martedì 30 dicembre 2008

Alunno diversamente abile, max 1 per classe

TAR LAZIO, Sezione III quater, Sentenza n. 9926 del 10/10/2007

Nello specifico del caso di specie si rileva come, appare fondata " sotto due profili -- la dedotta violazione, da parte delle autorità scolastiche, delle regole generali di formazione delle classi.
Nella classe vi erano due alunni diversamente abili, per cui è fondata la dedotta violazione del secondo comma, primo periodo, dell'art. 10 del D.M. 3 giugno 1999 n. 141 che pone il precetto per cui di regola, in una classe non vi puo' essere che un bambino diversamente abile. La possibilità di più svantaggiati è prevista solo in via eccezionale: " la presenza di più di un alunno in situazione di handicap nella stessa classe puo' essere prevista in ipotesi residuale ed in presenza di handicap lievi.

Per questo non è accettabile sul piano giuridico e morale la giustificazione per cui, in luogo di privilegiare la tutela dell'handicap, si era data la preferenza alle richieste dei genitori dei ragazzi normali per il tempo pieno.
Al riguardo spetta al dirigente scolastico il potere di formazione delle classi in relazione alle effettive esigenze che si siano manifestate successivamente alla definizione dell'organico di diritto, quali, ad esempio, la necessità di due distinte sezioni in presenza di tre alunni portatori di handicap, in attuazione delle disposizioni contenute negli art. 4 d.m. 15 marzo 1997, dell'art. 10 d.m. 24 luglio 1998 n. 331 e dell'art. 10 d.m. 3 giugno 1999 n. 141 (cfr. T.A.R. Toscana, sez. III, 25 settembre 2003, n. 5115;T.A.R. Toscana, sez. I, 18 marzo 2002, n. 519).
Parimenti meritevole di accoglimento, nei sensi e nei limiti che seguono, è la doglianza circa la confusione di ruoli tra l'assistente all'igiene (collaboratore scolastico statale) e l'assistente educativo e/o alla comunicazione (di competenza del Comune di Roma per la scuola elementare) il quale ha il compito di aiutare il minore disabile ad incrementare il proprio apprendimento mediante l'utilizzo anche di particolari tecniche che aiutino il minore in questo percorso.




TAR LAZIO, Sezione III quater, Sentenza n. 9926 del 10/10/2007 (Presidente, Linda Sandulli; Estensore, Umberto Realfonzo)

FATTO

Con il presente gravame i ricorrenti, genitori di un minore autistico, hanno impugnato: 1) in parte il diniego di accesso ai documenti richiesti con istanza del 18.10.2006; 2) in parte hanno impugnato il rigetto della loro richiesta di applicazione dell'art. 10.2. del D.M. 3 giugno 1999 n. 141.
Con la sentenza n. 352/2007, la Sezione ha dichiarato cessata la materia del contendere sul primo punto. La causa è stata rinviata al ruolo ordinario per la decisione della residua parte, relativa alla violazione delle regole che disciplinano la formazione delle classi che ospitano più di un alunno in situazione di handicap.

Il ricorso è affidato alla denuncia di un unico motivo di gravame relativo alla violazione dell'art. 10.2. del D.M. 3 giugno 1999 n. 141.

Si è costituito il Comune di Roma che con due memorie ha, in linea preliminare ribadito il proprio assoluto difetto di legittimazione passiva e, nel merito, ha comunque sottolineato l'infondatezza nel merito del gravame.
A sua volta l'Avvocatura dello Stato,costituitasi in giudizio per il Ministero dell'Istruzione ha versato una nota dell'Amministrazione accompagnata da una relazione del dirigente scolastico.
Con due memorie, della quale l'ultima formalmente notificata, la difesa dei ricorrenti ha sottolineato le tesi a sostegno delle proprie argomentazioni.
All'udienza di discussione, udito il patrocinatore dei ricorrenti, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. In linea preliminare deve essere respinta la richiesta di estromissione dal giudizio del Comune di Roma in quanto ai sensi dell'art. 40 della L. n. 104/1992 spetta agli enti locali l'attuazione degli interventi sociali in materia.

2. Con l'unico motivo che residua i ricorrenti premettono che:
-- il proprio figlio, portatore di handicap, con diagnosi di autismo grave, necessiterebbe di spazio e tranquillità al fine di usufruire proficuamente delle ore di insegnamento;
-- per l'anno scolastico 2006/2007 il figlio è stato inserito in una classe formata da ventidue bambini ma con un altro bambino affetto da handicap;
-- in data 19.09.2006 hanno diffidato l'Amministrazione scolastica per ottenere l'applicazione delle normative scolastiche di cui al D.M. 3 giugno 1999 n. 141, in base al quale vi deve essere un solo disabile per classe.
I ricorrenti lamentano che detta soluzione creerebbe un grave disagio al piccolo perchè negherebbe la socializzazione con i compagni e la piena inclusione nella classe, che è essenziale per la crescita e per l'apprendimento.
Con il presente gravame impugnano la nota del 18.10.2006 con cui l'Amministrazione ha esitato negativamente la loro richiesta sia per esigenze di carattere organizzativo e logistico della struttura scolastica, sia perchè essendo interesse della scuola garantire "lo star bene di ciascun alunno" pure sottolineando che avrebbe organizzato per gli alunni diversamente abili, spazi alternativi all'aula.
Assumono i ricorrenti che il comportamento tenuto dall'Amministrazione convenuta sarebbe del tutto inadeguato, lesivo del diritto allo studio ed alla salute. Situazioni di bilancio od economiche non potrebbero in nessun modo incidere sui diritti fondamentali riconosciuti dalla stessa Costituzione.
La situazione avrebbe arrecato già un grave danno al minore, alla famiglia ed alla stessa comunità scolastica che inoltre si lamenta del modo con cui la scuola gestisce le figure specializzate esistenti.
Mentre la scuola utilizzerebbe solo il personale comunale cui affiderebbe il ruolo di assistente all'igiene privando il minore di un apporto completo per meglio vivere la quotidianità della scuola, il Comune di Roma non metterebbe a disposizione della scuola il necessario personale specializzato costringendo le famiglie a pagare per questo servizio.

Il ricorso è fondato.

In via generale si osserva che, l'impulso all'integrazione nella scuola innescato dalla legge n. 517/1977 (con cui si era avuta la prima affermazione del diritto all'educazione e all'istruzione dei soggetti svantaggiati) è stato riaffermato con la Legge-quadro 5 febbraio 1992, n. 104 che ha dato attuazione, per le persone con handicap, ai principi dettati da un lato dall'articolo 3, primo e secondo comma, della Costituzione garantendo loro pari dignità sociale e stabilendo le modalità con le quali la Repubblica si impegna a rimuovere gli ostacoli che ne impediscono il pieno sviluppo e l'effettiva partecipazione alla vita politica, economica e sociale del paese; da un altro all'articolo 4, che riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro; da un altro all'articolo 34, che impone l'obbligo di istruzione per tutti i cittadini; da un altro ancora all'articolo 35, concernente la formazione e l'elevazione professionale; da un altro ancora all'articolo 38, che attribuisce agli inabili e minorati il diritto all'educazione e all'avviamento professionale.
Il Consiglio di Stato, con parere della Sezione Atti Normativi n. 4699/03 del 29 agosto 2005, ha affermato che, il diritto alle prestazioni in materia, garantisce l'attuazione dei diritti fondamentali della persona umana, trattasi di un diritto incomprimibile che, potendo patire differenze sull'intero territorio nazionale, costituisce un livello minimo essenziale.
Tale disciplina in particolare:
-- all'art. 12, garantisce al bambino handicappato " il diritto all'educazione e all'istruzione" nella scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie (secondo co.) ed affida all'integrazione scolastica l'obiettivo di assicurare " lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell'apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione"(III° co).
-- all'art. 40 affida agli enti locali ed alle unità sanitarie locali l'attuazione, rispettivamente, degli interventi sociali e di quelli sanitari. Al riguardo si rileva peraltro come, in base a tale riferimento normativo, debba respingersi la richiesta di estromissione dal giudizio del Comune di Roma.
Cio' posto, esattamente i ricorrenti ricordano che un ragazzo disabile per meglio vivere la quotidianità della scuola deve avere l'aiuto di tre figure specialistiche, ciascuna con un ruolo completamente diverso e complementare. In particolare: a) l'insegnante di sostegno nominato dal Ministero; b) l'assistente educativo e/o alla comunicazione che, per la scuola elementare, sarebbe di competenza esclusiva del Comune di Roma e che ha il compito di aiutare il minore disabile ad intraprendere un progetto incrementativo del proprio apprendimento mediante l'utilizzo anche di particolari tecniche che anche carenti di un riconoscimento scientifico aiutano il minore in questo percorso; c) l'assistente all'igiene di competenza del Ministero Istruzione che deve occuparsi dei bisogni del minore quali ad esempio portarlo nel bagno, aiutarlo durante i pasti eccetera.
Nello specifico del caso di specie si rileva come, appare fondata " sotto due profili -- la dedotta violazione, da parte delle autorità scolastiche, delle regole generali di formazione delle classi.
Nella classe vi erano due alunni diversamente abili, per cui è fondata la dedotta violazione del secondo comma, primo periodo, dell'art. 10 del D.M. 3 giugno 1999 n. 141 che pone il precetto per cui di regola, in una classe non vi puo' essere che un bambino diversamente abile. La possibilità di più svantaggiati è prevista solo in via eccezionale: " la presenza di più di un alunno in situazione di handicap nella stessa classe puo' essere prevista in ipotesi residuale ed in presenza di handicap lievi.
Nel caso, deve in primo luogo escludersi la sussistenza di quest'ultima condizione in quanto è evidente che, l'ipotesi prevista dalla norma, implica la "non gravità" di tutti i bambini handicappati, e non di uno di essi (come implicitamente sembra suggerire la relazione depositata dalla scuola).
La gravità della condizione del figlio dei ricorrenti era, da sola, tale da non tollerare altre presenze nell'ambito del gruppo, e comunque si rileva come in base alla descrizione della situazione, anche le condizioni riferite dalla scuola dell'altro bambino non sembravano assumere il carattere della lievità ("immaturità globale dei prerequisiti" per l'apprendimento "in un'organizzazione borderline").
In una seconda prospettiva si rileva come, dato che è incontestato che la classe era formata da 22 alunni, per cui era stato anche violato il secondo periodo del ricordato secondo comma dell'art. 10 del D.M. 3 giugno 1999 n. 141 per cui "Le classi iniziali che ospitano più di un alunno in situazioni di handicap sono costituite con non più di venti iscritti; per le classi intermedie il rispetto di tale limite deve essere rapportato all'esigenza di garantire la continuità didattica nelle stesse classi."
In sostanza la disposizione consente, limitatamente alle classi successive eventuali sforamenti solo quando ricorrono esigenze di continuità didattica.
Per questo non è accettabile sul piano giuridico e morale la giustificazione per cui, in luogo di privilegiare la tutela dell'handicap, si era data la preferenza alle richieste dei genitori dei ragazzi normali per il tempo pieno.
Al riguardo spetta al dirigente scolastico il potere di formazione delle classi in relazione alle effettive esigenze che si siano manifestate successivamente alla definizione dell'organico di diritto, quali, ad esempio, la necessità di due distinte sezioni in presenza di tre alunni portatori di handicap, in attuazione delle disposizioni contenute negli art. 4 d.m. 15 marzo 1997, dell'art. 10 d.m. 24 luglio 1998 n. 331 e dell'art. 10 d.m. 3 giugno 1999 n. 141 (cfr. T.A.R. Toscana, sez. III, 25 settembre 2003, n. 5115;T.A.R. Toscana, sez. I, 18 marzo 2002, n. 519).
Parimenti meritevole di accoglimento, nei sensi e nei limiti che seguono, è la doglianza circa la confusione di ruoli tra l'assistente all'igiene (collaboratore scolastico statale) e l'assistente educativo e/o alla comunicazione (di competenza del Comune di Roma per la scuola elementare) il quale ha il compito di aiutare il minore disabile ad incrementare il proprio apprendimento mediante l'utilizzo anche di particolari tecniche che aiutino il minore in questo percorso.
Alquanto vaghe e non specifiche al caso appaiono al riguardo le affermazioni della scuola che, genericamente, afferma la presenza di propri "collaboratori scolastici" senza nulla meglio specificare al riguardo circa la loro preparazione, la sufficienza del loro numero e la loro eventuale specifica assegnazione all'alunno. Estremamente analitica è invece, e non a caso, l'indicazione circa il numero e le ore degli insegnanti di sostegno (rispettivamente n. 4 di cui una per 22 ore settimanali, l'altre per 6 ore settimanali) che garantiscono la presenza anche durante i rientri pomeridiani.
Il Comune " con affermazioni ancora una volta del tutto generali " si limita a ricordare come il piccolo usufruisce della presenza di un assistente educativo comunale (c.d. AEC) qualificato e preparato, per un totale di 25 ore settimanali senza indicare l'esatta qualifica es. (assistente domiciliare, operatore sociale, psicologo, ecc.).
In nessuna parte le amministrazioni resistenti specificano pero' chi assiste in concreto l'alunno. Proprio la genericità delle difese dell'Amministrazione comunale dà logico fondamento all'affermazione per cui gli assistenti educativi comunali sarebbero nella realtà semplici operatori non specializzati che sarebbero in concreto utilizzati come operatori all'igiene in supplenza degli operatori TA del Ministero.
Se il Collegio non ha dubbi che, come afferma la scuola, ogni operatore scolastico si adopera per garantire lo "star bene a scuola" di ciascun alunno" nondimeno l'organizzazione nel suo complesso dei servizi scolastici e di quelli sociali deve essere tale da assicurare in concreto la presenza di condizioni ottimali per favorire l'integrazione scolastica del bambino svantaggiato.
Il che nella specie non è in concreto avvenuto.
In conclusione il ricorso, nei profili qui esaminati, è dunque fondato e deve essere accolto.
Per l'effetto deve essere pronunciato l'annullamento degli atti impugnati e dichiarato il diritto dell'alunno handicappato rispettivamente ad essere l'unico alunno handicappato della classe ai sensi dell'art. 10 del D.M. n. 141/1999; ad usufruire un AEC specializzato; ad avere un assistente all'igiene a lui specificamente "dedicato".
Deve invece respingersi la domanda di risarcimento danni, in quanto anche limitando al quantum, la fattura relativa alla visita specialistica appare nella specie difettare la prova della diretta ed immediata riferibilità ed imputabilità alle vicende qui in esame.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in Euro 1.500,00 di cui € 500,00 per spese di giudizio in favore dei ricorrenti.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio" Sez.III^-quater :
1. accoglie il ricorso n. 11343/2005, e per l'effetto annulla i provvedimenti di cui in epigrafe e dichiara il diritto del figlio dei ricorrenti:
1.a. ad essere l'unico alunno handicappato della classe ai sensi dell'art. 10 del D.M. n. 141/1999;
1.b. ad usufruire un AEC specializzato;
1.c. ad avere un assistente all'igiene a lui specificamente "dedicato".
2. Respinge la domanda risarcitoria.
3. Condanna le Amministrazioni resistenti al pagamento in solido delle spese che sono liquidate in Euro 1.500,00

Estinzione del reato, non è possibile la confisca, salvo l'ipotesi dell'art. 240 comma II n. 2 e quelle previste dalla legislazione speciale

Deve, pertanto, ritenersi corretta l'interpretazione secondo la quale la formula normativa «è sempre ordinata» di cui al secondo comma dell'art. 240 c.p. si contrappone a quella «può ordinare» di cui al primo comma, fermo rimanendo il presupposto «nel caso di condanna» fissato dallo stesso primo comma ed esplicitamente derogato solo con riferimento alle cose di cui al n. 2 del secondo comma. In altri termini, l'avverbio “sempre” è finalizzato solo a trapporre la confisca obbligatoria alla confisca facoltativa, ma non la confisca in presenza o in assenza di condanna.

Cassazione - Sezioni unite penali - sentenza 10 luglio - 15 ottobre 2008, n. 38834 (Presidente Morelli - Relatore Fiandanese)


Svolgimento del procedimento


Con ordinanza in data 1 febbraio 2007 il G.I.P. del Tribunale di Napoli, investito quale giudice

dell'esecuzione, respingeva l'opposizione presentata, ex art. 667, comma 4, c.p.p., dal P.M. contro il

provvedimento del 21 luglio 2007 che aveva disposto il dissequestro e la restituzione a De Maio Francesco

di alcuni beni costituenti il prezzo dei reati di corruzione a lui ascritti, in relazione ai quali il G.I.P. del

Tribunale di Napoli, con sentenza in data 11 dicembre 2002, confermata dalla Corte di Appello della stessa

sede in data 12 ottobre 2004, aveva dichiarato non doversi procedere per essere i reati estinti per

prescrizione, nulla disponendo in ordine agli oggetti in sequestro.
Con la sua ordinanza il G.I.P. richiamava i principi formulati, sia pure incidenter tantum, dalla sentenza delle

Sezioni Unite di questa Suprema Corte n. 5 del 25 marzo 1993, Carlea, ritenendo che essi non fossero

superati da successive e convincenti decisioni di segno opposto e che, pertanto, solo le cose oggettivamente

criminose potessero essere confiscate anche in assenza di sentenza di condanna, ai sensi del disposto

dell'art. 240, comma 2, n. 2, c.p. e non anche il prezzo del reato di cui al n. 1 dello stesso comma 2 dell'art.

240 c.p..

Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli,

argomentando dal combinato disposto degli artt. 240, 236 e 210 c.p., in quanto l'art. 236, comma 2, c.p.

prevede espressamente che, nell'ipotesi di confisca, non si applica la norma di cui all'art. 210 c.p., la quale, a

sua volta, al primo comma, prevede che l'estinzione del reato impedisce l'applicazione delle misure di

sicurezza, con la conseguenza, ad avviso del p.m. ricorrente, che la confisca, qualora ne ricorrano gli altri

presupposti, può essere disposta anche in caso di estinzione del reato; ritenere che, nei casi di

proscioglimento, la confisca possa essere disposta solo nelle ipotesi previste dall'art. 240, comma 2, n. 2,

c.p. renderebbe priva di senso la disciplina derogatoria dell'art. 236 c.p.. Inoltre, secondo il p.m. ricorrente,

non sarebbe pacifico che la frase “anche se non è stata pronunciata condanna”, collocata alla fine del n. 2

del comma 2 dell'art. 240 c.p. si riferisca solo alle cose indicate in tale numero e non anche a quelle indicate

nel n. 1 del medesimo comma, dovendosi ritenere, al contrario, che tale frase, collocata alla fine del

capoverso per mere ragioni espositive, si riferisca ad entrambe le categorie di cose elencate ai nn. 1) e 2) di

detto capoverso; d'altro canto, diversamente argomentando, non si comprenderebbe il perché l'inciso “in

caso di condanna” sia riportato solo nel primo comma di detto articolo, a proposito di altre categorie di cose,

e non sia stato ripetuto anche nel n. 1 del secondo comma.

La I Sezione penale di questa Corte, alla quale il ricorso era stato assegnato, con provvedimento del 28

marzo 2008 ne disponeva la rimessione alle Sezioni Unite.

Il provvedimento di rimessione rilevava che l'orientamento espresso dalla citata sentenza n. 5 del 1993 delle

Sezioni Unite, chiamata a decidere del caso particolare della confisca prevista dall'art. 722 c.p. e non della

più generale ipotesi disciplinata dall'art. 240 c.p., era stato seguito da pronunce conformi, mentre altre
sentenze si erano espresse in modo contrastante. Osservava, inoltre, che la ratio che aveva ispirato le

Sezioni Unite, cioè il timore di superamento in sede di cognizione o addirittura in sede esecutiva dei limiti

della cognizione, aveva visto con il tempo, attraverso varie modifiche legislative e la evoluzione

giurisprudenziale progressivamente abbandonare il “mito” del giudicato, attraverso l'attribuzione al giudice

dell'esecuzione di accertamenti ben più pregnanti di quelli della configurabilità astratta del fatto reato.

Il difensore di De Maio ha depositato memoria, nella quale si richiama la nuova disciplina in materia di
confisca contenuta negli artt. 322 ter e 335 bis c.p., con specifico riferimento alla corruzione, reato appunto

contestato al De Maio. Tale disciplina, che individua quale presupposto legale per l'ammissibilità della misura

ablativa, una sentenza di condanna o di applicazione di pena su richiesta, sarebbe applicabile nel caso di

specie, pur con riferimento a fatti antecedenti alla sua entrata in vigore, poiché, ai sensi dell'art. 199 c.p.
(rectius art. 200 c.p.), in materia di misure di sicurezza deve applicarsi la normativa vigente al momento della

loro esecuzione e non quella in vigore al tempo della commissione del fatto criminoso.

Lo stesso difensore aggiunge che, anche nell'ipotesi in cui si ritenga l'applicabilità nel caso di specie della
disciplina generale di cui all'art. 240 c.p., in luogo di quella speciale ex artt. 322 ter e 335 bis c.p., rimane

fermo che condizione della operatività della misura di sicurezza della confisca deve essere una sentenza di

condanna, con l'unica eccezione delle cose obiettivamente criminose, poiché l'inciso “anche se non è stata

pronunciata sentenza di condanna” è contenuto solo nel n. 2 del comma secondo dell'art. 240 c.p..



Motivi della decisione



Occorre preliminarmente osservare che non è accoglibile la tesi esposta nella memoria difensiva, che se

fondata sarebbe rilevabile d'ufficio, circa la applicabilità della nuova disciplina in materia di confisca dettata
dall'art. 322 ter c.p. con riferimento, tra gli altri reati, alla corruzione, che era stata, appunto, contestata al De

Maio. Infatti, per espresso disposto dell'art. 15 della legge 29 settembre 2000, n. 300, che ha introdotto il
citato art. 322 ter, la nuova normativa non è applicabile “ai reati commessi prima del 22 ottobre 2000”. Nel

caso di specie, trattandosi di reato commesso in data anteriore a quella da ultimo indicata, deve applicarsi la

normativa generale al tempo vigente, cioè quella di cui all'art. 240, comma 2, n. l, c.p..

Ciò osservato, occorre procedere ad una corretta ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali della

Corte Suprema sulla questione sottoposta all'esame di queste Sezioni Unite.

Le Sezioni Unite di questa Suprema Corte sulla medesima questione si sono già espresse con la sentenza

25 marzo n. 5, Carlea (rv. 193120). In verità, le Sezioni Unite erano state chiamate a pronunciarsi sulla

interpretazione del disposto dell'art. 722 c.p., che, con riferimento alle contravvenzioni relative al giuoco

d'azzardo, prevedeva che «è sempre ordinata la confisca del denaro esposto nel giuoco e degli arnesi od

oggetti ad esso destinati», essendosi manifestato, con riguardo a tale specifica norma, un contrasto

giurisprudenziale fra la tesi secondo cui essa sarebbe stata da intendere nel senso della obbligatorietà della

confisca anche in caso di proscioglimento e quella secondo cui l'obbligatorietà avrebbe comunque dovuto

avere come presupposto una pronuncia di condanna. La citata sentenza delle Sezioni Unite afferma che

l'avverbio “sempre” di cui al citato art. 722 c.p. ha «inteso rendere obbligatoria una confisca che altrimenti

sarebbe stata facoltativa», ma «non sta a significare che la misura deve essere disposta anche nel caso di

proscioglimento e in particolare nel caso di estinzione del reato».

Peraltro, la stessa sentenza ritiene che tale conclusione interpretativa abbia necessità di essere saggiata alla

luce del disposto di cui all'art. 240 c.p., poiché se la misura della confisca in caso di estinzione del reato

«non può ritenersi legittimata dalla disposizione speciale dell'art. 722 c.p. rimane da chiedersi se la

legittimazione non possa tuttavia farsi derivare dalle norme generali sulla confisca».

Le Sezioni Unite, quindi, prendono posizione anche su un contrasto giurisprudenziale che esse stesse

rilevano essersi manifestato sulla interpretazione del combinato disposto degli artt. 210, 236, comma 2, e

240, affermando che «nei casi dell'art. 240, comma 1, e comma 2, n. 1, come in quello dell'art. 722 c.p.,

essendo richiesta la condanna, la confisca se il reato è estinto non può essere disposta, mentre a una

diversa conclusione deve pervenirsi nel caso dell'art. 240, comma 2, n. 2, che impone la confisca anche nel

caso di proscioglimento».

Appare evidente, quindi, che i principi formulati dalla citata sentenza n. 5 del 1993 delle Sezioni Unite sulla
questione in esame non possano definirsi in senso proprio un obiter ditcum, poiché non sono stati

pronunciati in modo incidentale, occasionale, non necessario alla ricostruzione logica del sistema normativo,

bensì come premessa sistematica indispensabile alla soluzione del caso specifico.

La sentenza della Sez. I, 25 settembre 2000, n. 5262, Todesco, (rv. 220007), segnalata nell'ordinanza di

rimessione come espressione di contrasto giurisprudenziale, si richiama, senza autonoma motivazione, ad

una non meglio precisata «risalente giurisprudenza», che si basa sul combinato disposto degli artt. 236,

comma 2, e 210 c.p., ritenendo non conferente il richiamo alla sentenza delle Sezioni Unite n. 5 del 1993,

poiché essa si riferirebbe «al caso particolare della confisca prevista dall'art. 722 c.p.».

Nessun argomento può trarsi anche dall'altra sentenza Sez. V, 14 gennaio 2005, n. 6160, Andronico, rv.

231173, sempre segnalata nell'ordinanza di rimessione, quale espressione dello stesso indirizzo

interpretativo della citata sentenza Todesco, per avere ritenuto che la morte del soggetto proposto per una

misura di prevenzione, prima della applicazione definitiva della misura personale, non impedisce la confisca

dei beni rientranti nella disponibilità del proposto. Infatti, tale sentenza si riferisce alla confisca adottata nel
sistema delle misure di prevenzione di cui all'art. 2 ter legge 31 maggio 1965, n. 575, del tutto speciale sia

per le modalità procedimentali che per il fine perseguito dalla confisca, che è quello di eliminare dal circuito

economico beni in disponibilità di soggetto collegato con organizzazione criminale di stampo mafioso di

presunta illecita acquisizione, in modo tale da impedire la riproducibilità, mediante uso diretto ovvero

reinvestimento dei medesimi, di ricchezza inquinata all'origine, di modo che i beni assoggettati a confisca

finiscono con l'essere oggettivamente pericolosi di per sé, in quanto strumento di sviluppo

dell'organizzazione mafiosa e dei suoi membri (Sez. I, 13 novembre 1997 26 gennaio 1998, n. 6379, Di

Martino, rv. 209556).

Conforme, invece, alla citata sentenza delle Sezioni Unite n. 5 del 1993 è quella della Sez. VI, 19 febbraio

2008, n. 27043, Console, la quale esclude, con riferimento ad un caso di estinzione per prescrizione dei reati

di cui agli artt. 319 e 321 c.p., che la confisca del prezzo del reato possa essere ordinata anche in caso di

proscioglimento per prescrizione, poiché «la particolare natura dell'oggetto della misura patrimoniale, non

illecito di per sé ma per il collegamento con il reato del quale si considera il prezzo, presuppone

l'accertamento del reato stesso».

In mancanza di un effettivo contrasto argomentativo nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, non si

può prescindere dal ripercorrere la motivazione della sentenza Carlea, al fine di verificarne la condivisibilità

anche alla luce delle successive modifiche normative.

I punti fondamentali della suddetta motivazione sono i seguenti:

a) l'avverbio “sempre”, all'inizio del comma 2 dell'art. 240 c.p. ha inteso rendere obbligatoria, diversamente

da quanto previsto dal comma 1 dello stesso articolo, una confisca che altrimenti sarebbe stata facoltativa;

b) solo nei casi indicati nel n. 2 del comma 2 dell'art. 240 l'obbligatorietà è destinata ad operare «anche se

non è stata pronunciata condanna»;

c) non può trarsi contrario argomento dall'art. 236, comma 2, c.p., che rende inoperanti rispetto alla confisca

le disposizioni dell'art. 210, che prevedono, tra l'altro, che «l'estinzione del reato impedisce l'applicazione

delle misure di sicurezza e ne fa cessare l'esecuzione», poiché tale previsione normativa «si limita ad

indicare le disposizioni sulle misure di sicurezza personali che sono applicabili alle misure di sicurezza

patrimoniali (contribuendo a delinearne la disciplina complessiva), ma non è diretto a stabilire i casi in cui

queste misure possono essere disposte», dovendosi fare capo alle diverse disposizioni speciali, come quella

dell'art. 240 c.p., per stabilire di volta in volta se la misura presuppone la condanna o può essere disposta

anche in seguito al proscioglimento; «né si può dire che questa interpretazione renderebbe inutile l'art. 236,

comma 2, nella parte in cui ha reso inapplicabile alla confisca l'art. 210 c.p., sia perché in mancanza della

disposizione dell'art. 236, comma 2, si sarebbe potuto ravvisare nell'estinzione del reato (analogamente a

quanto avviene per altre misure di sicurezza) un ostacolo alla confisca pure nei casi in cui ne è

espressamente prevista l'applicazione in seguito al proscioglimento, sia perché avrebbero inciso sulla

confisca anche l'amnistia impropria e le cause di estinzione della pena, che invece cosi sono state rese

inoperanti»;

d) per disporre la confisca nel caso di estinzione del reato il giudice dovrebbe svolgere degli accertamenti

che lo porterebbero a superare i limiti della cognizione connaturata alla particolare situazione processuale, e

«sotto questo aspetto è evidente la differenza tra i casi dell'art. 240, comma 2, n. 2, e gli altri, perché l'art.

240, comma 2, n. 2, è focalizzato soprattutto sulle caratteristiche delle cose da confiscare, le quali in genere

non richiedono accertamenti anomali rispetto all'obbligo dell'immediata declaratoria di estinzione del reato».

Orbene, con riferimento all'interpretazione dell'avverbio “sempre” contenuto nel testo della norma in esame,

si deve osservare che, sulla base di una normale e diffusa tecnica legislativa, esso è adoperato per indicare

una preclusione alla valutazione discrezionale del giudice nel potere di disporre la confisca, non certo per

porre un'eccezione alle condizioni previste per l'esercizio dello stesso potere nelle singole fattispecie; anzi,

spesso l'avverbio si accompagna e si collega, nella stessa proposizione, proprio al presupposto
dell'esistenza di una sentenza di condanna (si vedano ad es. artt. 270 bis, comma 4, 322 ter, comma 1, 417,

538, 544 sexies, 600 septies, comma 1, c.p., nonché artt. 9, comma 6, L. 14 dicembre 2000, n. 376, inmateria di tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping, 12
sexies, comma 1, D.L. 8giugno 1992, n. 306, in materia di criminalità mafiosa, 9 ter, comma 3, D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, codice

della strada), in taluni casi è addirittura utilizzato come rafforzativo della obbligatorietà, sempre sul
presupposto di una sentenza di condanna (art. 416 bis, comma 7, c.p.); negli stessi termini, come sinonimo

dell'avverbio “sempre” è talvolta utilizzata la locuzione “in ogni caso” (art. 28, comma 2, l. 11 febbraio 1992,

n. 157, in materia di caccia).

Deve, pertanto, ritenersi corretta l'interpretazione secondo la quale la formula normativa «è sempre

ordinata» di cui al secondo comma dell'art. 240 c.p. si contrappone a quella «può ordinare» di cui al primo

comma, fermo rimanendo il presupposto «nel caso di condanna» fissato dallo stesso primo comma ed

esplicitamente derogato solo con riferimento alle cose di cui al n. 2 del secondo comma. In altri termini,

l'avverbio “sempre” è finalizzato solo a contrapporre la confisca obbligatoria alla confisca facoltativa, ma non

la confisca in presenza o in assenza di condanna.

D'altro canto, non può assolutamente condividersi la tesi secondo la quale l'inciso «anche se non è stata

pronunciata condanna», contenuto nel n. 2 del comma 2 dell'art. 240 c.p., debba essere riferito anche alla

previsione di cui al n. 1, poiché in tal modo verrebbe a forzarsi il normale collegamento logico tra le singole

proposizioni del testo della norma, per di più inserite in numeri ben distinti, essendo evidente che una

normale, e non particolarmente specialistica, tecnica legislativa, se avesse voluto riferire l'inciso suddetto ad

entrambi i numeri del comma l'avrebbe inserito all'inizio del capoverso, dopo l'altro «è sempre ordinata la

confisca».



La disposizione dell'art. 236, comma 2, c.p., che rende inapplicabili con riferimento specifico alla confisca le

disposizioni dell'art. 210, che prevedono, tra l'altro, che «l'estinzione del reato impedisce l'applicazione delle

misure di sicurezza e ne fa cessare l'esecuzione», formula un principio di carattere generale, che lascia, poi,

libero il legislatore di stabilire i casi in cui tale effetto impeditivo si produce anche con riferimento alla

confisca, tanto è vero che è lo stesso articolo 240, al comma 1, c.p., oltre ad una serie di leggi speciali (si

vedano quelle sopra citate), a prevedere, appunto, in quali casi è necessaria una condanna per ordinare la

confisca.



Tale conclusione interpretativa a livello testuale può trovare conferma anche nel sistema legislativo quale
risulta innovato dalla legge 29 settembre 2000, n. 300, che ha introdotto l'art. 322 ter c.p., proprio con

riferimento ad una serie di reati contro la pubblica amministrazione, tra i quali la corruzione contestata al De

Maio.

Il citato articolo stabilisce che è “sempre” e, quindi, obbligatoriamente, ordinata la confisca dei beni che

costituiscono il profitto o il prezzo del reato, ovvero, «quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui

il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo», sul presupposto espresso che vi sia

stata condanna o applicazione di pena su richiesta delle parti a norma dell'art. 444 c.p.p..



Con tale normativa il legislatore italiano si è allineato, sia pure con riferimento ad un ristretto numero di reati,

ai dettati internazionali in materia di confisca (Sez. II, 12 dicembre 2006 - 31 gennaio 2007, n. 3629, Ideal

Standard Italia), in particolare prevedendo la confisca per valore. Dalla disposizione citata si rileva che, pur

in un contesto di convenzioni internazionali la cui finalità è quella di potenziare gli strumenti di contrasto alla

criminalità, in particolare neutralizzando ogni vantaggio economico derivante da attività criminose, il

legislatore ha bensì esteso la obbligatorietà della confisca anche al profitto del reato, che l'art. 240, comma

1, c.p. prevedeva come facoltativa, ma ha mantenuto fermo il presupposto della condanna, prevedendo

soltanto l'ulteriore ipotesi della sentenza ex art. 444 c.p.p., presupposto espressamente richiesto anche per

la confisca del “prezzo” del reato. Se, pertanto, si accede all'interpretazione secondo la quale, sulla base del

testo dell'art. 240 c.p., la confisca del prezzo della corruzione poteva prescindere dalla condanna, il

legislatore avrebbe reso l'applicazione della confisca più restrittiva di quanto in precedenza previsto, e ciò

sarebbe difficilmente comprensibile in considerazione delle finalità della nuova normativa.



E', invece, più conforme ad una ricostruzione razionale del succedersi delle leggi ritenere che il legislatore

abbia basato il suo intervento innovativo proprio sul presupposto che non solo il profitto, ma anche il prezzo

della corruzione fossero confiscabili solo in caso di condanna, prevedendo l'ulteriore ipotesi della sentenza

ex art. 444 c.p.p..



Già queste considerazioni sono sufficienti per risolvere la questione di diritto sottoposta a queste Sezioni

Unite, affermando il principio che «la confisca delle cose costituenti il prezzo del reato, prevista

obbligatoriamente dall'art. 240, comma 2, n. 1, c.p., non può essere disposta nel caso di estinzione del

reato».



Occorre, però, ancora osservare che la sentenza delle Sezioni Unite n. 5 del 1993, cit., ha affermato anche

che «per disporre la confisca nel caso di estinzione del reato il giudice dovrebbe svolgere degli accertamenti

che lo porterebbero a superare i limiti della cognizione connaturata alla particolare situazione processuale».



Tale affermazione, che è ripresa da Sez. VI n. 27043 del 2008, Console, cit., quale motivazione unica della

esclusione di confiscabilità del prezzo del reato in assenza di sentenza di condanna, deve, però, essere

aggiornata, anche alla luce di un sistema processuale, che si è sviluppato attraverso molteplici modifiche

legislative ed incisive evoluzioni giurisprudenziali.



Si consideri, in primo luogo, che al giudice sono riconosciuti ampi poteri di accertamento del fatto nel caso in

cui ciò sia necessario ai fini di una pronuncia sull'azione civile, tanto che la parte civile può proporre

impugnazione, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel

giudizio (art. 576 c.p.p.), con la conseguenza che il giudice può pervenire all'affermazione della

responsabilità dell'imputato, anche se nei confronti di costui sia dichiarata l'estinzione del reato per

prescrizione, per un fatto previsto dalla legge come reato, che giustifica la condanna alle restituzioni ed al

risarcimento del danno (Sez. Un., 29 marzo 2007, n. 27614, Lista, rv. 236537; Sez. Un., 11 luglio 2006 n.

25083, Negri, rv. 233918; Sez. II, 24 ottobre 2003 - 16 gennaio 2004, n. 897, Cantamessa, rv. 227966).


Si consideri, ancora, che il comma 4 dell'art. 425 c.p.p., come modificato dall'art. 2 sexies, comma 1, d.l. 7

aprile 2000, n. 82, convertito con modificazioni in l. 5 giugno 2000, n. 144, prevede uno specifico

ampliamento dei poteri del giudice dell'udienza preliminare, il quale può pronunciare sentenza di non luogo a

procedere anche se ritiene che dal proscioglimento dovrebbe conseguire l'applicazione della misura di

sicurezza della confisca.

Si consideri, infine, la legislazione speciale, come interpretata dalla costante giurisprudenza di questa

Suprema Corte.



Ad esempio, in tema di lottizzazione abusiva, l'art. 44, comma 2, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, stabilisce che il

giudice penale dispone la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite,

con la «sentenza definitiva», che «accerta che vi è stata lottizzazione abusiva». Tale disposizione viene

interpretata nel senso che essa prevede l'obbligatorietà della confisca indipendentemente da una pronuncia

di condanna, in conseguenza all'accertamento giudiziale della sussistenza del reato di lottizzazione abusiva,

salvo il caso di assoluzione per insussistenza del fatto (da ultimo: Sez. III, 21 novembre 2007 - 5 marzo

2008, n. 9982, Quattrone, rv. 238984; Sez. Ili, 7 luglio 2004, n. 37086, Perniciaro, rv. 230031).



Ancora si può citare l'art. 301, d.p.r. 23 gennaio 1973, n. 43, sostituito dall'art. 11 l. 30 dicembre 1991, n. 413,

che, al comma 1, dispone «nei casi di contrabbando è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono

o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l'oggetto ovvero il prodotto o il profitto».



Anche in tale fattispecie la giurisprudenza è uniforme nel ritenere che la confisca possa essere disposta

sebbene il reato venga dichiarato estinto per prescrizione, sempre che non venga escluso il rapporto tra la
res ed il fatto di contrabbando (da ultimo: Sez. III, 21 settembre 2007, n. 38724, Del Duca, rv. 237924; Sez.

III, 26 novembre 2001 - 7 febbraio 2002, n. 4739, Vanni, rv. 221054).



Già questi brevi richiami consentono di affermare che, rispetto all'obbligo dell'immediata declaratoria di

estinzione del reato, la circostanza che il giudice possa procedere ad accertamenti non può affatto

considerarsi in linea di principio “anomala”.



Né si può trascurare che, come insegna la stessa Corte Costituzionale (da ultimo sent. n. 85 del 2008) che la

categoria delle sentenze di proscioglimento, a parte quelle ampiamente liberatorie perché pronunciate con le

formule «il fatto non sussiste» e «l'imputato non lo ha commesso», comprende «sentenze che, pur non

applicando una pena, comportano - in diverse forme e gradazioni - un sostanziale riconoscimento della

responsabilità dell'imputato o, comunque, l'attribuzione del fatto all'imputato stesso» e ciò in particolare vale

per le dichiarazioni di estinzione del reato per prescrizione.



Occorre anche considerare, in linea generale, ciò che la Corte Costituzionale osservava già nei primi anni

'60 (Corte Cost. 1961 n. 29; Id. 1964, n. 46) e cioè che la confisca può presentarsi, nelle leggi che la

prevedono, con varia natura giuridica. Il suo contenuto è sempre la privazione di beni economici, ma questa

può essere disposta per diversi motivi e indirizzata a varie finalità, così da assumere, volta per volta, natura

e funzione o di pena, o di misura di sicurezza, ovvero anche di misura amministrativa. Ciò che, pertanto,

spetta di considerare non è una astratta e generica figura di confisca, ma, in concreto, la confisca così come

risulta da una determinata legge.



Si comprende, pertanto, come sia ben difficile formulare principi uniformi che valgano per tutte le tipologie

legislativamente previste. Soprattutto in anni recenti, come già osservato da queste Sezioni Unite (Sez. Un.

27 marzo 2008, n. 26654, Fisia Italimpianti Spa) «sono state introdotte nell'ordinamento, in maniera sempre

più esponenziale, ipotesi di confisca obbligatoria dei beni strumentali alla consumazione del reato e del

profitto ricavato, le quali hanno posto in crisi le costruzioni dommatiche elaborate in passato e la
identificazione, attraverso il nomen iuris, di un istituto unitario, superando così i ristretti confini tracciati dalla

norma generale di cui all'art. 240 c.p. (si pensi esemplificativamente alla confisca di cui agli art. 322 ter, 600
septies, 640 quater, 644, 648 quater c.p., 2641 c.c., 187 d. lgs. n. 58/'98, 44/2° dpr n. 380/'01)».

L'obiettivo perseguito dal legislatore con la confisca è sempre più quello di privare l'autore del reato dei

vantaggi economici che da esso derivano.



Pertanto, considerando l'evoluzione della legislazione in materia e la sempre più ampia utilizzazione

dell'istituto della confisca al fine di contrastare i più diffusi fenomeni di criminalità, si può dire che, in caso di

estinzione del reato, il riconoscimento al giudice di poteri di accertamento al fine dell'applicazione della

confisca medesima non possono dirsi necessariamente legati alla facilità dell'accertamento medesimo e che,

quindi, tale accertamento possa riguardare non solo le cose oggettivamente criminose per loro intrinseca

natura (art. 240, comma 2, n. 2, c.p.), ma anche quelle che sono considerate tali dal legislatore per il loro

collegamento con uno specifico fatto reato.



Queste considerazioni non consentono di modificare l'interpretazione che ha portato alla formulazione

dell'indicato principio di diritto, ma si pongono quale motivo di riflessione per il legislatore, rimanendo ancora

valido il monito di una autorevole dottrina, lontana nel tempo, ma presente nell'insegnamento, secondo la

quale è «antigiuridico e immorale» che «il corrotto, non punibile per qualsiasi causa, possa godersi il denaro

ch'egli ebbe per commettere il fatto obiettivamente delittuoso».

Il ricorso, dunque, deve essere rigettato.



P.Q.M.



Rigetta il ricorso.

Istituzione in Italia della Banca dati pubblica e gratuita della normativa vigente

Misure urgenti in materia di semplificazione normativa.
DECRETO-LEGGE 22 dicembre 2008, n. 200
(GU n. 298 del 22-12-2008 - Suppl. Ordinario n. 282)

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;

Ritenuta la straordinaria necessita' ed urgenza di emanare disposizioni dirette a consentire il completamento delle procedure per la creazione di una banca dati normativa unica, pubblica e gratuita della legislazione statale vigente, anche mediante un piu' efficace utilizzo delle risorse esistenti;

Ritenuta, altresi', la straordinaria necessita' ed urgenza di procedere all'abrogazione di tutte le norme primarie del precedente ordinamento costituzionale ritenute estranee ai principi dell'ordinamento giuridico attuale;

Ritenuta, infine, la straordinaria necessita' ed urgenza di sottrarre all'effetto abrogativo previsto dall'articolo 24 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, alcune disposizioni di cui risulta indispensabile il mantenimento in vigore;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 18 dicembre 2008;

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro per la semplificazione normativa e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e dell'economia e delle finanze;
Emana
il seguente decreto-legge:
Art. 1.

Banca dati pubblica e gratuita della normativa vigente
1. Sulla base delle intese gia' acquisite tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri e le Presidenze della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, il Ministro per la semplificazione normativa promuove, assume e coordina le attivita' volte a realizzare l'informatizzazione e la classificazione della normativa vigente per facilitarne la ricerca e la consultazione gratuita da parte dei cittadini. Assicura, altresi', la convergenza presso il Dipartimento degli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri di tutti i progetti di informatizzazione e di classificazione della normativa statale e regionale in corso di realizzazione da parte delle amministrazioni pubbliche.

2. Al fine di assicurare la piena convergenza delle attivita' connesse all'attuazione del programma di cui al comma 1 e la massima efficienza nell'utilizzo delle relative risorse, il Ministro per la semplificazione normativa adotta, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, uno o piu' decreti finalizzati:

a) alla razionalizzazione, sentito il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, delle attivita' degli organismi e degli enti operanti nell'ambito delle materie di cui al comma 1 e alla individuazione delle modalita' di utilizzo del personale delle pubbliche amministrazioni gia' impegnato nel programma di cui al comma 1;

b) al coordinamento con le attivita' in corso per l'attuazione dell'articolo 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246;

c) alla determinazione, di concerto con il Ministro della giustizia, dei criteri per l'adozione delle procedure connesse alla pubblicazione telematica degli atti normativi nella prospettiva del superamento dell'edizione a stampa della Gazzetta Ufficiale, anche ai sensi di quanto disposto dall'articolo 27, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

3. Le attivita' del programma sono finanziate con le risorse del fondo istituito ai sensi dell'articolo 107 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, ed iscritte nel corrispondente capitolo di spesa del bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

4. Il comma 584 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e successive modificazioni, e' abrogato.
Art. 2.

Abrogazioni espresse
1. A decorrere dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono abrogate le disposizioni elencate nell'Allegato 1.

2. Il Governo individua, con atto ricognitivo, le disposizioni di rango regolamentare implicitamente abrogate in quanto connesse esclusivamente alla vigenza degli atti legislativi inseriti nell'Allegato 1.
Art. 3.

Modifiche all'Allegato A del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112
1. Sono soppresse dall'Allegato A del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, le disposizioni elencate nell'Allegato 2.
Art. 4.

Entrata in vigore
1. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sara' presentato alle Camere per la conversione in legge.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Roma, addi' 22 dicembre 2008
NAPOLITANO
Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Calderoli, Ministro per la semplificazione normativa
Alfano, Ministro della giustizia
Brunetta, Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione
Tremonti, Ministro dell'economia e delle finanze
Visto, il Guardasigilli: Alfano
________________________________________
Allegati
...omissis...

lunedì 29 dicembre 2008

Disegno di legge Alfano sulla Giustizia

stralcio del disegno di legge n. 1082

GIUSTIZIA

Art. 27.

(Modifiche al libro primo
del codice di procedura civile)

1. All’articolo 7 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo comma, le parole: «lire cinque milioni» sono sostituite dalle seguenti: «cinquemila euro»;

b) al secondo comma, le parole: «lire trenta milioni» sono sostituite dalle seguenti: «ventimila euro».

2. L’articolo 38 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Art. 38. - (Incompetenza). – L’incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio sono eccepite, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata. L’eccezione di incompetenza per territorio si ha per non proposta se non contiene l’indicazione del giudice che la parte ritiene competente.

Fuori dei casi previsti dall’articolo 28, quando le parti costituite aderiscono all’indicazione del giudice competente per territorio, la competenza del giudice indicato rimane ferma se la causa è riassunta entro tre mesi dalla cancellazione della stessa dal ruolo.
L’incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio nei casi previsti dall’articolo 28 sono rilevate d’ufficio non oltre l’udienza di cui all’articolo 183.
Le questioni di cui ai commi precedenti sono decise, ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli atti e, quando sia reso necessario dall’eccezione del convenuto o dal rilievo del giudice, assunte sommarie informazioni».

3. All’articolo 39 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il primo comma è sostituito dal seguente:
«Se una stessa causa è proposta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito, in qualunque stato e grado del processo, anche d’ufficio, dichiara con ordinanza la litispendenza e dispone la cancellazione della causa dal ruolo»;
b) al secondo comma, primo periodo, la parola: «sentenza» è sostituita dalla seguente: «ordinanza»;

c) al terzo comma sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «ovvero dal deposito del ricorso».

4. Agli articoli 40, primo comma, 42, 44, 45, 47 e 49 del codice di procedura civile, la parola: «sentenza», ovunque ricorre, è sostituita dalla seguente: «ordinanza».

5. All’articolo 43 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo comma, le parole: «La sentenza» sono sostituite dalle seguenti: «Il provvedimento» e la parola: «impugnata» è sostituita dalla seguente: «impugnato»;

b) al terzo comma, le parole: «della sentenza» sono sostituite dalle seguenti: «dell’ordinanza».

6. Al primo comma dell’articolo 50 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) la parola: «sentenza», ovunque ricorre, è sostituita dalla seguente: «ordinanza»;

b) le parole: «sei mesi» sono sostituite dalle seguenti: «tre mesi».

7. All’articolo 54 del codice di procedura civile, il terzo comma è sostituito dal seguente:
«Il giudice, con l’ordinanza con cui dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione, provvede sulle spese e può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria non superiore a euro 250».
8. All’articolo 67, primo comma, del codice di procedura civile, le parole: «non superiore a euro 10» sono sostituite dalle seguenti: «da euro 250 a euro 500».

9. All’articolo 83, terzo comma, primo periodo, del codice di procedura civile sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, ovvero della memoria di nomina del nuovo difensore, in aggiunta o in sostituzione del difensore originariamente designato».
10. Al primo comma dell’articolo 91 del codice di procedura civile, il secondo periodo è sostituito dal seguente: «Se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa tempestivamente formulata, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92».
11. All’articolo 92, secondo comma, del codice di procedura civile, le parole: «o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione,» sono sostituite dalle seguenti: «o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione,».
12. All’articolo 96 del codice di procedura civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, non inferiore a euro 1.000 e non superiore a euro 20.000».
13. All’articolo 101 del codice di procedura civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione».
14. Al primo comma dell’articolo 115 del codice di procedura civile sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, nonché i fatti ammessi o non contestati».

15. All’articolo 118, terzo comma, del codice di procedura civile, le parole: «non superiore a euro 5» sono sostituite dalle seguenti: «da euro 250 a euro 1.500».
16. All’articolo 120 del codice di procedura civile, il primo comma è sostituito dal seguente:

«Nei casi in cui la pubblicità della decisione di merito può contribuire a riparare il danno, compreso quello derivante per effetto di quanto previsto all’articolo 96, il giudice, su istanza di parte, può ordinarla a cura e spese del soccombente, mediante inserzione per estratto, ovvero mediante comunicazione, nelle forme specificamente indicate, in una o più testate giornalistiche, radiofoniche o televisive o in siti internet da lui designati».
17. Al secondo comma dell’articolo 132 del codice di procedura civile, il numero 4) è sostituito dal seguente:
«4) la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione».
18. All’articolo 153 del codice di procedura civile è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini. Il giudice provvede a norma dell’articolo 294, secondo e terzo comma».

Art. 28.

(Modifiche al libro secondo
del codice di procedura civile)

1. Il secondo comma dell’articolo 182 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L’osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione».
2. Al sesto comma, alinea, dell’articolo 183 del codice di procedura civile, le parole: «il giudice concede» sono sostituite dalle seguenti: «il giudice, ove sussistano gravi motivi, può concedere».

3. L’articolo 184-bis del codice di procedura civile è abrogato.
4. Il primo comma dell’articolo 191 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Nei casi previsti dagli articoli 61 e seguenti il giudice istruttore, con ordinanza ai sensi dell’articolo 183, settimo comma, o con altra successiva ordinanza, nomina un consulente, formula i quesiti e fissa l’udienza nella quale il consulente deve comparire».
5. Il terzo comma dell’articolo 195 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Il giudice fissa il termine entro il quale il consulente deve depositare in cancelleria la relazione e il termine, comunque anteriore alla successiva udienza, entro il quale le parti possono depositare memorie contenenti osservazioni alla relazione del consulente».
6. Al libro secondo, titolo I, capo II, sezione III, paragrafo 8, del codice di procedura civile, dopo l’articolo 257 è aggiunto il seguente:
«Art. 257-bis. - (Testimonianza scritta). – Il giudice, sentite le parti e tenuto conto di ogni circostanza, può disporre, avuto particolare riguardo all’oggetto della causa, di assumere la deposizione chiedendo al testimone, anche nelle ipotesi di cui all’articolo 203, di fornire, per iscritto e nel termine fissato, le risposte ai quesiti sui quali deve essere interrogato.

Il giudice, con il provvedimento di cui al primo comma, dispone che la parte che ha richiesto l’assunzione predisponga il modello di testimonianza in conformità agli articoli ammessi e lo faccia notificare al testimone.
Il testimone rende la deposizione compilando il modello di testimonianza in ogni sua parte, con risposta separata a ciascuno dei quesiti, e precisa quali sono quelli cui non è in grado di rispondere, indicandone la ragione.
Il testimone sottoscrive la deposizione apponendo la propria firma autenticata su ciascuna delle facciate del foglio di testimonianza, che spedisce in busta chiusa con plico raccomandato o consegna alla cancelleria del giudice.
Quando il testimone si avvale della facoltà d’astensione di cui all’articolo 249, ha l’obbligo di compilare il modello di testimonianza, indicando le complete generalità e i motivi di astensione.
Quando il testimone non spedisce o non consegna le risposte scritte nel termine stabilito, il giudice può condannarlo alla pena pecuniaria di cui all’articolo 255, primo comma.
Il giudice, esaminate le risposte, può sempre disporre che il testimone sia chiamato a deporre davanti a lui o davanti al giudice delegato».

7. All’articolo 279 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il primo comma è sostituito dal seguente:
«Il collegio pronuncia ordinanza quando provvede soltanto su questioni relative all’istruzione della causa, senza definire il giudizio, nonché quando decide soltanto questioni di competenza. In tal caso, se non definisce il giudizio, impartisce con la stessa ordinanza i provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa»;
b) al secondo comma, numero 1), le parole: «o di competenza» sono soppresse.
8. All’articolo 285 del codice di procedura civile, le parole: «primo e terzo comma» sono soppresse e, all’articolo 330, primo comma, del codice di procedura civile, dopo le parole: «si notifica» sono inserite le seguenti: «, ai sensi dell’articolo 170,».

9. L’articolo 296 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«Art. 296. - (Sospensione su istanza delle parti). – Il giudice istruttore, su istanza di tutte le parti, ove sussistano giustificati motivi, può disporre, per una sola volta, che il processo rimanga sospeso per un periodo non superiore a tre mesi, fissando l’udienza per la prosecuzione del processo medesimo».
10. All’articolo 297, primo comma, del codice di procedura civile, le parole: «sei mesi» sono sostituite dalle seguenti: «tre mesi».

11. All’articolo 305 del codice di procedura civile, le parole: «sei mesi» sono sostituite dalle seguenti: «tre mesi».
12. All’articolo 307 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo comma, le parole: «del secondo comma» sono soppresse e le parole: «un anno» sono sostituite dalle seguenti: «tre mesi»;

b) al terzo comma, secondo periodo, la parola: «sei» è sostituita dalla seguente: «tre»;
c) il quarto comma è sostituito dal seguente:

«L’estinzione opera di diritto ed è dichiarata, anche d’ufficio, con ordinanza del giudice istruttore ovvero con sentenza del collegio».
13. All’articolo 327, primo comma, del codice di procedura civile, le parole: «decorso un anno» sono sostituite dalle seguenti: «decorsi sei mesi».

14. All’articolo 345, terzo comma, primo periodo, del codice di procedura civile, dopo le parole: «nuovi mezzi di prova» sono inserite le seguenti: «e non possono essere prodotti nuovi documenti».
15. All’articolo 353 del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Rimessione al primo giudice per ragioni di giurisdizione»;

b) al secondo comma, le parole: «sei mesi» sono sostituite dalle seguenti: «tre mesi».

16. All’articolo 385 del codice di procedura civile, il quarto comma è abrogato.

17. Al primo comma dell’articolo 392 del codice di procedura civile, le parole: «un anno» sono sostituite dalle seguenti: «tre mesi».

Art. 29.

(Ulteriori modifiche al libro secondo
del codice di procedura civile)

1. Dopo l’articolo 360 del codice di procedura civile è inserito il seguente:

«Art. 360-bis. - (Ammissibilità del ricorso). – Il ricorso è dichiarato ammissibile:
1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo difforme da precedenti decisioni della Corte;

2) quando il ricorso ha per oggetto una questione nuova o una questione sulla quale la Corte ritiene di pronunciarsi per confermare o mutare il proprio orientamento ovvero quando esistono contrastanti orientamenti nella giurisprudenza della Corte;
3) quando appare fondata la censura relativa a violazione dei princìpi regolatori del giusto processo;
4) quando ricorrono i presupposti per una pronuncia ai sensi dell’articolo 363.

Non è dichiarato ammissibile il ricorso presentato ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 5), avverso la sentenza di appello che ha confermato quella di primo grado.

Sull’ammissibilità del ricorso la Corte decide in camera di consiglio con ordinanza non impugnabile resa da un collegio di tre magistrati.
Se il collegio ritiene inammissibile il ricorso, anche a norma dell’articolo 375, primo comma, numeri 1) e 5), seconda parte, il relatore deposita in cancelleria una relazione con la concisa esposizione delle ragioni che giustificano la dichiarazione di inammissibilità. Si applica l’articolo 380-bis, commi secondo, terzo e quarto.
L’ordinanza che dichiara l’inammissibilità è comunicata alle parti costituite con biglietto di cancelleria, ovvero mediante telefax o posta elettronica, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, relativa a tali forme di comunicazione degli atti giudiziari.
Il ricorso dichiarato ammissibile è assegnato a una sezione della Corte di cassazione per la sua trattazione. Se il ricorso è dichiarato inammissibile, il provvedimento impugnato passa in giudicato. L’ordinanza provvede sulle spese a norma dell’articolo 96, terzo comma».

2. L’articolo 366-bis del codice di procedura civile è abrogato.

3. All’articolo 375, primo comma, numero 5), del codice di procedura civile, le parole: «o per difetto dei requisiti previsti dall’articolo 366-bis» sono soppresse.

Art. 30.

(Modifiche al libro terzo
del codice di procedura civile)

1. Al libro terzo, titolo IV, del codice di procedura civile, dopo l’articolo 614 è aggiunto il seguente:

«Art. 614-bis. - (Attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare). – Con il provvedimento di condanna il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. La disposizione di cui al presente comma non si applica alle controversie di lavoro subordinato pubblico e privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’articolo 409.

Il giudice determina l’ammontare della somma di cui al primo comma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile, delle condizioni personali e patrimoniali delle parti, e di ogni altra circostanza utile».

2. All’articolo 616 del codice di procedura civile, l’ultimo periodo è soppresso.

3. All’articolo 624 del codice di procedura civile, i commi terzo e quarto sono abrogati.

Art. 31.

(Modifiche al libro quarto
del codice di procedura civile)

1. Il terzo comma dell’articolo 669-septies del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:

«La condanna alle spese è immediatamente esecutiva».
2. All’articolo 669-octies del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
a) dopo il sesto comma è inserito il seguente:
«Il giudice, quando emette uno dei provvedimenti di cui al sesto comma prima dell’inizio della causa di merito, provvede sulle spese del procedimento cautelare»;
b) al settimo comma, le parole: «primo comma» sono sostituite dalle seguenti: «sesto comma».

Art. 32.

(Procedimento sommario di cognizione)

1. Dopo il capo III del titolo I del libro quarto del codice di procedura civile è inserito il seguente:

«Capo III-bis

DEL PROCEDIMENTO SOMMARIO DI COGNIZIONE

Art. 702-bis. - (Forma della domanda. Costituzione delle parti). – Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, la domanda può essere proposta con ricorso al tribunale competente. Il ricorso, sottoscritto a norma dell’articolo 125, deve contenere le indicazioni di cui ai numeri 1), 2), 3), 4), 5) e 6) e l’avvertimento di cui al numero 7) del terzo comma dell’articolo 163.

A seguito della presentazione del ricorso il cancelliere forma il fascicolo d’ufficio e lo presenta senza ritardo al presidente del tribunale, il quale designa il magistrato cui è affidata la trattazione del procedimento.
Il giudice designato fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti, assegnando il termine per la costituzione del convenuto, che deve avvenire non oltre dieci giorni prima dell’udienza; il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato al convenuto almeno trenta giorni prima della data fissata per la sua costituzione.
Il convenuto deve costituirsi mediante deposito in cancelleria della comparsa di risposta, nella quale deve proporre le sue difese e prendere posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione, nonché formulare le conclusioni. A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d’ufficio.
Se il convenuto intende chiamare un terzo in garanzia deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere al giudice designato lo spostamento dell’udienza. Il giudice, con decreto comunicato dal cancelliere alle parti costituite, provvede a fissare la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. La costituzione del terzo in giudizio avviene a norma del quarto comma.

Art. 702-ter. - (Procedimento). – Il giudice, se ritiene di essere incompetente, lo dichiara con ordinanza.

Se rileva che la domanda non rientra tra quelle indicate nell’articolo 702-bis, il giudice, con ordinanza non impugnabile, la dichiara inammissibile. Nello stesso modo provvede sulla domanda riconvenzionale.
Se ritiene che le difese svolte dalle parti richiedono un’istruzione non sommaria, il giudice, con ordinanza non impugnabile, fissa l’udienza di cui all’articolo 183. In tal caso si applicano le disposizioni del libro II.
Quando la causa relativa alla domanda riconvenzionale richiede un’istruzione non sommaria, il giudice ne dispone la separazione.
Se non provvede ai sensi dei commi precedenti, il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto e provvede con ordinanza all’accoglimento o al rigetto delle domande.
L’ordinanza è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione.
Il giudice provvede in ogni caso sulle spese del procedimento ai sensi degli articoli 91 e seguenti.

Art. 702-quater. - (Appello). – L’ordinanza emessa ai sensi del sesto comma dell’articolo 702-ter produce gli effetti di cui all’articolo 2909 del codice civile se non è appellata entro trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione. Sono ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti quando il collegio li ritiene rilevanti ai fini della decisione, ovvero la parte dimostra di non aver potuto proporli nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile. Il presidente del collegio può delegare l’assunzione dei mezzi istruttori ad uno dei componenti del collegio».

Art. 33.

(Modifiche alle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368)

1. Al primo comma dell’articolo 23 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, di seguito denominate «disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile», sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «in modo tale che a nessuno dei consulenti iscritti possano essere conferiti incarichi in misura superiore al 10 per cento di quelli affidati dall’ufficio, e garantisce che sia assicurata l’adeguata trasparenza del conferimento degli incarichi anche a mezzo di strumenti informatici».

2. Dopo l’articolo 103 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile è inserito il seguente:

«Art. 103-bis. - (Modello di testimonianza). – La testimonianza scritta è resa su di un modulo conforme al modello approvato con decreto del Ministro della giustizia, che individua anche le istruzioni per la sua compilazione, da notificare unitamente al modello. Il modello, sottoscritto in ogni suo foglio dalla parte che ne ha curato la compilazione, deve contenere, oltre all’indicazione del procedimento e dell’ordinanza di ammissione da parte del giudice procedente, idonei spazi per l’inserimento delle complete generalità del testimone, dell’indicazione della sua residenza, del suo domicilio e, ove possibile, di un suo recapito telefonico. Deve altresì contenere l’ammonimento del testimone ai sensi dell’articolo 251 del codice e la formula del giuramento di cui al medesimo articolo, oltre all’avviso in ordine alla facoltà di astenersi ai sensi degli articoli 351 e 352 del codice di procedura penale, con lo spazio per la sottoscrizione obbligatoria del testimone, nonché le richieste di cui all’articolo 252, primo comma, del codice, ivi compresa l’indicazione di eventuali rapporti personali con le parti, e la trascrizione dei quesiti ammessi, con l’avvertenza che il testimone deve rendere risposte specifiche e pertinenti a ciascuna domanda e deve altresì precisare se ha avuto conoscenza dei fatti oggetto della testimonianza in modo diretto o indiretto.

Al termine di ogni risposta è apposta, di seguito e senza lasciare spazi vuoti, la sottoscrizione da parte del testimone.
Le sottoscrizioni devono essere autenticate da un segretario comunale o dal cancelliere di un ufficio giudiziario. L’autentica delle sottoscrizioni è in ogni caso gratuita nonché esente dall’imposta di bollo e da ogni diritto».

3. Il primo comma dell’articolo 104 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile è sostituito dal seguente:
«Se la parte senza giusto motivo non fa chiamare i testimoni davanti al giudice, questi la dichiara, anche d’ufficio, decaduta dalla prova, salvo che l’altra parte dichiari di avere interesse all’audizione».
4. Dopo il terzo comma dell’articolo 118 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile è inserito il seguente:
«Nel caso di domande manifestamente fondate o infondate, la sentenza è succintamente motivata e la motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo, ovvero, se del caso, a un precedente conforme di una giurisdizione superiore».

Art. 34.

(Abrogazione dell’articolo 3 della legge 21 febbraio 2006, n. 102, e disposizioni transitorie)

1. L’articolo 3 della legge 21 febbraio 2006, n. 102, è abrogato.

2. Alle controversie disciplinate dall’articolo 3 della legge 21 febbraio 2006, n. 102, pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al libro secondo, titolo IV, capo I, del codice di procedura civile. La disposizione di cui al presente comma non si applica ai giudizi introdotti con il rito ordinario e per i quali alla data di entrata in vigore della presente legge non è stata ancora disposta la modifica del rito ai sensi dell’articolo 426 del codice di procedura civile.

Art. 35.

(Notificazione a cura dell’Avvocatura
dello Stato)

1. L’Avvocatura dello Stato può eseguire la notificazione di atti civili, amministrativi e stragiudiziali ai sensi della legge 21 gennaio 1994, n. 53.

2. Per le finalità di cui al comma 1, l’Avvocatura generale dello Stato e ciascuna avvocatura distrettuale dello Stato si dotano di un apposito registro cronologico conforme alla normativa, anche regolamentare, vigente.
3. La validità dei registri di cui al comma 2 è subordinata alla previa numerazione e vidimazione, in ogni mezzo foglio, rispettivamente, da parte dell’Avvocato generale dello Stato, o di un avvocato dello Stato allo scopo delegato, ovvero dell’avvocato distrettuale dello Stato.
4. Dall’attuazione delle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Gli adempimenti previsti dal presente articolo sono svolti nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Art. 36.

(Modifica all’articolo 9 della legge
21 luglio 2000, n. 205)

1. Al comma 2 dell’articolo 9 della legge 21 luglio 2000, n. 205, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Se, in assenza dell’avviso di cui al primo periodo, è comunicato alle parti l’avviso di fissazione dell’udienza di discussione nel merito, i ricorsi sono decisi qualora almeno una parte costituita dichiari, anche in udienza a mezzo del proprio difensore, di avere interesse alla decisione; altrimenti sono dichiarati perenti dal presidente del collegio con decreto, ai sensi dell’articolo 26, ultimo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034».

Art. 37.

(Disposizioni transitorie)

1. Fatto salvo quanto previsto dai commi successivi, le disposizioni della presente legge che modificano il codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore.

2. Ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della presente legge si applicano gli articoli 132, 345 e 616 del codice di procedura civile e l’articolo 118 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, come modificati dalla presente legge.
3. Le disposizioni di cui ai commi quinto e sesto dell’articolo 155 del codice di procedura civile si applicano anche ai procedimenti pendenti alla data del 1º marzo 2006.

Art. 38.

(Decisione delle questioni
di giurisdizione)

1. Il giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudici speciali, dichiara il proprio difetto di giurisdizione indica altresì, se esistente, il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione. La pronuncia sulla giurisdizione resa dalle sezioni unite della Corte di cassazione è vincolante per ogni giudice e per le parti anche in altro processo.

2. Se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia di cui al comma 1, la domanda è riproposta al giudice ivi indicato, nel successivo processo le parti restano vincolate a tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito sin dall’instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute. Ai fini del presente comma la domanda si ripropone con le modalità e secondo le forme previste per il giudizio davanti al giudice adito in relazione al rito applicabile.
3. Se sulla questione di giurisdizione non si sono già pronunciate, nel processo, le sezioni unite della Corte di cassazione, il giudice davanti al quale la causa è riassunta può sollevare d’ufficio, con ordinanza, tale questione davanti alle medesime sezioni unite della Corte di cassazione, fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito. Restano ferme le disposizioni sul regolamento preventivo di giurisdizione.
4. L’inosservanza dei termini fissati ai sensi del presente articolo per la riassunzione o per la prosecuzione del giudizio comporta l’estinzione del processo, che è dichiarata anche d’ufficio alla prima udienza, e impedisce la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda.
5. In ogni caso di riproposizione della domanda davanti al giudice di cui al comma 1, le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova.

Art. 39.

(Delega al Governo in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali)

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale.

2. La riforma adottata ai sensi del comma 1, nel rispetto e in coerenza con la normativa comunitaria e in conformità ai princìpi e criteri direttivi di cui al comma 3, realizza il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti. I decreti legislativi previsti dal comma 1 sono adottati su proposta del Ministro della giustizia e successivamente trasmessi alle Camere, ai fini dell’espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, che sono resi entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri. Qualora detto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto dal comma 1 o successivamente, la scadenza di quest’ultimo è prorogata di sessanta giorni.
3. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione, abbia per oggetto controversie su diritti disponibili, senza precludere l’accesso alla giustizia;

b) prevedere che la mediazione sia svolta da organismi professionali e indipendenti, stabilmente destinati all’erogazione del servizio di conciliazione;
c) disciplinare la mediazione, nel rispetto della normativa comunitaria, anche attraverso l’estensione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e in ogni caso attraverso l’istituzione, presso il Ministero della giustizia, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, di un Registro degli organismi di conciliazione, di seguito denominato «Registro», vigilati dal medesimo Ministero, fermo restando il diritto delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura che hanno costituito organismi di conciliazione ai sensi dell’articolo 2 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, ad ottenere l’iscrizione di tali organismi nel medesimo registro;
d) prevedere che i requisiti per l’iscrizione nel Registro e per la sua conservazione siano stabiliti con decreto del Ministro della giustizia;
e) prevedere la possibilità, per i consigli degli ordini degli avvocati, di istituire, presso i tribunali, organismi di conciliazione che, per il loro funzionamento, si avvalgono del personale degli stessi consigli;
f) prevedere che gli organismi di conciliazione istituiti presso i tribunali siano iscritti di diritto nel Registro;
g) prevedere, per le controversie in particolari materie, la facoltà di istituire organismi di conciliazione presso i consigli degli ordini professionali;
h) prevedere che gli organismi di conciliazione di cui alla lettera g) siano iscritti di diritto nel Registro;
i) prevedere che gli organismi di conciliazione iscritti nel Registro possano svolgere il servizio di mediazione anche attraverso procedure telematiche;
l) per le controversie in particolari materie, prevedere la facoltà del conciliatore di avvalersi di esperti, iscritti nell’albo dei consulenti e dei periti presso i tribunali, i cui compensi sono previsti dai decreti legislativi attuativi della delega di cui al comma 1 anche con riferimento a quelli stabiliti per le consulenze e per le perizie giudiziali;
m) prevedere che le indennità spettanti ai conciliatori, da porre a carico delle parti, siano stabilite, anche con atto regolamentare, in misura maggiore per il caso in cui sia stata raggiunta la conciliazione tra le parti;
n) prevedere il dovere dell’avvocato di informare il cliente, prima dell’instaurazione del giudizio, della possibilità di avvalersi dell’istituto della conciliazione nonché di ricorrere agli organismi di conciliazione;
o) prevedere, a favore delle parti, forme di agevolazione di carattere fiscale, assicurando, al contempo, l’invarianza del gettito attraverso gli introiti derivanti al Ministero della giustizia, a decorrere dall’anno precedente l’introduzione della norma e successivamente con cadenza annuale, dal Fondo unico giustizia di cui all’articolo 2 del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143;
p) prevedere, nei casi in cui il provvedimento che chiude il processo corrisponda interamente al contenuto dell’accordo proposto in sede di procedimento di conciliazione, che il giudice possa escludere la ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che ha rifiutato l’accordo successivamente alla proposta dello stesso, condannandolo altresì, e nella stessa misura, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente, salvo quanto previsto dagli articoli 92 e 96 del codice di procedura civile, e, inoltre, che possa condannare il vincitore al pagamento di un’ulteriore somma a titolo di contributo unificato ai sensi dell’articolo 9 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115;
q) prevedere che il procedimento di conciliazione non possa avere una durata eccedente i quattro mesi;
r) prevedere che il verbale di conciliazione abbia efficacia esecutiva per l’espropriazione forzata, per l’esecuzione in forma specifica e costituisca titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

Art. 40.

(Misure urgenti per il recupero di somme afferenti al bilancio della giustizia e per il contenimento e la razionalizzazione delle spese di giustizia)

1. All’articolo 36, secondo comma, del codice penale, le parole: «in uno o più giornali designati dal giudice» sono sostituite dalle seguenti: «nel sito internet del Ministero della giustizia. La durata della pubblicazione è stabilita dal giudice in misura non superiore a trenta giorni. In mancanza, la durata è di quindici giorni».

2. Al codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 535:
1) al comma 1, le parole: «relative ai reati cui la condanna si riferisce» sono soppresse;

2) il comma 2 è abrogato;

b) all’articolo 536, comma 1, le parole: «e designa il giornale o i giornali in cui deve essere inserita» sono soppresse.
3. Al comma 4 dell’articolo 171-ter della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, la lettera b) è sostituita dalla seguente:
«b) la pubblicazione della sentenza ai sensi dell’articolo 36, secondo comma, del codice penale».
4. All’articolo 18, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, le parole da: «in uno o più giornali indicati dal giudice» fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: «nel sito internet del Ministero della giustizia. La sentenza è altresì pubblicata mediante affissione nel comune ove l’ente ha sede principale. La durata della pubblicazione è stabilita dal giudice in misura non superiore a trenta giorni. In mancanza, la durata è di quindici giorni».

5. Al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 13 (L), dopo il comma 2 è inserito il seguente:
«2-bis. Per i processi dinanzi alla Corte di cassazione, oltre al contributo unificato, è dovuto un importo pari all’imposta fissa di registrazione dei provvedimenti giudiziari»;
b) al comma 2 dell’articolo 52 (L), le parole: «di un quarto» sono sostituite dalle seguenti: «di un terzo»;

c) all’articolo 73 (R) è aggiunto, in fine, il seguente comma:

«2-bis. I provvedimenti della Corte di cassazione sono esenti dall’obbligo della registrazione. (L)»;

d) alla parte II, dopo il titolo XIV è aggiunto il seguente:

«TITOLO XIV-bis

REGISTRAZIONE DEGLI ATTI
GIUDIZIARI NEL PROCESSO PENALE

Art. 73-bis (L). - (Termini per la richiesta di registrazione). – 1. La registrazione della sentenza di condanna al risarcimento del danno prodotto da fatti costituenti reato deve essere richiesta entro cinque giorni dal passaggio in giudicato.

Art. 73-ter (L). - (Procedura per la registrazione degli atti giudiziari). – 1. La trasmissione della sentenza all’ufficio finanziario è curata dal funzionario addetto all’ufficio del giudice dell’esecuzione»;
e) all’articolo 205 (L) sono apportate le seguenti modificazioni:
1) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Recupero intero, forfettizzato e per quota»;

2) i commi 1 e 2 sono sostituiti dai seguenti:

«1. Le spese del processo penale anticipate dall’erario sono recuperate nei confronti di ciascun condannato, senza vincolo di solidarietà, nella misura fissa stabilita con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi dell’articolo 17, commi 3 e 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400. L’ammontare degli importi può essere rideterminato ogni anno.

2. Il decreto di cui al comma 1 determina la misura del recupero con riferimento al grado di giudizio e al tipo di processo. Il giudice, in ragione della complessità delle indagini e degli atti compiuti, nella statuizione di condanna al pagamento delle spese processuali può disporre che gli importi siano aumentati sino al triplo. Sono recuperate per intero, oltre quelle previste dal comma 2-bis, le spese per la consulenza tecnica e per la perizia, le spese per la pubblicazione della sentenza penale di condanna e le spese per la demolizione di opere abusive e per la riduzione in pristino dei luoghi, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 32, comma 12, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326»;

3) sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:
«2-quater. Gli importi di cui al comma 2-bis, nonché le spese per la consulenza tecnica e per la perizia, le spese per la pubblicazione della sentenza penale di condanna e le spese per la demolizione di opere abusive e per la riduzione in pristino dei luoghi, di cui al comma 2, sono recuperati nei confronti di ciascun condannato in misura corrispondente alla quota del debito da ciascuno dovuta in base al decreto di cui al comma 1, senza vincolo di solidarietà.

2-quinquies. Il contributo unificato e l’imposta di registro prenotati a debito per l’azione civile nel processo penale sono recuperati nei confronti di ciascun condannato al risarcimento del danno in misura corrispondente alla quota del debito da ciascuno dovuta, senza vincolo di solidarietà.
2-sexies. Gli oneri tributari relativi al sequestro conservativo di cui all’articolo 316 del codice di procedura penale sono recuperati nei confronti del condannato a carico del quale è stato disposto il sequestro conservativo»;

f) all’articolo 208 (R), il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. Se non diversamente stabilito in modo espresso, ai fini delle norme che seguono e di quelle cui si rinvia, l’ufficio incaricato della gestione delle attività connesse alla riscossione è così individuato:
a) per il processo civile, amministrativo, contabile e tributario è quello presso il magistrato, diverso dalla Corte di cassazione, il cui provvedimento è passato in giudicato o presso il magistrato il cui provvedimento è divenuto definitivo;

b) per il processo penale è quello presso il giudice dell’esecuzione. (L)»;

g) alla parte VII, titolo II, la rubrica è sostituita dalla seguente: «Disposizioni generali per le spese nel processo amministrativo, contabile e tributario»;

h) all’articolo 212 (R) sono apportate le seguenti modificazioni:

1) al comma 1, le parole: «o, per le spese di mantenimento, cessata l’espiazione della pena in istituto» sono soppresse;

2) al comma 2, le parole: «o dalla cessazione dell’espiazione della pena in istituto» sono soppresse;

i) il capo VI-bis del titolo II della parte VII è sostituito dal seguente titolo:

«TITOLO II-bis

DISPOSIZIONI GENERALI PER SPESE DI MANTENIMENTO IN CARCERE, SPESE PROCESSUALI, PENE PECUNIARIE, SANZIONI AMMINISTRATIVE PECUNIARIE E SANZIONI PECUNIARIE PROCESSUALI NEL PROCESSO CIVILE E PENALE

Capo I

RISCOSSIONE MEDIANTE RUOLO

Art. 227-bis (L). - (Quantificazione dell’importo dovuto). – 1. La quantificazione dell’importo dovuto è effettuata secondo quanto disposto dall’articolo 211. Ad essa provvede l’ufficio ovvero, a decorrere dalla data di stipula della convenzione prevista dall’articolo 1, comma 367, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e successive modificazioni, e per i crediti ivi indicati, la società Equitalia Giustizia Spa.

Art. 227-ter (L). - (Riscossione mediante ruolo). – 1. Entro un mese dalla data del passaggio in giudicato della sentenza o dalla data in cui è divenuto definitivo il provvedimento da cui sorge l’obbligo o, per le spese di mantenimento, cessata l’espiazione in istituto, l’ufficio ovvero, a decorrere dalla data di stipula della convenzione prevista dall’articolo 1, comma 367, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e successive modificazioni, e per i crediti ivi indicati, la società Equitalia Giustizia Spa procede all’iscrizione a ruolo.
Art. 227-quater (L). - (Norme applicabili). – 1. Alle attività previste dal presente titolo si applicano gli articoli 214, 215, 216, 218, comma 2, e 220».

6. Fino all’emanazione del decreto di cui all’articolo 205 (L), comma 1, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, come sostituito dal presente articolo, il recupero delle spese avviene secondo le norme anteriormente vigenti.

7. L’articolo 208, comma 1 (L), del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, come sostituito dal presente articolo, si applica ai procedimenti definiti dopo la data di entrata in vigore della presente legge.
8. All’articolo 1, comma 367, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’alinea, dopo le parole: «conseguenti ai provvedimenti passati in giudicato o divenuti definitivi a decorrere dal 1º gennaio 2008» sono inserite le seguenti: «o relative al mantenimento in carcere per condanne, per le quali sia cessata l’espiazione della pena in istituto a decorrere dalla stessa data»;

b) la lettera a) è sostituita dalla seguente:

«a) acquisizione dei dati anagrafici del debitore e quantificazione del credito, nella misura stabilita dal decreto del Ministro della giustizia adottato a norma dell’articolo 205 (L) del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive modificazioni»;
c) la lettera b) è sostituita dalla seguente:
«b) iscrizione a ruolo del credito»;
d) la lettera c) è abrogata.

Art. 41.

(Abrogazioni e modificazione di norme)

1. Dalla data di entrata in vigore della presente legge:

a) l’articolo 25 (L) del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, è abrogato;

b) al comma 1 dell’articolo 243 (R) del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, le parole: «e le somme relative ai diritti di cui all’articolo 25» sono soppresse;
c) l’articolo 1, comma 372, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, è abrogato.

Art. 42.

(Rimedi giustiziali contro la pubblica
amministrazione)

1. All’articolo 13, primo comma, alinea, del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199, dopo il secondo periodo è inserito il seguente: «Se ritiene che il ricorso non possa essere deciso indipendentemente dalla risoluzione di una questione di legittimità costituzionale che non risulti manifestamente infondata, sospende l’espressione del parere e, riferendo i termini e i motivi della questione, ordina alla segreteria l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87, nonché la notifica del provvedimento ai soggetti ivi indicati».

2. All’articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo comma:
1) al primo periodo sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, conforme al parere del Consiglio di Stato»;

2) il secondo periodo è soppresso;

b) il secondo comma è abrogato.

Capo VI

PRIVATIZZAZIONI

Art. 43.

(Patrimonio dello Stato Spa)

1. All’articolo 7, comma 10, del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 giugno 2002, n. 112, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al secondo periodo, dopo le parole: «iscrizione dei beni» sono inserite le seguenti: «e degli altri diritti costituiti a favore dello Stato»;

b) dopo il secondo periodo è inserito il seguente: «La pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze che dispone il trasferimento dei crediti dello Stato e le modalità di realizzo dei medesimi produce gli effetti indicati dal primo comma dell’articolo 1264 del codice civile».

Art. 44.

(Società pubbliche)

1. All’articolo 3 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 12 è sostituito dai seguenti:
«12. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 1, commi 459, 460, 461, 462 e 463, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ovvero da eventuali disposizioni speciali, gli statuti delle società non quotate, direttamente o indirettamente controllate dallo Stato ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile, si adeguano alle seguenti disposizioni:
a) ridurre il numero massimo dei componenti degli organi di amministrazione a cinque se le disposizioni statutarie vigenti prevedono un numero massimo di componenti superiore a cinque, e a sette se le citate disposizioni statutarie prevedono un numero massimo di componenti superiore a sette. I compensi deliberati ai sensi dell’articolo 2389, primo comma, del codice civile sono ridotti, in sede di prima applicazione delle presenti disposizioni, del 25 per cento rispetto ai compensi precedentemente deliberati per ciascun componente dell’organo di amministrazione;

b) prevedere che al presidente possano essere attribuite deleghe operative con delibera dell’assemblea dei soci;
c) sopprimere la carica di vicepresidente eventualmente contemplata dagli statuti, ovvero prevedere che la carica stessa sia mantenuta esclusivamente quale modalità di individuazione del sostituto del presidente in caso di assenza o impedimento, senza dare titolo a compensi aggiuntivi;
d) prevedere che l’organo di amministrazione possa delegare proprie attribuzioni a un solo componente, al quale soltanto possono essere riconosciuti compensi ai sensi dell’articolo 2389, terzo comma, del codice civile;
e) prevedere, in deroga a quanto previsto dalla lettera d), la possibilità che l’organo di amministrazione conferisca deleghe per singoli atti anche ad altri membri dell’organo stesso, a condizione che non siano previsti compensi aggiuntivi;
f) prevedere che la funzione di controllo interno riferisca all’organo di amministrazione o, fermo restando quanto previsto dal comma 12-bis, a un apposito comitato eventualmente costituito all’interno dell’organo di amministrazione;
g) prevedere il divieto di corrispondere gettoni di presenza ai componenti degli organi sociali.

12-bis. Le società di cui al comma 12 provvedono a limitare ai casi strettamente necessari la costituzione di comitati con funzioni consultive o di proposta. Per il caso di loro costituzione, in deroga a quanto previsto dal comma 12, lettera d), può essere riconosciuta a ciascuno dei componenti di tali comitati una remunerazione complessivamente non superiore al 30 per cento del compenso deliberato per la carica di componente dell’organo amministrativo»;
b) al comma 27, le parole: «o indirettamente» sono soppresse;

c) dopo il comma 27 è inserito il seguente:

«27-bis. Per le amministrazioni dello Stato restano ferme le competenze del Ministero dell’economia e delle finanze già previste dalle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge. In caso di costituzione di società che producono servizi di interesse generale e di assunzione di partecipazioni in tali società, le relative partecipazioni sono attribuite al Ministero dell’economia e delle finanze, che esercita i diritti dell’azionista di concerto con i Ministeri competenti per materia»;
d) dopo il comma 28 è inserito il seguente:
«28-bis. Per le amministrazioni dello Stato, l’autorizzazione di cui al comma 28 è data con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze»;
e) al comma 29, le parole: «Entro diciotto mesi» sono sostituite dalle seguenti: «Entro trentasei mesi» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Per le società partecipate dallo Stato, restano ferme le disposizioni di legge in materia di alienazione di partecipazioni»;

f) dopo il comma 32 sono inseriti i seguenti:

«32-bis. Il comma 734 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si interpreta nel senso che non può essere nominato amministratore di ente, istituzione, azienda pubblica, società a totale o parziale capitale pubblico chi, avendo ricoperto nei cinque anni precedenti incarichi analoghi, abbia registrato, per tre esercizi consecutivi, un progressivo peggioramento dei conti per ragioni riferibili a non necessitate scelte gestionali.

32-ter. Le disposizioni dei commi da 27 a 31 non si applicano per le partecipazioni in società emittenti strumenti finanziari quotati nei mercati regolamentati».

Capo VII

ATTUAZIONE DEL FEDERALISMO

Art. 45.

(Attuazione del federalismo)

1. Per lo studio delle problematiche connesse all’effettiva attuazione della riforma federalista, assicurando un contesto di stabilità e piena compatibilità finanziaria con gli impegni europei e internazionali assunti, è stanziata la somma di 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e di 1,2 milioni di euro a decorrere dall’anno 2010. Alla relativa copertura finanziaria si provvede, per gli anni 2008 e 2009, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell’ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della salute, e, a decorrere dall’anno 2010, a valere sulle risorse derivanti dall’attuazione dell’articolo 45, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 46.

(Clausola di salvaguardia)

1. Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano adeguano la propria legislazione ai princìpi contenuti nella presente legge nell’esercizio delle potestà loro attribuite dallo Statuto

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