giovedì 11 dicembre 2008

Studio professionale, verifica tributaria e natura della autorizzazione del Procuratore della Repubblica, giurisdizione della commissione tributaria

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV, 5.12.2008 N. 6045

"E’ stato più volte rilevato che in materia di accertamento delle imposte sui redditi il provvedimento del procuratore della Repubblica, autorizzativo della perquisizione del domicilio del contribuente (ex artt. 52, comma 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 33, comma 1, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600), è un atto amministrativo attraverso il quale l’amministrazione finanziaria esercita il potere impositivo e partecipa direttamente della natura amministrativa del provvedimento considerato, condizionandone la legittimità, ed è pertanto sindacabile dal giudice tributario in base ai principi generali che regolano l’attività dello Stato (Cass. Pen, sez. V, 3 dicembre 2001, n. 15230); inoltre sempre in tema di accertamenti fiscali, ed in particolare di indagini svolte ex artt. 33 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 52 e 62 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, è stato precisato che:
a) la Guardia di Finanza, che coopera con gli uffici finanziari, procedendo ad ispezioni, verifiche, richieste ed acquisizioni di notizie, ha l’obbligo di conformarsi alle dette disposizioni, sia quanto alle necessarie autorizzazioni che alle verbalizzazioni;
b) tali indagini hanno carattere amministrativo, e devono essere tenute distinte dalle indagini svolte dalla stessa Guardia di Finanza in veste di polizia giudiziaria diretta all’accertamento di reati (Cass. Pen., sez. V, 16 aprile 2007, n. 8990).


R E P U B B L I C A I T A L I A N A
N.
Reg. Dec. 6045/2008
N. 2455 Reg. Ric.
Anno 2008
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso in appello iscritto al NRG 2455 dell’anno 2008 proposto dallo STUDIO LEGALE E TRIBUTARIO ASSOCIATO, Associazione professionale, in persona di Tizio, rappresentati e difesi dagli avvocati Sempronio e Caio e dagli Pinco, questo ultimo difensore di sé stesso, tutti elettivamente domiciliati in Roma;
contro
PROCURA DELLA REPUBBLICA DI MILANO, GUARDIA DI FINANZA – NUCLEO REGIONALE DI POLIZIA TRIBUTARIA DELLA GUARDIA DI FINANZA DI MILANO, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE E PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, ognuno in persona del proprio legale rappresentante in carica, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano ope legis in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
e nei confronti
del CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI MILANO, in persona del legale rappresentante in carica,
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sez. IV, n. 261 del 5 febbraio 2008;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Procura della Repubblica di Milano, della Guardia di Finanza – Nucleo Regionale di Polizia Tributaria di Milano, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’economia e delle finanze e del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive tesi difensive;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, all’udienza del 15 luglio 2008, il consigliere Carlo Saltelli;
Uditi per le parti;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
F A T T O
Il 20 settembre 2007 militari appartenenti al Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Milano si recavano presso lo Studio Legale e Tributario per eseguire una verifica parziale ai fini delle imposte sui redditi per gli anni 2005, 2006 e 2007, ai sensi e per gli effetti degli artt. 52 e 63 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dell’art. 33 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e dell’art. 1 del D. Lgs. 19 marzo 2001, n. 68.
Durante le operazioni di rinvenimento e di acquisizione della documentazione ritenuta significativa il rappresentante legale del predetto studio associato eccepiva il segreto professionale con riguardo alla corrispondenza, custodita nei locali in uso ai singoli professionisti associati, intrattenuta con la clientela.
I militari sospendevano le operazioni e chiedevano alla Procura della Repubblica di Milano l’autorizzazione di cui all’articolo 52, comma 3, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, richiamato dall’articolo 33 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per l’esame e/o l’acquisizione di documentazioni in deroga al segreto professionale: il Pubblico Ministero, con provvedimento n. 5113/Mod. 45 del 20 settembre 2007, autorizzava effettivamente l’esame dei documenti custoditi nei locali dello Studio utili ai fini della ricerca e della repressione di eventuali violazioni alla normativa tributaria, ordinando, peraltro, la trasmissione degli atti all’uopo redatti alla stessa Procura.
Lo Studio Legale e Tributario, con ricorso giurisdizionale notificato il 26 settembre 2007 chiedevano al Tribunale amministrativo regionale della Lombardia l’annullamento della predetta autorizzazione, deducendone l’illegittimità alla stregua di quattro articolati motivi di censura, rubricati rispettivamente “violazione di legge – violazione degli artt. 15, 24 e 111 della Costituzione – violazione dell’art. 8 della Convenzione Europea sulla tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848, anche in relazione all’art. 117, primo comma, della Costituzione” (primo motivo); “violazione di legge – violazione e falsa applicazione dell’articolo 52, secondo e terzo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, richiamato dall’art. 33 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 – violazione dell’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (carenza totale di motivazione o motivazione tautologica e solo apparente, e omissione delle indicazioni prescritte) – sviamento di potere per totale omissione delle valutazioni inerenti all’uso del potere discrezionale” (secondo motivo); “violazione di legge – violazione del principio fondamentale, di diritto comunitario, di proporzionalità (e richiesta subordinata di formulazione di un quesito di interpretazione pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art. 234 del Trattato CE) anche in relazione agli articoli 3 e 11, primo comma, della Costituzione” (terzo motivo); “violazione di legge e sviamento di potere – violazione, sotto altro profilo, dell’art. 52, terzo comma, del D.P.R. n. 633/72 – sviamento di potere: travisamento dei fatti e perseguimento di finalità diverse da quelle presupposte dalla norma che conferisce il potere discrezionale di derogare al segreto professionale” (quarto motivo).
In sintesi, secondo i ricorrenti, poiché non può dubitarsi che la libertà e la segretezza della corrispondenza costituiscano un diritto fondamentale ed inviolabile di ogni persona e che la relativa limitazione può essere ammessa solo in ipotesi eccezionali e previo atto motivato dell’autorità giudiziaria, l’autorizzazione rilasciata nel caso di specie era priva della indispensabile indicazione delle ragioni che la giustificavano, tale non potendosi ritenere la sola mera richiesta da parte dei militari della Guardia di Finanza; l’atto impugnato, peraltro, non conteneva neppure alcuna valutazione degli interessi pubblici e privati in gioco, né dal suo laconico e tautologico contenuto era possibile desumere la ragionevolezza e la proporzionalità (rispetto agli interessi pubblici in gioco) della disposta deroga al segreto professionale, tanto più che anche la richiesta di autorizzazione era stata assolutamente generica.
L’adito tribunale, con la sentenza indicata in epigrafe, dichiarava inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione, ritenendo che la controversia appartenesse alla giurisdizione del giudice tributario.
Gli originari ricorrenti, con rituale e tempestivo atto di appello, hanno chiesto la riforma di tale statuizione, denunciando “violazione delle regole di riparto della giurisdizione tra G.A. e giudice tributario – In particolare violazione degli artt. 24 e 113 Cost. – violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 19 del d. lgs. n. 546 del 1992” (primo motivo); “violazione dell’art. 7, comma 4, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente)” (secondo motivo); “incostituzionalità degli artt. 2 e 19 del d. lgs. n. 546 del 1992 per violazione degli artt. 3, 24, 103, 113 e 117 Cost., nonché artt. 6 e 13 CEDU” (terzo motivo); “illegittimità dei provvedimenti impugnati in primo grado – In particolare: violazione degli artt. 14, 15 e 24 Cost. e degli artt. 6 e 8 CEDU – violazione e falsa applicazione dell’art. 52 D.P.R. n. 633/72 e dell’art. 3 della legge 241/1990 – incostituzionalità dell’art. 52 D.P.R. n. 633/72 per violazione degli artt. 14, 15, 24, 76, 117, co. 1, Cost. in relazione agli artt. 6 e 8 della CEDU”.
Secondo gli appellanti, invero, in maniera assolutamente semplicistica i primi giudici avevano escluso la giurisdizione del giudice amministrativo, erroneamente ritenendo che la questione controversa riguardasse la legittimità del provvedimento autorizzatorio, quale presupposto dell’attività impositiva dell’amministrazione finanziaria, laddove, invece, la contestazione riguardava esclusivamente la legittimità delle concrete modalità di esercizio del potere autorizzatorio attribuito al Procuratore della Repubblica, in quanto incidente sul diritto alla riservatezza dell’attività professionale e quale manifestazione del potere discrezionale della pubblica amministrazione; né poteva sostenersi, sempre secondo gli appellanti, la tesi della inimpugnabilità dell’atto autorizzatorio, evidente essendo in tal caso il contrasto con i principi costituzionali.
Gli appellanti hanno altresì riproposto i motivi di censura svolti in primo grado.
La Procura della Repubblica di Milano, la Guardia di Finanza, il Ministero dell’economia e delle finanze e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, costituendosi in giudizio, hanno dedotto l’inammissibilità e l’infondatezza dell’avverso gravame, sostenendo che, poiché l’impugnata autorizzazione si inseriva nel procedimento latamente impositivo, per un verso, essa non era autonomamente impugnabile e, per altro verso, sussisteva la giurisdizione del giudice tributario come correttamente ritenuto dai primi giudici; in via subordinata, a voler ritenere che l’impugnazione non riguardasse l’atto autorizzatorio in quanto tale, bensì le concrete modalità di esercizio del potere conferito al Procuratore della Repubblica di derogare al segreto professionale, poiché si asseriva la lesione del diritto del professionista alla riservatezza della propria attività professionale, la cognizione della controversia spettava al giudice ordinario, non potendo in nessun caso configurarsi la giurisdizione del giudice amministrativo.
Anche il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano si è costituito in giudizio, condividendo sostanzialmente le argomentazioni difensive svolte dagli appellanti.
La causa è passata in decisione all’udienza del 15 luglio 2008, uditi i difensori delle parti.
D I R I T T O
I. L’appello è infondato e deve essere respinto.
I.1. In punto di fatto occorre rilevare che, come emerge dalla lettura degli atti di causa, l’autorizzazione rilasciata il 20 settembre 2007 dal (Sostituto) Procuratore della Repubblica Milano consentiva ai militari del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Milano, impegnati nell’attività di verifica fiscale parziale ai fini delle imposte dirette sui redditi per gli anni 2005, 2006 e 2007 presso lo Studio Legale e Tributario, di esaminare i documenti custoditi presso tale studio (documenti rispetto ai quali era stato eccepito il segreto professionale) ai fini della ricerca e della repressione di eventuali violazioni della normativa tributaria.
Essa si colloca, pertanto, all’interno di un procedimento di verifica fiscale, di natura impositiva (in quanto finalizzato all’accertamento dell’effettivo assolvimento dell’obbligazione tributaria), cosa che – secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale - ne comporta la impugnabilità soltanto con l’atto finale impositivo innanzi al giudice tributario.
E’ stato, infatti, più volte rilevato che in materia di accertamento delle imposte sui redditi il provvedimento del procuratore della Repubblica, autorizzativo della perquisizione del domicilio del contribuente (ex artt. 52, comma 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 33, comma 1, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600), è un atto amministrativo attraverso il quale l’amministrazione finanziaria esercita il potere impositivo e partecipa direttamente della natura amministrativa del provvedimento considerato, condizionandone la legittimità, ed è pertanto sindacabile dal giudice tributario in base ai principi generali che regolano l’attività dello Stato (Cass. Pen, sez. V, 3 dicembre 2001, n. 15230); inoltre sempre in tema di accertamenti fiscali, ed in particolare di indagini svolte ex artt. 33 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 52 e 62 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, è stato precisato che: a) la Guardia di Finanza, che coopera con gli uffici finanziari, procedendo ad ispezioni, verifiche, richieste ed acquisizioni di notizie, ha l’obbligo di conformarsi alle dette disposizioni, sia quanto alle necessarie autorizzazioni che alle verbalizzazioni; b) tali indagini hanno carattere amministrativo, e devono essere tenute distinte dalle indagini svolte dalla stessa Guardia di Finanza in veste di polizia giudiziaria diretta all’accertamento di reati (Cass. Pen., sez. V, 16 aprile 2007, n. 8990).
Escluso che nel caso di specie l’attività di indagine svolta dai militari della Guardia di Finanza fosse diretta all’accertamento di fatti penalmente rilevanti, deve concludersi che sussiste effettivamente la giurisdizione del giudice tributario, da ritenersi competente ogniqualvolta si faccia questione di uno specifico rapporto tributario (o di sanzioni inflitte da uffici tributari), dal cui ambito restano escluse solo le controversie in cui non è direttamente coinvolto un rapporto tributario o viene impugnato un atto generale ovvero venga chiesto il rimborso di una somma indebitamente versata a titolo di tributo: la giurisdizione tributaria è concepita come comprensiva di ogni questione relativa all’esistenza e alla consistenza dell’obbligazione tributaria (Cass. SS.UU., 4 aprile 2006, n. 7806).
I.2. Sotto altro concorrente profilo, la Sezione è dell’avviso che nel caso di specie manchino i presupposti, soggettivi ed oggettivi, necessari ad affermare la giurisdizione del giudice amministrativo.
Invero, sotto il profilo soggettivo, infatti, deve sicuramente negarsi che il Procuratore della Repubblica possa essere considerato un organo amministrativo, titolare di un potere discrezionale di autorizzazione, idoneo a sacrificare in generale i diritti di libertà del cittadino contribuente sub specie della violazione del principio della riservatezza della sua corrispondenza (intrattenuta con il professionista di fiducia).
Benché, come già delineato, il provvedimento autorizzatorio del Procuratore della Repubblica non abbia carattere penale, ma amministrativo (tributario), partecipando direttamente della natura amministrativa (tributaria) del procedimento in cui si inserisce, esso non è finalizzato direttamente alla tutela di un interesse pubblico o fiscale da valutare comparativamente rispetto all’interesse privato in gioco (con conseguente natura recessiva della posizione del cittadino), ma implica un controllo di carattere sostanziale sulla sussistenza in concreto degli indizi di violazione delle leggi tributarie segnalati dagli uffici finanziari e sulla loro gravità.
La potestà valutativa spettante al Procuratore della Repubblica è pertanto espressione di un controllo giudiziale, sia pur sommario e senza contraddittorio, svolto in posizione di terzietà sulla richiesta degli uffici finanziari e in funzione della tutela dei diritti del cittadino, così che non vi è nell’esercizio di tale potere alcuna discrezionalità amministrativa in senso stretto (volta, com’è noto, alla tutela dell’interesse pubblico della cui cura specifica è titolare l’amministrazione).
Sotto il profilo oggettivo, poi, la predetta autorizzazione non può neppure configurarsi come esercizio di attività amministrativa in senso stretto: invero, in materia tributaria anche l’attività di verifica, in quanto finalizzata all’accertamento dell’esatto adempimento dell’obbligazione tributaria – risulta del tutto priva di qualsiasi carattere discrezionale, circostanza questa che esclude l’esercizio da parte degli uffici finanziari di poteri amministrativi sindacabili innanzi al giudice amministrativo; inoltre, poiché, com’è notorio, l’obbligazione tributaria nasce soltanto quando si siano realizzati tutti i presupposti stabiliti dalla legge, senza alcuna concorrenza di poteri discrezionali da parte degli uffici finanziari, la posizione del contribuente deve essere qualificata sempre e soltanto di diritto soggettivo e giammai di interesse legittimo.
Significativamente è stato affermato che la giurisdizione del giudice amministrativo in materia tributaria può riguardare gli atti estranei all’elencazione contenuta dall’articolo 19 del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, purché abbiano carattere di atti amministrativi e siano espressione di poteri discrezionali (cosa che la restringe ai regolamenti e agli atti generali, così C.d.S., sez. IV, 15 febbraio 2002, n. 948).
Per completezza deve osservarsi che la giurisdizione amministrativa non può neppure trovare fondamento sulla disposizione contenuta nell’ultimo comma dell’articolo 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, secondo cui “la natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa quando ne ricorrano i presupposti”.
Ed invero la predetta norma deve essere necessariamente letta ed interpretata sistematicamente, nel senso che, proprio coerentemente ai principi costituzionali delineati dagli articoli 24 e 113, se deve sicuramente postularsi la giustiziabilità degli atti provenienti dalla pubblica amministrazione, detta giustiziabilità è tuttavia subordinata alla specifica ricorrenza dei presupposti stabiliti dalla legge, presupposti che, come si è accennato, nel caso di specie non sussistono.
I.3. Ricordato, infine, che non può considerarsi sussistente alcun vulnus ai principi predicati dall’articolo 24 e 113 della Costituzione per il fatto che l’impugnazione del provvedimento autorizzatorio del Procuratore della Repubblica può essere proposta solo col provvedimento impositivo finale, la Sezione osserva ancora che la pur interessante prospettazione degli appellanti, secondo cui il procedimento potrebbe concludersi senza alcun provvedimento impositivo (qualora si accerti che l’obbligazione tributaria è stata perfettamente adempiuta) e che in tal caso il provvedimento autorizzatorio resterebbe inammissibilmente sottratto ad ogni sindacato giurisdizionale, non è idonea a fondare la giurisdizione amministrativa.
Per un verso, la Sezione è dell’avviso, anche sulla scorta della ricordata consolidata giurisprudenza in materia, che la natura amministrativa (tributaria) dell’atto autorizzativo non può dipendere dal fatto che il procedimento tributario si concluda o meno con un provvedimento tributario (accertamento); d’altra parte, anche ad ammettere che l’atto autorizzatorio abbia un’immediata, concreta ed effettività lesività, quest’ultima si riverbera esclusivamente su di una posizione di diritto soggettivo, e non già di interesse legittimo: è sufficiente al riguardo rinviare a quanto già precisato in ordine alla natura del controllo svolto dal Procuratore della Repubblica ed alla impossibilità di predicarne la natura di organo amministrativo in senso stretto; a ciò consegue che l’eventuale tutela del diritto alla riservatezza della corrispondenza, in tesi violato nella presente fattispecie, se ammissibile, deve essere azionata davanti al giudice dei diritti.
I.4. Completezza espositiva impone ancora alla Sezione di osservare che la richiesta di rinvio pregiudiziale ex art. 234 del Trattato CEE, avanzata sin dal primo grado di giudizio, non può trovare accoglimento: ciò in quanto il rinvio pregiudiziale concerne esclusivamente le questioni di interpretazione del Trattato, di validità ed interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni della Comunità e della BCE e di interpretazione degli statuti degli organismi creati con atto del Consiglio, quando sia previsto dagli statuti stessi, ipotesi che non ricorrono nel caso di specie; né d’altra parte, in ragione delle considerazioni svolte in ordine alla natura dell’autorizzazione del procuratore della Repubblica e della sua sicura impugnabilità, sia pur con l’atto impositivo in senso stretto, può sostenersi che sia violato nel caso in esame il canone della ragionevolezza della disposizione contenuta nell’articolo 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e nell’articolo 33 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in virtù dei contrapposti interessi in gioco (e non potendo fondarsi un’eventuale valutazione di irragionevolezza della norma per gli eventuali abusi che di essa possono essere fatti, abusi di cui non vi è peraltro traccia nella vicenda in esame).
Ciò esclude, sotto altro profilo, anche la sussistenza del requisito della non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale delle predette norme in relazione alle prescrizioni dell’articolo 8 della Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, non apparendo violati, nei sensi in cui deve essere interpretata l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, anche in relazione al controllo giurisdizionale in posizione di terzietà di cui è espressione, i diritti fondamentali indicati dalla parte appellante, a nulla rilevando che si sarebbe in presenza di una “autorizzazione larga”, proprio perché non si è in presenza di una procedura finalizzata all’accertamento di fatti penalmente rilevanti, bensì di una procedura amministrativa finalizzata all’esercizio della pretesa tributaria.
II. Alla stregua delle osservazioni svolte l’appello deve essere respinto.
La peculiarità delle questioni trattate giustifica tuttavia la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso in appello proposto dallo Studio Legale e Tributario avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sez. IV, n. 261 del 5 febbraio 2008, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, dalla Quarta Sezione del Consiglio di Stato, riunito nella camera di consiglio del 15 luglio 2008, con la partecipazione dei seguenti magistrati:
Luigi COSSU - Presidente
Goffredo ZACCARDI - Consigliere
Carlo SALTELLI - Consigliere, est.
Sergio DE FELICE - Consigliere
Vito CARELLA - Consigliere
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
Carlo Saltelli Luigi Cossu

IL SEGRETARIO
Giacomo Manzo

Depositata in Segreteria
Il 05/12/2008

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