“la prova liberatoria richiesta ai genitori dall’articolo 2048 c.c. e, cioè, di non aver potuto impedire il fatto illecito commesso dal figlio minore, capace di intendere e di volere, prova che si concretizza, normalmente, nella dimostrazione, oltre di avere impartito al minore un’educazione consona alle proprie condizioni sociali e familiari, anche di avere esercitato sul medesimo una vigilanza adeguata all’età”.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 27 marzo-20 aprile 2007, n. 9509
(Presidente Preden – Relatore Varrone)
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 3 ottobre
Nel costituirsi in giudizio, i convenuti contestavano la dinamica del sinistro che era da ricondurre a fatto e colpa esclusivi di G. S.. Chiedevano, quindi, il rigetto della domanda attrice contestando che, nel caso di specie, ricorressero gli estremi della culpa in aeducando e/o di quella in vigilando.
Procedutosi ad attività istruttoria mediante assunzione dei testi addotti dagli attori e a consulenza medico legale sulla natura e gli esiti delle lesioni subite dal minore G. S., il Tribunale, con sentenza del 3/28 novembre 2000, rigettava la domanda e condannava gli attori alle spese giudiziali, escludendo qualsiasi responsabilità dei convenuti ai sensi dell’articolo 2048 c.c..
L’appello proposto dai coniugi S. A. ed al quale avevano resistito i coniugi D. -S. era però accolto parzialmente dalla Corte palermitana, con sentenza 12 dicembre 2002, che ritenuti gli appellati responsabili dell’incidente occorso a G. S. nella misura del 70%, li condannava solidalmente, in proprio e nella qualità, al correlato risarcimento dei danni, liquidato in complessivi euro 9.442,39 all’attualità, con gli interessi dalla pronuncia, oltre ai due terzi delle spese del doppio grado (l’altro terzo compensato).
Riteneva il giudice del gravame che le modalità della vicenda evidenziassero la responsabilità dei genitori del minore G. D. sia sotto il profilo della culpa in aeducando che della culpa in vigilando ma che sussistesse anche un concorso di colpa del minore offeso, nella misura del 30%.
Hanno proposto ricorso per cassazione M. e G. D. ed A. S., affidandolo ad un motivo, illustrato anche con memoria. Hanno resistito G. e G. S. e M. A. A. con controricorso.
Motivi della decisione
Con l’unico motivo i ricorrenti, denunciando la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 2043 c.c. in relazione all’articolo 360 n. 3 c.p.c., contestano la pronuncia dei giudice di appello il quale, contrariamente a quello di primo grado, ha affermato la loro responsabilità per culpa in aeducando ed in vigilando sul falso presupposto che “dalle testimonianze rese dai testi assunti ... si evince come il minore G. D. non fosse socio del Circolo del Tennis, negli spazi riservati del quale si era introdotto eludendo, evidentemente, il controllo dei custodi, e che non fosse per niente iscritto al corso del S.A.T.”.
Il ricorso, ai limiti dell’ammissibilità (donde le conclusioni drastiche del P.G.) non è comunque fondato. Esso si infrange, infatti, contro l’accertamento della Corte territoriale la quale, premesso che gli attuali ricorrenti avrebbero dovuto offrire, al fine dell’esonero della loro responsabilità, la prova liberatoria richiesta ai genitori dall’articolo 2048 c.c. e, cioè, di non aver potuto impedire il fatto illecito commesso dal figlio minore, capace di intendere e di volere, prova che si concretizza, normalmente, nella dimostrazione, oltre di avere impartito al minore un’educazione consona alle proprie condizioni sociali e familiari, anche di avere esercitato sul medesimo una vigilanza adeguata all’età, ha ritenuto che tale prova non era stata offerta, poiché risultava “dall’esito dell’attività istruttoria in primo grado che il medesimo si era introdotto in un ambiente nel quale non era autorizzato ad accedere, non rivestendo la qualità di socio del Circolo del Tennis; che abbia praticato il c.d. tennis a muro senza la presenza e vigilanza di alcun maestro; che, pur essendo all’epoca dei fatto appena dodicenne, si fosse recato da solo ed autonomamente da Mondello, dove risiedeva, a Palermo, in viale del Fante ove ha sede il Circolo del Tennis circostanza questa affermata dagli appellanti e non contraddetta dagli appellati”.
Conclusione che fa buon governo dei principi affermati da questa Corte in tema di applicazione dell’articolo 2048, 1 comma c.c. (Cassazione 3088/97 e 4481/01 ex plurimis) e che anche sotto il profilo motivazionale (peraltro non espressamente censurato) appare congrua e logica, cosicché il ricorso si risolve in buona sostanza nella pretesa di riesaminare le risultanze istruttorie e di valutarle in modo difforme dal giudice palermitano; pretesa, com’è pacifico, inammissibile in questa sede.
Il ricorso va, pertanto, rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti alle spese di questo grado
P.Q.M.
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