Il principio riaffermato è insito nell'art. 934 c.c., secondo il quale la costruzione esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo. Invero, se la disposizione dell'art. 952 c.c. consente di separare la proprietà ed suolo da quella della costruzione su di esso esistente, non può dubitarsi che in difetto di una inequivoca costituzione, contestualmente alla vendita del suolo, di un diritto di superficie in favore del venditore o di terzi, onde determinare la separazione della proprietà del suolo da quella del fabbricato, non può non trovare applicazione il principio generale di accessione. Per limitare la cessione al solo fondo, (o viceversa, alla sola costruzione) non è sufficiente precisare che il fabbricato sia stato precedentemente realizzato a cura e spese dell’acquirente, ma è necessario fornire idonea prova che l’edificazione da parte del suddetto era stata preceduta da atto scritto, avente data certa, contenete l’attribuzione di un diritto di superficie in favore di colui che è diventato, poi, acquirente, anche del suolo.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Sentenza 24 novembre 2006, n. 24679
Svolgimento del processo
Il Fallimento di M.A. chiese al tribunale di Napoli che fosse acquisito alla massa il suolo - con parte di fabbricato su di esso insistente - sito in (OMISSIS), immobile che il M. aveva acquistato con atto notaio Iazzetti del (OMISSIS) da D.L., F. e R., e che D.L. - deceduto il (OMISSIS) - aveva poi lasciato in eredità alle nipoti D.M., S. e P. le quali, a loro volta, l'avevano rivenduto a M.V..
Il fallimento attore chiese, quindi, la restituzione dell'immobile a tutte le parti nominate, unitamente al risarcimento dei danni.
Secondo le deduzioni dell'attore l'acquisto riguardava il suolo esteso per mq 2.400 circa, di forma trapezoidale, sul quale (per una estensione di mq. 49) insisteva parte di un fabbricato dei venditori, porzione trasferita insieme con il suolo, come riconosciuto dai venditori stessi in atti successivi.
Si costituirono le D., contestando la domanda, ed intervenne in causa S.V., assuntrice dei concordato fallimentare e cessionaria degli immobili in questione.
Il tribunale, con sentenza 3.6.2000, condannò le convenute a rilasciare i citati cespiti, come descritti nella espletata consulenza tecnica, rigettò nel resto la domanda e compensò le spese.
Proposero appello in via principale le D. e in via incidentale M.A. e S.V.; la corte di Napoli, con sentenza 15.11.2002, accolse l'appello principale, dichiarando assorbito l'incidentale, e riformò integralmente la sentenza di primo grado rigettando la domanda del fallimento M., fatta successivamente propria da M.A. - tornato in bonis, e S.V., e compensò le spese.
La corte territoriale osservò che erroneamente il tribunale aveva ritenuto provato l'acquisto del fabbricato in capo al M. sulla base dell'atto pubblico del notaio Mazzetti del 3969 e del successivo atto 21.4.1971, che aveva disciplinato l'allargamento della strada di accesso al fabbricato con parziale risega del medesimo. Secondo la corte di merito, con il menzionato atto del 1968 il M. aveva acquistato un suolo edificatorio di risulta dalla demolizione di fabbricati e a nulla poteva rilevare che nell'atto del 21.4.1971 si concordasse tra i contraenti la creazione di una strada di accesso alle rispettive unità immobiliari, in quanto, per le modalità dell'adempimento di tale obbligo e per le ragioni svolte dagli appellanti, risultava provato che i venditori D. avevano continuato a possedere anche l'eventuale edificio sito sul suolo venduto e che comunque costoro non ne avevano fette espressamente oggetto di alienazione. Aggiunse la corte napoletana che non aveva pregio l'argomento usato dal tribunale, secondo cui nell'atto di divisione del 1983 al D.L. era attribuito il fabbricato con l'espressa limitazione - prevista dall'atto del 1968 - che una parte di detto edificio era stata venduta al M. con l'obbligo di demolirla per aprire una strada di accesso, perchè in mancanza di espressa previsione di vendita nell'atto del 1968, non poteva attribuirsi valore traslativo alla previsione dell'atto 1971, anche per la sua equivocità. Infine, osservò la corte di merito che erano inammissibili per tardività le deduzioni sulla natura superficiaria dell'attribuzione.
Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso M. A. e S.V., affidato a quattro motivi illustrati da memoria; resistono con controricorso D.M., P. e S..
Motivi della decisione
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 952, 934 e 1367 c.c., sottoponendo alla corte il questo circa la possibilità di riconoscere efficacia costitutiva ad un contratto con il quale il proprietario di un fondo trasferisca quest'ultimo ad un soggetto senza riservarsi espressamente la proprietà della costruzione da lui precedentemente eseguita sul suolo stesso. Ad avviso dei ricorrenti la risposta affermativa data dalla corte territoriale a detto quesito, costituirebbe violazione delle citate norme codicistiche che prevedono la tassativita dei diritti reali, perchè nel nostro ordinamento è possibile la alienazione dello ius ad edificandum sul suolo o l'alienazione della costruzione separatamente dalla proprietà sul suolo, ma non l'alienazione del suolo separatamente dalla proprietà del fabbricato.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell'art. 952 c.c., laddove la corte di Napoli ha affermato che è possibile alienare un suolo senza la costruzione che su di essa insiste, quando nel contratto nulla si dice in ordine alla costruzione a favore dell'alienante, mentre la costituzione esigeva la forma espressa. Inoltre, in sede interpretativa, non poteva ignorarsi che io stesso alienante, con due atti successivi, avesse reso eloquente il proprio "silenzio" nell'atto originario di alienazione del suolo.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 c.c. per avere la corte territoriale violato le regole ermeneutiche previste dal codice civile, omettendo ogni rilievo al fatto che la planimetria allegata all'atto Mazzetti dei 1968 rendeva evidente che il pezzetto di fabbrica insistente su parte del suolo alienato era oggetto dell'alienazione al M., in quanto sulla planimetria era rigorosamente delimitata l'area ceduta, includente anche fabbricato.
Inoltre, secondo i ricorrenti, non era stata data rilevanza ai due atti successivi; in particolare quanto al primo del 21.4.1971, il M. - quale proprietario della parte di fabbricato in oggetto - si era riservato il diritto di resecare parte del suo fabbricato per un'altezza di mt. 4,5 onde consentire un migliore accesso alla sua proprietà. Tale riserva rendeva evidente che non sui trattava dell'assunzione di un obbligo ma della affermazione di una facoltà.
Quanto al secondo atto, costituito dalla divisione per notaio Tafuri del 1983, le parti dichiararono espressamente alla lettera O) "fabbricato di cui al punto C della premessa alla via (OMISSIS) con le limitazioni di cui all'atto per notaio Iazzetti del 27.9.1968 con il quale atto parte di detto fabbricato veniva venduto ad M.A.", dichiarazione proveniente dalle stesse parti dell'atto citato. La corte, non tenendo conto di dette circostanze, e del fatto che le eredi D. nulla avevano obiettato alla reiterata pubblicazione sul FAL e su un quotidiano della vendita del fabbricato in questione, aveva violato gli artt. 1362 e 1363 c.c..
Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione dell'art. 329 c.p. e omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, lamentando che la corte non aveva preso in esame la deduzione fatta nel corso del giudizio di appello, secondo cui vi era stato il riconoscimento del loro diritto da parte degli avversari in un atto di citazione notificato loro in data 15.7.2001.
I primi tre motivi, da esaminare congiuntamente perchè intimamente connessi, sono fondati per quanto si dirà appresso.
Va premesso che non è esatta l'affermazione dei ricorrenti secondo cui nel nostro ordinamento sarebbe possibile solo l'alienazione dello ius ad edificandum sul suolo o l'alienazione della costruzione separatamente dalla proprietà del suolo, ma non l'alienazione del suolo separatamente dalla proprietà del fabbricato. Le eventualità prospettate sono del tutto equivalenti quanto agli effetti della separazione della proprietà dei suolo da quella della costruzione, con la sola differenza che in un caso il venditore rimarrebbe proprietario del suolo cedendo il diritto di superficie e nell'altro si verificherebbe l'opposto. D'altra parte la fonte normativa sulla legittimità di quest'ultimo evento risiede nello stesso art. 952 c.c., comma 2, il quale prevede la possibilità di alienazione separata della proprietà della costruzione rispetto a quella del suolo, senza che possa desumersi che detta separazione debba operare a senso unico; ciò, infatti, comporterebbe la inammissibile impossibilità per l'originario proprietario del tutto che la proprietà del suolo, ormai priva dello jus edificandi, possa essere successivamente ceduta a terzi.
L'erronea affermazione di principio dei ricorrenti non inficia, tuttavia, la fondatezza delle molteplici censure di violazione di legge da loro mosse alla sentenza impugnata.
La corte territoriale ha ritenuto che la vendita di un terreno - con preciso richiamo alla particella catastale relativa - senza che sia fatto esplicito richiamo alle residue fabbriche insistenti su di esso - non consente di ritenere cedute anche dette costruzioni. Tale affermazione costituisce palese violazione dell'art. 934 c.c., secondo il quale la costruzione esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo. Invero, se - come si è detto - la disposizione dell'art. 952 c.c. consente di separare la proprietà ed suolo da quella della costruzione su di esso esistente, non può dubitarsi che in difetto di una inequivoca costituzione, contestualmente alla vendita del suolo, di un dritto di superficie in favore del venditore o di terzi, onde determinare la separazione della proprietà del suolo da quella del fabbricato, non può non trovare applicazione il principio generale di accessione.
Nella fattispecie in esame, la corte territoriale non si è posta il problema di interpretare il contratto al line di ricercare se fosse individuabile nella volontà delle parti l'intento di separare dette proprietà, ma si è limitata ad una superficiale disamina incentrata sulla individuazione dell'oggetto della vendita, sull'erroneo presupposto che la mancanza di una espressa estensione dell'alienazione anche al fabbricato imponesse di ritenere questa limitata alla sola proprietà del suolo. Non ha colto la corte territoriale che, per superare l'operatività della norma dell'art. 934 c.c., per la quale la proprietà della costruzione viene acquistata automaticamente al proprietario del suolo senza necessità di una specifica manifestazione di volontà, era necessario pervenire alla individuazione di una volontà delle parti di scindere il contenuto del diritto di proprietà facente capo al venditore, giacchè senza la creazione di un diritto di superficie (anche attraverso una forma di "riserva" a se di tale diritto da parte del proprietario - venditore) non poteva che ritenersi effettuata la vendita dell'intera particella costituita dal fondo e da quanto su di essa insistente. La necessità della costituzione nelle forme di legge di un diritto di superficie, al fine di superare la presunzione imposta dall'art. 934 c.c., è stata, peraltro, più volte affermata da questa corte (sia pure al diverso fine della individuazione della base di calcolo dell'imposta da registro), la quale ha ritenuto che per limitare la cessione al solo terreno non è sufficiente precisare che il fabbricato sia stato precedentemente realizzato a cura e spese dell'acquirente, ma è necessario fornire idonea prova che l'edificazione da parte del suddetto era stata precedutala da atto scritto, avente data certa, contenente l'attribuzione di un diritto di superficie in favore di colui che è divenuto, poi, acquirente anche del suolo (Cass. 27 marzo 2003, n. 4623; 17 luglio 1999, n. 7583).
Nella fattispecie in esame la corte d'appello da un lato ha omesso di trarre le ricordate conseguenze dalla palese mancanza di una riserva del diritto di superficie a favore dello stesso venditore, dall'altro - benchè la prima carenza sia assorbente - ha incongruamente svalutato tutta una serie di elementi delle clausole contrattuali inequivocabilmente valutabili, secondo i canoni ermeneutici legali, nel senso di riaffermare la volontà delle parti di cessione del diritto di proprietà sul fondo nella sua completezza, senza alcun tipo di riserva di diritti parziali a favore del venditore.
Il quarto motivo, ancor prima che assorbito, va dichiarato inammissibile perchè concernente una questione nuova, non ritualmente prospettata e prospettabile nel giudizio di appello.
In conclusione, quindi, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, potendo questa corte decidere nel merito con il rigetto dell'appello proposto dalle sorelle D., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.
Si ravvisano giusti motivi per compensare integralmente le spese sia del grado di appello che di questo giudizio.
P.Q.M.
La corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, dichiara inammissibile il quarto; cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l'appello proposto da D.M., S. e P.. Compensa le spese del giudizio di appello e di quello di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2^ Sezione Civile, il 22 settembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 24 novembre 2006.
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