mercoledì 9 aprile 2008

Comodato atipico di immobile

Corte di Cassazione, III sezione civile, Sentenza 18 dicembre 2007 – 12 marzo 2008, n. 6678

La Corte conferma il seguente principio di diritto: “quando in un contratto di comodato immobiliare le parti prevedono che la restituzione dell'immobile da parte del comodante debba avvenire nel caso che il comodante ne abbia necessità, il contratto si connota come una figura atipica, che non è riconducibile né al modello legale del comodato a termine, né a quello del comodato senza limitazione di durata, quali espressi rispettivamente nelle norme dell'art. 1809 e 1810 c.c.. In tal caso il comodato è, invece, da intendere convenuto senza determinazione di tempo (salvo quello che ex lege può discendere dall'applicazione dell'art. 1811 e salvo che un termine non risulti altrimenti in relazione all'uso pattuito), ma, ai sensi dell'art. 1322 c.c., con il patto che il potere di richiedere la restituzione possa esercitarsi solo in presenza di una necessità di utilizzazione dell'immobile - nel senso indicato nella relazione e nella motivazione della presente - che, evidentemente, sia incompatibile con il protrarsi del godimento, e che deve essere prospettata nel negozio di recesso dal comodante e, in caso di contestazione, dimostrata”.




SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 18 dicembre 2007 – 12 marzo 2008, n. 6678

(Presidente Vittoria – Relatore Frasca)

Ritenuto in fatto

1. C. S. ha proposto ricorso per cassazione, fondato su un unico complesso motivo, contro W. S., C. C., R. C. e S. C. nella qualità di eredi di R. C., avverso la sentenza del 22 marzo 2006, con la quale la Corte d'Appello di Roma ha rigettato l'appello (principale da lui proposto avverso la sentenza di primo grado - con cui il Tribunale di Roma aveva accolto la domanda di condanna del de cuius al rilascio di un terreno e di un locale detenuti in comodato - ed ha, inoltre, parzialmente accolto l'appello incidentale dei detti eredi in ordine alla statuizione sulle spese del giudizio di primo grado, confermando, invece, la statuizione di rigetto della domanda di risarcimento danni.

p. 2. Al ricorso hanno resistito gli intimati con controricorso, nel quale hanno svolto un motivo di ricorso incidentale.

Essendo i ricorsi soggetti alla disciplina delle modifiche al processo di cassazione, disposte dal d.lgs. n. 40 del 2006 (che si applicano ai ricorsi proposti contro le sentenze ed i provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 compreso, cioè dalla data di entrata in vigore del d.lgs. art. 27, comma 2 di tale d.lgs.), è stata predisposta relazione ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c. e di essa è stata data rituale notificazione alle parti e comunicazione al Pubblico Ministero presso la Corte.

Le parti, a seguito della notificazione della relazione hanno depositato memoria.

Considerato in diritto

1. Preliminarmente il ricorso incidentale, in quanto proposto nell'ambito del principale, va riunito a quest'ultimo.

2. La relazione redatta ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c. ha il seguente tenore:

«3. - Il ricorso principale propone il seguente motivo: violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di comodato e in particolare: violazione e falsa applicazione degli artt. 1809 e 1810 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. Violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di autonomia contrattuale e di efficacia dei contratti, di interpretazione e di conservazione degli atti giuridici e in particolare: violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1362, 1367 e 1372 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, n. 5 c.p.c.).

Il motivo è illustrato assumendosi che la Corte d'Appello avrebbe erroneamente interpretato la clausola dell'accordo di conciliazione nell'ambito del quale era stato convenuto il comodato, nella quale si era convenuto che "il C. consente che il terreno e la parte residua del locale scantinato di circa mq. 50 che attualmente detiene come comodato restino nella sua disponibilità, del Sig. Cosmo S., fino a richiesta formale del Sig. C. R. nel caso ne abbia necessità". L'erronea interpretazione sarebbe stata compiuta dal giudice di merito in quanto quel giudice avrebbe ritenuto che, nonostante il tenore di detta clausola, le parti avessero inteso dare vita ad un comodato precario, come sarebbe stato rivelato dalla non predisposizione di un termine. Sulla base di tale interpretazione è stata disattesa l'eccezione di infondatezza dell'azione di rilascio, prospettata dalla S. per non essere stata detta azione esercitata con l'allegazione di una necessità giustificativa della relativa pretesa e per essere stata essa invece esercitata a seguito di un atto stragiudiziale di esternazione dell'interesse e della mera intenzione di tornare nella detenzione esclusiva dei beni.

Il motivo si conclude con tre quesiti di diritto proposti in via principale e con altri cinque prospettati in via di subordinazione logica.

I quesiti proposti in principalità chiedono alla Corte, in funzione della cassazione della sentenza, di accertare se il contratto di comodato nel quale sia pattuito l'obbligo di restituzione in presenza di una necessità del comodante (e, quindi, quello oggetto di lite) debba qualificarsi come comodato a tempo determinato e precisamente con termine di scadenza certus an incertus quando e, quindi, non come comodato precario, con conseguente applicabilità dell'art. 1809, secondo comma, c.c..

I quesiti proposti subordinatamente prospettano, invece, una qualificazione della detta specie di comodato (e, quindi, di quello oggetto di lite) come precario e chiedono di accertare che la clausola concernente la restituzione in presenza di una necessità, da considerarsi espressione dell'autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c., esclude il recesso ad nutum, esige che il comodante che chieda il rilascio dimostri lo stato di necessità, ed imponga, quindi, il rigetto della domanda di rilascio che non deduca la necessità.

3.1. Il motivo è fondato nella prospettazione che esprime conclusivamente i quesiti subordinati.

Fermo che, contrariamente a quanto eccepiscono i resistenti, il motivo non chiede alla Corte di procedere ad un accertamento di fatto sul modo di essere della clausola contrattuale, ma solo di giudicare come essa - sul cui tenore letterale non v'è contrasto - vada sussunta nell'ambito della disciplina del comodato, e, dunque, si connota, al di là della invocazione anche del n. 5 dell'art. 360, esclusivamente alla stregua del n. 3 dell'art. 360, si rileva che la clausola convenzionale, con cui si preveda la restituzione al comodante sulla base della indicazione di una necessità di riavere l'immobile connota il comodato come una figura atipica, che non è riconducibile né al modello legale del comodato a termine, né a quello del comodato senza limitazione di durata, quali espressi rispettivamente nelle norme dell'art. 1809 e 1810 c.c.. In presenza di una simile clausola il comodato non è a termine, per la ragione che la verificazione della necessità che il comodante può addurre come motivo di rilascio (e che può essere della più varia specie, con il solo limite che deve trattarsi di un bisogno di riavere la disponibilità dell'immobile per goderne in uno dei modi consentiti dal titolo di godimento che su di esso si ha, il che significa che si può chiedere la restituzione perché, ad esempio, si vuole vendere) è evento incertus an. Il comodato è, invece, senza determinazione di tempo (salvo quello che ex lege può discendere dall'applicazione dell'art. 1811 e salvo che un termine non risulti altrimenti in relazione all'uso pattuito), ma le parti hanno convenuto, ai sensi dell'art. 1322 c.c., che il potere di richiedere la restituzione possa esercitarsi solo in presenza di una necessità di utilizzazione dell'immobile che, evidentemente, sia incompatibile con il protrarsi del godimento, e che deve essere prospettata nel negozio di recesso dal comodante e dimostrata, in caso di contestazione.

Ne discende che erroneamente ed in violazione della volontà contrattuale espressione di libera autonomia la Corte territoriale ha ritenuto che la clausola de qua fosse nella specie inidonea a dar luogo ad un tertium genus rispetto alle figure tipizzate dagli artt. 1809 e 1810 c.c. e che fosse inidonea ad escludere la recedibilità del comodante ad nutum.

La sentenza impugnata dev'essere, dunque, cassata e, poiché la decisione della controversia, essendo pacifico che l'azione è stata esercitata senza allegazione di una necessità, non necessita di ulteriori accertamenti, ricorrono le condizioni per la decisione nel merito con una pronuncia che rigetti la domanda di rilascio, che, evidentemente i comodanti potranno esercitare solo adducendo e dimostrando la necessità (nel senso sopra indicato).

L'accoglimento del ricorso principale rende automaticamente infondato quello incidentale (con cui ci si è doluti del rigetto della domanda di risarcimento danni)”.

p. 3. Il Collegio condivide le argomentazioni svolte nella relazione con le seguenti precisazioni.

Dette argomentazioni non sono in alcun modo infirmate dai rilievi svolti dai resistenti in riferimento alla rilevanza della necessità indicata nell'accordo conciliativo.

Riguardo ad essi il Collegio osserva, se del caso ad integrazione della relazione, quanto segue.

Erroneamente i resistenti deducono che "la volontà del comodante di tornare egli stesso nella disponibilità" dell'immobile sarebbe identificabile con un modo di volere godere del bene dato in comodato, nel senso ipotizzato dalla relazione, e precisamente con "il diritto di detenere il bene di cui si è proprietari".

Invero, la facoltà di godimento del proprietario di un immobile può estrinsecarsi in diversi modi, finanche con il non esercitare su di esso alcun godimento, cioè con il non farne alcun uso né diretto né indiretto. Si vuol dire, cioè che la facoltà di godimento del proprietario, purché naturalmente resti estrinsecabile (cioè resti in capo al medesimo il relativo potere di esercizio, id est permangano le condizioni potenziali di tale esercizio), può atteggiarsi anche con un atteggiamento di totale astensione ed inerzia.

Ebbene, ciò premesso, se il senso del rilievo dei resistenti fosse che nella specie la sussistenza della necessità legittimante la restituzione avrebbe potuto riscontrarsi anche in una richiesta di restituzione per non fare alcun uso dell'immobile, si tratterebbe di rilievo non condivisibile, poiché nella specie, se le parti nella convenzione hanno previsto come presupposto per il recesso del comodante la necessità di riavere la disponibilità dell'immobile, hanno voluto alludere - è questo il senso delle argomentazioni di cui alla relazione - ad un riacquisto della disponibilità materiale dell'immobile per farne un qualche uso in senso positivo, conforme alla naturale destinazione del bene ed alle normali possibilità di estrinsecazione della facoltà di godimento sui di esso.

Non è possibile, viceversa, ritenere che il riferimento alla necessità di riavere la disponibilità dell'immobili vada inteso nel senso di un riacquisto per il non esercizio in alcun modo della facoltà di godimento.

Questa conclusione appare anzitutto conforme ad una interpretazione letterale: infatti, il "non uso di un bene" non risulta in alcun modo riconducibile ad una necessità di godimento relativa al bene, atteso che quest'ultima, cioè l'essere necessaria la disponibilità del bene, esprime l'atteggiarsi della facoltà di godimento in senso positivo, cioè attraverso l'esplicazione di un certo uso del bene stesso.

p. 3.1. In secondo luogo, se l'interpretazione letterale non si reputasse esaustiva, il criterio di interpretazione secondo buona fede (art. 1366 c.c.) imporrebbe di leggere l'assunzione del condizionamento del diritto alla restituzione dell'immobile e di far cessare il comodato alla sussistenza di una necessità, nel senso che quest'ultima, quale che potesse essere, dovesse essere incompatibile con il godimento iure commodati dello S., per essere l'espressione di un modo di godimento del bene, alternativo al godimento indiretto attuatesi mediante il comodato e, dunque, incompatibile con la sua prosecuzione.

Il criterio di interpretazione secondo buona fede esclude, invece, che la "necessità" possa consistere nel non uso del bene. Il non uso, infatti, oltre che in termini assoluti, siccome lo si è sopra individuato, si può atteggiare anche come riflesso di un uso consentito ad altri, che esclude l'uso diretto da parte del proprietario.

p. 3.2. In terzo luogo, la svalutazione che i resistenti postulano del riferimento alla necessità appare incompatibile con il criterio di interpretazione di cui all'art. 1367 c.c., cui va dato particolare rilievo nella specie, atteso che la pattuizione intervenne - e si tratta di punto pacifico - in un accordo conciliativo in sede giudiziale, nel quale è da supporre che le parti abbiano prestato massima attenzione nell'usare determinate espressioni, dovendo porre fine ad una lite: è evidente che, se la necessità non fosse stata contemplata come presupposto giustificativo del recesso e le parti avessero solo voluto prevedere una richiesta formale di restituzione, avrebbero semplicemente detto che il comodato poteva cessare a richiesta della parte comodante e non alluso ad una cessazione per la sua necessità.

Questa spiegazione dell'indicazione della necessità palesa anche l'infondatezza del rilievo svolto dalla memoria in ordine all'esigenza di indicazione nel negozio di recesso della necessità. Infatti, se la volontà di recedere era esprimibile solo assumendo come motivo una necessità di riacquistare l'immobile per goderne in senso positivo, è evidente che, costituendo il recesso un negozio unilaterale diretto a provocare la cessazione del contratto di comodato in presenza di un certo presupposto - cioè la necessità di un certo uso in senso positivo dell'immobile da parte del comodante - tale negozio (necessariamente atto recettizio) doveva certamente enunciare questo presupposto, assumendo esso, in sostanza, per la previsione convenzionale, il valore di motivo convenzionale tipizzato del negozio stesso da esternarsi al comodatario (e, del quale, in caso di contestazione, doveva provarsi l'effettività: ciò, non diversamente da quanto accade per la fattispecie di diniego di rinnovo motivato ex L. n. 431 del 1998 o ex art. 29 L. n. 392 del 1978, in tema, rispettivamente, di locazioni ad uso abitativo e ad uso diverso).

p. 3.3. Nella memoria si assume in fine che nel corso del giudizio sarebbe stato dedotto e documentato che il motivo della richiesta di restituzione era l'intenzione di sfruttare commercialmente le nuove potenzialità economiche del bene divenuto nel frattempo edificabile: non è chiaro se tale deduzione implichi che i resistenti ritengano di avere allegato e dimostrato la verificazione del presupposto del recesso così genericamente identificato nel corso del giudizio. Se così fosse, si dovrebbe considerare che anche a voler ammettere questa possibilità, nella specie detta allegazione non avrebbe potuto in alcun modo integrare quel presupposto attesa la sua genericità: sarebbe stata necessaria la concreta indicazione della volontà di riavere l'immobile, ad esempio, per edificarvi o per venderlo ad altri.

p. 4. Conclusivamente, la sentenza impugnata, in accoglimento del motivo di ricorso principale per quanto di ragione è cassata in base al seguente principio di diritto: “quando in un contratto di comodato immobiliare le parti prevedono che la restituzione dell'immobile da parte del comodante debba avvenire nel caso che il comodante ne abbia necessità, il contratto si connota come una figura atipica, che non è riconducibile né al modello legale del comodato a termine, né a quello del comodato senza limitazione di durata, quali espressi rispettivamente nelle norme dell'art. 1809 e 1810 c.c.. In tal caso il comodato è, invece, da intendere convenuto senza determinazione di tempo (salvo quello che ex lege può discendere dall'applicazione dell'art. 1811 e salvo che un termine non risulti altrimenti in relazione all'uso pattuito), ma, ai sensi dell'art. 1322 c.c., con il patto che il potere di richiedere la restituzione possa esercitarsi solo in presenza di una necessità di utilizzazione dell'immobile - nel senso indicato nella relazione e nella motivazione della presente - che, evidentemente, sia incompatibile con il protrarsi del godimento, e che deve essere prospettata nel negozio di recesso dal comodante e, in caso di contestazione, dimostrata”.

Nel caso di specie, infatti, non essendo stata allegata a fondamento del negozio di recesso tale necessità la domandi non avrebbe potuto essere accolta. L'appello avrebbe dovuto essere ritenuto fondato.

Non occorrendo accertamenti di fatto è possibile decidere nel merito e, previo accoglimento dell'appello del qui ricorrente, la domanda di rilascio dev'essere rigettata.

Il rigetto del ricorso incidentale discende, come enunciato nella relazione, quale conseguenza della decisione sulla domanda di rilascio.

La novità delle questioni proposte induce a compensare integralmente le spese dell'intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale e rigetta quello incidentale. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l'appello principale e rigetta la domanda di rilascio. Compensa le spese dell'intero giudizio.

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