martedì 30 dicembre 2008

Estinzione del reato, non è possibile la confisca, salvo l'ipotesi dell'art. 240 comma II n. 2 e quelle previste dalla legislazione speciale

Deve, pertanto, ritenersi corretta l'interpretazione secondo la quale la formula normativa «è sempre ordinata» di cui al secondo comma dell'art. 240 c.p. si contrappone a quella «può ordinare» di cui al primo comma, fermo rimanendo il presupposto «nel caso di condanna» fissato dallo stesso primo comma ed esplicitamente derogato solo con riferimento alle cose di cui al n. 2 del secondo comma. In altri termini, l'avverbio “sempre” è finalizzato solo a trapporre la confisca obbligatoria alla confisca facoltativa, ma non la confisca in presenza o in assenza di condanna.

Cassazione - Sezioni unite penali - sentenza 10 luglio - 15 ottobre 2008, n. 38834 (Presidente Morelli - Relatore Fiandanese)


Svolgimento del procedimento


Con ordinanza in data 1 febbraio 2007 il G.I.P. del Tribunale di Napoli, investito quale giudice

dell'esecuzione, respingeva l'opposizione presentata, ex art. 667, comma 4, c.p.p., dal P.M. contro il

provvedimento del 21 luglio 2007 che aveva disposto il dissequestro e la restituzione a De Maio Francesco

di alcuni beni costituenti il prezzo dei reati di corruzione a lui ascritti, in relazione ai quali il G.I.P. del

Tribunale di Napoli, con sentenza in data 11 dicembre 2002, confermata dalla Corte di Appello della stessa

sede in data 12 ottobre 2004, aveva dichiarato non doversi procedere per essere i reati estinti per

prescrizione, nulla disponendo in ordine agli oggetti in sequestro.
Con la sua ordinanza il G.I.P. richiamava i principi formulati, sia pure incidenter tantum, dalla sentenza delle

Sezioni Unite di questa Suprema Corte n. 5 del 25 marzo 1993, Carlea, ritenendo che essi non fossero

superati da successive e convincenti decisioni di segno opposto e che, pertanto, solo le cose oggettivamente

criminose potessero essere confiscate anche in assenza di sentenza di condanna, ai sensi del disposto

dell'art. 240, comma 2, n. 2, c.p. e non anche il prezzo del reato di cui al n. 1 dello stesso comma 2 dell'art.

240 c.p..

Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli,

argomentando dal combinato disposto degli artt. 240, 236 e 210 c.p., in quanto l'art. 236, comma 2, c.p.

prevede espressamente che, nell'ipotesi di confisca, non si applica la norma di cui all'art. 210 c.p., la quale, a

sua volta, al primo comma, prevede che l'estinzione del reato impedisce l'applicazione delle misure di

sicurezza, con la conseguenza, ad avviso del p.m. ricorrente, che la confisca, qualora ne ricorrano gli altri

presupposti, può essere disposta anche in caso di estinzione del reato; ritenere che, nei casi di

proscioglimento, la confisca possa essere disposta solo nelle ipotesi previste dall'art. 240, comma 2, n. 2,

c.p. renderebbe priva di senso la disciplina derogatoria dell'art. 236 c.p.. Inoltre, secondo il p.m. ricorrente,

non sarebbe pacifico che la frase “anche se non è stata pronunciata condanna”, collocata alla fine del n. 2

del comma 2 dell'art. 240 c.p. si riferisca solo alle cose indicate in tale numero e non anche a quelle indicate

nel n. 1 del medesimo comma, dovendosi ritenere, al contrario, che tale frase, collocata alla fine del

capoverso per mere ragioni espositive, si riferisca ad entrambe le categorie di cose elencate ai nn. 1) e 2) di

detto capoverso; d'altro canto, diversamente argomentando, non si comprenderebbe il perché l'inciso “in

caso di condanna” sia riportato solo nel primo comma di detto articolo, a proposito di altre categorie di cose,

e non sia stato ripetuto anche nel n. 1 del secondo comma.

La I Sezione penale di questa Corte, alla quale il ricorso era stato assegnato, con provvedimento del 28

marzo 2008 ne disponeva la rimessione alle Sezioni Unite.

Il provvedimento di rimessione rilevava che l'orientamento espresso dalla citata sentenza n. 5 del 1993 delle

Sezioni Unite, chiamata a decidere del caso particolare della confisca prevista dall'art. 722 c.p. e non della

più generale ipotesi disciplinata dall'art. 240 c.p., era stato seguito da pronunce conformi, mentre altre
sentenze si erano espresse in modo contrastante. Osservava, inoltre, che la ratio che aveva ispirato le

Sezioni Unite, cioè il timore di superamento in sede di cognizione o addirittura in sede esecutiva dei limiti

della cognizione, aveva visto con il tempo, attraverso varie modifiche legislative e la evoluzione

giurisprudenziale progressivamente abbandonare il “mito” del giudicato, attraverso l'attribuzione al giudice

dell'esecuzione di accertamenti ben più pregnanti di quelli della configurabilità astratta del fatto reato.

Il difensore di De Maio ha depositato memoria, nella quale si richiama la nuova disciplina in materia di
confisca contenuta negli artt. 322 ter e 335 bis c.p., con specifico riferimento alla corruzione, reato appunto

contestato al De Maio. Tale disciplina, che individua quale presupposto legale per l'ammissibilità della misura

ablativa, una sentenza di condanna o di applicazione di pena su richiesta, sarebbe applicabile nel caso di

specie, pur con riferimento a fatti antecedenti alla sua entrata in vigore, poiché, ai sensi dell'art. 199 c.p.
(rectius art. 200 c.p.), in materia di misure di sicurezza deve applicarsi la normativa vigente al momento della

loro esecuzione e non quella in vigore al tempo della commissione del fatto criminoso.

Lo stesso difensore aggiunge che, anche nell'ipotesi in cui si ritenga l'applicabilità nel caso di specie della
disciplina generale di cui all'art. 240 c.p., in luogo di quella speciale ex artt. 322 ter e 335 bis c.p., rimane

fermo che condizione della operatività della misura di sicurezza della confisca deve essere una sentenza di

condanna, con l'unica eccezione delle cose obiettivamente criminose, poiché l'inciso “anche se non è stata

pronunciata sentenza di condanna” è contenuto solo nel n. 2 del comma secondo dell'art. 240 c.p..



Motivi della decisione



Occorre preliminarmente osservare che non è accoglibile la tesi esposta nella memoria difensiva, che se

fondata sarebbe rilevabile d'ufficio, circa la applicabilità della nuova disciplina in materia di confisca dettata
dall'art. 322 ter c.p. con riferimento, tra gli altri reati, alla corruzione, che era stata, appunto, contestata al De

Maio. Infatti, per espresso disposto dell'art. 15 della legge 29 settembre 2000, n. 300, che ha introdotto il
citato art. 322 ter, la nuova normativa non è applicabile “ai reati commessi prima del 22 ottobre 2000”. Nel

caso di specie, trattandosi di reato commesso in data anteriore a quella da ultimo indicata, deve applicarsi la

normativa generale al tempo vigente, cioè quella di cui all'art. 240, comma 2, n. l, c.p..

Ciò osservato, occorre procedere ad una corretta ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali della

Corte Suprema sulla questione sottoposta all'esame di queste Sezioni Unite.

Le Sezioni Unite di questa Suprema Corte sulla medesima questione si sono già espresse con la sentenza

25 marzo n. 5, Carlea (rv. 193120). In verità, le Sezioni Unite erano state chiamate a pronunciarsi sulla

interpretazione del disposto dell'art. 722 c.p., che, con riferimento alle contravvenzioni relative al giuoco

d'azzardo, prevedeva che «è sempre ordinata la confisca del denaro esposto nel giuoco e degli arnesi od

oggetti ad esso destinati», essendosi manifestato, con riguardo a tale specifica norma, un contrasto

giurisprudenziale fra la tesi secondo cui essa sarebbe stata da intendere nel senso della obbligatorietà della

confisca anche in caso di proscioglimento e quella secondo cui l'obbligatorietà avrebbe comunque dovuto

avere come presupposto una pronuncia di condanna. La citata sentenza delle Sezioni Unite afferma che

l'avverbio “sempre” di cui al citato art. 722 c.p. ha «inteso rendere obbligatoria una confisca che altrimenti

sarebbe stata facoltativa», ma «non sta a significare che la misura deve essere disposta anche nel caso di

proscioglimento e in particolare nel caso di estinzione del reato».

Peraltro, la stessa sentenza ritiene che tale conclusione interpretativa abbia necessità di essere saggiata alla

luce del disposto di cui all'art. 240 c.p., poiché se la misura della confisca in caso di estinzione del reato

«non può ritenersi legittimata dalla disposizione speciale dell'art. 722 c.p. rimane da chiedersi se la

legittimazione non possa tuttavia farsi derivare dalle norme generali sulla confisca».

Le Sezioni Unite, quindi, prendono posizione anche su un contrasto giurisprudenziale che esse stesse

rilevano essersi manifestato sulla interpretazione del combinato disposto degli artt. 210, 236, comma 2, e

240, affermando che «nei casi dell'art. 240, comma 1, e comma 2, n. 1, come in quello dell'art. 722 c.p.,

essendo richiesta la condanna, la confisca se il reato è estinto non può essere disposta, mentre a una

diversa conclusione deve pervenirsi nel caso dell'art. 240, comma 2, n. 2, che impone la confisca anche nel

caso di proscioglimento».

Appare evidente, quindi, che i principi formulati dalla citata sentenza n. 5 del 1993 delle Sezioni Unite sulla
questione in esame non possano definirsi in senso proprio un obiter ditcum, poiché non sono stati

pronunciati in modo incidentale, occasionale, non necessario alla ricostruzione logica del sistema normativo,

bensì come premessa sistematica indispensabile alla soluzione del caso specifico.

La sentenza della Sez. I, 25 settembre 2000, n. 5262, Todesco, (rv. 220007), segnalata nell'ordinanza di

rimessione come espressione di contrasto giurisprudenziale, si richiama, senza autonoma motivazione, ad

una non meglio precisata «risalente giurisprudenza», che si basa sul combinato disposto degli artt. 236,

comma 2, e 210 c.p., ritenendo non conferente il richiamo alla sentenza delle Sezioni Unite n. 5 del 1993,

poiché essa si riferirebbe «al caso particolare della confisca prevista dall'art. 722 c.p.».

Nessun argomento può trarsi anche dall'altra sentenza Sez. V, 14 gennaio 2005, n. 6160, Andronico, rv.

231173, sempre segnalata nell'ordinanza di rimessione, quale espressione dello stesso indirizzo

interpretativo della citata sentenza Todesco, per avere ritenuto che la morte del soggetto proposto per una

misura di prevenzione, prima della applicazione definitiva della misura personale, non impedisce la confisca

dei beni rientranti nella disponibilità del proposto. Infatti, tale sentenza si riferisce alla confisca adottata nel
sistema delle misure di prevenzione di cui all'art. 2 ter legge 31 maggio 1965, n. 575, del tutto speciale sia

per le modalità procedimentali che per il fine perseguito dalla confisca, che è quello di eliminare dal circuito

economico beni in disponibilità di soggetto collegato con organizzazione criminale di stampo mafioso di

presunta illecita acquisizione, in modo tale da impedire la riproducibilità, mediante uso diretto ovvero

reinvestimento dei medesimi, di ricchezza inquinata all'origine, di modo che i beni assoggettati a confisca

finiscono con l'essere oggettivamente pericolosi di per sé, in quanto strumento di sviluppo

dell'organizzazione mafiosa e dei suoi membri (Sez. I, 13 novembre 1997 26 gennaio 1998, n. 6379, Di

Martino, rv. 209556).

Conforme, invece, alla citata sentenza delle Sezioni Unite n. 5 del 1993 è quella della Sez. VI, 19 febbraio

2008, n. 27043, Console, la quale esclude, con riferimento ad un caso di estinzione per prescrizione dei reati

di cui agli artt. 319 e 321 c.p., che la confisca del prezzo del reato possa essere ordinata anche in caso di

proscioglimento per prescrizione, poiché «la particolare natura dell'oggetto della misura patrimoniale, non

illecito di per sé ma per il collegamento con il reato del quale si considera il prezzo, presuppone

l'accertamento del reato stesso».

In mancanza di un effettivo contrasto argomentativo nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, non si

può prescindere dal ripercorrere la motivazione della sentenza Carlea, al fine di verificarne la condivisibilità

anche alla luce delle successive modifiche normative.

I punti fondamentali della suddetta motivazione sono i seguenti:

a) l'avverbio “sempre”, all'inizio del comma 2 dell'art. 240 c.p. ha inteso rendere obbligatoria, diversamente

da quanto previsto dal comma 1 dello stesso articolo, una confisca che altrimenti sarebbe stata facoltativa;

b) solo nei casi indicati nel n. 2 del comma 2 dell'art. 240 l'obbligatorietà è destinata ad operare «anche se

non è stata pronunciata condanna»;

c) non può trarsi contrario argomento dall'art. 236, comma 2, c.p., che rende inoperanti rispetto alla confisca

le disposizioni dell'art. 210, che prevedono, tra l'altro, che «l'estinzione del reato impedisce l'applicazione

delle misure di sicurezza e ne fa cessare l'esecuzione», poiché tale previsione normativa «si limita ad

indicare le disposizioni sulle misure di sicurezza personali che sono applicabili alle misure di sicurezza

patrimoniali (contribuendo a delinearne la disciplina complessiva), ma non è diretto a stabilire i casi in cui

queste misure possono essere disposte», dovendosi fare capo alle diverse disposizioni speciali, come quella

dell'art. 240 c.p., per stabilire di volta in volta se la misura presuppone la condanna o può essere disposta

anche in seguito al proscioglimento; «né si può dire che questa interpretazione renderebbe inutile l'art. 236,

comma 2, nella parte in cui ha reso inapplicabile alla confisca l'art. 210 c.p., sia perché in mancanza della

disposizione dell'art. 236, comma 2, si sarebbe potuto ravvisare nell'estinzione del reato (analogamente a

quanto avviene per altre misure di sicurezza) un ostacolo alla confisca pure nei casi in cui ne è

espressamente prevista l'applicazione in seguito al proscioglimento, sia perché avrebbero inciso sulla

confisca anche l'amnistia impropria e le cause di estinzione della pena, che invece cosi sono state rese

inoperanti»;

d) per disporre la confisca nel caso di estinzione del reato il giudice dovrebbe svolgere degli accertamenti

che lo porterebbero a superare i limiti della cognizione connaturata alla particolare situazione processuale, e

«sotto questo aspetto è evidente la differenza tra i casi dell'art. 240, comma 2, n. 2, e gli altri, perché l'art.

240, comma 2, n. 2, è focalizzato soprattutto sulle caratteristiche delle cose da confiscare, le quali in genere

non richiedono accertamenti anomali rispetto all'obbligo dell'immediata declaratoria di estinzione del reato».

Orbene, con riferimento all'interpretazione dell'avverbio “sempre” contenuto nel testo della norma in esame,

si deve osservare che, sulla base di una normale e diffusa tecnica legislativa, esso è adoperato per indicare

una preclusione alla valutazione discrezionale del giudice nel potere di disporre la confisca, non certo per

porre un'eccezione alle condizioni previste per l'esercizio dello stesso potere nelle singole fattispecie; anzi,

spesso l'avverbio si accompagna e si collega, nella stessa proposizione, proprio al presupposto
dell'esistenza di una sentenza di condanna (si vedano ad es. artt. 270 bis, comma 4, 322 ter, comma 1, 417,

538, 544 sexies, 600 septies, comma 1, c.p., nonché artt. 9, comma 6, L. 14 dicembre 2000, n. 376, inmateria di tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping, 12
sexies, comma 1, D.L. 8giugno 1992, n. 306, in materia di criminalità mafiosa, 9 ter, comma 3, D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, codice

della strada), in taluni casi è addirittura utilizzato come rafforzativo della obbligatorietà, sempre sul
presupposto di una sentenza di condanna (art. 416 bis, comma 7, c.p.); negli stessi termini, come sinonimo

dell'avverbio “sempre” è talvolta utilizzata la locuzione “in ogni caso” (art. 28, comma 2, l. 11 febbraio 1992,

n. 157, in materia di caccia).

Deve, pertanto, ritenersi corretta l'interpretazione secondo la quale la formula normativa «è sempre

ordinata» di cui al secondo comma dell'art. 240 c.p. si contrappone a quella «può ordinare» di cui al primo

comma, fermo rimanendo il presupposto «nel caso di condanna» fissato dallo stesso primo comma ed

esplicitamente derogato solo con riferimento alle cose di cui al n. 2 del secondo comma. In altri termini,

l'avverbio “sempre” è finalizzato solo a contrapporre la confisca obbligatoria alla confisca facoltativa, ma non

la confisca in presenza o in assenza di condanna.

D'altro canto, non può assolutamente condividersi la tesi secondo la quale l'inciso «anche se non è stata

pronunciata condanna», contenuto nel n. 2 del comma 2 dell'art. 240 c.p., debba essere riferito anche alla

previsione di cui al n. 1, poiché in tal modo verrebbe a forzarsi il normale collegamento logico tra le singole

proposizioni del testo della norma, per di più inserite in numeri ben distinti, essendo evidente che una

normale, e non particolarmente specialistica, tecnica legislativa, se avesse voluto riferire l'inciso suddetto ad

entrambi i numeri del comma l'avrebbe inserito all'inizio del capoverso, dopo l'altro «è sempre ordinata la

confisca».



La disposizione dell'art. 236, comma 2, c.p., che rende inapplicabili con riferimento specifico alla confisca le

disposizioni dell'art. 210, che prevedono, tra l'altro, che «l'estinzione del reato impedisce l'applicazione delle

misure di sicurezza e ne fa cessare l'esecuzione», formula un principio di carattere generale, che lascia, poi,

libero il legislatore di stabilire i casi in cui tale effetto impeditivo si produce anche con riferimento alla

confisca, tanto è vero che è lo stesso articolo 240, al comma 1, c.p., oltre ad una serie di leggi speciali (si

vedano quelle sopra citate), a prevedere, appunto, in quali casi è necessaria una condanna per ordinare la

confisca.



Tale conclusione interpretativa a livello testuale può trovare conferma anche nel sistema legislativo quale
risulta innovato dalla legge 29 settembre 2000, n. 300, che ha introdotto l'art. 322 ter c.p., proprio con

riferimento ad una serie di reati contro la pubblica amministrazione, tra i quali la corruzione contestata al De

Maio.

Il citato articolo stabilisce che è “sempre” e, quindi, obbligatoriamente, ordinata la confisca dei beni che

costituiscono il profitto o il prezzo del reato, ovvero, «quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui

il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo», sul presupposto espresso che vi sia

stata condanna o applicazione di pena su richiesta delle parti a norma dell'art. 444 c.p.p..



Con tale normativa il legislatore italiano si è allineato, sia pure con riferimento ad un ristretto numero di reati,

ai dettati internazionali in materia di confisca (Sez. II, 12 dicembre 2006 - 31 gennaio 2007, n. 3629, Ideal

Standard Italia), in particolare prevedendo la confisca per valore. Dalla disposizione citata si rileva che, pur

in un contesto di convenzioni internazionali la cui finalità è quella di potenziare gli strumenti di contrasto alla

criminalità, in particolare neutralizzando ogni vantaggio economico derivante da attività criminose, il

legislatore ha bensì esteso la obbligatorietà della confisca anche al profitto del reato, che l'art. 240, comma

1, c.p. prevedeva come facoltativa, ma ha mantenuto fermo il presupposto della condanna, prevedendo

soltanto l'ulteriore ipotesi della sentenza ex art. 444 c.p.p., presupposto espressamente richiesto anche per

la confisca del “prezzo” del reato. Se, pertanto, si accede all'interpretazione secondo la quale, sulla base del

testo dell'art. 240 c.p., la confisca del prezzo della corruzione poteva prescindere dalla condanna, il

legislatore avrebbe reso l'applicazione della confisca più restrittiva di quanto in precedenza previsto, e ciò

sarebbe difficilmente comprensibile in considerazione delle finalità della nuova normativa.



E', invece, più conforme ad una ricostruzione razionale del succedersi delle leggi ritenere che il legislatore

abbia basato il suo intervento innovativo proprio sul presupposto che non solo il profitto, ma anche il prezzo

della corruzione fossero confiscabili solo in caso di condanna, prevedendo l'ulteriore ipotesi della sentenza

ex art. 444 c.p.p..



Già queste considerazioni sono sufficienti per risolvere la questione di diritto sottoposta a queste Sezioni

Unite, affermando il principio che «la confisca delle cose costituenti il prezzo del reato, prevista

obbligatoriamente dall'art. 240, comma 2, n. 1, c.p., non può essere disposta nel caso di estinzione del

reato».



Occorre, però, ancora osservare che la sentenza delle Sezioni Unite n. 5 del 1993, cit., ha affermato anche

che «per disporre la confisca nel caso di estinzione del reato il giudice dovrebbe svolgere degli accertamenti

che lo porterebbero a superare i limiti della cognizione connaturata alla particolare situazione processuale».



Tale affermazione, che è ripresa da Sez. VI n. 27043 del 2008, Console, cit., quale motivazione unica della

esclusione di confiscabilità del prezzo del reato in assenza di sentenza di condanna, deve, però, essere

aggiornata, anche alla luce di un sistema processuale, che si è sviluppato attraverso molteplici modifiche

legislative ed incisive evoluzioni giurisprudenziali.



Si consideri, in primo luogo, che al giudice sono riconosciuti ampi poteri di accertamento del fatto nel caso in

cui ciò sia necessario ai fini di una pronuncia sull'azione civile, tanto che la parte civile può proporre

impugnazione, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel

giudizio (art. 576 c.p.p.), con la conseguenza che il giudice può pervenire all'affermazione della

responsabilità dell'imputato, anche se nei confronti di costui sia dichiarata l'estinzione del reato per

prescrizione, per un fatto previsto dalla legge come reato, che giustifica la condanna alle restituzioni ed al

risarcimento del danno (Sez. Un., 29 marzo 2007, n. 27614, Lista, rv. 236537; Sez. Un., 11 luglio 2006 n.

25083, Negri, rv. 233918; Sez. II, 24 ottobre 2003 - 16 gennaio 2004, n. 897, Cantamessa, rv. 227966).


Si consideri, ancora, che il comma 4 dell'art. 425 c.p.p., come modificato dall'art. 2 sexies, comma 1, d.l. 7

aprile 2000, n. 82, convertito con modificazioni in l. 5 giugno 2000, n. 144, prevede uno specifico

ampliamento dei poteri del giudice dell'udienza preliminare, il quale può pronunciare sentenza di non luogo a

procedere anche se ritiene che dal proscioglimento dovrebbe conseguire l'applicazione della misura di

sicurezza della confisca.

Si consideri, infine, la legislazione speciale, come interpretata dalla costante giurisprudenza di questa

Suprema Corte.



Ad esempio, in tema di lottizzazione abusiva, l'art. 44, comma 2, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, stabilisce che il

giudice penale dispone la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite,

con la «sentenza definitiva», che «accerta che vi è stata lottizzazione abusiva». Tale disposizione viene

interpretata nel senso che essa prevede l'obbligatorietà della confisca indipendentemente da una pronuncia

di condanna, in conseguenza all'accertamento giudiziale della sussistenza del reato di lottizzazione abusiva,

salvo il caso di assoluzione per insussistenza del fatto (da ultimo: Sez. III, 21 novembre 2007 - 5 marzo

2008, n. 9982, Quattrone, rv. 238984; Sez. Ili, 7 luglio 2004, n. 37086, Perniciaro, rv. 230031).



Ancora si può citare l'art. 301, d.p.r. 23 gennaio 1973, n. 43, sostituito dall'art. 11 l. 30 dicembre 1991, n. 413,

che, al comma 1, dispone «nei casi di contrabbando è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono

o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l'oggetto ovvero il prodotto o il profitto».



Anche in tale fattispecie la giurisprudenza è uniforme nel ritenere che la confisca possa essere disposta

sebbene il reato venga dichiarato estinto per prescrizione, sempre che non venga escluso il rapporto tra la
res ed il fatto di contrabbando (da ultimo: Sez. III, 21 settembre 2007, n. 38724, Del Duca, rv. 237924; Sez.

III, 26 novembre 2001 - 7 febbraio 2002, n. 4739, Vanni, rv. 221054).



Già questi brevi richiami consentono di affermare che, rispetto all'obbligo dell'immediata declaratoria di

estinzione del reato, la circostanza che il giudice possa procedere ad accertamenti non può affatto

considerarsi in linea di principio “anomala”.



Né si può trascurare che, come insegna la stessa Corte Costituzionale (da ultimo sent. n. 85 del 2008) che la

categoria delle sentenze di proscioglimento, a parte quelle ampiamente liberatorie perché pronunciate con le

formule «il fatto non sussiste» e «l'imputato non lo ha commesso», comprende «sentenze che, pur non

applicando una pena, comportano - in diverse forme e gradazioni - un sostanziale riconoscimento della

responsabilità dell'imputato o, comunque, l'attribuzione del fatto all'imputato stesso» e ciò in particolare vale

per le dichiarazioni di estinzione del reato per prescrizione.



Occorre anche considerare, in linea generale, ciò che la Corte Costituzionale osservava già nei primi anni

'60 (Corte Cost. 1961 n. 29; Id. 1964, n. 46) e cioè che la confisca può presentarsi, nelle leggi che la

prevedono, con varia natura giuridica. Il suo contenuto è sempre la privazione di beni economici, ma questa

può essere disposta per diversi motivi e indirizzata a varie finalità, così da assumere, volta per volta, natura

e funzione o di pena, o di misura di sicurezza, ovvero anche di misura amministrativa. Ciò che, pertanto,

spetta di considerare non è una astratta e generica figura di confisca, ma, in concreto, la confisca così come

risulta da una determinata legge.



Si comprende, pertanto, come sia ben difficile formulare principi uniformi che valgano per tutte le tipologie

legislativamente previste. Soprattutto in anni recenti, come già osservato da queste Sezioni Unite (Sez. Un.

27 marzo 2008, n. 26654, Fisia Italimpianti Spa) «sono state introdotte nell'ordinamento, in maniera sempre

più esponenziale, ipotesi di confisca obbligatoria dei beni strumentali alla consumazione del reato e del

profitto ricavato, le quali hanno posto in crisi le costruzioni dommatiche elaborate in passato e la
identificazione, attraverso il nomen iuris, di un istituto unitario, superando così i ristretti confini tracciati dalla

norma generale di cui all'art. 240 c.p. (si pensi esemplificativamente alla confisca di cui agli art. 322 ter, 600
septies, 640 quater, 644, 648 quater c.p., 2641 c.c., 187 d. lgs. n. 58/'98, 44/2° dpr n. 380/'01)».

L'obiettivo perseguito dal legislatore con la confisca è sempre più quello di privare l'autore del reato dei

vantaggi economici che da esso derivano.



Pertanto, considerando l'evoluzione della legislazione in materia e la sempre più ampia utilizzazione

dell'istituto della confisca al fine di contrastare i più diffusi fenomeni di criminalità, si può dire che, in caso di

estinzione del reato, il riconoscimento al giudice di poteri di accertamento al fine dell'applicazione della

confisca medesima non possono dirsi necessariamente legati alla facilità dell'accertamento medesimo e che,

quindi, tale accertamento possa riguardare non solo le cose oggettivamente criminose per loro intrinseca

natura (art. 240, comma 2, n. 2, c.p.), ma anche quelle che sono considerate tali dal legislatore per il loro

collegamento con uno specifico fatto reato.



Queste considerazioni non consentono di modificare l'interpretazione che ha portato alla formulazione

dell'indicato principio di diritto, ma si pongono quale motivo di riflessione per il legislatore, rimanendo ancora

valido il monito di una autorevole dottrina, lontana nel tempo, ma presente nell'insegnamento, secondo la

quale è «antigiuridico e immorale» che «il corrotto, non punibile per qualsiasi causa, possa godersi il denaro

ch'egli ebbe per commettere il fatto obiettivamente delittuoso».

Il ricorso, dunque, deve essere rigettato.



P.Q.M.



Rigetta il ricorso.

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