"L’organo elettivo è chiamato ad esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale che si traducono in atti fondamentali di natura programmatoria o aventi elevato contenuto di indirizzo politico, tassativamente elencati, mentre la giunta ha una competenza residuale in quanto compie tutti gli atti non riservati dalla legge al consiglio o non ricadenti nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del sindaco o di altri organi (cfr. Cons. Stato, sez. V, 31 gennaio 2007, n. 383; sez. V, 13 dicembre 2005, n. 7058).
In quest’ottica, si è affermata la competenza del consiglio comunale in materia di servizi pubblici esclusivamente in ordine all’organizzazione dei servizi stessi ed agli atti espressione della funzione di governo con esclusione di quelli gestionali (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 maggio 2005, n. 2324); lo stesso è a dire in materia di appalti pubblici, dove la competenza consiliare si è fatta discendere dall’applicazione di un doppio criterio selettivo: essere la gara non attuativa di precedenti atti fondamentali (approvati dal consiglio) e non rientrare nella ordinaria amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 gennaio 2005, n. 5668); ovvero in materia di alienazioni ed acquisiti immobiliari, dove si è fatta rientrare nella competenza del consiglio l’approvazione dell’acquisto isolato di un immobile di interesse culturale gravato da prelazione, in quanto la giunta comunale aveva operato al di fuori di qualsiasi indirizzo espresso dal consiglio in materia, ed anzi in contrasto con la delibera consiliare che aveva stabilito le modalità per l’attuazione del programma di acquisto di alloggi di edilizia residenziale pubblica (cfr. sez. IV, 24 giugno 2002, n. 3430, impropriamente richiamata a sostegno della propria tesi dalla società appellante).
Facendo applicazione di tali principi è evidente che nella specie non ricorreva la competenza dell’organo consiliare, perché:
- viene in rilievo un provvedimento a mezzo del quale l’ente ha espresso la propria volontà di adire le vie legali per proporre domanda di risoluzione per inadempimento della convenzione del 1990;
- tale determinazione è attuativa, nella sostanza, delle presupposte delibere consiliari che avevano predisposto il quadro istituzionale relativo agli interventi di edilizia economica e popolare nel comune di Aprilia;
- l’atto è espressione in via immediata di attività di gestione ordinaria perché tale deve considerarsi quella volta a tutelare, in sede giudiziaria, le pretese dell’ente, ponendosi l’acquisto delle aree e degli edifici, realizzati medio tempore, quale conseguenza indiretta della sentenza di risoluzione.
In conseguenza non risulta invocabile la lett. l) del menzionato art. 42 che attribuisce al consiglio la competenza in materia di «acquisti ed alienazioni immobiliari, relative permute, appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio o che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nella ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di competenza della giunta …»."
Consiglio di Stato
Sezione IV
Decisione 30 ottobre – 11 dicembre 2007, n. 6358
Fatto e diritto
1. Il comune di Aprilia e la Soc. (in prosieguo coop. Flavia) hanno stipulato il 15 gennaio 1990, ai sensi dell’art. 35, l. n. 865 del 1971, una convenzione che, unitamente alla presupposta assegnazione alla medesima società (cfr. deliberazione consiliare n. 87 del 1989) delle aree edificabili nell’ambito del piano di zona per l’edilizia economica e popolare ed alla concessione di esecuzione delle opere di urbanizzazione (cfr. delibera consiliare n. 34 del 1981 di approvazione del piano di zona e n. 86 del 1989 di approvazione del p.p.a. ex art. 38, l. 865 del 1971), ha operato una complessa operazione di trasferimenti di lotti in proprietà. La finalità perseguita, conformemente al modello legale, era quella di far costruire, a cura della cooperativa, alloggi residenziali, relativi servizi ed opere di urbanizzazione.
In particolare, e per quanto qui interessa, la coop. Flavia – che assumeva la veste anche formale di concessionaria di opera pubblica - si impegnava a realizzare entro il 1994 una piazza pedonale sopraelevata, aree annesse destinate a verde, un mercato coperto e comunque si impegnava a ultimare le opere di urbanizzazione prima del completamento dei fabbricati destinati ad alloggi.
L’art. 15 della convenzione, facendo salva ogni ulteriore ipotesi di responsabilità ai sensi di legge, introduceva (al punto 3) una clausola risolutiva espressa limitata a talune tassative ipotesi, mentre il successivo art. 17, nel disciplinare in generale gli effetti della risoluzione della convenzione, specificava che ciò avrebbe comportato la restituzione in proprietà delle aree (e dei manufatti sopra realizzati) ceduti dal comune alla coop. Flavia.
1.1. Spirato il termine in questione e realizzati gli alloggi, la coop. Flavia ha proposto al comune di Aprilia una variante al progetto originario concernente la piazza, il verde annesso, il mercato (cfr. nota 2 luglio 1996); la commissione edilizia (nella seduta del 25 ottobre 1996) sospendeva l’esame della proposta in quanto la destinazione d’uso prevista nel nuovo progetto non era compatibile con il piano di zona.
Perdurando l’inerzia della coop. Flavia nell’esecuzione dei lavori, e sollecitato dalle proteste di alcuni cittadini - conduttori o proprietari di immobili costruiti dalla società – che lamentavano la mancata esecuzione delle opere a servizio del quartiere, il comune di Aprilia affidava all’avvocato Bianchi l’incarico di assistenza legale allo scopo di:
- verificare la complessa vicenda nella sua globalità;
- garantire la realizzazione delle opere pubbliche necessarie per migliorare l’insediamento residenziale all’interno del comparto;
- evitare danni all’amministrazione comunale (cfr. delibera di giunta municipale n. 174 del 2 aprile 2003).
Con lettera raccomandata del 29 maggio 2003, l’avvocato Bianchi diffidava espressamente per conto e nell’interesse del comune di Aprilia, ex art. 1454 c.c., la coop. Flavia a completare le opere previste in convenzione ed a riattivare il cantiere nel termine di 15 gg.
Seguiva la delibera di giunta n. 504 del 4 novembre 2003 recante:
- la determinazione di risolvere, per grave inadempimento della coop. Flavia, la convenzione del 15 gennaio 1990 con la consequenziale estinzione del diritto di proprietà di quest’ultima sulle aree e sui manufatti interessati ed il loro riacquisto in capo al comune;
- l’affidamento all’avvocato Bianchi dell’incarico di assistenza legale per dare corso a tutte le iniziative amministrative e giudiziali ritenute necessarie.
Con atto notarile n. rep. 14348 del 23 dicembre 2003 la coop. Flavia vendeva al comune di Roma alcuni alloggi facenti parte del complesso realizzato nel piano di zona attuato dalla convenzione del gennaio 1990.
1.2. Con un primo ricorso, proposto innanzi al Tar di Latina in data 6 febbraio 2004, il comune di Aprilia ha domandato la risoluzione, per inadempimento della coop. Flavia, della convenzione 15 gennaio 1990 nonché il risarcimento dei danni.
Si è costituita la coop. Flavia contestando l’avversa pretesa e proponendo domanda riconvenzionale per la condanna del comune all’approvazione del progetto in variante, a suo tempo presentato, ed al risarcimento dei danni.
1.3. Con un secondo ricorso – notificato ritualmente l’8 aprile 2004 – la coop. Flavia ha impugnato le menzionate delibere di giunta nn. 504 del 2003 e 174 del 2003, nonché l’atto di diffida del 29 maggio 2003. È seguito un secondo ricorso, notificato il giorno successivo, in cui è stata articolata una censura di incompetenza nei confronti della delibera di giunta n. 504 del 2003.
Si è costituito il comune di Aprilia deducendo il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e l’infondatezza nel merito della domanda di annullamento.
2. L’impugnata sentenza – Tar del Lazio, sezione di Latina, n. 662 del 1 settembre 2005 -:
a) ha riunito entrambi i ricorsi;
b) ha dichiarato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 5, l. n. 1034 del 1971;
c) ha respinto l’eccezione di difetto di ius postulandi del patrono del comune di Aprilia e quella di carenza di legittimazione processuale dell’organo che ha agito in giudizio;
c) ha respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso del comune di Aprilia per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti del comune di Roma;
d) ha dichiarato risolta la convenzione per grave inadempimento della coop. Flavia, disattendendo implicitamente la domanda riconvenzionale e quella risarcitoria proposta da quest’ultima;
e) ha respinto il ricorso principale della coop. Flavia, dichiarando inammissibile il motivo integrativo, per difetto dello ius postulandi dell’avvocato privo di mandato speciale;
f) ha respinto, per mancanza di prova sul danno, la domanda di risarcimento formulata dal comune di Aprilia;
h) ha compensato fra le parti le spese di giudizio.
3. Con ricorso notificato il 17 dicembre 2005, e depositato il successivo 23 dicembre, la coop. Flavia proponeva appello – rubricato al nrg. 10471/2005 - affidato a cinque complessi motivi.
Con ricorso notificato il 23 dicembre 2005, e depositato il successivo 23 gennaio 2006, il comune di Aprilia proponeva a sua volta appello – rubricato al nrg. 560/2006 - reiterando la domanda di risarcimento del danno.
4. Si costituivano, nei rispettivi giudizi, il comune di Aprilia e la coop. Flavia deducendo l'infondatezza dell’avverso gravame in fatto e diritto.
5. La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 30 ottobre 2007.
6. I due appelli, in quanto proposti avverso la medesima sentenza, devono essere riuniti a mente dell’art. 335 c.p.c.
Entrambi sono infondati e devono essere respinti.
7. In ordine logico è prioritario l’esame dell’appello proposto dalla società Flavia.
7.1. Con il primo mezzo si ripropone l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
L’eccezione è infondata.
Come esattamente affermato dall’impugnata sentenza, la complessa fattispecie procedimentale e negoziale cui hanno dato corso il comune di Aprilia e la coop. Flavia, ex art. 35, l. 865 del 1971, ha la sostanza e la forma di una concessione amministrativa come tale disciplinata, in punto di giurisdizione, dall’art. 5, l. n. 1034 del 1971 (cfr. ex plurimis Cass., sez. un., 10 settembre 2004, n. 18257; 2 aprile 1996, n. 3035).
La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo discenderebbe comunque anche dall’applicazione dell’art. 11, l. n. 241 del 1990 che affida a questo plesso le controversie concernenti gli accordi sostitutivi di provvedimenti autoritativi, anche se relative alla fase di esecuzione del rapporto (come nel caso di specie); la convenzione in esame infatti è certamente sostitutiva, in virtù di specifica previsione normativa, dei procedimenti di espropriazione che la p.a. avrebbe dovuto necessariamente attivare per reperire le aree su cui attuare il programma di edilizia residenziale pubblica (cfr. Cass., sez. un., n. 14031 del 2001; n. 8593 del 1998).
In ogni caso il giudice amministrativo non potrebbe declinare la giurisdizione a causa dell’entrata in vigore, dopo l’introduzione del giudizio di primo grado, della norma sancita dall’art. 34, d.lgs. n. 80 del 1998.
Tale norma, infatti, è stata interpretata nel senso che attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di edilizia residenziale pubblica in quanto espressione dell’uso particolare del territorio che si traduce nell’attività di edificazione o nel suo diniego mediante provvedimenti espressivi di funzione pubblica o moduli convenzionali sostitutivi (cfr. Cass., sez. un., 11 febbraio 2003, n. 2063; Cons. Stato, sez. V, 1 dicembre 2003, n. 7820).
7.2. Con il secondo mezzo l’appellante deduce, sotto più profili, la carenza di legittimazione processuale dell’organo che ha agito in giudizio ed il difetto di ius postulandi del difensore del comune.
Il mezzo è infondato perché:
- il ricorso di primo grado è stato proposto dal comune di Aprilia, in persona del sindaco suo legale rappresentante, ex art. 75 c.p.c., in conformità a quanto previsto sul punto dallo Statuto che oltretutto abilita oltretutto il sindaco stesso a nominare il legale;
- la procura al difensore è stata conferita dal sindaco nel corpo del ricorso di primo grado;
- l’autorizzazione alle liti è sicuramente rinvenibile nella delibera n. 504 del 2003 che ha individuato anche il difensore;
- è superfluo, nel particolare caso di specie, esigere che il sindaco adotti un ulteriore atto per nominare un difensore gia individuato dalla giunta, in mancanza di un dissenso espresso nei confronti dell’organo collegiale.
Del tutto irrilevante è che la diffida ad adempiere del 29 maggio 2003 sia stata redatta dall’avvocato Bianchi; quest’ultimo, infatti, ha agito per conto e nell’interesse del comune dopo essere stato a ciò espressamente incaricato dalla giunta municipale (cfr. delibera n. 174 del 2003).
Del pari irrilevante è l’omessa notifica alla coop. Flavia della delibera n. 504 del 2003 che per tale ragione sarebbe inefficace.
Dal punto di vista sostanziale la delibera in questione dà forma alla volontà dell’ente di agire in giudizio; trattandosi di una atto negoziale interno come tale, pertanto, non andava notificato alla cooperativa.
7.3. Con il terzo mezzo si lamenta l’omessa integrazione del contraddittorio nei confronti del comune di Roma resosi acquirente di alcuni alloggi oggetto della convenzione da risolvere.
L’eccezione è infondata.
A mente dell’art. 1458 c.c. la risoluzione ha effetto retroattivo fra le parti ma non per i terzi che possono risultare pregiudicati solo nel caso di anteriorità della trascrizione della domanda di risoluzione rispetto a quella concernente la vendita.
Nel caso di specie è pacifico che la vendita al comune di Roma sia anteriore alla notificazione del ricorso del comune di Aprilia e la coop. Flavia non ha provato l’anteriorità di una eventuale trascrizione della domanda di risoluzione.
7.4. Con il quarto motivo l’appellante si duole, nella sostanza, dell’inadempimento del comune di Aprilia che non avrebbe risposto alla proposta di modifica del progetto originario così impedendo alla coop. di realizzare le opere di urbanizzazione.
L’assunto è infondato perché:
- la proposta di modifica è stata presentata dopo la scadenza del termine previsto dalla convenzione per l’esecuzione delle opere pubbliche e dopo la realizzazione degli alloggi;
- il progetto in variante aveva un contenuto impossibile ed uno scopo dilatorio, essendo in palese contrasto con le previsioni del piano di zona (come si evince chiaramente dal parere reso dalla Commissione edilizia che non ha potuto fare altro che rimettere al consiglio comunale ogni decisione sulla modificazione della vigente pianificazione urbanistica);
- la coop. non ha attivato alcuna procedura per qualificare il silenzio dell’amministrazione comunale sulla richiesta di variante, fermo restando che quest’ultima, in ogni caso, non era certo tenuta a svolgere una attività assai gravosa dal punto di vista procedimentale per attutire gli effetti della flagrante inadempienza della società.
Con un secondo profilo la coop. contesta la gravità dell’inadempimento in relazione alla mancata realizzazione della piazza, del mercato e degli annessi spazi verdi.
Anche questo rilievo è inaccoglibile.
Nel contesto del programma obbligatorio complessivo, quale definito dalla convenzione in esame, la realizzazione tempestiva delle opere pubbliche in questione riveste una importanza essenziale per il soddisfacimento degli interessi pubblici curati dall’amministrazione comunale.
Con un terzo profilo l’appellante lamenta la violazione dell’art. 15 nella parte in cui prevede la risoluzione di diritto per una serie di ipotesi tassative che non ricorrerebbero nel caso di specie.
Anche tale censura è infondata.
Come emerso dalla precedente ricostruzione in fatto, il collegio ritiene che il comune abbia fatto valere non già la clausola risolutiva espressa di cui all’art. 15, n. 3, ex art. 1456 c.c., bensì la normale azione di risoluzione per inadempimento generico divisata dall’art. 1454 c.c.
Parimenti insostenibile – perchè smentita dal tenore letterale e dalla ratio della previsione in esso contenuta - è la tesi che l’art. 17 della convenzione sarebbe applicabile alle sole ipotesi di inadempimento dedotte nella clausola risolutiva espressa sancita dal precedente art. 15.
7.5. Con l’ultimo mezzo la società contesta la declaratoria di inammissibilità del motivo integrativo.
La censura è fondata in parte qua.
Il motivo integrativo è stato notificato il giorno successivo a quello della notificazione del ricorso principale e consiste in una censura di incompetenza proposta avverso lo stesso atto impugnato con il ricorso principale (delibera di giunta n. 504 del 2003).
È evidente, pertanto, che nel caso di specie si è in presenza di un motivo integrativo in senso stretto, ovvero né nuovo – cioè scaturente dalla conoscenza di nuova documentazione - né aggiunto – perché rivolto a contestare provvedimenti sopravvenuti ma connessi con quelli impugnati in via principale -.
È pacifico che in tale frangente il mandato speciale conferito al difensore per la proposizione del ricorso principale è valido, salve espresse limitazioni che non ricorrono nella specie, e comprensivo di tutti i poteri processuali finalizzati alla rimozione della lesione, ivi inclusa la notificazione del motivo integrativo (cfr. ex plurimis con riferimento ai motivi aggiunti, Cons. Stato, sez. V, 19 febbraio 2007, n. 831; sez. V, 10 gennaio 2007, n. 58).
Deve passarsi quindi all’esame del merito del motivo con cui si lamenta l’incompetenza della giunta ad adottare il provvedimento di risoluzione trattandosi di attività asseritamene riservata al consiglio comunale in base al combinato disposto degli artt. 35, l. 865 del 1971 e 42, lett. l), t.u. enti locali.
La censura è infondata.
L’art. 35, co. 7 e 14, l. n. 865 del 19871 riserva al consiglio comunale la competenza a deliberare il contenuto delle convenzioni colà disciplinate.
Tuttavia, successivamente all’entrata in vigore del t.u. degli enti locali (che in questa parte si è posto sulla scia della l. n. 142 del 1990), l’art. 42 del medesimo t.u. ha delimitato puntualmente i casi di competenza del consiglio comunale.
Dal punto di vista strettamente formale è facile osservare che nessuna delle disposizioni di cui si compone il menzionato art. 42 fa riferimento all’attività di risoluzione di convenzioni urbanistiche stipulate con privati.
Ma anche dal punto di vista sostanziale la tesi della società ricorrente non può essere recepita.
L’organo elettivo è chiamato ad esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale che si traducono in atti fondamentali di natura programmatoria o aventi elevato contenuto di indirizzo politico, tassativamente elencati, mentre la giunta ha una competenza residuale in quanto compie tutti gli atti non riservati dalla legge al consiglio o non ricadenti nelle competenze, previste dalle leggi o dallo statuto, del sindaco o di altri organi (cfr. Cons. Stato, sez. V, 31 gennaio 2007, n. 383; sez. V, 13 dicembre 2005, n. 7058).
In quest’ottica, si è affermata la competenza del consiglio comunale in materia di servizi pubblici esclusivamente in ordine all’organizzazione dei servizi stessi ed agli atti espressione della funzione di governo con esclusione di quelli gestionali (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 maggio 2005, n. 2324); lo stesso è a dire in materia di appalti pubblici, dove la competenza consiliare si è fatta discendere dall’applicazione di un doppio criterio selettivo: essere la gara non attuativa di precedenti atti fondamentali (approvati dal consiglio) e non rientrare nella ordinaria amministrazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 gennaio 2005, n. 5668); ovvero in materia di alienazioni ed acquisiti immobiliari, dove si è fatta rientrare nella competenza del consiglio l’approvazione dell’acquisto isolato di un immobile di interesse culturale gravato da prelazione, in quanto la giunta comunale aveva operato al di fuori di qualsiasi indirizzo espresso dal consiglio in materia, ed anzi in contrasto con la delibera consiliare che aveva stabilito le modalità per l’attuazione del programma di acquisto di alloggi di edilizia residenziale pubblica (cfr. sez. IV, 24 giugno 2002, n. 3430, impropriamente richiamata a sostegno della propria tesi dalla società appellante).
Facendo applicazione di tali principi è evidente che nella specie non ricorreva la competenza dell’organo consiliare, perché:
- viene in rilievo un provvedimento a mezzo del quale l’ente ha espresso la propria volontà di adire le vie legali per proporre domanda di risoluzione per inadempimento della convenzione del 1990;
- tale determinazione è attuativa, nella sostanza, delle presupposte delibere consiliari che avevano predisposto il quadro istituzionale relativo agli interventi di edilizia economica e popolare nel comune di Aprilia;
- l’atto è espressione in via immediata di attività di gestione ordinaria perché tale deve considerarsi quella volta a tutelare, in sede giudiziaria, le pretese dell’ente, ponendosi l’acquisto delle aree e degli edifici, realizzati medio tempore, quale conseguenza indiretta della sentenza di risoluzione.
In conseguenza non risulta invocabile la lett. l) del menzionato art. 42 che attribuisce al consiglio la competenza in materia di «acquisti ed alienazioni immobiliari, relative permute, appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio o che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nella ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di competenza della giunta …».
8. Può scendersi, infine, all’esame dell’appello del comune di Aprilia con cui si reitera la domanda di risarcimento del danno.
La domanda è infondata.
Il comune confonde la prova della gravità dell’inadempimento, che ha giustificato la risoluzione della convenzione, con la prova della sussistenza del danno in concreto patito a cagione dell’inadempimento; attesa l’autonomia delle due domande, ex art. 1453, co. 1, c.c., l’accoglimento della prima non implica automaticamente l’accoglimento della seconda.
È bene evidenziare, inoltre, che la prova del danno non è stata fornita neppure sul piano della semplice allegazione, mancando una analitica illustrazione delle poste dettagliate del pregiudizio economico subito.
9. In conclusione gli appelli devono essere respinti con la conseguente conferma dell’impugnata sentenza sia pure con diversa motivazione.
Nella reciproca soccombenza delle parti, il collegio ravvisa giusti motivi per compensare integralmente fra le stesse le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti meglio specificati in epigrafe:
- respinge gli appelli e per l’effetto conferma la sentenza impugnata con diversa motivazione;
- dichiara integralmente compensate fra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa
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