martedì 30 dicembre 2008

Alunno diversamente abile, max 1 per classe

TAR LAZIO, Sezione III quater, Sentenza n. 9926 del 10/10/2007

Nello specifico del caso di specie si rileva come, appare fondata " sotto due profili -- la dedotta violazione, da parte delle autorità scolastiche, delle regole generali di formazione delle classi.
Nella classe vi erano due alunni diversamente abili, per cui è fondata la dedotta violazione del secondo comma, primo periodo, dell'art. 10 del D.M. 3 giugno 1999 n. 141 che pone il precetto per cui di regola, in una classe non vi puo' essere che un bambino diversamente abile. La possibilità di più svantaggiati è prevista solo in via eccezionale: " la presenza di più di un alunno in situazione di handicap nella stessa classe puo' essere prevista in ipotesi residuale ed in presenza di handicap lievi.

Per questo non è accettabile sul piano giuridico e morale la giustificazione per cui, in luogo di privilegiare la tutela dell'handicap, si era data la preferenza alle richieste dei genitori dei ragazzi normali per il tempo pieno.
Al riguardo spetta al dirigente scolastico il potere di formazione delle classi in relazione alle effettive esigenze che si siano manifestate successivamente alla definizione dell'organico di diritto, quali, ad esempio, la necessità di due distinte sezioni in presenza di tre alunni portatori di handicap, in attuazione delle disposizioni contenute negli art. 4 d.m. 15 marzo 1997, dell'art. 10 d.m. 24 luglio 1998 n. 331 e dell'art. 10 d.m. 3 giugno 1999 n. 141 (cfr. T.A.R. Toscana, sez. III, 25 settembre 2003, n. 5115;T.A.R. Toscana, sez. I, 18 marzo 2002, n. 519).
Parimenti meritevole di accoglimento, nei sensi e nei limiti che seguono, è la doglianza circa la confusione di ruoli tra l'assistente all'igiene (collaboratore scolastico statale) e l'assistente educativo e/o alla comunicazione (di competenza del Comune di Roma per la scuola elementare) il quale ha il compito di aiutare il minore disabile ad incrementare il proprio apprendimento mediante l'utilizzo anche di particolari tecniche che aiutino il minore in questo percorso.




TAR LAZIO, Sezione III quater, Sentenza n. 9926 del 10/10/2007 (Presidente, Linda Sandulli; Estensore, Umberto Realfonzo)

FATTO

Con il presente gravame i ricorrenti, genitori di un minore autistico, hanno impugnato: 1) in parte il diniego di accesso ai documenti richiesti con istanza del 18.10.2006; 2) in parte hanno impugnato il rigetto della loro richiesta di applicazione dell'art. 10.2. del D.M. 3 giugno 1999 n. 141.
Con la sentenza n. 352/2007, la Sezione ha dichiarato cessata la materia del contendere sul primo punto. La causa è stata rinviata al ruolo ordinario per la decisione della residua parte, relativa alla violazione delle regole che disciplinano la formazione delle classi che ospitano più di un alunno in situazione di handicap.

Il ricorso è affidato alla denuncia di un unico motivo di gravame relativo alla violazione dell'art. 10.2. del D.M. 3 giugno 1999 n. 141.

Si è costituito il Comune di Roma che con due memorie ha, in linea preliminare ribadito il proprio assoluto difetto di legittimazione passiva e, nel merito, ha comunque sottolineato l'infondatezza nel merito del gravame.
A sua volta l'Avvocatura dello Stato,costituitasi in giudizio per il Ministero dell'Istruzione ha versato una nota dell'Amministrazione accompagnata da una relazione del dirigente scolastico.
Con due memorie, della quale l'ultima formalmente notificata, la difesa dei ricorrenti ha sottolineato le tesi a sostegno delle proprie argomentazioni.
All'udienza di discussione, udito il patrocinatore dei ricorrenti, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. In linea preliminare deve essere respinta la richiesta di estromissione dal giudizio del Comune di Roma in quanto ai sensi dell'art. 40 della L. n. 104/1992 spetta agli enti locali l'attuazione degli interventi sociali in materia.

2. Con l'unico motivo che residua i ricorrenti premettono che:
-- il proprio figlio, portatore di handicap, con diagnosi di autismo grave, necessiterebbe di spazio e tranquillità al fine di usufruire proficuamente delle ore di insegnamento;
-- per l'anno scolastico 2006/2007 il figlio è stato inserito in una classe formata da ventidue bambini ma con un altro bambino affetto da handicap;
-- in data 19.09.2006 hanno diffidato l'Amministrazione scolastica per ottenere l'applicazione delle normative scolastiche di cui al D.M. 3 giugno 1999 n. 141, in base al quale vi deve essere un solo disabile per classe.
I ricorrenti lamentano che detta soluzione creerebbe un grave disagio al piccolo perchè negherebbe la socializzazione con i compagni e la piena inclusione nella classe, che è essenziale per la crescita e per l'apprendimento.
Con il presente gravame impugnano la nota del 18.10.2006 con cui l'Amministrazione ha esitato negativamente la loro richiesta sia per esigenze di carattere organizzativo e logistico della struttura scolastica, sia perchè essendo interesse della scuola garantire "lo star bene di ciascun alunno" pure sottolineando che avrebbe organizzato per gli alunni diversamente abili, spazi alternativi all'aula.
Assumono i ricorrenti che il comportamento tenuto dall'Amministrazione convenuta sarebbe del tutto inadeguato, lesivo del diritto allo studio ed alla salute. Situazioni di bilancio od economiche non potrebbero in nessun modo incidere sui diritti fondamentali riconosciuti dalla stessa Costituzione.
La situazione avrebbe arrecato già un grave danno al minore, alla famiglia ed alla stessa comunità scolastica che inoltre si lamenta del modo con cui la scuola gestisce le figure specializzate esistenti.
Mentre la scuola utilizzerebbe solo il personale comunale cui affiderebbe il ruolo di assistente all'igiene privando il minore di un apporto completo per meglio vivere la quotidianità della scuola, il Comune di Roma non metterebbe a disposizione della scuola il necessario personale specializzato costringendo le famiglie a pagare per questo servizio.

Il ricorso è fondato.

In via generale si osserva che, l'impulso all'integrazione nella scuola innescato dalla legge n. 517/1977 (con cui si era avuta la prima affermazione del diritto all'educazione e all'istruzione dei soggetti svantaggiati) è stato riaffermato con la Legge-quadro 5 febbraio 1992, n. 104 che ha dato attuazione, per le persone con handicap, ai principi dettati da un lato dall'articolo 3, primo e secondo comma, della Costituzione garantendo loro pari dignità sociale e stabilendo le modalità con le quali la Repubblica si impegna a rimuovere gli ostacoli che ne impediscono il pieno sviluppo e l'effettiva partecipazione alla vita politica, economica e sociale del paese; da un altro all'articolo 4, che riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro; da un altro all'articolo 34, che impone l'obbligo di istruzione per tutti i cittadini; da un altro ancora all'articolo 35, concernente la formazione e l'elevazione professionale; da un altro ancora all'articolo 38, che attribuisce agli inabili e minorati il diritto all'educazione e all'avviamento professionale.
Il Consiglio di Stato, con parere della Sezione Atti Normativi n. 4699/03 del 29 agosto 2005, ha affermato che, il diritto alle prestazioni in materia, garantisce l'attuazione dei diritti fondamentali della persona umana, trattasi di un diritto incomprimibile che, potendo patire differenze sull'intero territorio nazionale, costituisce un livello minimo essenziale.
Tale disciplina in particolare:
-- all'art. 12, garantisce al bambino handicappato " il diritto all'educazione e all'istruzione" nella scuola materna, nelle classi comuni delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e nelle istituzioni universitarie (secondo co.) ed affida all'integrazione scolastica l'obiettivo di assicurare " lo sviluppo delle potenzialità della persona handicappata nell'apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione"(III° co).
-- all'art. 40 affida agli enti locali ed alle unità sanitarie locali l'attuazione, rispettivamente, degli interventi sociali e di quelli sanitari. Al riguardo si rileva peraltro come, in base a tale riferimento normativo, debba respingersi la richiesta di estromissione dal giudizio del Comune di Roma.
Cio' posto, esattamente i ricorrenti ricordano che un ragazzo disabile per meglio vivere la quotidianità della scuola deve avere l'aiuto di tre figure specialistiche, ciascuna con un ruolo completamente diverso e complementare. In particolare: a) l'insegnante di sostegno nominato dal Ministero; b) l'assistente educativo e/o alla comunicazione che, per la scuola elementare, sarebbe di competenza esclusiva del Comune di Roma e che ha il compito di aiutare il minore disabile ad intraprendere un progetto incrementativo del proprio apprendimento mediante l'utilizzo anche di particolari tecniche che anche carenti di un riconoscimento scientifico aiutano il minore in questo percorso; c) l'assistente all'igiene di competenza del Ministero Istruzione che deve occuparsi dei bisogni del minore quali ad esempio portarlo nel bagno, aiutarlo durante i pasti eccetera.
Nello specifico del caso di specie si rileva come, appare fondata " sotto due profili -- la dedotta violazione, da parte delle autorità scolastiche, delle regole generali di formazione delle classi.
Nella classe vi erano due alunni diversamente abili, per cui è fondata la dedotta violazione del secondo comma, primo periodo, dell'art. 10 del D.M. 3 giugno 1999 n. 141 che pone il precetto per cui di regola, in una classe non vi puo' essere che un bambino diversamente abile. La possibilità di più svantaggiati è prevista solo in via eccezionale: " la presenza di più di un alunno in situazione di handicap nella stessa classe puo' essere prevista in ipotesi residuale ed in presenza di handicap lievi.
Nel caso, deve in primo luogo escludersi la sussistenza di quest'ultima condizione in quanto è evidente che, l'ipotesi prevista dalla norma, implica la "non gravità" di tutti i bambini handicappati, e non di uno di essi (come implicitamente sembra suggerire la relazione depositata dalla scuola).
La gravità della condizione del figlio dei ricorrenti era, da sola, tale da non tollerare altre presenze nell'ambito del gruppo, e comunque si rileva come in base alla descrizione della situazione, anche le condizioni riferite dalla scuola dell'altro bambino non sembravano assumere il carattere della lievità ("immaturità globale dei prerequisiti" per l'apprendimento "in un'organizzazione borderline").
In una seconda prospettiva si rileva come, dato che è incontestato che la classe era formata da 22 alunni, per cui era stato anche violato il secondo periodo del ricordato secondo comma dell'art. 10 del D.M. 3 giugno 1999 n. 141 per cui "Le classi iniziali che ospitano più di un alunno in situazioni di handicap sono costituite con non più di venti iscritti; per le classi intermedie il rispetto di tale limite deve essere rapportato all'esigenza di garantire la continuità didattica nelle stesse classi."
In sostanza la disposizione consente, limitatamente alle classi successive eventuali sforamenti solo quando ricorrono esigenze di continuità didattica.
Per questo non è accettabile sul piano giuridico e morale la giustificazione per cui, in luogo di privilegiare la tutela dell'handicap, si era data la preferenza alle richieste dei genitori dei ragazzi normali per il tempo pieno.
Al riguardo spetta al dirigente scolastico il potere di formazione delle classi in relazione alle effettive esigenze che si siano manifestate successivamente alla definizione dell'organico di diritto, quali, ad esempio, la necessità di due distinte sezioni in presenza di tre alunni portatori di handicap, in attuazione delle disposizioni contenute negli art. 4 d.m. 15 marzo 1997, dell'art. 10 d.m. 24 luglio 1998 n. 331 e dell'art. 10 d.m. 3 giugno 1999 n. 141 (cfr. T.A.R. Toscana, sez. III, 25 settembre 2003, n. 5115;T.A.R. Toscana, sez. I, 18 marzo 2002, n. 519).
Parimenti meritevole di accoglimento, nei sensi e nei limiti che seguono, è la doglianza circa la confusione di ruoli tra l'assistente all'igiene (collaboratore scolastico statale) e l'assistente educativo e/o alla comunicazione (di competenza del Comune di Roma per la scuola elementare) il quale ha il compito di aiutare il minore disabile ad incrementare il proprio apprendimento mediante l'utilizzo anche di particolari tecniche che aiutino il minore in questo percorso.
Alquanto vaghe e non specifiche al caso appaiono al riguardo le affermazioni della scuola che, genericamente, afferma la presenza di propri "collaboratori scolastici" senza nulla meglio specificare al riguardo circa la loro preparazione, la sufficienza del loro numero e la loro eventuale specifica assegnazione all'alunno. Estremamente analitica è invece, e non a caso, l'indicazione circa il numero e le ore degli insegnanti di sostegno (rispettivamente n. 4 di cui una per 22 ore settimanali, l'altre per 6 ore settimanali) che garantiscono la presenza anche durante i rientri pomeridiani.
Il Comune " con affermazioni ancora una volta del tutto generali " si limita a ricordare come il piccolo usufruisce della presenza di un assistente educativo comunale (c.d. AEC) qualificato e preparato, per un totale di 25 ore settimanali senza indicare l'esatta qualifica es. (assistente domiciliare, operatore sociale, psicologo, ecc.).
In nessuna parte le amministrazioni resistenti specificano pero' chi assiste in concreto l'alunno. Proprio la genericità delle difese dell'Amministrazione comunale dà logico fondamento all'affermazione per cui gli assistenti educativi comunali sarebbero nella realtà semplici operatori non specializzati che sarebbero in concreto utilizzati come operatori all'igiene in supplenza degli operatori TA del Ministero.
Se il Collegio non ha dubbi che, come afferma la scuola, ogni operatore scolastico si adopera per garantire lo "star bene a scuola" di ciascun alunno" nondimeno l'organizzazione nel suo complesso dei servizi scolastici e di quelli sociali deve essere tale da assicurare in concreto la presenza di condizioni ottimali per favorire l'integrazione scolastica del bambino svantaggiato.
Il che nella specie non è in concreto avvenuto.
In conclusione il ricorso, nei profili qui esaminati, è dunque fondato e deve essere accolto.
Per l'effetto deve essere pronunciato l'annullamento degli atti impugnati e dichiarato il diritto dell'alunno handicappato rispettivamente ad essere l'unico alunno handicappato della classe ai sensi dell'art. 10 del D.M. n. 141/1999; ad usufruire un AEC specializzato; ad avere un assistente all'igiene a lui specificamente "dedicato".
Deve invece respingersi la domanda di risarcimento danni, in quanto anche limitando al quantum, la fattura relativa alla visita specialistica appare nella specie difettare la prova della diretta ed immediata riferibilità ed imputabilità alle vicende qui in esame.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in Euro 1.500,00 di cui € 500,00 per spese di giudizio in favore dei ricorrenti.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio" Sez.III^-quater :
1. accoglie il ricorso n. 11343/2005, e per l'effetto annulla i provvedimenti di cui in epigrafe e dichiara il diritto del figlio dei ricorrenti:
1.a. ad essere l'unico alunno handicappato della classe ai sensi dell'art. 10 del D.M. n. 141/1999;
1.b. ad usufruire un AEC specializzato;
1.c. ad avere un assistente all'igiene a lui specificamente "dedicato".
2. Respinge la domanda risarcitoria.
3. Condanna le Amministrazioni resistenti al pagamento in solido delle spese che sono liquidate in Euro 1.500,00

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