avverso la citata sentenza penale è stato interposto appello, tuttora pendente e per tale motivo non risulta iscritto nel certificato del casellario stesso.
Non avendo acquisito autorità di cosa giudicata, dunque, la predetta sentenza penale non doveva essere dichiarata in sede di gara, ciò necessitando, per il chiaro disposto dell’art. 38, comma 1, lett. c) del d.lgs. n. 163/2006. solo per le condanne, anche inflitte con sentenza ex art. 444 c.p.p. o con decreto, divenute irrevocabili.
La seconda censura in esame va quindi respinta.
Lo stesso è a dirsi, a fortiori, relativamente al rinvio a giudizio della Procura di Aosta del 26.6.2007, che non è agli atti prova essere ancora esitato in una sentenza di condanna, ancorché di primo grado.
4.4. Né, del resto, gli addebiti di cui al predetto provvedimento del Pubblico Ministero, e in particolare quelli per falsità ideologica in atto pubblico, risultano annotati nel Casellario presso l’Osservatorio, come risulta dall’estratto dell’interrogazione telematica effettuato dall’Amministrazione e versato in atti (doc. 7 ASL). Ragion per cui non potevano condurre all’esclusione del concorrente ai sensi dell’art. 38, lett. h) del Codice in quanto, pur essendo databili nell’anno antecedente la gara, come detto non risultano dai dati in possesso dell’Osservatorio, condizione essenziale posta dalla citata disposizione del d.lgs. n. 163/2006 sffinchè possano costituire motivo di esclusione dal una procedura concorsuale. Ne consegue il rigetto anche di tale censura autonomamente spiegata nel motivo in esame (pag. 13 del ricorso).
5. 1. Al terzo motivo è invece affidata la censura di violazione degli artt. 86 e 87 del D.lgs. n. 164/2006 che impongo al concorrente l’obbligo di corredare l’offerta delle giustificazioni preventive del prezzo e delle analisi per l’intero importo a base d’asta. La controinteressata doveva essere esclusa dalla gara in quanto, malgrado sul punto il bando nulla disponesse, la cogenza della predetta norma del Codice imporrebbe l’esclusione, come sancito da parte della giurisprudenza.
L’Amministrazione sostiene invece che l’art. 86 cit. non si applica all’appalto per cui è causa, che è annoverabile tra i sevizi di cui all’All. II B, esclusi in tutto o in parte dalla disciplina del Codice e comunque che l’inosservanza dell’obbligo di anticipato corredo delle giustificazioni preventive all’offerta non può essere sanzionata con l’espulsione dalla gara del contraente contravventore.
La tesi della ricorrente non può essere condivisa. Intanto appare dirimente la circostanza, non sufficientemente rimarcata dall’Amministrazione, che la lex specialis tace del tutto sia sull’obbligo di allegare le predette giustificazioni già in sede di offerta, sia in ordine alla conseguenza della violazione dello stesso, omettendo di sancire la comminatoria dell’esclusione.
Ora,quanto alla mancata previsione dell’obbligo di corredare l’offerta, sin dalla sua presentazione, delle giustificazioni preventive di cui agli artt. 86 e 87, d.lgs. n. 163/2006 la Sezione ritiene di poter affermare senza tema di smentita che la rilevata assenza della relativa previsione nella legge di gara non esime il concorrente dall’onere di allegazione, soccorrendo all’uopo l’imperativo disposto dell’art. 86, coma 5 del Codice che prescrive l’obbligo di preventiva allegazione de qua con norma che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Amministrazione, è inderogabile e inoltre si impone alla P.A. in via di applicazione diretta, non occorrendo neanche, per predicarne la sicura applicazione in caso di mancata riproduzione o richiamo nella lex specialis, ricorrere all’istituto della c.d. etero integrazione del bando di gara.
5.2. Deve tuttavia dissentire la Sezione dalla prospettazione della ricorrente quanto agli effetti della mancata preventiva produzione di dette giustificazioni, la quale non può essere sanzionata eo ipso con l’esclusione dalla gara. Non ignora l’orientamento che invece predica detta esclusione (correttamente citato dal ricorrente: Consiglio di Stato, Sez. V, 14.2.2003, n. 8006). Ma deve la Sezione anche valorizzare altro più recente indirizzo ermeneutico, che attraversa tutte e tre le Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, secondo il quale l’allegazione delle predette giustificazioni preventive non è adempimento da osservare a pena di esclusione.
Si è, invero, condivisibilmente statuito che le giustifiche preventive non assurgono a requisito di partecipazione alla gara a pena di esclusione, venendo in rilievo la mancata documentazione solo in via eventuale nella fase successiva a quella di verifica dell'anomalia e se ed in quanto l'offerta ne risulti sospetta (Consiglio Stato, Sez. V, 29 novembre 2005, n. 6772; Consiglio Stato, Sez. VI, 8 marzo 2004 , n. 1072) non essendo siffatta prescrizione senz'altro imposta dalla legge a pena di esclusione delle offerte non documentate, venendo in rilievo la mancata documentazione solo in via eventuale, nella fase successiva quella della verifica di anomalia, se ed in quanto l'offerta risulti sospetta di anomalia.”(Consiglio Stato,Sez. V, 21 novembre 2003 , n. 7615) in quanto “siffatta previsione, comportante l'obbligo di presentazione delle giustificazioni unitamente alle offerte, ha come scopo quello accelerare il procedimento e consentire alla stazione appaltante una valutazione contestuale dell'insieme delle offerte.”(Cons. Stato Sez. IV, 12-12-2005, n. 7034). La prescrizione in analisi, dunque “impone alle imprese un onere di collaborazione, in funzione di accelerazione della successiva fase di verifica delle offerte anomale.”(Consiglio Stato, sez. V, 21 novembre 2003 , n. 7615).
Il delineato orientamento si è, per vero, formato sull’art. 21 della L. 11.2.1994, n. 109, ma detta norma è pressoché identica a quella di cui all’art. 86 del Codice, non annettendo, al pari delle novella, alcuna espressa sanzione espulsiva alla violazione della medesima prescrizione.
5.3. Sull’argomento il Collegio segnala che proprio valorizzando l’indicata sostanziale identità precettiva delle due norme ha di recente ritenuto di far proprio l’indirizzo ermeneutico del Giudice d’appello poc’anzi in rassegna, armonizzandolo con le nuove disposizioni comunitarie, recepite in parte dal Codice, di cui all’art. 55 della Direttiva n. 18/2004 CEE per predicare l’illegittimità dell’esclusione di un concorrente da una gara d’appalto di servizi in caso di mancata allegazione all’offerta delle giustificazioni preventive benché richieste a pena di esclusione della lex speciali (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 14/01/2009, n. 83). La Sezione, nel ribadire e confermare detto suo precedente, non può non rilevare anche come nel caso odiernamente all’esame la conclusione cui allora è pervenuta va maggiormente affermata, ove si consideri che la lex specialis non comminava l’esclusione dalla gara per il difetto di produzione delle giustificazioni preventive a corredo dell’offerta.
Da quanto or ora esposto consegue dunque il rigetto della censura di cui al terzo motivo di ricorso, a prescindere dalla circostanza, eccepita dall’Amministrazione, che l’art. 86 del Codice non si applichi o meno all’appalto per cui è causa per essere – o meno – sussumibile tra i servizi esclusi annoverati all’Allegato II B
6.1. Con il quarto motivo è dedotta la violazione della lettera g) dell’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006 che contempla la causa ostativa alla partecipazione alla gara di “violazioni definitivamente accertate rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse”. La Gielle doveva essere esclusa perché il rappresentante legale aveva il seguente carico pendente, come risultante da certificazione dell’Agenzia delle Entrate di Trieste del 28.2.2007 (doc. 11 ricorr.): “ruolo parziale emesso a seguito di liquidazione mod. 770, anno imposta 1993, tipo atto 36 bis, importo a ruolo euro 14,46”.
Al riguardo in sede cautelare il Collegio aveva delibato la fondatezza del presente motivo, che va invece ora disatteso alla luce di nuova produzione documentale versata dalla controinteressata in vista dell’Udienza pubblica. La Gielle ha infatti depositato il 5.1.2009 (doc. 4 controint.), copia di una certificazione del concessionario della riscossione dei tributi ETR Equitalia S.p.A. del 2.1.2009, poi prodotto in originale in Udienza unitamente al certificato del casellario giudiziale più sopra citato, dalla quale risulta che il sig. G., titolare dell’impresa controinteressata, ha pagato la suindicata partita di euro 14,46 e ad altre per complessive euro 150,80 già in data 31.5.2000.
Vero è, peraltro, che il certificato ufficiale dell’Agenzia delle Entrate di Trieste del 28.2.2007 (doc. 11 ricorr.) disponibile all’Amministrazione all’atto della verifica dei requisiti di ammissione dei concorrenti attesta comunque ancora la pendenza del ruolo in questione.
La controinteressata ha tuttavia pure prodotto il 10.1.2009 (doc. 2) una certificazione dell’Agenzia delle Entrate di Gioia del Colle del 7.1.2009 che attesta che a seguito del controllo (c.d. controllo formale delle dichiarazioni delle imposte) ex art. 36 – bis del Testo Unico sull’accertamento delle imposte dirette, la controinteressata aveva un debito con il Fisco di euro 165,26 al 10.4.2000. Che in data 31.5.2000 ha pagato le euro 150,80 di cui alla certificazione del concessionario sopra richiamata – per cui non è esatto, per il vero, quanto afferma la difesa della controinteressata, secondo la quale la Gielle “non ha nessun contenzioso con l’ufficio tributario”(pag. 4, memoria del 10.1.2009 – e che “ha potuto usufruire della riduzione delle sanzioni nella misura del 50%. Il residuo ruolo non dovuto è stato sgravato da questo ufficio in data 24.9.2008” con “provvedimento n. 20008S703127 del 24/09/2008”.
Tirando le fila emerge dunque che sul piano formale l’Agenzia delle Entrate ha effettuato col citato provvedimento del 24.9.2008 uno sgravio delle somme così specificate nella nota in esame dell’Agenzia delle Entrate: “sanzioni ridotte al 50% di € 14,46 non dovute residuate a ruolo”.
Ora è bensì vero che detto provvedimento di sgravio, solo il quale sul piano formale attesta la regolarità della posizione fiscale del contribuente, è stato emesso il 24.9.2008 e certificato il 7.1.2009, ossia in epoca postuma rispetto alla delibera di aggiudicazione impugnata. Invero è solo lo sgravio ufficiale dell’Agenzia delle Entrate a rendere certa la circostanza che quanto il privato documenti in ipotesi di aver già corrisposto all’agente della riscossione corrisponde a quanto era realmente tenuto a pagare al Fisco in forza della legislazione tributaria. Ma nel caso di specie sembra che detto provvedimento di sgravio, come la stessa ultima citata nota, abbiano un contenuto sostanzialmente ricognitivo di una situazione di non debenza di somme, potendo quindi il Collegio, anche in ossequio ad un canone di effettività e giustizia sostanziale a fronte dell’esiguità della somma in contestazione, valorizzare il dato sostanziale e conferirgli prevalenza su quello meramente formale in base al quale la regolarità formale della posizione del contribuente Impresa Gielle sarebbe da far risalire solo al 24.9.2008, data di adozione del provvedimento di sgravio più sopra specificato. Anche il terzo motivo in esame va quindi respinto.
6.2. Relativamente alla richiesta di declaratoria di inammissibilità della produzione del 10.1.2009 della controinteressata, formulata a verbale di Udienza dalla difesa della ricorrente, secondo cui detta produzione, tra la quale è annoverato il certificato dell’Agenzia delle Entrate di Gioia del Colle del 7.1.2009 assunto da Collegio a base della nuova valutazione del merito della censura appena scrutinata, sarebbe tardiva siccome effettuata oltre il termine dimezzato – e quindi di cinque - di dieci giorni liberi antecedenti la data dell’Udienza odierna, il Collegio deve rigettare detta richiesta atteso che per recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, per la natura non espressamente perentoria di tali termini è affidato all’interprete, ossia nel caso che ci occupa, a questo Giudice, “il compito di definire le conseguenze derivanti dalla loro inosservanza”(Consiglio Stato, sez. VI, 13 marzo 2008, n. 1080; in tal senso era già Tar Campania, Salerno, sez. II, 22 ottobre 2004 n. 1942, confermata dalla predetta decisione del Consiglio). Al riguardo, il Collegio ritiene di non dover annettere al deposito effettuato oltre il prescritto termine rilevanza preclusiva dell’acquisizione agli atti di causa, e della conseguente valutazione, del certificato in questione, stante da un lato la sua importanza ai fini del decidere e, dall’altro, le levità dell’infrazione processuale insita nell’avere la difesa della controinteressata, depositato la produzione in analisi un solo giorno oltre il termine di cinque giorni liberi prescritti rispetto alla data dell’odierna pubblica Udienza.
L’eccezione in esame va dunque respinta.
7.1. Con l’ultimo motivo la ricorrente lamenta la mancata esclusione della Gielle, in violazione dell’art. 38, comma 1, lett. f) del Codice dei contratti nonché del bando di gara, con ulteriore deduzione di eccesso di potere per difetto di istruttoria ed erronea presupposizione, in quanto l’impresa de qua si è vista risolvere un contratto d’appalto aggiudicatosi dalla Provincia di Trieste, la quale con successiva deliberazione del23.11.2000 n. 1147 di Giunta (doc. 12 ricorr.), lo aveva risolto per grave inadempimento della Gielle, per avere questa fornito alla stazione appaltante il nome di una persona non propria dipendente e della quale non poteva quindi disporre, tanto che nessun incaricato dell’impresa stessa si presentò all’incontro dedicato alla consegna dei lavori. La disposta risoluzione contrattuale integra la causa di esclusione di cui all’invocata norma, costituendo la condotta allora tenuta con l’amministrazione, indice di evidente inaffidabilità dell’impresa che la pose in essere. Secondo la deducente la lettera f) dell’arto 38 citato, come affermato da T.A.R. Marche, n. 244/2008, consente di valorizzare e tener conto anche dei rapporti contrattuali, intercorsi da un concorrente con altre Amministrazioni, nell’esecuzione dei quali gli organi tecnici competenti abbiano acclarato un’incapacità tecnico professionale dell’impresa di cui trattisi.
Sul punto la Sezione con l’Ordinanza cautelare n. 898/2008 aveva delibato la fondatezza della censura, ritenendo che l’Amministrazione resistente dovesse tener conto della suindicata deliberazione di risoluzione, tanto più che la ragione di tale rilevante decisione amministrativa risiedeva in un contegno della Gielle, più sopra riassunto, particolarmente antitetico ai canoni di correttezza contrattuale a antinomico al rapporto fiduciario che sottende ogni contratto, pubblico o privato che sia.
7.2. Né a diverse conclusioni di principio perviene oggi il Collegio, a parere del quale l’art. 38, comma 1, lett. f) del d.lgs. 163/2006 individua a ben scandagliarne il disposto normativo, due ipotesi di cause di esclusioni afferenti al contegno contrattuale delle imprese, distinte sia sul piano oggettivo che con riguardo al profilo soggettivo inerente all’individuazione della controparte contrattuale dell’impresa partecipante, il rapporto con la quale possa o debba essere valorizzato dall’Amministrazione che indice la gara.
Le due fattispecie sono anche, significativamente, separate nella norma dall’interpunzione ( ; ). Ebbene, dovendo per ragioni di economia argomentativa, limitare l’analisi al secondo profilo, soggettivo, qui rilevante e fatto oggetto, anche nelle pregresse analoghe abrogate disposizioni in materia di lavori, servizi e forniture, di scarsa attenzione da parte della giurisprudenza e tralasciando quindi l’esame del primo profilo, quello oggettivo, diffusamente sceverato invece dal Giudice amministrativo (sulla ratio e sul’ambito del concetto di malafede o grave negligenza cfr, per tutte, Consiglio Stato, Sez. IV, 12 giugno 2007, n. 3092; Consiglio Stato , sez. VI, 4 dicembre 2006, n. 7104) la Sezione evidenzia come mentre la prima parte della disposizione, dedicata all’esclusione per malafede o grave negligenza, limita testualmente l’ambito dei rapporti valutabili a tal fine, a quelli intrattenuti con la stessa Amministrazione che indice la gara (“ prestazioni affidate dalla stessa stazione appaltante”), il periodo successivo al segno di interpunzione del punto e virgola eleva invece a possibile causa di esclusione una patologia contrattuale diversa dalla negligenza e dalla malafede, sancendo la rilevanza dell’errore grave, che è concetto anche ontologicamente differente, connotato a aspetti di oggettività, più agevolmente e immediatamente rilevabili e, soprattutto, da parte di chiunque, laddove la malafede e la negligenze rimandano più a profili di soggettività, scaturendo da una complessiva dinamica di situazioni e rapporti che consentono di farle emergere ed apprezzare.
Ecco perché mentre la malafede o la negligenza grave che legittima l’esclusione dalla gara è solo quella commessa, per usare l’espressione della norma, unicamente nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stessa amministrazione, la quale soltanto può esprimere un giudizio, spiccatamente soggettivo, di grave negligenza e malafede, sulla cui base può poi, previa motivata valutazione, escludere la stessa impresa negligente da una successiva gara, l’errore grave, invece, connotato com’è da aspetti di maggiore oggettività, a parere della Sezione non è delimitato dalla norma quanto al suo profilo soggettivo di emersione. La lett. f), secondo periodo, dell’art. 38 del Codice dei contratti, infatti, eleva a possibile causa di esclusione delle imprese partecipanti alla gara l’errore grave commesso, genericamente, “nell’esercizio delle loro attività professionale”, errore che e dunque rilevante e può costituire causa di esclusione anche se commesso in occasione dell’esecuzione di contratti affidati da pubbliche amministrazioni diverse dalla stazione appaltante.
Ed inoltre è, a parere della Sezione, a motivo della delineata sua maggiore connotazione oggettiva (ed es. un grave errore di calcolo nella contabilità dei lavori, o nella misurazione del quantitativo di materiali o forniture necessarie all’esecuzione dell’appalto, o un errore grave nelle dimensioni o nella precisa localizzazione o suddivisione interna di un’opera et cetera) che la norma sancisce la rilevanza dell’errore che sia accertato “con qualsiasi mezzo di prova”, non richiedendosi specifiche e individuate forme o procedure di rilevazione.
7.3. Tutto ciò precisato in termini di principi di diritto, deve tuttavia la Sezione pervenire a soluzione opposta rispetto alla delibazione di fondatezza della censura,formulata nell’Ordinanza cautelare, per effetto dell’avvenuta dimostrazione, mediante successive produzioni di parte controinteressata, di accadimenti nuovi i quali ridimensionano notevolmente la portata della risoluzione contrattuale adottata dalla Provincia di Trieste con la suddetta deliberazione del 2000.
Orbene, la difesa della Gielle ha prodotto il 5.1.2009 (Allegato 2 della produzione del 5.1.2009 della controint.) un verbale di aggiudicazione del Comune di Trieste in data 16.4.2002, del servizio di manutenzione, controllo e adeguamento delle dotazioni antincendio, per due anni, alla stessa impresa Gielle odierna controinteressata ai cui danni aveva pronunciato un anno e mezzo prima la risoluzione di altro contratto con delibera di Giunta del 23.11.2000.
E’ allora evidente che se la stessa Amministrazione che aveva disposto la risoluzione in danno, invocata dalla ricorrente quale indice di inaffidabilità dell’impresa Gielle e ragione di esclusione dalla gara all’esame, ha successivamente ammesso la medesima ad un’ulteriore gara, aggiudicandole un servizio per due anni, viene ex post implicitamente affermata l’irrilevanza dell’episodio di inadempimento negoziale del 2000 sul giudizio di affidabilità dell’Impresa stessa. E non si intende come poteva predicarsi esistere in capo all’ASL resistente l’obbligo di valorizzare e considerare ai fini dell’ammissione alla gara e correlativamente di escludere la controinteressata, una vicenda della quale la stessa amministrazione triestina ha successivamente mostrato di non tenere più conto.
Alla luce, pertanto, della descritta nuova documentata determinazione amministrativa, il Collegio ritiene di dover disattendere anche la doglianza spiegata nel quinto motivo di gravame che va conseguentemente respinto.
In definitiva, sulla scorta di tutte le considerazioni finora svolte, il ricorso si rivela, oggi, infondato e per l’effetto va respinto.
La complessità in fatto e in diritto delle questioni affrontate suggerisce peraltro al Collegio di disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le costituite parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte – Prima Sezione – definitivamente pronunciando sul ricorso principale e i relativi motivi aggiunti e su quello incidentale così provvede:
Dichiara irricevibile per tardività della notifica e Respinge nel merito il ricorso incidentale.
Respinge il ricorso principale.
Compensa integralmente le spese di lite tra le costituite parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 15/01/2009 con l'intervento dei Magistrati:
Franco Bianchi, Presidente
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Primo Referendario
Alfonso Graziano, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 11 FEBBRAIO 2009.

lunedì 10 agosto 2009

Esperto esterno, la P.A. opera la scelta con la procedura comparativa

Non si tratta nel caso in esame di un concorso pubblico, ma l’Amministrazione ha limitato autonomamente la propria discrezionalità, decidendo, così come previsto nell’avviso pubblico, di pervenire alla scelta del Direttore Artistico del Teatro S. di R., attraverso procedura comparativa, all’esame dei titoli e dei curricula professionali presentati e di un colloquio.


T.A.R.

Veneto - Venezia

Sezione II

Sentenza 10 luglio 2009, n. 2187

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 1327 del 2009, proposto da:

M. L., rappresentato e difeso dagli avv. Elena Dalla Santa, Michele Lai, Elisabetta Saladino, con domicilio eletto presso Elena Dalla Santa in Venezia, San Marco, 4909;

contro

C. di R. in Persona del Sindaco P.T., rappresentato e difeso dall'avv. Ferruccio Lembo, con domicilio eletto presso Ferruccio Lembo in R.; T. S.;

nei confronti di S. R.;

per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia, della determinazione dirigenziale del C. di R. 29.4.2009 rep. n. DTD/2009/1188 relativa al conferimento di incarico di Direttore Artistico del Teatro S. di R;

dell'avviso pubblico per la selezione del Direttore Artistico del Teatro S., approvato con determinazione dirigenziale 23.3.2009 n. 776;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di C. di R. in Persona del Sindaco P.T.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 08/07/2009 il dott. Marco Morgantini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

Avvisate le parti ai sensi del comma 10 dell’art. 21 della legge n° 1034 del 1971;

FATTO

Con determinazione dirigenziale in data 23 Marzo 2009 il C. di R. ha deciso di procedere ad individuare la figura di collaboratore quale “Responsabile della Direzione Artistica del Teatro S.” di R. e con il quale stipulare contratto di collaborazione esterna ad alto contenuto di professionalità.

È stato al riguardo affisso avviso pubblico di procedura comparativa.

Con tale avviso è stato specificato che la scelta del collaboratore avverrà attraverso l’esame dei titoli e dei curricula professionali presentati e di un colloquio a cura di una Commissione tecnica nominata dal Dirigente del Settore Cultura.

Il ricorrente lamenta che la nomina del Sig. S. R. ha fatto seguito all’espletamento, da parte del C. di R., di un errato procedimento di valutazione comparativa.

DIRITTO

1. Preliminarmente il collegio disattende l’eccezione di difetto di giurisdizione formulata dall’Amministrazione.

Infatti l’Amministrazione ha limitato la propria discrezionalità, prescrivendo di pervenire alla scelta del Direttore Artistico del Teatro S. di R. mediante procedura comparativa relativa all’esame dei titoli e dei curricula professionali presentati e di un colloquio a cura di una Commissione tecnica nominata dal Dirigente del Settore Cultura

Ne consegue che i soggetti potenzialmente interessati ad assumere l’incarico si trovano in una posizione di interesse legittimo in relazione al procedimento di individuazione del soggetto cui attribuire l’incarico.

Né si tratta di questione che attiene al pubblico impiego, che come tale sarebbe attribuita alla giurisdizione del giudice ordinario.

Il Direttore Artistico non è inquadrato nell’ente, ma ha un incarico di consulenza.

D’altro canto il ricorrente non agisce in relazione alla tutela di una propria posizione attinente all’impiego, ma quale soggetto che aspira all’affidamento dell’incarico.

2. Nel merito il ricorso è parzialmente fondato.

Infatti la procedura comparativa richiedeva l’esame dei titoli e dei curricula professionali presentati e di un colloquio a cura di una Commissione tecnica nominata dal Dirigente del Settore Cultura.

Come si desume dai verbali depositati in giudizio dall’Amministrazione, la Commissione non ha espresso valutazioni specifiche con riferimento rispettivamente sia ai titoli ed ai curricula professionali, sia al colloquio.

Tali valutazioni specifiche erano necessarie per addivenire alla scelta finale del soggetto prescelto che, in considerazione di tali omissioni, non è congruamente motivata.

Non si tratta nel caso in esame di un concorso pubblico, ma l’Amministrazione ha limitato autonomamente la propria discrezionalità, decidendo, così come previsto nell’avviso pubblico, di pervenire alla scelta del Direttore Artistico del Teatro S. di R., attraverso procedura comparativa, all’esame dei titoli e dei curricula professionali presentati e di un colloquio.

Da tale procedura derivava la necessità di esprimere, oltre alla valutazione finale, anche la valutazione intermedia relativa sia ai titoli ed ai curricula sia al colloquio.

Non sono invece applicabili i principi e le norme in materia di concorsi pubblici per l’ammissione agli impieghi.

Si tratta infatti nel caso di specie di figura professionale che rimane esterna all’ente e che viene individuata senza ricorrere a procedura concorsuale, così come ammette il comma 6 dell’art. 110 del Testo Unico degli Enti Locali.

3. Il ricorso è invece infondato nella parte in cui viene censurato l’avviso pubblico.

Infatti, come sopra specificato, non si tratta di procedura concorsuale, ma di procedura di scelta dell’esperto, che è conforme al regolamento per il conferimento di incarichi professionali ad esperti esterni all’Amministrazione, approvato con delibera della Giunta Comunale n° 20 del 25 Febbraio 2008.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Seconda Sezione, accoglie in parte il ricorso di cui in epigrafe e, per l’effetto, annulla la determinazione dirigenziale del C. di R. in data 29 Aprile 2009 n° 1188 di cui in epigrafe;

per il resto lo rigetta.

Compensa tra le parti le spese e gli onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 08/07/2009 con l'intervento dei Magistrati:

Giuseppe Di Nunzio, Presidente

Italo Franco, Consigliere

Marco Morgantini, Primo Referendario, Estensore

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