martedì 27 gennaio 2009

DIA, autorizzazione implicita, natura provvedimentale

TAR Lombardia-Brescia, sez. I, sentenza 10.01.2009 n° 15

"il Collegio ritiene, in presenza di una serie di differenziate ricostruzioni dell’istituto della d.i.a., preferibile il più recente insegnamento espresso al riguardo dal Consiglio di Stato (cfr.Cons. St. Sez VI, 5.4.2007 n. 1550, Sez. IV 29.7.2008 n. 3742, v. ora anche Sez. IV 25.11.2008 n. 5811) con il quale è stato rilevato che “il terzo che si oppone ai lavori edilizi intrapresi tramite d.i.a., non deve chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti in genere per gli abusi edilizi, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio-rifiuto; né deve agire innanzi al giudice per chiedere l’adempimento delle prestazioni che la p.a. avrebbe omesso di svolgere, ovvero chiedere l’annullamento della determinazione formatasi in forma tacita, o comunque contestare la realizzabilità dell’intervento. Né, ancora, il terzo è tenuto, entro il termine di decadenza, ad instaurare un giudizio di cognizione, tendente ad ottenere l’accertamento della insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge, per la legittima intrapresa dei lavori a seguito di d.i.a..

Il terzo, invece, è legittimato a proporre ricorso direttamente avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a., il cui possesso è essenziale, non potendo da esso prescindersi, non trattandosi di ipotesi di attività edilizia liberalizzata.

Si è quindi in presenza, decorsi i trenta giorni (art. 23 commi 1 e 6, del D.P.R. n. 380 del 2001), di una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della d.i.a., o dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all’intervento oggetto di d.i.a..

Il ricorso avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a. ha ad oggetto, quindi, non il mancato esercizio dei poteri sanzionatori o di autotutela dell’amministrazione, ma direttamente l’assentibilità, o meno, dell’intervento edilizio."



T.A.R.

Lombardia – Brescia

Sezione I

Sentenza 10 gennaio 2009, n. 15

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 267 del 2008, proposto da:

G. L., A. C., rappresentati e difesi dall'avv. Patrizia Munaretto, con domicilio eletto presso T.A.R. Segreteria in Brescia, via Malta, 12;

contro

Comune di Chiuduno, rappresentato e difeso dagli avv. Enrico Codignola, Francesco Daminelli, Gemma Simolo, con domicilio eletto presso Enrico Codignola in Brescia, via Romanino,16 (Fax=030/47897); Comune di Chiuduno -Responsabile Ufficio Tecnico;

nei confronti di

Cooperativa S. Alberto Da Prezzate Sc A Rl;

per l'annullamento

del provvedimento prot. n. 9911 del 21/12/2007, a firma del Responsabile del Procedimento del Settore Tecnico e del Responsabile del Procedimento, del Comune di Chiuduno, recante risposta alle istanze presentate dai ricorrenti, in data 20/07/2007 e 7/12/2007, volte a sollecitare l'esercizio dei poteri di vigilanza ex art. 27, D.P.R. n. 380 del 6/6/2001, nonchè di ogni altro atto, connesso, presupposto e conseguente.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Chiuduno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30/10/2008 il dott. Sergio Conti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

Con ricorso notificato il 26.2.2008 e depositato presso la Segreteria il successivo giorno 14.3.2008, L. G. e C. A. si gravano avverso l’atto del Responsabile del settore tecnico del Comune di Chiuduno, in data 21.12.2007 con il quale è stata data risposta all’istanza del 20.7.2007 e alla successiva diffida del 7.12.2007, atti con i quali gli odierni ricorrenti avevano richiesto che l’Amministrazione comunale - nell’esercizio del dovere di vigilanza sull’attività urbanistico edilizia prescritto dall’art. 27 del D.P.R. 6.6.2001 n. 380 - procedesse ad accertare la sussistenza di violazioni della normativa urbanistica, con adozione di provvedimenti repressivi degli abusi edilizi eventualmente accertati, in relazione all’edificazione, da parte della cooperativa S.Alberto da Prezzate, di un edificio sul fondo confinante con la loro proprietà.

Con l’atto impugnato l’Amministrazione comunale ha escluso che sussistessero le violazioni dello strumento edilizio e della normativa in tema di edilizia economico popolare che erano state prospettate dagli istanti.

Avverso detto atto, i ricorrenti articolano le seguenti doglianze:

“Violazione e falsa applicazione degli artt. 42 e 97 Cost.

Violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 L. 7.8.1990 n. 241; violazione e falsa applicazione dell’art. 27 del D.P.R. 6.6.2001 n. 380; violazione e falsa applicazione degli artt. 63 e 64 L.R. Lombardia 11.3.2005 n. 12; violazione degli artt. 7, 18 e 55 Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore del Comune di Chiuduno; violazione degli artt. 5 e 6 delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano di Zona di Via Palma il Vecchio del Comune di Chiuduno; violazione dell’art. 5 L. 2.7.1949 n. 408; violazione dell’art. 48 R.D. 28.4.1938 n. 1165; violazione del punto 5.3.3 dell’allegato alla L.R. Lombardia 20.2.1989 n. 6; violazione degli artt. 10, 16,18 L. 18.4.1962 n. 167. Eccesso di potere carenza di istruttoria, contraddittorietà, carenza assoluta di motivazione, illogicità manifesta”.

Si è costituito in giudizio l’intimato Comune di Chiuduno, chiedendo il rigetto del gravame.

Alla pubblica udienza del 30.10.2008 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

DIRITTO

Con il ricorso all’esame, i ricorrenti - proprietari di edificio e di area pertinenziale fronteggianti il complesso di edilizia economico popolare realizzato dalla Cooperativa S. Alberto da Prezzate, alla via Palma il Vecchio del Comune di Chiuduno - impugnano il provvedimento espresso, assunto dal Responsabile del settore tecnico dell’Amministrazione comunale, con cui si è esclusa la sussistenza delle violazioni a norme dello strumento edilizio nonché della disciplina in tema di edilizia economico popolare che erano state prospettate dagli odierni ricorrenti mediante istanza in data 20.7.2007 e alla successiva diffida del 7.12.2007.

I ricorrenti, oltre a chiedere l’annullamento del predetto atto e di quelli ad esso connessi, chiedono altresì l’accertamento del loro diritto “ad un corretto e pieno espletamento dell’attività di vigilanza ex art. 27 D.P.R. 6.6.2001 n. 380 con l’adozione degli atti conseguenti”, nonché “la dichiarazione… dell’obbligo dell’Amministrazione comunale…di pronunciarsi sulla conformità alle previsioni urbanistiche dei lavori realizzati e sulla compatibilità dei medesimi con la normativa relativa all’edilizia economica popolare …[e] …di esercitare i poteri repressivi di titolarità necessitati dagli accertamenti effettuati.

In punto di fatto, va rilevato che con l’’istanza del 20.7.2007 (cfr. doc. n. 3 dei ricorrenti), gli odierni ricorrenti contestavano che “una porzione di detto complesso (originariamente destinata ad ospitare un edificio di soli due piani e successivamente venuta ad ospitarne uno di tre attraverso il recupero del sottotetto) sia stata realizzata superando il limite di altezza prescritto dalla normativa urbanistica vigente ed in violazione della normativa che disciplina le caratteristiche delle costruzioni di edilizia economica e popolare”.

Più in particolare, i predetti evidenziavano il raggiungimento di un’ altezza di m. 9.50, pur in presenza di un limite massimo fissato in m. 7,5, e la realizzazione di un edificio non conforme alla caratteristiche stabilite dall’art. 5 della L. 2.7.1949 n. 408 (presenza di un ascensore in edificio di soli tre piani, presenza di doppi bagni, box in numero superiore all’unità, cantine di superficie sino a mq. 32 collegate all’unità residenziale soprastante, edifici bifamiliari non abbinato).

Sostanzialmente analoghe contestazioni (cfr. il doc. n. 4 dei ric.) erano contenute nel successivo atto di diffida del 7.12.2007.

Il Comune, con atto in data 13.12.2007, forniva un primo riscontro alle predette istanze, rappresentando: a) di aver emesso, con nota del 10.10.2007, comunicazione di avvio del procedimento, invitando la Cooperativa S. Alberto da Prezzate e il geom. Aldo Ceccardi a fare pervenire osservazioni al riguardo, b) che quest’ultimo, con nota del 23.10.2007, aveva svolto proprie considerazioni, c) che erano in corso gli accertamenti tecnici conseguenti.

Quindi, l’Amministrazione comunale assumeva, in data 21.12.2008, l’atto in questa sede impugnato.

Dopo aver premesso che il geom. Ceccardi, per conto della Cooperativa, aveva puntualizzato che: a) l’altezza massima prevista dall’art. 55 delle NTA per le zone C Ambiti di nuova espansione, è pari a m. 9 e non a m. 7,5, b) l’art. 5 della L. 2.7.1949 n. 408 trova applicazione solo in caso di utilizzo di contributi pubblici, ciò che non è avvenuto nel caso della Cooperativa S.Alberto – gli uffici tecnici hanno svolto le seguenti considerazioni:

- “Dall’analisi del vigente strumento urbanistico del Comune di Chiuduno, l’area su cui sono sorti i complessi di edilizia economico popolare è classificata come zona C – ambiti di nuova espansione, normati dall’art. 55 delle NTA che prevede un Hf massima di 9,00 m”.

- “Inoltre l’art. 51 – altezze dei fabbricati – delle norme tecniche di attuazione, allegate al piano di zona per edilizia economico popolare via Palma il Vecchio, non prevede una altezza massima ma sia limita solamente a definirne la modalità di calcolo”.

- “Dal combinato disposto degli artt. 51 e 55 delle NTA si evince che l’altezza massima è m. 9,00.

Relativamente alla presunta violazione della normativa che disciplina le caratteristiche delle costruzioni di edilizia economica e popolare (ascensore, doppi bagni, giardini, numero di box superiore alla unità, cantine) la informiamo che le norme tecniche del Piano di Zona e le norme tecniche del PRG, non pongono un divieto alla loro realizzazione; inoltre dalla lettura dell’art. 41 del R.D. 28 aprile 1938 n. 1165 si evince che “….le opere di finimento e le forniture accessorie che, in sede di collaudo siano per qualità e quantità riconosciute eccedenti quelle consentite saranno escluse dal contributo….”.

- “Pertanto si può ritenere che le opere di finimento e le forniture accessorie non siano vietate ma bensì, se realizzate, vengono escluse dal contributo”.

- “Come dichiarato dal geom. Ceccardi, la Cooperativa S. Alberto da Prezzate s.c. a r.l. non ha attinto a contributi pubblici, pertanto non si rileva un contrasto con quanto contenuto nel RD 28 aprile 1938 n. 1165 e s.m.i.”

- “Va inoltre ribadito che, se da un lato vi siano normative che disciplinano le costruzioni di edilizia economico popolare, dall’altro lato vi sono altre normative, come il D.M. 14.6.1989 n. 236, più restrittive e che ad esempio, come indicato all’art. 3.2, stabiliscono che l’ascensore va comunque installato in tutti i casi in cui l’accesso alla più alta unità immobiliare è posto oltre il terzo livello, ivi compresi eventuali livelli interrati e/o porticati”.

- “Infine si ricorda che la costruzione realizzata dalla Cooperativa S. Alberto da Prezzate s.c. a r.l. è avvenuta mediante la presentazione di denuncia di inizio attività accompagnata dalla relazione, a firma del progettista abilitato, che assevera la conformità delle opere da realizzare agli strumenti di pianificazione vigenti ed adottati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie, assumendosene la totale responsabilità sia in sede civile che penale”.

In via preliminare il Collegio è chiamato a chiarire quale sia l’oggetto del presente giudizio.

Invero, la difesa del Comune sostiene che i ricorrenti, pur avendo formalmente chiesto all’amministrazione l’adozione di provvedimenti repressivi di illeciti urbanistici, in realtà contestano la legittimità del titolo (e quindi chiedono, sostanzialmente, l’annullamento in via di autotutela delle denuncie di inizio di attività mediante le quali l’intervento edilizio è stato posto in essere), in quanto ciò che viene contestato non è la difformità di quanto realizzato rispetto al titolo, bensì la non conformità di quanto in esso previsto rispetto alla disciplina urbanistica dettata dal PRG.

Ma, in tal modo – conclude il Comune- si viene surrettiziamente a impugnare le d.i.a. ben oltre il termine di decadenza decorrente dalla data di avvenuta conoscenza dell’intervenuto perfezionarsi del suddetto strumento di legittimazione all’esercizio dell’attività edilizia.

Al fine di replicare alla predetta eccezione, la difesa dei ricorrenti, in sede di pubblica udienza, si è richiamata ai principi affermati dal Cons. St. Sez. V 22.2.2007 n. 948 e dal TRGA Trento 14.5.2008 n. 111.

Con la prima pronuncia – muovendo dal presupposto che la d.i.a è un atto soggettivamente ed oggettivamente privato che, in presenza di determinate condizioni e all’esito di una fattispecie a formazione complessa, attribuisce al privato una legittimazione ex lege allo svolgimento di una determinata attività che sarebbe così liberalizzata” - si è sostenuto che colui che si oppone all’intervento preceduto dalla D.I.A. è “legittimato a chiedere al comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio rifiuto che pertanto non avrà, né potrebbe avere, come riferimento il potere inibitorio dell’amministrazione … bensì il generale potere sanzionatorio”

Con la seconda sentenza – muovendo dalla riconducibilità della d.i.a. ad un implicito provvedimento amministrativo dopo il decorso del termine di legge - si è affermato il principio che il terzo controinteressato che contesti la presentazione di una denuncia di inizio attività associata al successivo silenzio dell’Autorità amministrativa, possa attivare un giudizio di cognizione volto all’accertamento della corrispondenza, o meno, di quanto dichiarato dall’interessato e di quanto previsto dal progetto ai canoni stabiliti per la regolamentazione dell’attività edilizia in questione, oltre che dell’eventuale difformità dell’opera realizzata rispetto al progetto anteriormente presentato in sede di D.I.A., soggiungendo che detta azione di accertamento non è assoggetta al termine di decadenza, il quale è previsto esclusivamente per la disciplina del processo in sede di giurisdizione generale di legittimità.

Al riguardo il Collegio osserva quanto segue.

Il contenuto delle istanze rivolte dai ricorrenti all’Amministrazione comunale, più sopra riportato. è inequivoco nel senso di richiedere l’esercizio dei poteri repressivi di cui all’art. 27 D.P.R. 6.6.2001 n. 380, il quale disciplina “la vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi”.

Ancora nel presente giudizio si chiede alla Sezione “di pronunciarsi sulla conformità alle previsioni urbanistiche dei lavori realizzati e sulla compatibilità dei medesimi con la normativa relativa all’edilizia economica popolare …[e] …di esercitare i poteri repressivi di titolarità necessitati dagli accertamenti effettuati”.

Peraltro il Comune, con l’atto in questa sede impugnato, ha fornito risposta, seppur negativa, alla istanza avanzata dai richiedenti.

Va sottolineato che l’intervento posto in essere dalla Cooperativa S. Alberto da Prezzate è avvenuto attraverso il perfezionarsi di una originaria d.i.a. del 2004 e di una successiva d.i.a. in variante del 2005 e che siffatta circostanza ha rilevanza fondamentale nella qualificazione del presente gravame.

E’ dunque evidente che la richiesta di esercizio di poteri sanzionatori è finalizzata, come posto in luce dalla resistente, a contestare la legittimità del “titolo” in forza del quale l’attività edilizia dalla Cooperativa è stata posta in essere.

Tanto chiarito, il Collegio ritiene, in presenza di una serie di differenziate ricostruzioni dell’istituto della d.i.a., preferibile il più recente insegnamento espresso al riguardo dal Consiglio di Stato (cfr.Cons. St. Sez VI, 5.4.2007 n. 1550, Sez. IV 29.7.2008 n. 3742, v. ora anche Sez. IV 25.11.2008 n. 5811) con il quale è stato rilevato che “il terzo che si oppone ai lavori edilizi intrapresi tramite d.i.a., non deve chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti in genere per gli abusi edilizi, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio-rifiuto; né deve agire innanzi al giudice per chiedere l’adempimento delle prestazioni che la p.a. avrebbe omesso di svolgere, ovvero chiedere l’annullamento della determinazione formatasi in forma tacita, o comunque contestare la realizzabilità dell’intervento. Né, ancora, il terzo è tenuto, entro il termine di decadenza, ad instaurare un giudizio di cognizione, tendente ad ottenere l’accertamento della insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge, per la legittima intrapresa dei lavori a seguito di d.i.a..

Il terzo, invece, è legittimato a proporre ricorso direttamente avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a., il cui possesso è essenziale, non potendo da esso prescindersi, non trattandosi di ipotesi di attività edilizia liberalizzata.

Si è quindi in presenza, decorsi i trenta giorni (art. 23 commi 1 e 6, del D.P.R. n. 380 del 2001), di una autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che può essere contestata dal terzo entro l’ordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della d.i.a., o dall’avvenuta conoscenza del consenso (implicito) all’intervento oggetto di d.i.a..

Il ricorso avverso il titolo abilitativo formatosi a seguito di d.i.a. ha ad oggetto, quindi, non il mancato esercizio dei poteri sanzionatori o di autotutela dell’amministrazione, ma direttamente l’assentibilità, o meno, dell’intervento edilizio.

Da quanto precede discende che il ricorso all’esame è stato tardivamente proposto.

Negli atti di causa, infatti, vi è la prova certa e documentata che i ricorrenti erano perfettamente a conoscenza dell’esistenza della d.i.a. e di tutti i suoi elaborati, quantomeno alla data del 20.7.2007 quando l’avv. Munaretto presentò al Comune, per loro conto, la richiesta di esercizio dei poteri repressivi in materia edilizia (cfr. doc. n. 3 dei ricorrenti).

In detta istanza infatti, viene effettuata una compiuta descrizione dell’intervento edilizio (cfr. gli elementi di fatto riportati a pag. 2 alle lett. a/c), evocando la planimetria “allegata alla variante in corso d’opera alla D.I.A. n. 88 del 18.10.2004, depositata presso l’Amministrazione comunale dalla Cooperativa S. Alberto da Prezzate s.c. a r.l. in data 7.7.2005”.

Da quanto sopra risulta dunque evidente che i ricorrenti hanno avuto piena conoscenza degli atti oggetto sostanziale della loro contestazione (la originaria d.i.a. del 2004 e la variante del 2005) quantomeno in data 20.7.2007, cosicché, alla data di notifica del ricorso (26.2.2008), era ampiamente scaduto il termine decadenziale di 60 giorni per l’impugnazione.

Attesa la particolarità della vicenda e il non ancora avvenuto consolidamento di un univoco orientamento giurisprudenziale al riguardo, sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia - Sezione di Brescia – definitivamente pronunciando, dichiara irricevibile il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 30/10/2008 con l'intervento dei Magistrati:

Giuseppe Petruzzelli, Presidente

Sergio Conti, Consigliere, Estensore

Stefano Tenca, Primo Referendario

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 10/01/2009.

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