venerdì 12 marzo 2010

Danno civile, criteri ultimi di identificazione

Tribunale di Milano Sezione V Civile Sentenza 9 giugno 2009, n. 7515

"tanto la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. (che consente il completo ristoro del danno, necessariamente personalizzato conseguente alla lesione del bene salute) quanto la ricostruita netta bipolarità del sistema del danno alla persona (che impone la reductio ad unum del danno non patrimoniale, ma impedisce ogni fungibilità tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale) escludono che il diritto del lavoratore all’integrale risarcimento del danno non patrimoniale (differenziale) possa essere in qualche modo compresso dalle ragioni creditorie dell’ente assicuratore relative al costo sopportato per le conseguenze patrimoniali del sinistro. Qualora tale costo sia superiore all’importo civilisticamente liquidato a titolo di danno patrimoniale, solo questa eccedenza non potrà che restare a carico dell’INAIL, che l’ha sostenuta, per le finalità previdenziali proprie dell’ente.

Se, infatti, il sistema della responsabilità civile mira a garantire il risarcimento integrale, scopo di quello previdenziale è la liberazione del lavoratore e della sua famiglia dallo stato di bisogno, in attuazione dell’art. 38 Cost., mediante prestazioni strutturate come indennizzo, ove l’eventualità di un ristoro non esaustivo del danno è compensata dall’automaticità e rapidità dell’erogazione."


Tribunale di Milano

Sezione V Civile

Sentenza 9 giugno 2009, n. 7515

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI MILANO

SEZIONE V CIVILE

In persona del Giudice Istruttore, in funzione di Giudice Unico, dott. Damiano Spera,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa civile iscritta al R.G. n. 26093/04 , promossa da

L. R., con gli avv.ti Giuseppe Centola ed Ezio Centola

- attore -

contro

UFFICIO CENTRALE ITALIANO Soc. Cons. a r.l., con l’avv. Filippo Martini

- convenuto -

e

SOC. PH SERVICES

X.

*

convenuti contumaci –

nonché

ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO (I.N.A.I.L.), con l’avv. Pierpaolo Piluso

- terzo chiamato -

e

M. M., in proprio

L. R. e M. M., quali genitori esercenti la potestà sulla minore L. K., con gli avv.ti Fausto Felice e Ferruccio Felice

- terzi intervenuti -

CONCLUSIONI

Per l’attore: vedi foglio n. 3

Per il convenuto: vedi foglio n. 4

Per il terzo chiamato: vedi fogli n. 5-6

Per i terzi intervenuti: vedi fogli n. 7-8

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato, R. L. esponeva:

*

che il giorno 28.08.2002, alle ore 22,20 circa, sull’Autostrada A/4 Venezia-Milano in località Capriate San Gervaso (BG), l’attore, mentre si trovava ad espletare attività lavorativa di manutenzione autostradale alle dipendenze di Nuova Omege S.p.A. Edilizia, veniva investito da un camion, il cui conducente si allontanava dopo il sinistro senza prestare soccorso;
*

che quest’ultimo veniva poi individuato e tratto in arresto, identificandosi nella persona di X., residente in Francia, così come in Francia aveva sede la società Ph Services, proprietaria dell’autocarro condotto dal signor X.;
*

che, nel sinistro, l’attore riportava gravissime lesioni, da cui derivava lunghissima malattia con postumi permanenti e che, pertanto, anche avuto riguardo alla sua giovane età, l’attore aveva subito ingenti danni patrimoniali, biologici, morali, esistenziali. Tra l’altro, non potendo espletare attività lavorativa e dunque non riuscendo a provvedere al pagamento del mutuo fondiario contratto, era stato costretto a vendere il proprio appartamento sito in Como;
*

che alcun indennizzo era ancora stato offerto dall’Ufficio Centrale Italiano, garante per la responsabilità civile relativa a veicolo estero.

Conveniva pertanto in giudizio la Società Ph Services, X. e l’ Ufficio Centrale Italiano soc. cons. a r.l. (di seguito, UCI) e concludeva affinché il Tribunale - preliminarmente disponendo a loro carico, ex art. 24 L. 990/69, provvisionale di Euro 500.000,00 od in diversa misura - condannasse i convenuti, in via tra loro solidale, al risarcimento di tutti i danni derivanti dalle lesioni riportate nell’anzidetto sinistro, nella misura da accertarsi e previa deduzione della rivalsa INAIL; il tutto oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.

Instaurato il contradditorio sull’istanza ai sensi dell’art. 24 L. 990/69, il Tribunale assegnava a R. L., ponendola a carico solidale dei convenuti, la somma di Euro 500.000,00, da imputarsi alla liquidazione definitiva del danno.

Instauratosi il contraddittorio, si costituiva il convenuto UCI, che, condividendo l’attribuzione di responsabilità del sinistro in capo al X., si limitava a contestare il quantum delle pretese avversarie; previo differimento dell’udienza, l’U.C.I. provvedeva a chiamare in causa l’INAIL, al fine di ripartire, secondo le legittime spettanze, le voci di danno tra il soggetto danneggiante e l’assicuratore sociale.

Intervenivano volontariamente M. M. in proprio, nonché la stessa e R. L. in qualità di genitori esercenti la potestà sulla minore L. K., onde ottenere – previa declaratoria di esclusiva responsabilità del sinistro in capo al convenuto X. Jacky – la condanna dei convenuti al ristoro dei danni morali, biologici, patrimoniali patiti dalle medesime M. M. e K. L., rispettivamente moglie e figlia dell’attore, in conseguenza del sinistro occorso a quest’ultimo.

Si costituiva, infine, il terzo chiamato INAIL, deducendo di aver già erogato al signor L., in conseguenza del sinistro in oggetto, prestazioni per l’ammontare totale di Euro 419.868,38; chiedeva pertanto, in via riconvenzionale, che il signor X. e Ph Services venissero condannati in solido al rimborso in suo favore della predetta somma, nonché di eventuali ulteriori somme che l’INAIL potesse essere tenuto a corrispondere in dipendenza dello stesso evento.

Dichiarata la contumacia dei convenuti X. e Ph Services, il terzo chiamato INAIL precisava, ai sensi dell’art. 183 comma 5 c.p.c., che le prestazioni erogate in favore di R. L. ammontavano a complessivi Euro 445.582,22.

Il G.I. disponeva consulenza tecnica d’ufficio medico-legale diretta ad accertare e a quantificare i danni patiti dall’attore, nonché da M. M. e dalla figlia minore K. L..

Conclusa l’istruttoria, ritenuta la causa matura per la decisione, il giudice invitava le parti a precisare le proprie conclusioni come in epigrafe trascritte; disposto lo scambio delle sole comparse conclusionali, all’udienza di discussione dell’11.3.2009, la causa veniva assegnata in decisione, ai sensi dell'art. 281 quinquies cpv. c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ritiene il Tribunale che debba essere dichiarata la responsabilità – peraltro non contestata – nella produzione del sinistro per cui è causa, in capo al convenuto X..

Gli elementi di prova desumibili dal rapporto di incidente redatto dalla Polizia Stradale di Seriate, nonché dalle dichiarazioni che i due colleghi dell’attore (presenti sul posto al momento del fatto) hanno reso sia ai verbalizzanti della Polizia Stradale sia all’Ispettorato del lavoro (cfr. verbale di inchiesta DPL 28.11.2002), consentono un’univoca ricostruzione dell’accadimento.

In data 28.08.2002, R. L., mentre era intento ad apporre una segnaletica di deviazione sulla corsia di emergenza dell’autostrada Venezia-Milano, in località Capriate, veniva urtato e scagliato a terra dall’autocarro condotto da X.. Lo stesso mezzo proseguiva la sua corsa, sfiorando lo specchietto retrovisore del furgone degli operai, fermo sulla corsia di emergenza.

Risulta per tabulas, inoltre, che l’attore – il cui corpo veniva interamente rinvenuto all’interno della corsia di emergenza – al momento dell’impatto indossava l’apposita tuta di colore arancione catarifrangente. Deve pertanto ritenersi che la presenza del signor L. a piedi sull’asfalto fosse ben visibile; e ciò considerando, altresì, che il furgone degli operai, fermo sulla corsia di emergenza con luci accese (cfr. verbale DPL), avrebbe dovuto facilmente richiamare l’attenzione dei conducenti i mezzi in transito sul tratto autostradale in questione ed imporre particolare cautela nella percorrenza dello stesso.

Ritiene dunque il Tribunale indubitabile, alla luce degli elementi obiettivi acquisiti, la piena responsabilità del convenuto che, per imprudenza, negligenza ed imperizia, ha cagionato l’incidente di cui trattasi, invadendo, senza avvedersi degli operai al lavoro, la corsia di emergenza.

Per quanto attiene al quantum, va osservato:

*

che, a seguito dell’impatto, l’attore veniva ricoverato, in stato di coma profondo, agli Ospedali Riuniti di Bergamo, riportando, tra l’altro, trauma cranioencefalico con danno assonale diffuso e focolai contusivi cerebrali multipli, fratture multiple, contusione epatica, renale e polmonare;
*

che l’attore veniva, tra l’altro, sottoposto ad intervento chirurgico sull’omero destro con utilizzo di fissatore esterno;
*

che, dopo lunghissima degenza anche presso l’istituto Clinico Villa Aprica per la riabilitazione, l’attore veniva dimesso con diagnosi di postumi di trauma cranioencefalico, fratture multiple del cingolo scapolare destro ed arto superiore destro, lesione severa del plesso brachiale destro con deficit subtotale dell’arto superiore destro, fratture costali multiple;
*

che il 22.12.2003 si concludeva la riabilitazione, prendendosi atto della persistente paralisi dell’arto superiore destro, ed il 13.01.2004, all’esito di controllo neurologico, si decideva per la stabilizzazione del quadro clinico;
*

che, nella primavera 2004, l’attore ricorreva, altresì, ad ausilio specialistico per lamentati deficit sessuali, con alterazione della libido e della funzione eiaculatoria;
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che i C.T.U. hanno quantificato in 59 giorni (corrispondenti alla degenza ospedaliera) il periodo di inabilità temporanea assoluta ed in quindici mesi quello di inabilità temporanea parziale (mediamente all’80%), con una durata totale di malattia, pertanto, di diciassette mesi;
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che tuttora persiste situazione di sostanziale perdita funzionale dell’arto, cui si è associata sindrome dolorosa cronica, il cui trattamento richiede la somministrazione cronica di morfina;
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che, sul piano psichico, l’attore presenta, tra l’altro, deficit di memoria e di giudizio, concomitanti a sintomatologia ansioso-depressiva, che i C.T.U. hanno ritenuto riconducibili ad una reazione psicologica all’evento lesivo in oggetto, oltre che alla presenza di sofferenza frontale secondaria al riportato trauma cranioencefalico;
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che i C.T.U. hanno pertanto ritenuto individuabile, complessivamente, una lesione dell’integrità psico-fisica dell’attore pari al 75%;
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che, ad avviso dei C.T.U., i sopra enunciati postumi hanno determinato la perdita completa della capacità lavorativa specifica dell’attore, dovendosi valutare, da un lato, la plegia dell’arto superiore dominante (ostativa allo svolgimento di attività manuali) e, d’altro lato, la compromissione del generale assetto neuro-psichico (ostativa allo svolgimento di mansioni lavorative esposte ad eventi imprevedibili);
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che le spese di cura documentate, sostenute dal signor L., devono ritenersi, secondo i C.T.U., pertinenti e congrue per l’importo di € 1.598,97;
*

che sono state altresì documentate spese per copia di cartelle cliniche e per consulenza tecnica di parte per complessivi € 332,00;
*

che, invece, nessun danno biologico, né permanente né temporaneo, veniva dai C.T.U. riconosciuto relativamente alla signora M. M. ed alla minore K. L..

Questo giudice condivide le argomentazioni e le conclusioni cui sono pervenuti i C.T.U., con metodo corretto ed immune da vizi logici o di altra natura.

Pertanto, alla luce delle risultanze sopra esposte, ritiene il Tribunale che l’attore abbia certamente subito il danno biologico e, cioè, quello derivante da illecito lesivo dell’integrità psico-fisica della persona, che, quale evento interno al fatto lesivo della salute, deve necessariamente esistere in presenza delle accertate lesioni, e che prescinde dal danno correlato alla capacità di produzione del reddito; dovendosi, tuttavia, sin d’ora precisare che il predetto danno biologico viene qui in rilievo a meri fini descrittivi quale componente medicalmente accertata del più complesso danno non patrimoniale subito.

Come è noto, infatti, la Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 26972/2008) ha recentemente ritenuto che, nell’ambito del danno non patrimoniale, il riferimento a determinati tipi di pregiudizi, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. E’ compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione.

E’ mutata, invece, la nozione di danno morale soggettivo.

La nozione di “danno morale soggettivo transeunte va definitivamente superata”; non ne parla la legge ed è inadeguata se si pensa che la sofferenza morale cagionata da reato non è necessariamente transeunte, ben potendo l’effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo.

Nell’ambito del danno non patrimoniale il danno morale non individua una autonoma sottocategoria, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi, quello “costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento”.

Viene riaffermata, invece, la nozione di danno biologico, come danno conseguente alla lesione del diritto inviolabile della salute, nell’accezione normativa di cui agli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni.

Si noti, poi, che le Sez. Unite, pur negando la sussistenza del “danno esistenziale” come voce autonoma di danno non patrimoniale, non disdegnano affatto di menzionare “i pregiudizi esistenziali” concernenti aspetti relazionali della vita, che possono accertarsi come compresi nel danno biologico c.d. dinamico.

Rilevano poi che certamente incluso nel danno biologico, se derivante da lesione dell'integrità psicofisica, è il pregiudizio da perdita o compromissione della sessualità, del quale pure non può, a pena di incorrere in duplicazione risarcitoria, darsi separato indennizzo.

Analogamente, deve dirsi per il c.d. danno da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto, laddove “la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato”.

Circa i criteri di liquidazione, il giudice, coerentemente con quanto statuito dalla Cassazione a Sez. Unite citate, è chiamato a valutare congiuntamente, entro il danno biologico, tutte le sofferenze soggettivamente patite dall’attore, in relazione alle condizioni personali dello stesso ed ai risvolti che concretamente la lesione all’integrità psico-fisica ha comportato.

Così stigmatizzano le Sezioni Unite: “Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. Egualmente determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua nuova configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato”.

Le Sez. Unite ribadiscono tuttavia che il danno non patrimoniale, quale danno conseguenza, deve essere allegato e provato. La sentenza della Corte Costituzionale n. 184/1986 è stata superata dalla sentenza della stessa Corte n. 372/1994, poi seguita dalle sentenze gemelle del 2003.

Il danno non è mai in re ipsa ed il giudice dovrà porre a fondamento della propria decisione non solo la consulenza tecnica d’ufficio, ma anche “tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze) avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni” (ex artt. 115 cpv. c.p.c e 2727 e ss. c.c.).

Alla luce di questa innovativa sentenza, devono essere necessariamente rivisti i criteri di liquidazione tabellare adottati dagli Uffici Giudiziari.

In particolare, la tabella milanese (ad eccezione del danno morale) già comprendeva, nella nozione unitaria del danno biologico, la molteplicità delle singole possibili “voci” di pregiudizi, non lasciando spazio ad autonome liquidazioni del danno alla vita di relazione, del danno estetico, del danno alla sfera sessuale, ecc.; la tabella prevedeva, separatamente, solamente la liquidazione del danno morale, nella misura da un quarto alla metà dell’importo liquidato per il danno biologico.

Incorreva dunque anche questa tabella nelle censure delle Sez. Unite, perché produceva una duplicazione di risarcimento del danno.

Come risolvere questo problema, salvaguardando in pari tempo i valori monetari finora riconosciuti?

E’ stato necessario approvare una nuova tabella.

La nuova tabella milanese muove dal presupposto che i criteri di liquidazione del danno non patrimoniale da lesione del bene salute debbano prevedere valori monetari che siano riconducibili a quelli già riconosciuti precedentemente, sia a titolo di danno biologico che di danno morale, da liquidarsi dal giudice complessivamente, all’esito di una unitaria personalizzazione del danno accertato.

In sostanza, per ciascun punto percentuale di menomazione dell’integrità psicofisica, si liquiderà un importo che dia ristoro alle conseguenze della lesione in termini “medi”: in relazione agli aspetti anatomo-funzionali, agli aspetti relazionali, agli aspetti di sofferenza soggettiva, ritenuti provati anche presuntivamente.

Il giudice - in considerazione delle peculiarità allegate e provate nella fattispecie concreta, con specifico riguardo sia alla “sofferenza soggettiva” che alle “particolari condizioni soggettive del danneggiato” (nozione accolta anche dagli artt. 138 e 139 Cod. delle Assicurazioni) - procederà ad un’adeguata e complessiva “personalizzazione” della liquidazione del danno entro valori monetari stabiliti in un predeterminato range di aumento dei citati importi “medi”.

Con gli stessi criteri il giudice liquiderà anche il danno biologico temporaneo, comprensivo altresì del danno morale, entro un range che consenta un’idonea personalizzazione.

In ogni caso, il giudice sarà sempre libero di liquidare importi diversi da quelli indicati in tabella, con congrua motivazione, soprattutto laddove la fattispecie concreta presenti aspetti affatto peculiari.

Nella fattispecie in esame, il Tribunale dovrà necessariamente tenere conto di tutto quanto sinora esposto ai fini di una corretta liquidazione del danno subito dall’attore. Tale operazione dev’essere compiuta, peraltro, non soltanto in ragione delle domande risarcitorie svolte dall’attore medesimo, ma anche ai fini dell’azione di surroga svolta dall’INAIL nei confronti dei convenuti riconosciuti responsabili, per le somme corrisposte dall’ente all’attore.

Ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale patito da R. L., occorrerà pertanto tenere conto delle accertate invalidità, della giovane età dell’attore (al momento dell’accadimento ventiseienne), delle condizioni di vita (tra queste la circostanza, di cui ancora infra, che l’attore vantava bell’aspetto e velleità di sfruttarlo a fini economici o, comunque, di metterlo in risalto), delle risultanze probatorie, dell’espletata CTU, della rilevantissima entità del danno biologico, delle particolari sofferenze fisiche e psichiche sofferte e degli innumerevoli gravi pregiudizi che una menomazione psico-fisica, quale quella subita dall’attore, comporta su un giovane, inevitabilmente compromettendone la sfera relazionale e sessuale. Tenuto infine conto dei nuovi criteri tabellari sopra delineati, stimasi equo liquidare, per il complessivo risarcimento del danno non patrimoniale da lesione al diritto alla salute nella sua nuova accezione onnicomprensiva e “dinamica”, la somma già rivalutata di Euro 750.000,00; per il danno biologico temporaneo – reputandosi equo calcolare (avuto riguardo, sempre, a tale valutazione complessiva del danno biologico) un parametro medio giornaliero di circa Euro 100,00 per l’inabilità totale – si liquida la somma già rivalutata di Euro 43.100,00.

Conformemente ai dicta delle Sezioni Unite richiamati, non residua spazio per il risarcimento di ulteriori pregiudizi non patrimoniali (quali, in particolare, i dedotti danni morale ed esistenziale), poiché tutti già ricompresi in quelli già liquidati, risultando altrimenti certa la duplicazione risarcitoria del medesimo danno.

Il danno non patrimoniale subìto dall’attore viene, pertanto, quantificato nell’importo rivalutato di Euro 793.100,00.

Quanto al danno patrimoniale, deve aversi riguardo, anzitutto, alle spese sostenute, ritenute congrue dai C.T.U. per l’importo di Euro 1.598,97, al quale va aggiunto l’importo delle ulteriori spese documentate di Euro 332,00, per un totale di Euro 1.930,97. Questa somma, rivalutata ad oggi secondo gli indici I.S.T.A.T., è pari ad (arrotondati) Euro 2.201,00.

In punto di lucro cessante per perdita della capacità lavorativa specifica, il danno dev’essere quantificato considerando un reddito annuo oggi pari a circa Euro 16.000,00 (come documentato) ed utilizzando le tabelle di capitalizzazione di cui al R.D. 9.10.1922 n. 1403, con coefficiente di sopravvivenza pari a 18,557 per il totale di Euro 296.912,00, da decurtarsi nella misura del 15% avuto riguardo allo scarto tra vita fisica e vita lavorativa e pertanto si liquida la somma di (arrotondati) Euro 252.375,00.

Dal momento che il danno patrimoniale da capacità lavorativa specifica è stato determinato nella misura del 100%, non può essere distintamente liquidato, pena incorrere in duplicazione risarcitoria, il danno patrimoniale da inabilità temporanea.

Non può, inoltre, essere accolta la domanda relativa al danno da perdita di chance, con riferimento alla compromissione definitiva della possibilità per l’attore (asseritamente già offertagli in passato) di posare o sfilare come modello e, così, di integrare le proprie entrare reddituali. L’accoglimento della domanda di risarcimento del danno da lucro cessante esige, infatti, la prova dell’esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile (da ultimo, Cass. 4052/2009). In tal senso, non risulta sufficientemente ed univocamente probante l’unico elemento oggettivo risultante per tabulas, ossia la circostanza che l’attore si sia fatto scattare delle fotografie professionali (un c.d. book) per mettere in risalto il proprio aspetto fisico. Le deduzioni svolte in punto e, segnatamente, il principio di prova desumibile dal book fotografico versato in atti, sono stati tuttavia considerati (come innanzi accennato) ai fini della complessiva valutazione del danno non patrimoniale subito dall’attore, in quanto compromissione delle sue condizioni di vita.

Il danno patrimoniale complessivamente subito dall’attore deve, pertanto, essere liquidato nell’importo rivalutato di Euro 254.576,00.

Tuttavia, sul diritto al risarcimento dei predetti valori incide la rivalsa esercitata dall’assicuratore pubblico, che ha allegato e dimostrato di aver liquidato all’attore, in ragione dell’infortunio de quo, i seguenti importi: Euro 20.254,72 a titolo di indennità per 500 giorni di inabilità temporanea assoluta dall’1.9.2002 al 13.1.2004; Euro 77,47 per spese mediche e accertamenti medico-legali; Euro 43.627,73 per ratei di rendita corrisposti dal 14.1.2004, data di decorrenza della rendita, al 22.2.2006, data di effettuazione dei calcoli; Euro 1.105,70 a titolo di interessi maturati sui ratei fino a quest’ultima data; dette somme, rivalutate ad oggi sono pari a complessivi Euro 71.380,00.

L’I.N.A.I.L. ha inoltre liquidato all’attore la somma di Euro 185.582,70, a titolo di valore capitale della quota di rendita erogata quale indennizzo del danno biologico, calcolato alla data del 22.2.2006, nonché la somma di Euro 194.933,90, a titolo di valore capitale della quota di rendita erogata quale indennizzo del danno patrimoniale, calcolato sempre alla stessa data.

In definitiva, l’I.N.A.I.L. ha liquidato la somma di (arrotondati) Euro 266.314,00 per le conseguenze patrimoniali del sinistro e la somma di Euro 185.582,70 per il danno biologico.

In relazione alla domanda di surroga ex art. 1916 c.c. svolta dall’INAIL con riferimento alle dette somme, si rendono necessarie alcune premesse.

L’art. 13 del D. lgs. 38/2000, anche accogliendo le sollecitazioni al riguardo avanzate dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 87/1991), ha inserito il danno biologico nella copertura indennitaria dell’assicuratore sociale.

Il problema del c.d. danno differenziale, ossia del risarcimento di quel danno che il lavoratore può ottenere, ai sensi dell’art. 10 commi 6 e 7 del D.P.R. 1124/1965, dal datore di lavoro penalmente responsabile o dai terzi civilmente responsabili, se e nella misura in cui tale danno superi l’ammontare delle indennità corrisposte dall’INAIL, era problema che trovava una sua (non pacifica) sistemazione in termini sia qualitativi – il danno differenziale relativo alle poste di credito non ristorabili dall’INAIL: danno biologico temporaneo, danno biologico permanente sino al 5%, danno morale ed esistenziale, esborsi ecc. – sia in termini quantitativi, avuto riguardo, cioè, al differenziale relativo alle poste indennizzate.

A tale proposito, il nodo della questione era costituito soprattutto dalla scindibilità o meno delle poste ai fini della rivalsa. Poiché di regola il danno biologico veniva liquidato in sede civilistica in misura maggiore di quella indennizzata dall’INAIL e il danno patrimoniale, invece, era liquidato in misura inferiore a quest’ultima, parte della giurisprudenza riteneva – al fine di evitare l’indebita locupletazione del lavoratore infortunato – di dover raffrontare unitariamente i rispettivi ristori (civilistico e previdenziale) e consentire la surroga INAIL per l’intero ammontare versato a titolo di danno biologico e patrimoniale (vedi in proposito Cass. n. 10035/2004). Un’altra parte della dottrina e della giurisprudenza operando la scomposizione delle singole voci indennizzate dall’INAIL in definitiva aumentava l’importo del danno differenziale riconosciuto al danneggiato e, conseguentemente, diminuiva l’importo riconosciuto all’INAIL in accoglimento della domanda di surroga.

Il recente intervento delle Sezioni Unite, che ha ridisegnato la nozione di danno alla persona come onnicomprensiva ed ha riportato il sistema risarcitorio alla sua originale bipolarità tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, impone una diversa soluzione.

Si pone anzitutto all’interprete la questione dell’omogeneità - ai fini della surroga INAIL e della liquidazione al danneggiato del c.d. danno differenziale - tra il danno biologico ristorato dal sistema previdenziale con criteri standardizzati ed il danno biologico liquidato civilisticamente in maniera “personalizzata” (comprensiva, tra l’altro, dell’intero ammontare che, in precedenza, veniva liquidato a titolo di danno morale e pacificamente riconosciuto per l’intero, in quanto non indennizzato dall’INAIL, al lavoratore).

Ritiene questo Tribunale che la soluzione positiva alla questione sia imposta dallo stesso intervento del Giudice nomofilattico, che preclude ogni possibilità di scomposizione del danno alla persona in poste distintamente risarcibili, onde non incorrere in duplicazioni risarcitorie, e che, chiaramente, delinea una nozione anche ontologicamente unitaria del danno biologico, “del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente”. Non può dunque il giudice scorporare all’interno del danno non patrimoniale riconosciuto, pena la violazione di questi principi (e neppure ai soli fini della surroga INAIL), la quota relativa al danno biologico “standard” da quella relativa ad ulteriori componenti non valutate dall’INAIL ai fini indennitari.

Parte della giurisprudenza - onde pervenire all’affermazione di sopravvivenza del danno morale come categoria autonoma e ontologicamente diversa dal danno biologico e della scindibilità di queste due voci di danno ai fini del riconoscimento del danno differenziale - si è adoperata in una interpretazione della sentenza n. 26972/2008 che, invero, contrasta apertamente con i principi di diritto accolti nella stessa pronuncia. Si è, in particolare, affermato che le Sez. Unite avrebbero inteso evitare solo la duplicazione risarcitoria in presenza di un danno biologico c.d. “dinamico” o personalizzato; la surroga INAIL, a sua volta, sarebbe esercitabile solo entro il danno biologico c.d. “statico” o “puro”, mentre l’ente nulla avrebbe diritto ad ottenere sul quantum riconosciuto a titolo di danno biologico “dinamico” e personalizzato e sull’intero (e ancora una volta distinto) danno morale.

Come accennato, questa tesi non può essere condivisa.

Le Sezioni Unite sono tassative nell’espungere dal sistema ogni possibilità di frammentazione, a fini risarcitori, del danno non patrimoniale.

Infatti, non vi sono ragioni per ritenere che la Suprema Corte abbia inteso negare l’esistenza e la risarcibilità delle sofferenze fisiche e morali in presenza di danno biologico. Le Sezioni Unite hanno semplicemente “bacchettato” i giudici (togati ed onorari), perché procedono a queste liquidazioni con errati automatismi tabellari. I giudici non si avvedono che, quando c’è lesione biologica, i pregiudizi conseguenti alla menomazione psicofisica - “il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare” e quello ravvisato nella pena e nel dolore conseguenti e cioè “nella sofferenza morale determinata dal non poter fare” - sono, in definitiva, due facce della stessa medaglia, essendo la sofferenza morale “componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale”. Il giudice deve quindi, con congrua motivazione, “procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”.

Per altro verso, il danno biologico cui ha riguardo la normativa previdenziale non può sostanziarsi in concetto ontologicamente distinto da quello cui ha riguardo la normativa civilistica. Mentre ex art. 13 D.lgs n. 38/2000 devono essere cogentemente applicati i criteri di liquidazione standard disciplinati dalla tabella degli indennizzi, in relazione ai baréme previsti dalla tabella delle menomazioni, nel processo civile muta il tipo e l’entità della tutela che richiede una valutazione maggiormente complessa e personalizzata ai fini risarcitori. Tuttavia, non può conseguire a queste diverse modalità di accertamento e liquidazione, il venir meno del diritto dell’ente al recupero di quanto versato per il ristoro dello stesso danno.

Del resto, alla luce della nozione di danno biologico prevista dall’art. 13 citato e dagli artt. 138 e 139 Codice delle Assicurazioni accolta espressamente dalle Sezioni Unite, di danno biologico “statico” e cioè del tutto avulso dagli aspetti interelazionali, ritiene questo Tribunale, “non è più dato discorrere”, perché “per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”.

Ed ancora, proprio l’aspetto dinamico relazionale connaturato al danno biologico comporta, anche per questo verso, l’impossibilità di scindere le sofferenze fisiche e psichiche dai pregiudizi anatomo-funzionali conseguenti alla menomazione psico-fisica.

Ed, infatti, ha senso accertare un pregiudizio anatomo-funzionale del tutto avulso dalla sofferenza psico-fisica?

Anche una gravissima menomazione fisica, scissa da qualsivoglia sofferenza morale e/o percezione del dolore, darebbe luogo ad un irrisorio risarcimento perché, in definitiva, il vero danno consiste nella percezione “emotiva” della menomazione e delle conseguenti alterazioni delle condizioni di vita della vittima in un contesto sociale.

Una differente conclusione comporterebbe proprio quella duplicazione risarcitoria del danno non patrimoniale che lo sforzo ricostruttivo delle Sezioni Unite ha inteso scongiurare, programmaticamente premettendo, nella sentenza n. 26972/2008 che già le sentenze gemelle del 2003 “avevano avuto cura di precisare che non era proficuo ritagliare all’interno della generale categoria del danno non patrimoniale specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo (n. 8828/2003) e di rilevare che la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. doveva essere riguardata non già come occasione di incremento delle poste di danno (e mai come strumento di duplicazione del risarcimento degli stessi pregiudizi), ma per colmare le lacune della tutela risarcitoria della persona (n. 8827/2003). Considerazioni che le Sezioni Unite condividono” e pervenendo infine ad affermare che“Il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre”.

In definitiva, il giudice – una volta liquidato il danno non patrimoniale civilisticamente risarcibile e conseguente alla lesione del bene salute – non può fare altro che raffrontare tale importo, senza ulteriori e non più consentiti distinguo, con il quantum erogato dall’ente a titolo di danno biologico, accogliendo la domanda di surroga per l’intero relativo ammontare (nei limiti dell’importo risarcitorio liquidato) e riconoscendo in capo al danneggiato il diritto al risarcimento dell’importo differenziale.

Altra questione, posta e non pacificamente risolta in passato, e della quale ora si rende quanto mai opportuno un ripensamento, è quella relativa alla scindibilità delle poste di danno biologico e patrimoniale ai fini della rivalsa.

Si potrebbe sostenere che l’INAIL possa agire in surroga per tutti gli importi unitariamente liquidati al danneggiato. In tal modo si consentirebbe all’INAIL di rivalersi per l’intero (sempre, ovviamente, nei limiti del quantum civilisticamente liquidato a titolo complessivamente patrimoniale e non patrimoniale), senza distinguere tra somma e/o quota di rendita erogata per danno biologico e somma e/o quota di rendita erogata per le conseguenze patrimoniali dell’infortunio, consentendo all’ente (in caso di maggior indennizzo erogato a titolo patrimoniale), di rivalersi integralmente erodendo così una quota dell’importo risarcitorio spettante al danneggiato a titolo di danno non patrimoniale.

Questo giudice ritiene inaccettabile una simile soluzione.

Se già in precedenza i dicta tanto della Corte Costituzionale (sentenze nn. 319/1989, 87/1991, 356/1991, 485/1991), quanto della Corte di Cassazione (sentenze nn. 3944/1995, 9761/1995, 4218/1998, 15859/2000, 8182/2001, 10289/2001) avevano affermato il principio della non comprimibilità del diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale, tale principio, oggi, deve essere affermato con ancor più vigore.

In altri termini, tanto la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. (che consente il completo ristoro del danno, necessariamente personalizzato conseguente alla lesione del bene salute) quanto la ricostruita netta bipolarità del sistema del danno alla persona (che impone la reductio ad unum del danno non patrimoniale, ma impedisce ogni fungibilità tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale) escludono che il diritto del lavoratore all’integrale risarcimento del danno non patrimoniale (differenziale) possa essere in qualche modo compresso dalle ragioni creditorie dell’ente assicuratore relative al costo sopportato per le conseguenze patrimoniali del sinistro. Qualora tale costo sia superiore all’importo civilisticamente liquidato a titolo di danno patrimoniale, solo questa eccedenza non potrà che restare a carico dell’INAIL, che l’ha sostenuta, per le finalità previdenziali proprie dell’ente.

Se, infatti, il sistema della responsabilità civile mira a garantire il risarcimento integrale, scopo di quello previdenziale è la liberazione del lavoratore e della sua famiglia dallo stato di bisogno, in attuazione dell’art. 38 Cost., mediante prestazioni strutturate come indennizzo, ove l’eventualità di un ristoro non esaustivo del danno è compensata dall’automaticità e rapidità dell’erogazione.

Alla luce di tutte le esposte considerazioni, si possono ora esaminare la domanda di surroga INAIL svolta nel presente giudizio e la posizione dell’attore circa eventuali danni differenziali.

Il danno patrimoniale già riconosciuto dall’INAIL è pari ad Euro 266.314,00 e, per l’effetto, non spetta all’attore (che ha subito un danno patrimoniale pari ad Euro 254.576,00) alcun danno patrimoniale differenziale.

I convenuti devono essere condannati al pagamento, in favore dell’INAIL, della somma riconosciuta di Euro 254.576,00 oltre interessi legali dal 18.03.2005 (data della domanda) al saldo.

Il danno non patrimoniale già liquidato a tale titolo dall’ente è pari ad Euro 185.582,70 e, pertanto, il danno differenziale è pari ad Euro 607.517,30 (Euro 793.100,00 - 185.582,70).

L’attore, a titolo di acconto, ha ricevuto altresì la somma di Euro 500.000,00, somma che, rivalutata dalla data del versamento (29.07.2004) ad oggi secondo gli indici I.S.T.A.T., è pari ad Euro 546.191,00.

Pertanto il danno differenziale, al cui pagamento in favore dell’attore i convenuti in solido devono essere condannati, è pari ad Euro 61.326,30.

Sugli importi predetti devono essere riconosciuti gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell’equivalente pecuniario del bene perduto.

Gli interessi compensativi - secondo il più recente indirizzo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (v. sentenza n. 1712/1995) - decorrono dal momento della produzione dell'evento dannoso sino a quello del versamento dell'acconto e, poi, da tale data fino alla presente decisione; per ciascuno di questi periodi, gli interessi compensativi si possono calcolare applicando un tasso annuo medio ponderato sul danno rivalutato.

Tale tasso di interesse è ottenuto "ponderando" l'interesse legale sulla somma sopra liquidata, che - "devalutata" alla data del fatto illecito, in base agli indici I.S.T.A.T. costo vita - si incrementa mese per mese, mediante gli stessi indici di rivalutazione, sino alla data dell'acconto e poi, detratto quest'ultimo, fino alla data della presente sentenza.

Da oggi, giorno della liquidazione, all'effettivo saldo decorrono gli interessi legali sulla somma di Euro 61.326,30 dovuta all’attore.

Pertanto, alla luce degli esposti criteri, i convenuti devono essere condannati al pagamento in solido, in favore dell’attore, della complessiva somma di Euro 61.326,30 , oltre:

- interessi compensativi, al tasso annuo medio ponderato del 3%, sulla somma di Euro 793.100,00 dal 28.08.2002 (data del sinistro) al 29.07.2004 (data dell’acconto);

- interessi compensativi, al tasso annuo medio ponderato del 3%, sulla somma di Euro 61.326,30 dal 29.07.2004 (data dell’acconto) ad oggi;

- interessi, al tasso legale, su quest'ultimo importo, da oggi al saldo effettivo.

I convenuti devono, inoltre, essere condannati in solido al pagamento in surroga all’INAIL della complessiva somma di Euro 185.582,70, liquidata in moneta attuale, oltre agli interessi al tasso legale dal 18.03.2005 (data della domanda) al saldo effettivo.

Per quanto attiene ai danni lamentati da M. M. e dalla minore K. L., moglie e figlia dell’attore, il Tribunale osserva che, nonostante vada condivisa la conclusione dei nominati C.T.U. circa l’assenza, in capo alle medesime, del lamentato danno biologico in quanto lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile, non può disconoscersi, secondo dati di comune esperienza e con accertamento presuntivo (sulla base, tra l’altro, dei dati, in termini di disagio psicologico, emergenti dalla C.T.U. effettuata), l’ingente danno non patrimoniale subito da entrambe in conseguenza dei fatti di causa. Viene in rilievo in particolare (anche se non – per tutto quanto già esposto – come autonoma voce di danno, ma soltanto come categoria descrittiva) il citato danno da grave lesione del rapporto parentale subìto dalle due congiunte dell’attore. Il rapporto tra i prossimi congiunti è compromesso dalle condizioni fisiche e psichiche dell’attore accertate dai CTU, i quali hanno anche evidenziato frequenti attacchi d’ira e reazioni incontrollate: danno valutabile unitariamente nel suo aspetto di sofferenza interiore già patita (soprattutto da M. M., per la compromissione del rapporto di coniugio) e patienda (soprattutto dalla minore K., per la precocissima compromissione del rapporto con la figura paterna), nonché in quanto conseguenza della lesione dei diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.) da riconoscersi in capo alle due congiunte di R. L.. Avuto pertanto riguardo a tali aspetti, al sesso, all’età (ventottenne all’epoca del sinistro la signora M., di appena due anni la piccola K.), alle condizioni di vita delle intervenute (ed all’intervenuta separazione, a quanto consta, dei due coniugi), si ritiene equo liquidare, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, alla minore K. L. l’importo già rivalutato di Euro 300.000,00 ed alla signora M. M. l’importo già rivalutato di Euro 150.000,00.

Anche su tali importi andranno calcolati, secondo gli esplicitati criteri, gli interessi compensativi dalla data del sinistro e gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo.

Pertanto i convenuti in solido devono essere condannati al pagamento, in favore di L. R. e M. M., quali genitori esercenti la potestà sulla figlia minore L. K. e a M. M. in proprio, delle somme, rispettivamente, di Euro 300.000,00 e di Euro 150.000,00, oltre interessi compensativi su ciascuna somma al tasso annuo medio ponderato del 3% dalla data del sinistro ad oggi ed interessi legali su ciascuna delle predette somme di Euro 300.000,00 ed Euro 150.000,00 da oggi al saldo effettivo.

Quanto esposto è assorbente rispetto alle altre domande, eccezioni ed istanze proposte dalle parti.

Le spese della consulenza tecnica d’ufficio vanno poste a carico dei convenuti in solido.

Consegue alla soccombenza la condanna dei convenuti in solido a rifondere le spese processuali all'attore (da liquidarsi in favore degli avv.ti Giuseppe Centola ed Ezio Centola, antistatari ex art. 93 c.p.c.), agli intervenuti (da liquidarsi in favore dell’avv. Ferruccio Felice, antistatario ex art. 93 c.p.c.) ed al terzo chiamato.

La presente sentenza è dichiarata provvisoriamente esecutiva ex lege.

P.Q.M.

Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, così provvede:

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dichiara la responsabilità esclusiva di X. nella causazione del sinistro occorso a L. R. il 28.08.2002;
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condanna i convenuti in solido X., Ph Services e U.C.I. al pagamento, in favore dell'attore, della somma di Euro 61.326,30, oltre interessi come specificati in motivazione;
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condanna i convenuti in solido X., Ph Services e U.C.I. al pagamento, in favore di L. R. e M. M. in qualità di genitori esercenti la potestà sulla minore L. K., della somma di Euro 300.000,00, oltre interessi come specificati in motivazione;
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condanna i convenuti in solido X., Ph Services e U.C.I. al pagamento, in favore di M. M. in proprio, della somma di Euro 150.000,00, oltre interessi come specificati in motivazione;
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condanna i convenuti in solido X., Ph Services e U.C.I. al pagamento, in favore dell’INAIL, delle somme di Euro 254.576,00 e di Euro 185.582,70, oltre interessi legali dal 18.03.2005 al saldo;
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rigetta le altre domande, eccezioni ed istanze proposte dalle parti;
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pone le spese della consulenza tecnica d’ufficio a carico dei predetti convenuti in solido;
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condanna i predetti convenuti in solido a rifondere all'attore, le spese processuali, che liquida in Euro 1.463,63 per anticipazioni, Euro 232,00 per esborsi, Euro 7.200,00 per diritti, Euro 18.000,00 per onorario di avvocato, Euro 3.150,00 per spese generali, oltre C.P.A. ed I.V.A., da liquidarsi in favore degli avv.ti Giuseppe Centola ed Ezio Centola, antistatari;
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condanna i predetti convenuti in solido a rifondere agli intervenuti, le spese processuali, che liquida in Euro 2.070,62 per esborsi ed anticipazioni, Euro 4.113,00 per diritti, Euro 12.000,00 per onorario di avvocato, Euro 2.014,13 per spese generali, oltre C.P.A. ed I.V.A., da liquidarsi in favore dell’avv. Ferruccio Felice, antistatario;
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condanna i predetti convenuti in solido a rifondere al terzo chiamato, le spese processuali, che liquida in Euro 20,00 per esborsi, Euro 5.749,00 per diritti, Euro 12.000,00 per onorario di avvocato, Euro 2.218,63 per spese generali, oltre C.P.A. ed I.V.A.;

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dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva.

Milano, 9 giugno 2009.

Il Giudice Istruttore

in funzione di giudice unico

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