Tribunale di Varese Sezione I Civile Ordinanza 18 novembre 2009
"A parere di questo giudice, va condivisa l’opinione di quanti in Dottrina hanno ritenuto che il rito sommario non possa iscriversi nell’alveo dei procedimenti a cognizione sommaria. Pare, in particolare, da condividere l’opinione di chi ha parlato di “rito semplificato” di cognizione. Diverse sono le ragioni che conducono a ritenere tale conclusioni l’unica corretta, all’esito del procedimento ermeneutico:
a) in primo luogo, è prevista espressamente la “comunicabilità” tra il rito sommario di cognizione e quello ordinario, atteso che la conversione determina il passaggio di una controversia tra binari paralleli, non ipotizzabile, certo, ove si trattasse di riti ontologicamente differenziati;
b) vi è, poi, che la delega legislativa contenuta nella Legge 69/2009 propone, de jure condendo, la concentrazione dei procedimenti civili in tre soli riti di cognizione ove spicca anche il sommario che è collocato nell’ambito dei procedimenti civili di natura contenziosa nei quali prevalgono caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione: aver richiamato, come uno dei tre modelli di riferimento, il procedimento “sommario” sta a significare che quest’ultimo si colloca al di fuori delle tutele sommarie;
c) l’ordinanza con cui viene definito il procedimento sommario di cognizione produce gli effetti di cui all’art. 2909 c.c. (art. 702-quater, comma I, c.p.c.) e, dunque, come si è autorevolmente scritto, è un processo di cognizione speciale, alternativo al processo a cognizione piena ed idoneo ad impartire tutela dichiarativa nella stessa identica misura di quest’ultimo.
Ne segue – come si è abilmente sostenuto in dottrina - che il procedimento sommario di cognizione ex artt. 702-bis ss. c.p.c. “è in realtà un processo a cognizione piena, poiché nella sua destinazione prevale la funzione di accertare definitivamente chi ha ragione e chi ha torto tra le parti, rispetto alle funzioni che sono proprie dei procedimenti sommari, ma sono completamente assenti dal profilo legislativo di questo istituto”.
Tribunale di Torino Ordinanza 11 febbraio 2010
Tribunale di Mondovì Sentenza 12 - 13 novembre 2009, n. 1891
la decisione ex art. 702 ter c.p.c. presuppone che le difese svolte dalle parti siano tali da implicare una istruzione “sommaria”
1)
Tribunale di Torino
Ordinanza 11 febbraio 2010
Il Giudice,
a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 20.1.2010 nella causa iscritta al n. RG 28416/2009, instaurata ai sensi e per gli effetti dell’art. 702 bis c.p.c.,
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
- rilevato che la COOPERATIVA DI VITTORIO corrente in Torino ha agito in giudizio nei confronti di F. R. nelle forme del procedimento sommario ex art. 702 bis c.p.c.;
- rilevato che la convenuta, pur comparendo all’udienza fissata, non si è formalmente costituita in giudizio;
- rilevato che la controversia in esame è relativa a rapporti societari tra la COOPERATIVA attrice e la socia F. R., esclusa e dichiarata decaduta dall’assegnazione dell’immobile sociale per aver cessato di corrispondere il canone mensile di godimento, comprensivo della quota delle spese (v. in termini App. Torino, 29.6-28.9.2995) ed in quanto tale rientrava pertanto nelle controversie assoggettate al cd. rito societario di cui al d.lgs. 5/2003;
- rilevato che per effetto dell’abrogazione di tale rito, ex art. 54, comma 5, l. 69/2009, la presente controversia è divenuta di competenza del Tribunale in composizione monocratica;
- rilevato che la decisione ex art. 702 ter c.p.c. presuppone che le difese svolte dalle parti non siano tali da implicare una istruzione “non sommaria”;
- rilevato da un lato che la COOPERATIVA attrice ha prodotto, a fondamento delle proprie allegazioni, ampia documentazione (in particolare inerente la qualità di socia di F. R., la morosità della stessa con il conteggio dei canoni dovuti, lo statuto della COOPERATIVA e la delibera di esclusione della socia inadempiente, il conteggio della indennità per occupazione senza titolo dell’immobile a suo tempo assegnato alla convenuta) e, dall’altro, che la convenuta F., comparsa in udienza, ha espressamente riconosciuto la morosità, soltanto adducendo giustificazioni in ordine alla propria precaria situazione finanziaria (v. verbale dell’udienza 20.1.2010);
- ritenuto pertanto di aderire all’orientamento (v. Trib. Mondovì. 16.11.2009) secondo cui “la non sommarietà dell’istruzione debba valutarsi non tanto con riferimento all’oggetto della domanda, quanto, piuttosto, in relazione alle prove necessarie per la decisione sulla base delle difese assunte dalle parti” ed evidenziato che nel caso di specie la copiosa documentazione prodotta dalla COOPERATIVA attrice ed il comportamento processuale di parte convenuta rendono irrilevante l’espletamento della prova orale per interpello e testi dedotta da parte attrice medesima e consentono la decisione immediata della causa sulla base degli atti;
- ritenuto quindi: 1) che debba essere accertata e dichiarata la legittima esclusione di F. R. da socia della COOPERATIVA, stante la sua grave situazione di morosità, nonché la legittima intervenuta decadenza della stessa dalla assegnazione in godimento dell’alloggio sociale in Settimo T.se, via Montenero n. 5/B meglio descritto in ricorso ex art. 702 bis c.p.c.; 2) che per l’effetto F. R. debba essere dichiarata tenuta e condannata a rilasciare il predetto alloggio con i relativi box e cantina, liberi da persone e da cose; 3) che F. R. debba essere dichiarata tenuta e condannata F. R. a corrispondere alla COOPERATIVA attrice l’importo di Euro 4.602,64 per i canoni di assegnazione per i mesi da maggio 2008 a marzo 2009 compresi, con gli interessi legali dalle singole scadenze al saldo; 4) che F. R. debba essere dichiarata tenuta e condannata a corrispondere alla COOPERATIVA attrice l’importo di Euro 3.573,63 per l’indennità di occupazione senza titolo da aprile 2009 (e cioè successivamente alla sua espulsione dalla COOPERATIVA) sino a dicembre 2009, oltre alla rivalutazione secondo gli indici ISTAT dei prezzi al consumo dal decimo giorno di ogni mese per ciascuna mensilità ed agli interessi di mora al saggio legale dalle medesime date sulle somme via via rivalutate annualmente;
- ritenuto invece di non poter accogliere le ulteriori domande della COOPERATIVA in quanto integranti inammissibili condanne in futuro, stante l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 644 c.p.c.;
- ritenuto infine di dover liquidare (d’ufficio in difetto di notula) nella misura indicata in dispositivo, come espressamente prescritto dall’art. 702 ter, VII comma, c.p.c., le spese della presente procedura, e che le stesse debbano seguire la pressoché integrale soccombenza di parte convenuta;
P.Q.M.
Il Tribunale di Torino, Sezione I Civile
Visto l’art. 702 bis c.p.c.,
ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa e/o assorbita,
- Accerta e dichiara la legittimità dell’esclusione di F. R. da socia della COOPERATIVA, stante la sua grave situazione di morosità, e la legittima intervenuta decadenza della stessa dalla assegnazione in godimento dell’alloggio sociale in Settimo T.se, via MOntenero n. 5/B meglio descritto in ricorso ex art. 702 bis c.p.c.;
- Dichiara tenuta e condanna, per l’effetto, F. R. a rilasciare il predetto alloggio con i relativi box e cantina, liberi da persone e da cose;
- Dichiara tenuta e condanna F. R. a corrispondere alla COOPERATIVA attrice l’importo di Euro 4.602,64, con gli interessi legali dalle singole scadenze al saldo;
- Dichiara tenuta e condanna F. R. a corrispondere alla COOPERATIVA attrice l’importo di Euro 3.573,63, oltre alla rivalutazione secondo gli indici ISTAT dei prezzi al consumo dal decimo giorno di ogni mese per ciascuna mensilità ed agli interessi di mora al saggio legale dalle medesime date sulle somme via via rivalutate annualmente;
- Condanna F. R. a rimborsare alla COOPERATIVA attrice le spese di lite, che vengono liquidate, d’ufficio in difetto di notula, in complessivi Euro 1.950,00, di cui Euro 1.200,00 per onorari ed Euro 750,00 per diritti, oltre rimborso forfettario, CPA ed IVA come per legge.
Si comunichi alle parti costituite.
Torino, 11.2.1010
Il Giudice Unico
2)
Tribunale di Mondovì
Sentenza 12 - 13 novembre 2009, n. 1891
Svolgimento del processo
Il Giudice Istruttore
sciogliendo la riserva assunta all'udienza in data 3.11.2009 nella causa iscritta al n. **** RG, promossa con RITO SOMMARIO DI COGNIZIONE ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Rilevato che il sig. **** ha promosso azione revocatoria nei confronti di ****, nelle forme del nuovo rito sommario di cognizione, di cui agli artt. 702-bis ss. c.p.c.;
Considerato che i convenuti, costituendosi, non hanno sollevato eccezioni circa il rito scelto;
Rilevato che la controversia rientra nella competenza del giudice monocratico;
Considerato che l'art. 702-ter presuppone - per l'utilizzabilità del rito sommario - che le difese svolte dalle parti non richiedano un'istruzione “non sommaria”;
Ritenuto che la non sommarietà dell'istruzione debba valutarsi non tanto con riferimento all'oggetto della domanda, quanto, piuttosto, in relazione alle prove necessarie per la decisione, sulla base delle difese assunte dalle parti. Questa affermazione si giustifica con la considerazione che ai fini del rito in esame le cause non devono essere divise tra cause oggettivamente complesse e cause semplici, ma tra cause in cui l'istruttoria può essere complessa e lunga ed altre cause in cui l'istruttoria può essere condotta in modo deformalizzato e con rapidità. La differenza tra le due tipologie può dipendere dalla natura della lite (che non richiede accertamenti in fatto, o li richiede in misura limitata), ovvero, spesso, dalle posizioni assunte dalle parti, dal momento che esse determinano la quantità e la qualità di domande ed eccezioni (che vanno ad integrare il thema decidendum) e, soprattutto, la quantità di istruttoria necessaria, attraverso le contestazioni o meno dei fatti allegati dalla controparte. Poiché nel giudizio civile opera il principio di disponibilità della prova, è attraverso le difese delle parti che si può accrescere o diminuire il carico istruttorio della causa, cosicché anche una causa teoricamente complessa - quale può essere una causa di responsabilità professionale o, come nel caso di specie, un'azione revocatoria - può essere decisa senza fare luogo ad un'istruttoria lunga e “formale”. Nel caso in esame, la causa ha prevalente natura documentale e necessita esclusivamente di ctu sul valore dell'immobile, che può essere eseguita con rapidità e senza necessità di complessi accertamenti.
Quanto alle prove orali dedotte, esse si palesano inammissibili, per i seguenti motivi:
l'attore non ha provveduto né ad idonea capitolazione delle circostanze di fatto di cui chiede l'accertamento, né all'indicazione nominativa dei testimoni. L'art. 702-bis c.p.c., mediante il rinvio all'art. 163 n. 5 c.p.c., richiede anche nel procedimento sommario di cognizione l'indicazione specifica dei mezzi di prova, il che non significa che l'attore può limitarsi ad una generica indicazione del mezzo di prova richiesto (prova testimoniale, giuramento, ...), ma deve invece specificarlo, delimitandone l'oggetto e indicando le persone che devono compierlo. Oltre a ciò, non pare comunque che nella narrativa dell'atto di citazione vi siano circostanze di fatto rilevanti per la decisione, che siano state oggetto di specifica contestazione (ex art. 115 novellato) da parte dei convenuti.
Le capitolazioni di prova enumerate dai convenuti, invece, sono inammissibili ai sensi dell'art. 2722 cod. civ. perché tendono a provare l'esistenza di un patto aggiunto - in relazione alla compravendita del 3.12.2008 - con stipulazione dello stesso antecedentene al rogito notarile. Quanto alla scrittura privata prodotta sub. 3 da parte convenuta, essa è priva di data certa, non è sottoscritta da parte di **** e non fornisce elementi validi ai fini della decisione in mancanza della produzione dell'atto di divisione cui fa riferimento.
In relazione all'istanza di esibizione della documentazione bancaria, svolta da parte attrice, si rileva che la stessa è eccessivamente indeterminata e che, comunque, era onere dei convenuti dare la prova di aver realmente provveduto al pagamento del corrispettivo della vendita, dal momento che appare assai singolare un pagamento in contanti per una cifra non certo modesta (10.000 euro), considerato anche che non sono state indicate le modalità di reperimento della somma (peraltro prossima all'importo massimo movimentabile - ex lege anti riciclaggio - senza necessità di ricorrere ad assegni o bonifici).
È ammissibile e rilevante, invece, la richiesta di ctu sul valore commerciale del bene oggetto di causa; sulla richiesta formulata dall'attore, peraltro, non vi è stata opposizione da parte dei convenuti. L'accertamento oggettivo del valore dell'immobile fornirà un elemento determinante ai fini della decisione della controversia.
Ai fini di quanto previsto al punto che precede, si nomina consulente tecnico il geom. ****, con studio in Mondovì, autorizzandolo fin d'ora all'uso del mezzo proprio ed all'uso dell'aereo, per raggiungere il luogo ove si trova l'immobile (Regione Calabria). Ne dispone la comparizione per il giuramento per l'udienza del 10.11.2009 h. 10,30, avvisando le parti che - data la struttura deformalizzata dell'istruttoria e considerata la celerità che deve contraddistinguere il procedimento svolto nelle forme del rito sommario di cognizione - saranno accettate nomine di ctp solo fino all'udienza di giuramento e non saranno osservate le nuove procedure di cui all'art. 195 c.p.c., anche in virtù della semplicità ed unitarietà del quesito proposto. I ctp, dunque, avranno l'onere di partecipare attivamente al sopralluogo con il ctu e di evidenziare, in quella sede, le loro osservazioni in relazione al valore commerciale del bene.
Il ctu avrà termine di giorni 30 dal giuramento per il deposito in cancelleria della relazione contenente una sommaria descrizione dell'immobile, la riproduzione fotografica dello stesso e la sua valutazione, con la motivazione delle conclusioni assunte e delle osservazioni svolte dai CTP nel corso delle operazioni peritali.
P.Q.M.
ogni altra istanza respinta,
DISPONE
Ctu per la valutazione dell'immobile sito in **** alla via ****, censito al catasto al n. ****, particella ****.
Convoca il ctu Geom. **** per il giuramento per l'udienza del 10.11.2009 h. 10,30.
Pone fin d'ora a carico solidale delle parti un anticipo di euro 800,00, in considerazione delle elevate spese di trasferta.
Avvisa le parti che le stesse saranno invitate alla discussione immediata all'udienza successiva al deposito della ctu, che fin d'ora si fissa, anche ai sensi di quanto previsto dall'art. 81-bis disp. att. c.p.c., al 18.12.2009 h. 11.00. Si adotta, pertanto, l'allegato calendario del processo. Si comunichi alle parti costituite ed al ctu nominato.
3)
Tribunale di Varese
Sezione I Civile
Ordinanza 18 novembre 2009
(giudice G. Buffone)
Ordinanza
ex art. 702-ter, comma V, c.p.c.
***
L’attrice evoca in giudizio la convenuta assumendo di avere versato a favore di quest’ultima la complessiva somma di euro 8.120,00 ma di non avere ricevuto, come previsto dal sinallagma pattuito, la controprestazione pari ad una partita di fornitura di capi di abbigliamento. Chiede, per l’effetto, il risarcimento del danno (in via equitativa) e la ripetizione dell’importo versato a titolo di corrispettivo, previa declaratoria dell’inadempimento del partner negoziale.
1. Verifichi preliminari
L’odierna controversia rientra tra quelle indicate nell’art. 702-bis, comma I, c.p.c. e, prima facie, è sussistente la competenza territoriale di questo Tribunale.
Preliminare alla decisione in ordine alle richieste istruttorie è la previa qualificazione giuridica del rito sommario di cognizione, nel senso di procedimento di plena cognitio ovvero nel senso di tutela sommaria. Come noto, la dottrina sul punto è divisa. Secondo taluni il rito sommario dovrebbe farsi confluire nei procedimenti sommari non cautelari, tenuto conto della sua collocazione topografica nel codice di rito e vista la sua stessa definizione legislativa. Alcuni commentatori, peraltro, qualificano il suddetto rito come bifasico: il primo grado sarebbe la fase sommaria del giudizio; il secondo grado sarebbe la fase a cognizione piena e, dunque, non un appello.
Altra dottrina reputa che il rito sommario sia a tutti gli effetti un rito ordinario a cognizione piena, atteso che, tra l’altro, si conclude con un provvedimento che passa in giudicato.
A parere di questo giudice, va condivisa l’opinione di quanti in Dottrina hanno ritenuto che il rito sommario non possa iscriversi nell’alveo dei procedimenti a cognizione sommaria. Pare, in particolare, da condividere l’opinione di chi ha parlato di “rito semplificato” di cognizione. Diverse sono le ragioni che conducono a ritenere tale conclusioni l’unica corretta, all’esito del procedimento ermeneutico:
a) in primo luogo, è prevista espressamente la “comunicabilità” tra il rito sommario di cognizione e quello ordinario, atteso che la conversione determina il passaggio di una controversia tra binari paralleli, non ipotizzabile, certo, ove si trattasse di riti ontologicamente differenziati;
b) vi è, poi, che la delega legislativa contenuta nella Legge 69/2009 propone, de jure condendo, la concentrazione dei procedimenti civili in tre soli riti di cognizione ove spicca anche il sommario che è collocato nell’ambito dei procedimenti civili di natura contenziosa nei quali prevalgono caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione: aver richiamato, come uno dei tre modelli di riferimento, il procedimento “sommario” sta a significare che quest’ultimo si colloca al di fuori delle tutele sommarie;
c) l’ordinanza con cui viene definito il procedimento sommario di cognizione produce gli effetti di cui all’art. 2909 c.c. (art. 702-quater, comma I, c.p.c.) e, dunque, come si è autorevolmente scritto, è un processo di cognizione speciale, alternativo al processo a cognizione piena ed idoneo ad impartire tutela dichiarativa nella stessa identica misura di quest’ultimo.
Ne segue – come si è abilmente sostenuto in dottrina - che il procedimento sommario di cognizione ex artt. 702-bis ss. c.p.c. “è in realtà un processo a cognizione piena, poiché nella sua destinazione prevale la funzione di accertare definitivamente chi ha ragione e chi ha torto tra le parti, rispetto alle funzioni che sono proprie dei procedimenti sommari, ma sono completamente assenti dal profilo legislativo di questo istituto”.
2. Istruzione sommaria
Reputa, preliminarmente, questo giudice, che le difese svolte dalle parti non richiedano una istruzione non sommaria e che, per l’effetto, l’attuale controversia possa essere decisa con le forme del processo sommario di cognizione.
Si badi: se il giudice deve decidere sulle sorti del sommario alla prima udienza (fissata ex art. 702-bis, comma III, c.p.c.), ciò vuol dire che la piattaforma probatoria deve essersi per tale momento processuale già stabilizzata, quanto fa ritenere che la natura fisiologica del rito e la sua auspicata celerità impongano alle parti di individuare il thema probandum già negli scritti introduttivi del giudizio, seppur nelle forme snelle del sommario e, dunque, senza le solennità tipiche del giudizio ordinario (ad es., articolazione dei capitoli per i testi). Si vuol dire che l’ultimo momento utile per delimitare il ventaglio delle richieste istruttorie è l’udienza di prima comparizione, ove le parti possono specificare le prove già richieste nei propri atti o formulare istanza per quelle determinate dall’altrui difesa; si può dubitare circa l’articolazione – solo all’udienza di prima comparizione - di “nuove prove” dirette, diverse da quelle già previste negli atti introduttivi, atteso che il sommario, se è snello nell’istruzione, è formale e procedimentalizzato nell’introduzione. E, però, ragioni di ordine sistematico e di coerenza con il rito, impongono di ritenere che le parti possono formulare richieste istruttorie sino alla pronuncia del giudice in ordine alla decidibilità della controversia con le forme del sommario (art. 702-ter, comma V, c.p.c.) e, dunque, sino all’ordinanza che provvede sulle richieste di prova indicando gli atti di istruzione ritenuti rilevanti. Oltre tale sbarramento, alle parti non è consentito dedurre nuovi mezzi di prova poiché si incorrerebbe nel rischio di favorire atteggiamenti difensivi secundum eventum litis, ovvero meramente orientanti a provocare una conversione del rito ove al percorso scelto dal giudice per l’istruzione del sommario si ritenga di preferire il procedimento ordinario. Resta salvo il potere di provvedere a nuovi mezzi di prova ex officio, anche su impulso delle parti, dopo o durante l’istruzione probatoria, ove il giudice lo ritenga necessario, ma senza che possa più provvedersi alla conversione del rito.
Quanto alla valutazione in ordine alla decidibilità nelle forme del sommario, questo giudice reputa di dovere aderire ai suggerimenti dei primi commentatori della riforma (legge 18 giugno 2009 n. 69), secondo i quali il giudice è chiamato a valutare nell’ordine:
a. l’oggetto “originario” del processo ed i fatti costitutivi della domanda (anche in relazione al valore della causa);
b. le eventuali domande riconvenzionali e quelle nei confronti di terzi e le difese svolte in sede di costituzione dal convenuto e dai terzi;
c. l’impostazione complessiva del sistema difensivo del convenuto (e dei terzi), da cui desumere le questioni, di fatto e di diritto, controverse tra le parti, tenendo anche conto di singole eccezioni di rito e di merito, nonché delle richieste istruttorie già formulate o comunque prospettate quale thema probandum.
Il parametro valutativo da assumere quale primario riferimento per il giudizio di “decidibilità” nelle forme del sommario è, dunque, sicuramente l”oggetto” della causa ed il complesso articolato di difese ed eccezioni introitate nel giudizio, passando, anche, per le richieste istruttorie articolate dalle parti e le eventuali istanze per la estensione del contraddittorio ad altri soggetti. Non è un caso che l’art. 702-ter, comma III, c.p.c. richiami espressamente “le difese svolte dalle parti”, ai fini della eventuale conversione.
All’esito delle valutazioni che precedono, il giudice, tenuto conto della complessità oggettiva e soggettiva della causa, deve prefigurarsi il percorso che, a suo giudizio, si prospetta per la decisione e, dunque, verificarne la sua compatibilità con le forme semplificate. La compatibilità va esclusa ove venga meno uno degli assi portanti del giudizio sommario e, cioè: I) celerità dei tempi e II) snellezza delle forme.
Sulla scorta delle osservazioni dell’autorevole dottrina, il giudice, però, può anche valutare tout court l’eventuale manifesta fondatezza/infondatezza della domanda (detto a contrario, la manifesta infondatezza/fondatezza della difese del convenuto) ove, ad esempio, nonostante la complessità globale del giudizio, una questione di diritto sia idonea a risolvere la lite.
Alla luce delle argomentazioni sin qui svolte, l’istruzione sommaria è quella che dà la stura ad un processo (in concreto) veloce e snello, a prescindere dall’eventuale complessità (in astratto) del fascicolo del procedimento.
Orbene, applicando le regole di diritto sin qui illustrate al caso di specie, è chiaro che sia non solo possibile ma anche opportuna una istruzione sommaria. Ed, infatti, va in primo luogo osservato che l’azione esperita può beneficiare di un riparto degli oneri probatori di favore per il creditore (art. 1218 c.c. come interpretato dalle SS.UU. 13533/2001), cosicché l’istruzione è circoscritta ad una verifica del titolo negoziale (documentale) e dell’esatto adempimento (onere probatorio gravante sul debitore). Va, poi, rilevato che il processo presenta un indice minimo di complessità soggettiva (due parti) e che non è stato esteso il perimetro del procedimento, vuoi in senso soggettivo (vocatio in ius di terzi), vuoi in senso oggettivo (domande riconvenzionali).
Per tali motivi, non va disposta la conversione ex art. 702-ter, comma III, c.p.c. e può provvedersi alla decisione in ordine agli atti di istruzione cui provvedere.
3. Atti di istruzione
L’attore ha dedotto ed allegato documentalmente il proprio adempimento, avendo fornito prova scritta del bonifico effettuato nei confronti della convenuta. Ha, poi, dato prova documentale del rapporto intercorso tra le parti, anche allegando la corrispondenza in itinere intervenuta trai contraenti ed avente, essenzialmente, ad oggetto le ragioni per cui, a fronte del pagamento anticipato della merce, il debitore non provvedesse ad eseguire la sua prestazione.
La convenuta non si è costituita
Orbene, in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca ai sensi dell’art. 1218 c.c. deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (Cass. civ., Sez. Unite, 30/10/2001, n. 13533 in Corriere Giur., 2001, 12, 1565; Cass. civ., Sez. Unite, 24/03/2006, n. 6572). Ed, infatti, la disciplina dell’onere della prova assume un rilievo particolare nell'ambito dell'inadempimento delle obbligazioni contrattuali, ove il Codice civile (art. 1218) introduce una presunzione – definita dalla dottrina - "semplificante", in deroga alla regola generale dell'art. 2697 c.c., accollando al debitore, che non abbia eseguito esattamente la prestazione dovuta, l'onere di provare che l'inadempimento o il ritardo siano stati provocati da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (salvo, ovviamente, provare fatti estintivi, modificativi o impeditivi dell’altrui pretesa; es. l’avvenuto esatto adempimento).
Alla luce delle considerazioni che precedono, va rigettata la richiesta di prova orale formulata dall’attrice atteso che, fornita prova documentale del rapporto ed allegato l’altrui inadempimento, è onere del debitore fornire prova liberatoria ex art. 1218 c.c.
4. Calendario del processo
La Legge 18 giugno 2009 n. 69 ha introdotto nelle disposizione di attuazione al codice di rito, l’art. 81-bis c.p.c., in virtù del quale, il giudice, quando provvede sulle richieste istruttorie, sentite le parti e tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa, fissa il calendario del processo con l’indicazione delle udienze successive e degli incombenti che verranno espletati. Reputa questo Tribunale che il calendario del processo non sia applicabile al rito semplificato di cognizione. La funzione della calendarizzazione delle udienze, infatti, risponde all’esigenza di “programmare”, con le parti, la durata del procedimento civile, con indicazione dei singoli arresti procedimentali che si andranno a seguire nel tempo e tanto al fine di garantire un tempo ragionevole di definizione del giudizio. Se, allora, questa è la ratio essa non si rileva sintonica con il giudizio sommario ove, come già si è detto, il rito è già per sua natura celere e snello. Ma vi è di più: l’introduzione del calendario andrebbe a vulnerare la stessa natura ontologica del rito sommario. Si andrebbe, infatti, ad introdurre un elemento di rigidità nell’istruttoria deformalizzata del procedimento semplificato (“il giudice provvede nel modo che ritiene più opportuno”). Non va sottaciuto, poi, che l’art. 81-bis cit. segue all’art. 81 il quale è chiaramente modellato sul processo ordinario di cognizione atteso che regola la fissazione delle singole udienze di istruzione.
Per i motivi illustrati, nel giudizio sommario il giudice non deve provvedere alla fissazione del calendario del processo, atteso che il suddetto incombente non è compatibile con “i procedimenti, anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa” (secondo la dizione della delega legislativa conferita per la riorganizzazione dei riti civili, v. legge 69/2009).
Ad ogni modo, non essendovi istruttoria nel caso di specie, il calendario, comunque, non dovrebbe essere annesso alla odierna pronuncia.
La causa va rinviata per la discussione finale, abilitando il difensore a produrre, entro quella data, uno scritto difensivo conclusivo e riepilogativo delle richieste.
P.q.m.
letto ed applicato l’art. 702-ter, comma V, c.p.c.
rinvia
la causa per la discussione all’udienza del 18 dicembre 2009 ore 10.30.
Ordinanza letta in udienza
Varese, lì 18 novembre 2009
Il Giudice
dott. Giuseppe Buffone
4)
Tribunale di Varese
Sezione I Civile
Ordinanza 18 dicembre 2009
Il Tribunale di Varese, in composizione monocratica, in persona del giudice designato, dott. Giuseppe Buffone,
ha pronunciato, dandone lettura in udienza, la seguente
ORDINANZA
EX ART. 702-TER, COMMA V, C.P.C.
nel procedimento sommario di cognizione n. 4658 dell’anno 2009, pendente
TRA
K., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in Varese alla via …….., presso lo studio dell’Avv. ……. e rappresentata e difesa dall’Avv. …… del foro di Milano, in forza di procura a margine dell’atto di ricorso
ATTORE
CONTRO
Z., in persona del rappresentante legale pro-tempore, con sede legale in Varese alla via …..
CONVENUTA
all’esito dell’udienza del 18 dicembre 2009,
IN FATTO
E’ emerso all’esito del giudizio, come tra le parti sia intercorso un rapporto contrattuale di compravendita avente ad oggetto la cessione di merce di abbigliamento in luogo della complessiva somma di euro 8.120,00 a titolo di corrispettivo.
L’attrice ha evocato in giudizio la convenuta assumendo di non avere mai ricevuto l’oggetto della vendita (e, cioè, i capi di abbigliamento) ed, anzi, di avere assistito ad una condotta del partner negoziale chiaramente orientata a non onorare agli impegni obbligatori assunti.
IN DIRITTO
La domanda deve trovare accoglimento.
Come già osservato nell’ordinanza del 18 novembre 2009, resa in questo procedimento, in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca ai sensi dell’art. 1218 c.c. deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera
allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (Cass. civ., Sez. Unite, 30/10/2001, n. 13533 in Corriere Giur., 2001, 12, 1565; Cass. civ., Sez. Unite, 24/03/2006, n. 6572). Ed, infatti, la disciplina dell’onere della prova assume un rilievo particolare nell'ambito dell'inadempimento delle obbligazioni contrattuali, ove il Codice civile (art. 1218) introduce una presunzione – definita dalla dottrina - "semplificante", in deroga alla regola generale dell'art. 2697 c.c., accollando al debitore, che non abbia eseguito esattamente la prestazione dovuta, l'onere di provare che l'inadempimento o il ritardo siano stati provocati da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (salvo, ovviamente, provare fatti estintivi, modificativi o impeditivi dell’altrui pretesa; es. l’avvenuto esatto adempimento).
Nel caso di specie, parte ricorrente ha prodotto prova documentale del rapporto contrattuale, allegando anche gli ordini di pagamento effettuati in favore della convenuta, con indicazione del titolo giustificativo del trasferimento di denaro (v. docc. n. 1 e 2).
Vi è, poi, agli atti, emersione di elementi fattuali idonei ad illuminare una condotta della convenuta chiaramente restia ad onorare gli impegni negoziali assunti (v. doc. 3) e vi è, anche, peraltro, prova della intervenuta scadenza del termine per l’adempimento esatto che doveva avvenire entro il febbraio del 2009.
La convenuta non ha inteso resistere alla domanda della ricorrente ma, con ciò, non offrendo alcuna prova liberatoria che ai sensi dell’art. 1218 c.c. gravitava sulla stessa ove allegato il contratto e dedotto l’inadempimento.
Il mancato totale inoltro della merce oggetto di contratto, a fronte dell’integrale pagamento del prezzo, costituisce grave inadempimento che legittima e giustifica la risoluzione del contratto.
Per tali motivi, in accoglimento della domanda attrice, va dichiaro risolto il contratto e la convenuta va condannata alla restituzione del corrispettivo percepito.
Nessun danno può essere, però, riconosciuto atteso che non è stata fornita prova come gli artt. 1223, 2697 c.c. imponevano, non potendo il giudice desumerlo in via equitativa trattandosi di danno a contenuto patrimoniale.
Sulla somma vanno aggiunti, come richiesti, gli interessi moratori dal 10 giugno 2009, da calcolare ai sensi degli artt. 4 e 5 del d.lgs. 231/2002 trattandosi di transazioni commerciali tra imprese. Il saggio degli interessi, pertanto, deve essere determinato in misura pari al saggio d'interesse del principale strumento di rifinanziamento della Banca centrale europea applicato alla sua più recente operazione di rifinanziamento principale effettuata il primo giorno di calendario del semestre in questione, maggiorato di 7 punti percentuali.
Vanno aggiunte le spese della lite da liquidare ai sensi dell’art. 702-ter, ult. comma, c.p.c.
Quanto all’ammontare della liquidazione, va ricordato quanto affermato dalle Sezioni Unite dell’11 settembre 2007 n. 19014: le spese di lite vanno liquidate giusta la natura ed il valore della controversia, l’importanza ed il numero delle questioni trattate, nonché la fase di chiusura del processo. Il principio di adeguatezza e proporzionalità impone, peraltro, una costante ed effettiva relazione tra la materia del dibattito processuale e l'entità degli onorari per l'attività professionale svolta. Il decisum prevale quindi, di regola, sul disputatum (Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, sentenza 11 settembre 2007, n. 19014). Nel caso di specie non vi è stata attività istruttoria e la procedura è stata definita in due udienza cosicché la nota spese del difensore va ridotta non apparendo in linea con i principi di diritto sopra illustrati. Le spese vanno liquidate in Euro 2.000,00 di cui: Euro 1.400,00 per onorari ed Euro 600,00 per diritti. Vanno aggiunte le spese forfetarie, giusta l’art. 14 DM 8.4.2004 n. 127, nonché il rimborso dell’Iva e del Cpa giusta l’art. 11 legge 20 settembre 1980, n. 576.
P.Q.M.
Il Tribunale di Varese, sezione Prima Civile, in persona del giudice dott. Giuseppe Buffone
letto ed applicato l’art. 702-ter, comma V, c.p.c.
ACCOGLIE
la domanda della parte ricorrente avente ad oggetto la risoluzione del contratto e la restituzione del corrispettivo versato, e per l’effetto
DICHIARA
risolto il contratto intercorso tra le parti e per cui è causa
CONDANNA
la convenuta alla restituzione, in favore della ricorrente, della somma di Euro 8.120,00 maggiorata degli interessi di mora ex artt. 4,5 d.lgs. 231/2002 con decorrenza dal 10 giugno 2009 e sino al soddisfo
CONDANNA
la convenuta al rimborso delle spese di lite in favore della attrice che liquida in complessivi Euro 2.000,00 di cui: Euro 1.400,00 per onorari ed Euro 600,00 per diritti. Vanno aggiunte le spese forfetarie, giusta l’art. 14 DM 8.4.2004 n. 127, nonché il rimborso dell’Iva e del Cpa giusta l’art. 11 legge 20 settembre 1980, n. 576.
MANDA
alla cancelleria per quanto di competenza.
L’ordinanza, letta in udienza, è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione
Varese, lì 18 dicembre 2009
IL GIUDICE
DOTT. GIUSEPPE BUFFONE
Libero Professionista, esercente la professione forense nel Foro di Brindisi, distretto Corte d'Appello di Lecce (Italy)- già Magistrato, abilitato innanzi alle Giurisdizioni Superiori (Corte di Cassazione, Corte Costituzionale)
sabato 27 marzo 2010
venerdì 26 marzo 2010
Accesso agli atti, sì, per conoscere la pratica di autorizzazione commerciale del concorrente
T.A.R. Lazio - Roma Sezione II Ter Sentenza 26 novembre 2009, n. 11753
"In materia di esercizio di attività commerciale, la giurisprudenza ha ripetutamente riconosciuto che il titolare di un'autorizzazione amministrativa vanta sicuramente un interesse personale e concreto per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti a conoscere gli atti amministrativi concernenti l'esercizio, da parte dell'ente pubblico, del potere autorizzatorio relativo al medesimo settore di attività commerciale, con riferimento all'ambito territoriale all'interno del quale si radica la posizione giuridica del richiedente, a fronte di possibili lesioni (ancorché non attuali) della sua posizione, qualificata e differenziata, di controinteresse all'illegittimo allargamento della concorrenza (T.A.R. Lombardia Sez. III, Milano, 27.12.2001, n. 8217; T.A.R. Campania Sez. III, Napoli, 4.6.1996, n. 470).
Pertanto il titolare di un esercizio commerciale è legittimato ad accedere agli atti amministrativi autorizzatori relativi all'apertura di un nuovo centro commerciale anche in un comune vicino, che possa rivelarsi un polo di potenziale sottrazione di clientela ( cfr sul punto T.A.R. Lombardia Brescia, 13 gennaio 2003 , n. 24)."
T.A.R.
Lazio - Roma
Sezione II Ter
Sentenza 26 novembre 2009, n. 11753
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 5527 del 2009, proposto dalla:
società Panorama s.p.a., in persona del legale rapp.te p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giorgio Roderi, Anna Romano, Filippo Satta, con domicilio eletto presso lo studio del’ultimo, in Roma, via del Foro Traiano n. 1/A;
contro
Comune di Guidonia Montecelio, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Antonella Auciello, con domicilio per legge presso la segreteria della sezione;
nei confronti di
società Immobiliare Grande Distribuzione- Idg s.p.a. in persona del legale rapp.te p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Francesco Barone, Giuliano Berruti, Riccardo Delli Santi, con domicilio eletto presso lo studio dell’ultimo, in Roma, via Monserrato n. 25;
società Euromarketing s.r.l., in persona del legale rapp.te p.t., non costituitosi in giudizio;;
per l'annullamento
del diniego del Comune di Guidonia Montecelio di cui alla nota prot. n. 41158 del 27.5.2009 sull’istanza prot. n. 31418 del 21.4.2009 di accesso agli atti della società ricorrente;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Guidonia Montecelio;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della società Immobiliare Grande Distribuzione- Idg s.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2009 il Cons. Maria Cristina Quiligotti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
Con ricorso notificato in data 19.6.2009 e depositato in data 1.7.2009, la società ricorrente - premesso di essere titolare di un grande esercizio di vendita sito all’interno del centro commerciale “ Roma est”, avente ad oggetto la medesima attività di supermercato ad una distanza di 8 km. con conseguente incidenza sul medesimo bacino di utenza - ha impugnato il diniego del Comune di Guidonia Montecelio, di accesso alla documentazione amministrativa relativa all’apertura in quel Comune di un centro commerciale metropolitano. Il diniego viene motivato in conseguenza della opposizione all’accesso manifestato da parte delle società controinteressate e tenuto conto della generalità degli atti oggetto della richiesta, riguardante in sostanza tutti gli atti del procedimento istruttorio per il rilascio dell’autorizzazione all’apertura di una grande struttura di vendita (considerata la inesistenza nella normativa regionale di un vincolo di distanza minima tra detti tipi di strutture).
Ne ha dedotto l’illegittimità per i seguenti motivi di censura:
1- Violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e ss. della L. n. 241/1990 e dell’art. 2 del D.P.R. n. 184/2006 ed eccesso di potere per vizio della motivazione.
2- Violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e ss. della L. n. 241/1990 in relazione all’art. 16 della L. n. 15/2005 ed eccesso di potere per vizio della motivazione, difetto di idonea istruttoria ed errore nei presupposti.
3- Violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e ss. della L. n. 241/1990 ed eccesso di potere per errore nei presupposti e sviamento di potere.
In sostanza sussisterebbe un interesse giuridicamente qualificato della società ricorrente all’accesso richiesto; la istanza non sarebbe generica ma avrebbe individuato precisamente il procedimento di interesse né sarebbe ostativa di per sé l’opposizione manifestata da parte dei soggetti controinteressati.
Il Comune di Guidonia Montecelio si è costituito in giudizio in data 1.10.2009 depositando memoria con la quale ha chiesto genericamente il rigetto del ricorso.
Si è, altresì, costituita in giudizio anche la società controinteressata I.G.D. s.p.a., titolare dell’autorizzazione amministrativa di cui trattasi, la quale ha articolatamente dedotto la infondatezza nel merito del ricorso chiedendone il rigetto.
Alla camera di consiglio del 12.10.2009 il ricorso è stato trattenuto per la decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale di causa agli atti.
Il ricorso è fondato per le considerazioni che seguono.
Per quanto attiene alla sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante all’accesso alla documentazione da parte della società ricorrente è sufficiente rilevare che trattasi di un operatore commerciale svolgente la medesima attività all’interno di uno stesso bacino di utenza.
L’impresa operante nel settore commerciale è titolare di un interesse conoscitivo qualificato in ordine ad autorizzazioni rilasciate ad altre imprese di settore nell'ambito locale.
Nella propria istanza di accesso la ricorrente si è espressamente qualificata quale titolare di attività commerciale, specificando di aver interesse a verificare i contenuti dei provvedimenti autorizzatori relativi al nuovo centro commerciale.
Ai sensi dell'art. 22 della legge 7.8.1990 n. 241, l'interesse del soggetto che chiede di accedere a documenti amministrativi deve essere personale e concreto, quindi serio, cioè non riconducibile a mera curiosità, e collegato con una situazione giuridicamente rilevante la quale non deve coincidere necessariamente con una posizione di interesse legittimo o diritto soggettivo.
In materia di esercizio di attività commerciale, la giurisprudenza ha ripetutamente riconosciuto che il titolare di un'autorizzazione amministrativa vanta sicuramente un interesse personale e concreto per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti a conoscere gli atti amministrativi concernenti l'esercizio, da parte dell'ente pubblico, del potere autorizzatorio relativo al medesimo settore di attività commerciale, con riferimento all'ambito territoriale all'interno del quale si radica la posizione giuridica del richiedente, a fronte di possibili lesioni (ancorché non attuali) della sua posizione, qualificata e differenziata, di controinteresse all'illegittimo allargamento della concorrenza (T.A.R. Lombardia Sez. III, Milano, 27.12.2001, n. 8217; T.A.R. Campania Sez. III, Napoli, 4.6.1996, n. 470).
Pertanto il titolare di un esercizio commerciale è legittimato ad accedere agli atti amministrativi autorizzatori relativi all'apertura di un nuovo centro commerciale anche in un comune vicino, che possa rivelarsi un polo di potenziale sottrazione di clientela ( cfr sul punto T.A.R. Lombardia Brescia, 13 gennaio 2003 , n. 24).
La collocazione dei due centri commerciali nel territorio di due diversi comuni confinanti non appare, infatti, idonea a nullificare il dato sostanziale della reciproca interferenza tra gli esercizi di vendita di cui trattasi. Ed a tal fine non può ritenersi che la distanza degli 8 km. sia preclusiva di per sè ai fini della configurazione del bacino di utenza rilevante per la potenziale sottrazione della clientela, considerato che trattasi di grandi strutture di vendite situate all’interno di centri commerciali di elevate dimensioni.
Per quanto concerne, poi, l’aspetto della genericità della istanza, non possono se non essere richiamati i principi di cui in precedenza, questa volta assunti sotto il profilo oggettivo della documentazione oggetto della istanza di accesso.
E’ evidente, infatti, che l’istanza possa essere legittimamente rivolta all’acquisizione di tutta la documentazione amministrativa concernente il procedimento di rilascio dell’autorizzazione all’apertura della struttura di vendita di cui trattasi.
La circostanza che, trattandosi di un centro commerciale di consistente dimensione, l’acquisizione da parte dell’amministrazione della relativa documentazione possa presentare difficoltà di ordine operativo non permette di ovviarvi ritenendo la genericità della istanza.
Per quanto attiene, infine, il profilo della opposizione all’accesso manifestata dalle società controinteressate deve rilevarsi quanto segue.
L’art. 3 del D.P.R. n. 184/2006, rubricato “ Notifica ai controinteressati”, dispone testualmente che “ 1. Fermo quanto previsto dall'articolo 5, la pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, di cui all'articolo 22, comma 1, lettera c), della legge, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione. I soggetti controinteressati sono individuati tenuto anche conto del contenuto degli atti connessi, di cui all'articolo 7, comma 2.
2. Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione di cui al comma 1, i controinteressati possono presentare una motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. Decorso tale termine, la pubblica amministrazione provvede sulla richiesta, accertata la ricezione della comunicazione di cui al comma 1.”.
Al riguardo - premesso che “ Non è impugnabile l'atto con cui l'Amministrazione avvisa l'istante di aver comunicato al controinteressato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 3, d.P.R. 12 aprile 2006 n. 184, la presentazione dell'istanza di accesso, trattandosi di mero atto interlocutorio che non esclude la possibilità di accoglimento dell'istanza.” ( T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 26 settembre 2008 , n. 1247) e che “ la mancata opposizione, da parte di talune società, all'accesso nel corso del procedimento non esclude, in mancanza di una dichiarazione di assenso, la ricorrenza di una posizione sostanziale di controinteresse in relazione all'esperimento in sede giudiziale di un'"actio ad exhibendum" concernente procedimenti relativi a provvedimenti riguardanti in via diretta la loro sfera giuridica.” ( Consiglio Stato , sez. V, 13 giugno 2008 , n. 2975)-, illegittimamente l'amministrazione nega l'accesso agli atti ponendo a fondamento del diniego la mancanza de consenso all'accesso da parte dei controinteressati, e sostenendo che non avrebbe potuto valutare diversamente la questione, potendo solo uniformarsi alla volontà degli stessi, a tutela della loro riservatezza, in quanto la normativa in materia di accesso agli atti, lungi dal rendere i controinteressati arbitri assoluti delle richieste che li riguardino, rimette sempre all'amministrazione destinataria della richiesta di accesso il potere di valutare la fondatezza della richiesta stessa, anche in contrasto con l'opposizione eventualmente manifestata dai controinteressati ( in tal senso T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 20 luglio 2007 , n. 1277).
Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere accolto con l’ordine al Comune di Guidonia di consentire alla società ricorrente l’accesso alla richiesta documentazione nel termine di 30 gg. dalla notificazione della presente sentenza o dalla sua comunicazione in via amministrativa.
Considerata la complessità della vicenda si ritiene opportuno disporre la compensazione delle spese del presente giudizio.
In considerazione dell’esito del ricorso, invece, si dichiara la ripetibilità a favore della società ricorrente del contributo versato nella misura di cui in atti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. II ter, accoglie il ricorso in epigrafe e per l'effetto annulla il provvedimento impugnato ed ordina al Comune di Guidonia Montecelio di consentire alla società ricorrente l’accesso alla documentazione amministrativa di cui in motivazione nel termine di 30 gg. dalla notificazione della presente sentenza a cura di parte o dalla sua comunicazione in via amministrativa.
Spese compensate.
Contributo unificato refuso.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2009 con l'intervento dei Magistrati:
Michele Perrelli, Presidente
Maria Cristina Quiligotti, Consigliere, Estensore
Daniele Dongiovanni, Primo Referendario
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 26/11/2009.
"In materia di esercizio di attività commerciale, la giurisprudenza ha ripetutamente riconosciuto che il titolare di un'autorizzazione amministrativa vanta sicuramente un interesse personale e concreto per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti a conoscere gli atti amministrativi concernenti l'esercizio, da parte dell'ente pubblico, del potere autorizzatorio relativo al medesimo settore di attività commerciale, con riferimento all'ambito territoriale all'interno del quale si radica la posizione giuridica del richiedente, a fronte di possibili lesioni (ancorché non attuali) della sua posizione, qualificata e differenziata, di controinteresse all'illegittimo allargamento della concorrenza (T.A.R. Lombardia Sez. III, Milano, 27.12.2001, n. 8217; T.A.R. Campania Sez. III, Napoli, 4.6.1996, n. 470).
Pertanto il titolare di un esercizio commerciale è legittimato ad accedere agli atti amministrativi autorizzatori relativi all'apertura di un nuovo centro commerciale anche in un comune vicino, che possa rivelarsi un polo di potenziale sottrazione di clientela ( cfr sul punto T.A.R. Lombardia Brescia, 13 gennaio 2003 , n. 24)."
T.A.R.
Lazio - Roma
Sezione II Ter
Sentenza 26 novembre 2009, n. 11753
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 5527 del 2009, proposto dalla:
società Panorama s.p.a., in persona del legale rapp.te p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Giorgio Roderi, Anna Romano, Filippo Satta, con domicilio eletto presso lo studio del’ultimo, in Roma, via del Foro Traiano n. 1/A;
contro
Comune di Guidonia Montecelio, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. Antonella Auciello, con domicilio per legge presso la segreteria della sezione;
nei confronti di
società Immobiliare Grande Distribuzione- Idg s.p.a. in persona del legale rapp.te p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Francesco Barone, Giuliano Berruti, Riccardo Delli Santi, con domicilio eletto presso lo studio dell’ultimo, in Roma, via Monserrato n. 25;
società Euromarketing s.r.l., in persona del legale rapp.te p.t., non costituitosi in giudizio;;
per l'annullamento
del diniego del Comune di Guidonia Montecelio di cui alla nota prot. n. 41158 del 27.5.2009 sull’istanza prot. n. 31418 del 21.4.2009 di accesso agli atti della società ricorrente;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Guidonia Montecelio;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della società Immobiliare Grande Distribuzione- Idg s.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2009 il Cons. Maria Cristina Quiligotti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO
Con ricorso notificato in data 19.6.2009 e depositato in data 1.7.2009, la società ricorrente - premesso di essere titolare di un grande esercizio di vendita sito all’interno del centro commerciale “ Roma est”, avente ad oggetto la medesima attività di supermercato ad una distanza di 8 km. con conseguente incidenza sul medesimo bacino di utenza - ha impugnato il diniego del Comune di Guidonia Montecelio, di accesso alla documentazione amministrativa relativa all’apertura in quel Comune di un centro commerciale metropolitano. Il diniego viene motivato in conseguenza della opposizione all’accesso manifestato da parte delle società controinteressate e tenuto conto della generalità degli atti oggetto della richiesta, riguardante in sostanza tutti gli atti del procedimento istruttorio per il rilascio dell’autorizzazione all’apertura di una grande struttura di vendita (considerata la inesistenza nella normativa regionale di un vincolo di distanza minima tra detti tipi di strutture).
Ne ha dedotto l’illegittimità per i seguenti motivi di censura:
1- Violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e ss. della L. n. 241/1990 e dell’art. 2 del D.P.R. n. 184/2006 ed eccesso di potere per vizio della motivazione.
2- Violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e ss. della L. n. 241/1990 in relazione all’art. 16 della L. n. 15/2005 ed eccesso di potere per vizio della motivazione, difetto di idonea istruttoria ed errore nei presupposti.
3- Violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e ss. della L. n. 241/1990 ed eccesso di potere per errore nei presupposti e sviamento di potere.
In sostanza sussisterebbe un interesse giuridicamente qualificato della società ricorrente all’accesso richiesto; la istanza non sarebbe generica ma avrebbe individuato precisamente il procedimento di interesse né sarebbe ostativa di per sé l’opposizione manifestata da parte dei soggetti controinteressati.
Il Comune di Guidonia Montecelio si è costituito in giudizio in data 1.10.2009 depositando memoria con la quale ha chiesto genericamente il rigetto del ricorso.
Si è, altresì, costituita in giudizio anche la società controinteressata I.G.D. s.p.a., titolare dell’autorizzazione amministrativa di cui trattasi, la quale ha articolatamente dedotto la infondatezza nel merito del ricorso chiedendone il rigetto.
Alla camera di consiglio del 12.10.2009 il ricorso è stato trattenuto per la decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da verbale di causa agli atti.
Il ricorso è fondato per le considerazioni che seguono.
Per quanto attiene alla sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante all’accesso alla documentazione da parte della società ricorrente è sufficiente rilevare che trattasi di un operatore commerciale svolgente la medesima attività all’interno di uno stesso bacino di utenza.
L’impresa operante nel settore commerciale è titolare di un interesse conoscitivo qualificato in ordine ad autorizzazioni rilasciate ad altre imprese di settore nell'ambito locale.
Nella propria istanza di accesso la ricorrente si è espressamente qualificata quale titolare di attività commerciale, specificando di aver interesse a verificare i contenuti dei provvedimenti autorizzatori relativi al nuovo centro commerciale.
Ai sensi dell'art. 22 della legge 7.8.1990 n. 241, l'interesse del soggetto che chiede di accedere a documenti amministrativi deve essere personale e concreto, quindi serio, cioè non riconducibile a mera curiosità, e collegato con una situazione giuridicamente rilevante la quale non deve coincidere necessariamente con una posizione di interesse legittimo o diritto soggettivo.
In materia di esercizio di attività commerciale, la giurisprudenza ha ripetutamente riconosciuto che il titolare di un'autorizzazione amministrativa vanta sicuramente un interesse personale e concreto per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti a conoscere gli atti amministrativi concernenti l'esercizio, da parte dell'ente pubblico, del potere autorizzatorio relativo al medesimo settore di attività commerciale, con riferimento all'ambito territoriale all'interno del quale si radica la posizione giuridica del richiedente, a fronte di possibili lesioni (ancorché non attuali) della sua posizione, qualificata e differenziata, di controinteresse all'illegittimo allargamento della concorrenza (T.A.R. Lombardia Sez. III, Milano, 27.12.2001, n. 8217; T.A.R. Campania Sez. III, Napoli, 4.6.1996, n. 470).
Pertanto il titolare di un esercizio commerciale è legittimato ad accedere agli atti amministrativi autorizzatori relativi all'apertura di un nuovo centro commerciale anche in un comune vicino, che possa rivelarsi un polo di potenziale sottrazione di clientela ( cfr sul punto T.A.R. Lombardia Brescia, 13 gennaio 2003 , n. 24).
La collocazione dei due centri commerciali nel territorio di due diversi comuni confinanti non appare, infatti, idonea a nullificare il dato sostanziale della reciproca interferenza tra gli esercizi di vendita di cui trattasi. Ed a tal fine non può ritenersi che la distanza degli 8 km. sia preclusiva di per sè ai fini della configurazione del bacino di utenza rilevante per la potenziale sottrazione della clientela, considerato che trattasi di grandi strutture di vendite situate all’interno di centri commerciali di elevate dimensioni.
Per quanto concerne, poi, l’aspetto della genericità della istanza, non possono se non essere richiamati i principi di cui in precedenza, questa volta assunti sotto il profilo oggettivo della documentazione oggetto della istanza di accesso.
E’ evidente, infatti, che l’istanza possa essere legittimamente rivolta all’acquisizione di tutta la documentazione amministrativa concernente il procedimento di rilascio dell’autorizzazione all’apertura della struttura di vendita di cui trattasi.
La circostanza che, trattandosi di un centro commerciale di consistente dimensione, l’acquisizione da parte dell’amministrazione della relativa documentazione possa presentare difficoltà di ordine operativo non permette di ovviarvi ritenendo la genericità della istanza.
Per quanto attiene, infine, il profilo della opposizione all’accesso manifestata dalle società controinteressate deve rilevarsi quanto segue.
L’art. 3 del D.P.R. n. 184/2006, rubricato “ Notifica ai controinteressati”, dispone testualmente che “ 1. Fermo quanto previsto dall'articolo 5, la pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, di cui all'articolo 22, comma 1, lettera c), della legge, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione. I soggetti controinteressati sono individuati tenuto anche conto del contenuto degli atti connessi, di cui all'articolo 7, comma 2.
2. Entro dieci giorni dalla ricezione della comunicazione di cui al comma 1, i controinteressati possono presentare una motivata opposizione, anche per via telematica, alla richiesta di accesso. Decorso tale termine, la pubblica amministrazione provvede sulla richiesta, accertata la ricezione della comunicazione di cui al comma 1.”.
Al riguardo - premesso che “ Non è impugnabile l'atto con cui l'Amministrazione avvisa l'istante di aver comunicato al controinteressato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 3, d.P.R. 12 aprile 2006 n. 184, la presentazione dell'istanza di accesso, trattandosi di mero atto interlocutorio che non esclude la possibilità di accoglimento dell'istanza.” ( T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 26 settembre 2008 , n. 1247) e che “ la mancata opposizione, da parte di talune società, all'accesso nel corso del procedimento non esclude, in mancanza di una dichiarazione di assenso, la ricorrenza di una posizione sostanziale di controinteresse in relazione all'esperimento in sede giudiziale di un'"actio ad exhibendum" concernente procedimenti relativi a provvedimenti riguardanti in via diretta la loro sfera giuridica.” ( Consiglio Stato , sez. V, 13 giugno 2008 , n. 2975)-, illegittimamente l'amministrazione nega l'accesso agli atti ponendo a fondamento del diniego la mancanza de consenso all'accesso da parte dei controinteressati, e sostenendo che non avrebbe potuto valutare diversamente la questione, potendo solo uniformarsi alla volontà degli stessi, a tutela della loro riservatezza, in quanto la normativa in materia di accesso agli atti, lungi dal rendere i controinteressati arbitri assoluti delle richieste che li riguardino, rimette sempre all'amministrazione destinataria della richiesta di accesso il potere di valutare la fondatezza della richiesta stessa, anche in contrasto con l'opposizione eventualmente manifestata dai controinteressati ( in tal senso T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 20 luglio 2007 , n. 1277).
Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere accolto con l’ordine al Comune di Guidonia di consentire alla società ricorrente l’accesso alla richiesta documentazione nel termine di 30 gg. dalla notificazione della presente sentenza o dalla sua comunicazione in via amministrativa.
Considerata la complessità della vicenda si ritiene opportuno disporre la compensazione delle spese del presente giudizio.
In considerazione dell’esito del ricorso, invece, si dichiara la ripetibilità a favore della società ricorrente del contributo versato nella misura di cui in atti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sez. II ter, accoglie il ricorso in epigrafe e per l'effetto annulla il provvedimento impugnato ed ordina al Comune di Guidonia Montecelio di consentire alla società ricorrente l’accesso alla documentazione amministrativa di cui in motivazione nel termine di 30 gg. dalla notificazione della presente sentenza a cura di parte o dalla sua comunicazione in via amministrativa.
Spese compensate.
Contributo unificato refuso.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2009 con l'intervento dei Magistrati:
Michele Perrelli, Presidente
Maria Cristina Quiligotti, Consigliere, Estensore
Daniele Dongiovanni, Primo Referendario
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 26/11/2009.
martedì 23 marzo 2010
Assegno post datato, Cassazione 2010
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III CIVILE
Sentenza 11 gennaio - 3 marzo 2010, n. 5069
"E se è vero che la postdatazione non induce, di per sé, la nullità dell'assegno bancario, ma comporta soltanto la nullità del relativo patto per contrarietà a norme imperative, poste a tutela della buona fede e della regolare circolazione dei titoli di credito, consentendo al creditore di esigere immediatamente il suo pagamento (v. anche Cass. 6.6.2006 n. 13259; Cass. 25-5-2001 n. 71359); è altrettanto vero - per le ragioni esposte - che lo stesso non può valere, però, come titolo esecutivo".
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 11 gennaio - 3 marzo 2010, n. 5069
(Presidente Varrone - Relatore Vivaldi)
Svolgimento del processo
T. M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi avverso la sentenza emessa dal tribunale di Perugia - sezione distaccata di Foligno in data 9.6.2008 ed in pari data depositata, che aveva rigettato l'opposizione all'esecuzione dalla stessa proposta.
Con l'opposizione l'odierna ricorrente deduceva l'inesistenza del titolo esecutivo costituito da assegno postdatato.
Resiste con controricorso P. M..
Il giudizio davanti alla Corte di cassazione è iniziato, ai sensi dell'art. 380 - bis c.p.c., con il deposito in cancelleria, da parte del relatore, della relazione, ai sensi del primo comma dell'articolo citato e la fissazione - con decreto - dell'adunanza da parte del Presidente.
Il decreto e la relazione sono stati regolarmente comunicati al pubblico ministero e notificati ai difensori delle parti.
Le parti hanno presentato memoria.
Nella seduta in data 7 maggio 2009 la Corte ha deliberato sul ricorso.
Il Collegio ha rinviato la causa alla pubblica udienza, ai sensi dell'art. 380 - bis, quinto comma c.p.c..
La ricorrente ha presentato memoria.
Motivi della decisione
Preliminarmente, va disattesa l'eccezione di litispendenza proposta dalla resistente.
Non si versa, infatti, in ipotesi di litispendenza quando - come nella specie - nei confronti della medesima decisione vengano proposti sia l'appello, sia il ricorso per cassazione, poiché tale istituto tende ad impedire il simultaneo esercizio della funzione giurisdizionale sulla stessa controversia da parte di più giudici che abbiano competenza a decidere, per evitare la possibilità di giudicati contrastanti.
Tale problema non si pone, invece, nel caso in cui siano stati proposti, avverso lo stesso provvedimento, due diversi mezzi di impugnazione, dei quali uno solo previsto dalla legge, perché, in tal caso, venendo in questione l'ammissibilità dell'impugnazione, sulla quale non spiega alcun effetto la contemporanea proposizione di altro diverso mezzo di gravame, è il Giudice davanti al quale è stato proposto il gravame ammissibile a dover decidere sulla impugnazione, mentre l'altro deve dichiarare inammissibile il gravame davanti allo stesso proposto (v. Cass. 6.12.2007 n. 25452; Cass. 10.2.2005 n. 2709).
Nella specie, trattandosi di impugnazione avverso sentenza emessa in materia di opposizione all'esecuzione, il rimedio esperibile - ai sensi dell'art. 616 c.p.c. come modificato, con decorrenza dall'1 marzo 2006, dall'art. 14 l. 24.2.2006 n. 52 -, è quello proposto in questa sede, con il ricorso per cassazione (v. anche S.U. 29.4.2009 n. 9940; Cass. 20.9.2006 n. 20414).
Ne consegue che la Corte di legittimità deve decidere in ordine ai motivi d'impugnazione proposti dalla ricorrente.
Passando ad esaminare il merito del ricorso, deve rilevarsi quanto segue.
Con tre motivi la ricorrente denuncia violazioni di norme di diritto (artt. 282, 324, 91, primo comma, c.p.c.; 118 R.D. n. 1736 del 1933, come modificato a seguito dell'abrogazione dell'art. 119 medesimo R.D. dall'articolo unico della L. 28 aprile 1967, n. 263; 2059 c.c.).
I quesiti relativi a ciascun motivo sono posti alle pagg. 4 - 5, 7 e 9 del ricorso.
Il ricorso è fondato - per le ragioni che seguono - con riferimento ai primi due motivi da esaminarsi congiuntamente per l'intima connessione delle censure con gli stessi proposte.
L'assegno in questione è stato emesso postdatato, usurpando, in tal modo, le funzioni proprie della cambiale, ma sfuggendo alla relativa tassa sul bollo.
Trattandosi, pertanto, di assegno con bollo irregolare (in quanto postdatato), non può essergli riconosciuto natura di titolo esecutivo, nemmeno se successivamente sia stato o venga regolarizzato fiscalmente.
L'esplicita abrogazione, avvenuta in virtù dell'articolo unico della Legge 28.4.1967 n. 263, dell'art. 119 della legge sugli assegni n. 1736 del 1933, che subordinava l'azione di regresso alla regolarizzazione fiscale presso l'Ufficio del Registro ha comportato, infatti, l'abrogazione implicita del precedente art. 118 che, a sua volta, subordinava la qualità di titolo esecutivo dell'assegno alla successiva bollatura nel termine prescritto dalla legge (in tal senso Cass., 6.9.1976 n. 3104; Cass. 21.1.1985 n. 191; Cass. 11.8.1987 n. 6890).
Del resto, il principio della necessità dell'originaria osservanza della legge sul bollo, ai fini del riconoscimento come titolo esecutivo dell'assegno bancario (oltre che della cambiale e del vaglia cambiario), è sancito espressamente dall'art. 20 del D.P.R. 26.10.1972 n. 642 il quale, fra l'altro, dispone, al terzo comma, che la relativa inefficacia deve essere rilevata d'ufficio dai giudici, conformemente a quanto prevedeva il terzo comma del richiamato art. 118.
Erroneamente, il giudice di merito ha, pertanto, posto a fondamento della sua decisione, di rigetto dell'opposizione a pignoramento presso terzi, la norma dell'art. 31, secondo comma, R.D. n. 1736 del 1933.
Infatti, ciò che rileva, nella specie, non è la irregolarità come titolo dell'assegno, perché postdatato, ma la sua qualità di titolo esecutivo.
E se è vero che la postdatazione non induce, di per sé, la nullità dell'assegno bancario, ma comporta soltanto la nullità del relativo patto per contrarietà a norme imperative, poste a tutela della buona fede e della regolare circolazione dei titoli di credito, consentendo al creditore di esigere immediatamente il suo pagamento (v. anche Cass. 6.6.2006 n. 13259; Cass. 25-5-2001 n. 71359); è altrettanto vero - per le ragioni esposte - che lo stesso non può valere, però, come titolo esecutivo.
Deve ritenersi, pertanto, che P. M. non poteva agire esecutivamente, come invece ha fatto, in base al titolo in esame (v. anche Cass. 30.8.1996 n. 7985).
Non può, invece,condividersi la censura posta con il terzo motivo che deve essere dichiarato non fondato.
Presupposto specifico dell'azione di risarcimento di cui all'art. 2043 c.c. (del quale l'art. 2059 c.c. è specificazione e norma selettiva dei danni non patrimoniali) è la illiceità del fatto che ha causato il danno.
Nel sistema processuale vigente non esiste nessun principio attraverso il quale si possa qualificare come illecita la richiesta di pignoramento da chiunque provenga e comunque sia stata posta in essere.
Tuttavia la legge prevede i casi di impignorabilità dei beni, di nullità del pignoramento come atto, di inesistenza del titolo esecutivo dal quale trae origine il pignoramento stesso.
Il rimedio contro queste evenienze è dato soltanto dalle opposizioni esecutive.
Nei casi indicati dalla legge (art. 96 c.p.c.) è anche consentito all'opponente di fare valere le ulteriori pretese risarcitorie previste dalla legge nell'ambito del giudizio di opposizione. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (v. per tutte Cass. 24.7.2007 n. 16308; Cass. 1.4.2005 n. 6895; Cass. 20.7.2004 n. 13455), la previsione della speciale responsabilità processuale aggravata di cui all'art. 96 c.p.c., peraltro, comprende tutte le ipotesi di atti e comportamenti processuali delle parti e copre ogni possibile effetto pregiudizievole che ne derivi.
Resta, perciò, preclusa la possibilità di invocare, con una domanda autonoma e concorrente, i principi generali della responsabilità per fatto illecito di cui all'art. 2043 c.c. con riguardo ad una specifica asserita conseguenza dannosa di quegli stessi atti (v. anche Cass. 17 ottobre 2003 n. 15551), essendo le due discipline in rapporto di genere e di specie.
La responsabilità processuale per danni ricade, quindi, interamente, in tutte le sue possibili ipotesi, nell'ambito normativo dell'art. 96 codice di rito.
Ora, con riferimento alla censura proposta, da un lato deve rilevarsi che il giudice del merito ha escluso la risarcibilità dei danni come richiesta, senza alcun riferimento all'art. 96 c.p.c., in questa sede invocato, ma sull'insussistenza del danno ingiusto, essendo la procedura esecutiva stata la conseguenza dell'inadempimento dell'odierna ricorrente.
E sotto questo profilo il giudice del merito è stato consequenziale alla decisione adottata.
Il mutato giudizio di questa Corte in ordine alla domanda proposta con l'opposizione, però, non può automaticamente comportare il riconoscimento di presunti danni ai sensi dell'art. 2043 c.c., danni in ordine ai quali l'attuale ricorrente non ha fornito alcun elemento se non addurre l'illegittimità del pignoramento.
Sotto il profilo, poi, dell'art. 96 c.p.c., profilo che pare per la prima volta sollevato in questa sede - e come tale sarebbe inammissibile perché nuovo - le considerazioni sopra riportate rendono evidente che non ricorra alcuna ipotesi di responsabilità aggravata, avendo l'attuale resistente agito sulla base di quello che riteneva costituire un valido titolo esecutivo, quindi, senza dolo o colpa grave; ma neppure adottando una condotta non contraddistinta da “normale prudenza”.
Conclusivamente, vanno accolti i primi due motivi di ricorso; va rigettato il terzo e la sentenza impugnata va cassata.
Peraltro, non essendo necessarie ulteriori accertamenti di fatto, la Corte può decidere nel merito, ai sensi dell'art. 384, comma c.p.c., accogliendo l'opposizione all'esecuzione.
La natura della controversia e la qualità delle parti giustificano la compensazione delle spese dell'intero processo.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso; rigetta il terzo. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l'opposizione all'esecuzione. Compensa le spese dell'intero processo.
Sentenza 11 gennaio - 3 marzo 2010, n. 5069
"E se è vero che la postdatazione non induce, di per sé, la nullità dell'assegno bancario, ma comporta soltanto la nullità del relativo patto per contrarietà a norme imperative, poste a tutela della buona fede e della regolare circolazione dei titoli di credito, consentendo al creditore di esigere immediatamente il suo pagamento (v. anche Cass. 6.6.2006 n. 13259; Cass. 25-5-2001 n. 71359); è altrettanto vero - per le ragioni esposte - che lo stesso non può valere, però, come titolo esecutivo".
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 11 gennaio - 3 marzo 2010, n. 5069
(Presidente Varrone - Relatore Vivaldi)
Svolgimento del processo
T. M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi avverso la sentenza emessa dal tribunale di Perugia - sezione distaccata di Foligno in data 9.6.2008 ed in pari data depositata, che aveva rigettato l'opposizione all'esecuzione dalla stessa proposta.
Con l'opposizione l'odierna ricorrente deduceva l'inesistenza del titolo esecutivo costituito da assegno postdatato.
Resiste con controricorso P. M..
Il giudizio davanti alla Corte di cassazione è iniziato, ai sensi dell'art. 380 - bis c.p.c., con il deposito in cancelleria, da parte del relatore, della relazione, ai sensi del primo comma dell'articolo citato e la fissazione - con decreto - dell'adunanza da parte del Presidente.
Il decreto e la relazione sono stati regolarmente comunicati al pubblico ministero e notificati ai difensori delle parti.
Le parti hanno presentato memoria.
Nella seduta in data 7 maggio 2009 la Corte ha deliberato sul ricorso.
Il Collegio ha rinviato la causa alla pubblica udienza, ai sensi dell'art. 380 - bis, quinto comma c.p.c..
La ricorrente ha presentato memoria.
Motivi della decisione
Preliminarmente, va disattesa l'eccezione di litispendenza proposta dalla resistente.
Non si versa, infatti, in ipotesi di litispendenza quando - come nella specie - nei confronti della medesima decisione vengano proposti sia l'appello, sia il ricorso per cassazione, poiché tale istituto tende ad impedire il simultaneo esercizio della funzione giurisdizionale sulla stessa controversia da parte di più giudici che abbiano competenza a decidere, per evitare la possibilità di giudicati contrastanti.
Tale problema non si pone, invece, nel caso in cui siano stati proposti, avverso lo stesso provvedimento, due diversi mezzi di impugnazione, dei quali uno solo previsto dalla legge, perché, in tal caso, venendo in questione l'ammissibilità dell'impugnazione, sulla quale non spiega alcun effetto la contemporanea proposizione di altro diverso mezzo di gravame, è il Giudice davanti al quale è stato proposto il gravame ammissibile a dover decidere sulla impugnazione, mentre l'altro deve dichiarare inammissibile il gravame davanti allo stesso proposto (v. Cass. 6.12.2007 n. 25452; Cass. 10.2.2005 n. 2709).
Nella specie, trattandosi di impugnazione avverso sentenza emessa in materia di opposizione all'esecuzione, il rimedio esperibile - ai sensi dell'art. 616 c.p.c. come modificato, con decorrenza dall'1 marzo 2006, dall'art. 14 l. 24.2.2006 n. 52 -, è quello proposto in questa sede, con il ricorso per cassazione (v. anche S.U. 29.4.2009 n. 9940; Cass. 20.9.2006 n. 20414).
Ne consegue che la Corte di legittimità deve decidere in ordine ai motivi d'impugnazione proposti dalla ricorrente.
Passando ad esaminare il merito del ricorso, deve rilevarsi quanto segue.
Con tre motivi la ricorrente denuncia violazioni di norme di diritto (artt. 282, 324, 91, primo comma, c.p.c.; 118 R.D. n. 1736 del 1933, come modificato a seguito dell'abrogazione dell'art. 119 medesimo R.D. dall'articolo unico della L. 28 aprile 1967, n. 263; 2059 c.c.).
I quesiti relativi a ciascun motivo sono posti alle pagg. 4 - 5, 7 e 9 del ricorso.
Il ricorso è fondato - per le ragioni che seguono - con riferimento ai primi due motivi da esaminarsi congiuntamente per l'intima connessione delle censure con gli stessi proposte.
L'assegno in questione è stato emesso postdatato, usurpando, in tal modo, le funzioni proprie della cambiale, ma sfuggendo alla relativa tassa sul bollo.
Trattandosi, pertanto, di assegno con bollo irregolare (in quanto postdatato), non può essergli riconosciuto natura di titolo esecutivo, nemmeno se successivamente sia stato o venga regolarizzato fiscalmente.
L'esplicita abrogazione, avvenuta in virtù dell'articolo unico della Legge 28.4.1967 n. 263, dell'art. 119 della legge sugli assegni n. 1736 del 1933, che subordinava l'azione di regresso alla regolarizzazione fiscale presso l'Ufficio del Registro ha comportato, infatti, l'abrogazione implicita del precedente art. 118 che, a sua volta, subordinava la qualità di titolo esecutivo dell'assegno alla successiva bollatura nel termine prescritto dalla legge (in tal senso Cass., 6.9.1976 n. 3104; Cass. 21.1.1985 n. 191; Cass. 11.8.1987 n. 6890).
Del resto, il principio della necessità dell'originaria osservanza della legge sul bollo, ai fini del riconoscimento come titolo esecutivo dell'assegno bancario (oltre che della cambiale e del vaglia cambiario), è sancito espressamente dall'art. 20 del D.P.R. 26.10.1972 n. 642 il quale, fra l'altro, dispone, al terzo comma, che la relativa inefficacia deve essere rilevata d'ufficio dai giudici, conformemente a quanto prevedeva il terzo comma del richiamato art. 118.
Erroneamente, il giudice di merito ha, pertanto, posto a fondamento della sua decisione, di rigetto dell'opposizione a pignoramento presso terzi, la norma dell'art. 31, secondo comma, R.D. n. 1736 del 1933.
Infatti, ciò che rileva, nella specie, non è la irregolarità come titolo dell'assegno, perché postdatato, ma la sua qualità di titolo esecutivo.
E se è vero che la postdatazione non induce, di per sé, la nullità dell'assegno bancario, ma comporta soltanto la nullità del relativo patto per contrarietà a norme imperative, poste a tutela della buona fede e della regolare circolazione dei titoli di credito, consentendo al creditore di esigere immediatamente il suo pagamento (v. anche Cass. 6.6.2006 n. 13259; Cass. 25-5-2001 n. 71359); è altrettanto vero - per le ragioni esposte - che lo stesso non può valere, però, come titolo esecutivo.
Deve ritenersi, pertanto, che P. M. non poteva agire esecutivamente, come invece ha fatto, in base al titolo in esame (v. anche Cass. 30.8.1996 n. 7985).
Non può, invece,condividersi la censura posta con il terzo motivo che deve essere dichiarato non fondato.
Presupposto specifico dell'azione di risarcimento di cui all'art. 2043 c.c. (del quale l'art. 2059 c.c. è specificazione e norma selettiva dei danni non patrimoniali) è la illiceità del fatto che ha causato il danno.
Nel sistema processuale vigente non esiste nessun principio attraverso il quale si possa qualificare come illecita la richiesta di pignoramento da chiunque provenga e comunque sia stata posta in essere.
Tuttavia la legge prevede i casi di impignorabilità dei beni, di nullità del pignoramento come atto, di inesistenza del titolo esecutivo dal quale trae origine il pignoramento stesso.
Il rimedio contro queste evenienze è dato soltanto dalle opposizioni esecutive.
Nei casi indicati dalla legge (art. 96 c.p.c.) è anche consentito all'opponente di fare valere le ulteriori pretese risarcitorie previste dalla legge nell'ambito del giudizio di opposizione. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (v. per tutte Cass. 24.7.2007 n. 16308; Cass. 1.4.2005 n. 6895; Cass. 20.7.2004 n. 13455), la previsione della speciale responsabilità processuale aggravata di cui all'art. 96 c.p.c., peraltro, comprende tutte le ipotesi di atti e comportamenti processuali delle parti e copre ogni possibile effetto pregiudizievole che ne derivi.
Resta, perciò, preclusa la possibilità di invocare, con una domanda autonoma e concorrente, i principi generali della responsabilità per fatto illecito di cui all'art. 2043 c.c. con riguardo ad una specifica asserita conseguenza dannosa di quegli stessi atti (v. anche Cass. 17 ottobre 2003 n. 15551), essendo le due discipline in rapporto di genere e di specie.
La responsabilità processuale per danni ricade, quindi, interamente, in tutte le sue possibili ipotesi, nell'ambito normativo dell'art. 96 codice di rito.
Ora, con riferimento alla censura proposta, da un lato deve rilevarsi che il giudice del merito ha escluso la risarcibilità dei danni come richiesta, senza alcun riferimento all'art. 96 c.p.c., in questa sede invocato, ma sull'insussistenza del danno ingiusto, essendo la procedura esecutiva stata la conseguenza dell'inadempimento dell'odierna ricorrente.
E sotto questo profilo il giudice del merito è stato consequenziale alla decisione adottata.
Il mutato giudizio di questa Corte in ordine alla domanda proposta con l'opposizione, però, non può automaticamente comportare il riconoscimento di presunti danni ai sensi dell'art. 2043 c.c., danni in ordine ai quali l'attuale ricorrente non ha fornito alcun elemento se non addurre l'illegittimità del pignoramento.
Sotto il profilo, poi, dell'art. 96 c.p.c., profilo che pare per la prima volta sollevato in questa sede - e come tale sarebbe inammissibile perché nuovo - le considerazioni sopra riportate rendono evidente che non ricorra alcuna ipotesi di responsabilità aggravata, avendo l'attuale resistente agito sulla base di quello che riteneva costituire un valido titolo esecutivo, quindi, senza dolo o colpa grave; ma neppure adottando una condotta non contraddistinta da “normale prudenza”.
Conclusivamente, vanno accolti i primi due motivi di ricorso; va rigettato il terzo e la sentenza impugnata va cassata.
Peraltro, non essendo necessarie ulteriori accertamenti di fatto, la Corte può decidere nel merito, ai sensi dell'art. 384, comma c.p.c., accogliendo l'opposizione all'esecuzione.
La natura della controversia e la qualità delle parti giustificano la compensazione delle spese dell'intero processo.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso; rigetta il terzo. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l'opposizione all'esecuzione. Compensa le spese dell'intero processo.
martedì 16 marzo 2010
Incendi, misure di protezione, Decreto del Presidente della Regione Puglia per l'anno 2010
Prevenzione incendi nel periodo estivo dell'anno 2010 per la Puglia
Definizione di bosco ex artt. 423 e 425 n.. 5 cod. pen.. Ai fini del delitto di cui agli artt. 423 e 425 n.. 5 cod. pen., per " bosco " deve intendersi una superficie di notevole estensione sulla quale crescono, naturalmente o con processo artificiale, alberi o frutici, cedui e non cedui, talché in detto termine vanno ricomprese anche le macchie. Cassazione penale, sez. I, 11 ottobre 1987, n. 742
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE 3 marzo 2010, n. 215
Dichiarazione dello stato di grave pericolosità per gli incendi boschivi nell’anno 2010, ai sensi della L. 353/2000 e della L.R. 18/2000.
IL PRESIDENTE DELLA REGIONE
VISTO il R.D.L. n° 3267 del 30/12/1923;
VISTO la L. n° 225 del 24/02/1992;
VISTO il D.to L.vo n° 112 del 31/03/1998;
VISTA la L. n° 353 del 21/11/2000;
VISTA la L.R. n° 18 del 30/11/2000;
VISTE le Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale vigenti nelle province di Bari, Brindisi, Foggia, Lecce e Taranto;
VISTO l’art. 59 del T.U. n° 773 del 18/6/1931 delle leggi di P.S. e successive modificazioni ed integrazioni;
VISTA la L.R. n°15 del 12/05/1997 e successive modificazioni ed integrazioni (art. 14 comma I L.R. 10 del 30/04/2009);
VISTA la deliberazione della Giunta Regionale n° 2004 del 30.12.2005 con la quale è stato approvato il piano di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi 2004-2006, redatto ai sensi della L. n° 353 del 21.11.2000 e della L.r. n° 18 del 30.11.2000, che individua dal 15 giugno al 15 settembre il periodo di massima pericolosità per gli incendi boschivi, pur evidenziando la opportunità di una eventuale diversificazione dell’inizio o della conclusione a seconda della possibilità di una esposizione precoce o tardiva delle aree esposte al fenomeno, anche sulla base di quanto verificatosi nell’anno precedente;
VISTA la deliberazione n° 247 in data 25.02.2009 con la quale la Giunta Regionale ha affidato alla Università degli Studi di Bari - Dipartimento di Progettazione e Gestione dei Sistemi Agro-Zootecnici e Forestali (PROGESA) l’incarico per l’elaborazione dell’aggiornamento e adeguamento del “Piano di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi (2004-2006)” e per la redazione del nuovo Piano A.I.B. 2010-2012;
VISTA la deliberazione n° 340 del 10.02.2010 con la quale la Giunta Regionale ha approvato “l’aggiornamento operativo 2009” del vigente “Piano di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi” redatto dal PROGESA, e l’estensione della validità dello stesso per l’anno 2010;
VISTO che in forza del D.P.C.M. 20/12/2001 recante “Linee guida relative ai piani regionali per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi”, dell’art. 3 della legge n°353/2000 e dell’art. 15 della legge regionale n° 18/2000, è necessario che vengano adottati, con immediatezza, i provvedimenti utili a contrastare anche nel 2010 la pericolosità degli incendi boschivi;
VISTA la nota Prot. n.15601 pos. 01.07.03 in data 22.10.2009 del Corpo Forestale dello Stato che ha chiesto di condividere alcune proposte di aggiornamento in materia di tutela dei boschi;
VISTO che su proposta del Servizio Protezione Civile si è svolta una riunione tecnica in data 18.02.2010 con il Corpo Forestale dello Stato, il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, il Servizio Foreste della Regione Puglia, l’Ufficio Parchi regionale e il PROGESA, nell’ambito della quale è stato definito e condiviso il testo del presente decreto ed è stata concordata, per l’anno in corso, la decorrenza del periodo di massima pericolosità dal 15 Giugno al 15 Settembre, fatta salva la possibilità, in caso di necessità contingenti, di anticipare al 1 Giugno lo stato di allertamento delle strutture operative ovvero di posticiparlo al 30 Settembre;
VISTO che, nel periodo di massima pericolosità per gli incendi boschivi, il Servizio Protezione Civile regionale attiva in modalità H24 la Sala Operativa Unificata Permanente di cui alla L. 353/2000, secondo procedure e schemi condivisi per coordinare e ottimizzare l’impiego delle forze in campo disponibili;
DECRETA
Art. 1)
Nel periodo dal 15 giugno al 15 settembre 2010 è dichiarato lo stato di grave pericolosità per gli incendi per tutte le aree boscate, cespugliate o arborate della Regione Puglia, fatta salva la possibilità, in caso di necessità contingenti, di anticipare al 1°giugno e/o posticipare al 30 settembre lo stato di allertamento delle strutture operative.
Chiunque avvisti un incendio che interessi o minacci aree boscate, incolte e adibite a pascolo comprese eventuali strutture e infrastrutture antropizzate poste all’interno delle predette aree, è tenuto a darne immediata comunicazione alle competenti Autorità locali riferendo ogni utile elemento territoriale per la corretta localizzazione dell’evento.
Art. 2)
Ad integrazione delle norme contenute nel R.D.L. n° 3267 del 30/12/1923, del relativo Regolamento e delle Prescrizioni di Massima, nonché dell’art. 3 della Legge n° 353/2000, durante il periodo di grave pericolosità di incendio, in tutte le aree della Regione a rischio di incendio boschivo di cui all’art. 2 della richiamata L. 353/2000 e/o immediatamente ad esse adiacenti, è tassativamente vietato:
• accendere fuochi di ogni genere, compresi quelli di pic-nic o campeggio, senza eccezione alcuna anche per le aree appositamente attrezzate;
• far brillare mine o usare esplosivi;
• usare apparecchi a fiamma od elettrici per tagliare metalli;
• usare motori, fornelli o inceneritori che producano faville o brace;
• tenere in esercizio fornaci, discariche pubbliche e private e/o incontrollate;
• fumare, gettare fiammiferi, sigari o sigarette accese e compiere ogni altra operazione che possa creare comunque pericolo mediato o immediato di incendio;
• esercire attività pirotecnica, accendere fuochi d’artificio, razzi di qualsiasi tipo o altri articoli pirotecnici;
• inoltrare nel bosco, su viabilità non asfaltate, auto (specialmente se dotata di marmitta catalitica) e parcheggiare a contatto con l’erba secca;
• transitare con mezzi motorizzati fuori dalle strade statali, provinciali, comunali, private e vicinali gravate dai servizi di pubblico passaggio, fatta eccezione per i mezzi di servizio e per le attività agrosilvo-pastorali;
• abbandonare rifiuti nei boschi ed in discariche abusive.
Art. 3)
Le Società di gestione delle Ferrovie, l’ANAS, l’Acquedotto Pugliese, la Società Autostrade, le Province, i Comuni o Consorzi di Comuni e i Consorzi di Bonifica, entro il 15 giugno 2010 lungo gli assi viari, di rispettiva competenza, nei tratti di attraversamento delle aree boscate della Regione ovvero distanti da queste meno di duecento metri, devono provvedere alla pulizia delle banchine, cunette e scarpate, mediante la rimozione di erba secca, sterpi, residui di vegetazione ed ogni altro materiale infiammabile creando, nel contempo, idonee fasce di protezione da sottoporre al trattamento sistematico con prodotti ritardanti della combustione e/o con diserbanti purchè di natura ecocompatibile.
Il periodo scelto per il trattamento dovrà essere tale da evitare il ricaccio delle specie erbacee durante il periodo di massima pericolosità incendi.
Art. 4)
I proprietari di attività commerciali insistenti o limitrofe alle aree rientranti nella definizione di cui all’art. 2 della L. 353/2000, ad alto rischio esplosivo e/o di infiammabilità (fabbriche di fuochi pirotecnici, depositi di carburanti, depositi/fabbriche di prodotti chimici e plastici, ecc.), entro il 1° maggio, devono comunicare al Comune l’ubicazione della propria sede e di quelle periferiche, comunicare i riferimenti ed i recapiti del responsabile dell’attività e della sicurezza (con reperibilità h24) e produrre copia del piano di emergenza antincendio valido anche per le aree esterne. Il Comune dovrà trasmettere tali dati al Servizio Protezione Civile della Regione Puglia entro e non oltre il 15 maggio, onde consentire una migliore azione delle attività della Sala Operativa Unificata Permanete.
Art. 5)
I Sindaci dei Comuni che vogliano consentire l’attività pirotecnica nelle aree non prescritte dall’art. 2 del presente Decreto, possono autorizzare tale attività previa verifica di documentazione che attesti la dotazione di appositi mezzi e squadre AIB opportunamente abilitate da tenere a presidio sull’area interessata per tutta la durata dell’attività pirotecnica e in grado di controllare l’eventuale innesco e propagazione di incendi.
Art. 6)
I proprietari, gli affittuari e i conduttori dei campi a coltura cerealicola a conclusione delle operazioni di mietitrebbiatura, devono prontamente e contestualmente praticare sul suolo agricolo perimetrale delle superfici interessate una precesa o fascia protettiva sgombra da ogni residuo di vegetazione, per una larghezza continua e costante di almeno quindici metri e, comunque, tale da assicurare che il fuoco non si propaghi alle aree circostanti e/o confinanti. La bruciatura delle stoppie, dall’accensione del fuoco fino allo spegnimento, deve essere controllata sul posto dal proprietario o dal conduttore del fondo, eventualmente coadiuvato da altro personale, che dovrà vigilare in maniera attiva e continuativa sull’andamento della combustione utilizzando appropriate misure di sicurezza e/o mezzi idonei ad evitare l’espansione incontrollata del fuoco.
I proprietari ed i conduttori, a qualsiasi titolo, che intendono avvalersi della pratica dell’accensione delle stoppie devono darne preventiva comunicazione, almeno sette giorni prima della data di inizio della bruciatura, all’Amministrazione Comunale competente per territorio che dovrà curarne l’istruttoria, verificandone la compatibilità con le disposizioni di cui al presente Decreto e con le altre norme ivi richiamate, nonché con riferimento ad eventuali rischi di incendio di interfaccia. Degli esiti di tale istruttoria l’Amministrazione Comunale dovrà dare preventiva comunicazione, almeno 48 ore prima, al Corpo Forestale dello Stato, al Servizio Foreste regionale, ed alla Sala Operativa Unificata Permanente, con specifica indicazione degli estremi catastali delle aree interessate.
Art. 7)
È fatto divieto di bruciatura delle stoppie e delle paglie, nonché della vegetazione presente al termine di prati naturali o seminati ricadenti nelle Zone a Protezione Speciale (Z.P.S.) prima del 1° settembre di cui all’articolo 5 comma 1, lett. w del Regolamento Regionale n. 28 del 22.12.2008. Tale divieto è esteso anche nelle aree dei Siti di Interesse Comunitario (S.I.C.).
In considerazione delle condizioni climatiche favorevoli l’innesco degli incendi boschivi che si protraggono principalmente fino al 31 agosto e che fino a questo periodo la pressione antropica dovuta al flusso turistico incide maggiormente sulle aree boscate del territorio pugliese, al fine di preservare l’incolumità pubblica ed il patrimonio boschivo regionale è fatto divieto di accensione e bruciatura delle stoppie e di qualsiasi materiale vegetale su tutto il territorio regionale prima del 1 settembre.
L’accensione può avvenire, a partire dal primo settembre, esclusivamente in giorni di non eccessivo calore e privi di vento, nelle prime ore del mattino e nelle ore del crepuscolo e a condizione che il fumo non invada abitazioni, luoghi di lavoro, strade pubbliche o di uso pubblico, tale da generare situazioni di pericolo per le persone o i veicoli in transito.
Art. 8)
I proprietari ed i conduttori, a qualsiasi titolo, di terreni incolti o a riposo e a pascolo hanno il divieto assoluto di bruciare la vegetazione spontanea; hanno inoltre l’obbligo di realizzare entro e non oltre il 15 giugno fasce protettive di larghezza non inferiore a metri quindici lungo tutto il perimetro del fondo, prive di vegetazione, in modo da evitare che un eventuale incendio, attraversando il fondo, possa propagarsi alle aree circostanti e/o confinanti.
Art. 9)
E’ fatto obbligo ai proprietari, conduttori, Enti pubblici e privati titolari della gestione, manutenzione e conservazione dei boschi, entro il 15 giugno 2010, di eseguire l’apertura, il ripristino, la ripulitura ed il diserbo dei viali parafuoco, in particolare lungo le linee di confine a contatto con strade, autostrade, ferrovie e terreni seminativi, pascolivi, incolti e cespugliati. I proprietari o conduttori a qualsiasi titolo di superfici boscate devono a loro cura e spese tenere costantemente riservata una fascia protettiva nella loro proprietà libera da piante e/o arbusti per tutta l’estensione perimetrale del bosco confinante con fondi adibiti a coltura cerealicola o diversamente coltivata larga almeno cinque metri.
È fatto obbligo ai Sindaci di rendere pubblico il contenuto del presente decreto anche emanando apposita ordinanza entro quindici giorni dalla pubblicazione del presente Decreto sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia.
Ove ritenuto, ed in relazione a particolari condizioni climatiche accertate, i Sindaci potranno posticipare il periodo di bruciatura delle stoppie nel territorio di competenza.
Art. 10)
I proprietari, i gestori ed i conduttori di campeggi, villaggi turistici, alberghi e strutture ricettive, sono tenuti entro il 15 giugno 2010 a realizzare una fascia di protezione della larghezza di metri 20 (venti), sgombra di erba secca, sterpi, residui di vegetazione e di ogni altro tipo di materiale facilmente infiammabile, lungo tutto il proprio perimetro. Dovranno, inoltre, adottare idonei sistemi di difesa antincendio nel rispetto delle norme vigenti in materia di sicurezza e salvaguardia della pubblica incolumità, anche mediante dotazioni mobili provviste di cisterne e motopompe, opportunamente attrezzate su mezzi idonei, per eventuali interventi di spegnimento sui focolai che dovessero insorgere ai margini dei rispettivi complessi turistici o residenziali. Inoltre dovranno predisporre apposita cartellonistica ben visibile indicante le vie di fuga e i punti di raccolta che dovranno essere mantenuti costantemente liberi e accessibili.
Art. 11)
I Comandi Militari, nell’esecuzione di esercitazioni a fuoco, sono tenuti a dare tempestiva comunicazione al Corpo Forestale dello Stato, ai Vigili del Fuoco ed alla S.O.U.P. almeno dieci giorni prima dell’inizio delle operazioni, nonché ad adottare tutte le precauzioni necessarie per prevenire incendi nei boschi, secondo quanto potrà essere preventivamente prescritto dal Corpo Forestale dello Stato.
Art. 12)
Ai sensi della L.R. n. 18/2000, artt. 12 - 13 - 14, le Province ed i Comuni concorrono alla lotta attiva agli incendi boschivi, ognuno per quanto di propria competenza. Le Amministrazioni Comunali, nell’ambito del cui territorio insistono complessi boscati, ovvero situazioni di rilevante rischio, sono tenute all’utilizzo del volontariato di protezione civile nei termini di cui all’art. 14 della legge regionale n. 18 del 30/11/2000 e a darne tempestiva ed esauriente comunicazione al Servizio Protezione Civile regionale.
Le Amministrazioni Comunali sono tenute a comunicare tempestivamente al Servizio Protezione Civile regionale qualsiasi variazione riguardante la consistenza delle risorse disponibili per l’AIB 2010, i nominativi dei referenti di Protezione Civile e qualunque altro utile elemento considerato nel Piano comunale per la lotta attiva agli incendi boschivi.
I Sindaci concorrono alla campagna AIB secondo uno schema operativo che coinvolge prioritariamente i mezzi a disposizione dei propri Comuni, progressivamente quelli in dotazione alle Amministrazioni Provinciali e successivamente le risorse strumentali del sistema regionale di lotta attiva agli incendi boschivi, coordinate dalla Sala Operativa Unificata Permanente della Regione.
Art. 13)
Le trasgressioni ai divieti e prescrizioni previsti dall’art. 2 del presente Decreto, saranno punite a norma dell’art. 10, commi 5-6-7-8, della Legge n° 353 del 21/11/2000, con una sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma pari ad un minimo di euro 1.032,91 fino ad un massimo di euro 10.329,14.
Art. 14)
Le trasgressioni ai divieti e prescrizioni previsti dall’art. 7 del presente Decreto, saranno punite a norma dell’art. 7 bis comma 2 del Regolamento Regionale n.28/08.
Art. 15)
Ogni altra inosservanza alle disposizioni del presente Decreto, sarà punita a norma dell’art.11 della L.R. 15 del 12/05/1997 e dell’art.49 della L.R. n.27 del 13/08/1998.
Art. 16)
I Comandi del Corpo Forestale dello Stato, gli Organi di Polizia, nonché tutti gli altri Enti territoriali preposti per legge, sono incaricati di vigilare sulla stretta osservanza delle norme del presente Decreto, oltre che di tutte le leggi e regolamenti in materia di incendi nei boschi e nelle campagne perseguendo i trasgressori a termini di legge.
Art. 17)
Il presente decreto è pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia, ai sensi delle lett. a - i dell’art. 6 della L.R. n° 13/94.
Art. 18)
Il presente Decreto è esecutivo dalla data di pubblicazione sul B.U.R.P. ed è fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e farlo osservare.
Art. 19)
Il presente Decreto non comporta implicazioni di natura finanziaria sia di entrata che di spesa e dallo stesso non deriva alcun onere a carico del bilancio della Regione Puglia.
Bari, lì 3marzo 2010
On. Nicola Vendola
Definizione di bosco ex artt. 423 e 425 n.. 5 cod. pen.. Ai fini del delitto di cui agli artt. 423 e 425 n.. 5 cod. pen., per " bosco " deve intendersi una superficie di notevole estensione sulla quale crescono, naturalmente o con processo artificiale, alberi o frutici, cedui e non cedui, talché in detto termine vanno ricomprese anche le macchie. Cassazione penale, sez. I, 11 ottobre 1987, n. 742
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE 3 marzo 2010, n. 215
Dichiarazione dello stato di grave pericolosità per gli incendi boschivi nell’anno 2010, ai sensi della L. 353/2000 e della L.R. 18/2000.
IL PRESIDENTE DELLA REGIONE
VISTO il R.D.L. n° 3267 del 30/12/1923;
VISTO la L. n° 225 del 24/02/1992;
VISTO il D.to L.vo n° 112 del 31/03/1998;
VISTA la L. n° 353 del 21/11/2000;
VISTA la L.R. n° 18 del 30/11/2000;
VISTE le Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale vigenti nelle province di Bari, Brindisi, Foggia, Lecce e Taranto;
VISTO l’art. 59 del T.U. n° 773 del 18/6/1931 delle leggi di P.S. e successive modificazioni ed integrazioni;
VISTA la L.R. n°15 del 12/05/1997 e successive modificazioni ed integrazioni (art. 14 comma I L.R. 10 del 30/04/2009);
VISTA la deliberazione della Giunta Regionale n° 2004 del 30.12.2005 con la quale è stato approvato il piano di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi 2004-2006, redatto ai sensi della L. n° 353 del 21.11.2000 e della L.r. n° 18 del 30.11.2000, che individua dal 15 giugno al 15 settembre il periodo di massima pericolosità per gli incendi boschivi, pur evidenziando la opportunità di una eventuale diversificazione dell’inizio o della conclusione a seconda della possibilità di una esposizione precoce o tardiva delle aree esposte al fenomeno, anche sulla base di quanto verificatosi nell’anno precedente;
VISTA la deliberazione n° 247 in data 25.02.2009 con la quale la Giunta Regionale ha affidato alla Università degli Studi di Bari - Dipartimento di Progettazione e Gestione dei Sistemi Agro-Zootecnici e Forestali (PROGESA) l’incarico per l’elaborazione dell’aggiornamento e adeguamento del “Piano di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi (2004-2006)” e per la redazione del nuovo Piano A.I.B. 2010-2012;
VISTA la deliberazione n° 340 del 10.02.2010 con la quale la Giunta Regionale ha approvato “l’aggiornamento operativo 2009” del vigente “Piano di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi” redatto dal PROGESA, e l’estensione della validità dello stesso per l’anno 2010;
VISTO che in forza del D.P.C.M. 20/12/2001 recante “Linee guida relative ai piani regionali per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi”, dell’art. 3 della legge n°353/2000 e dell’art. 15 della legge regionale n° 18/2000, è necessario che vengano adottati, con immediatezza, i provvedimenti utili a contrastare anche nel 2010 la pericolosità degli incendi boschivi;
VISTA la nota Prot. n.15601 pos. 01.07.03 in data 22.10.2009 del Corpo Forestale dello Stato che ha chiesto di condividere alcune proposte di aggiornamento in materia di tutela dei boschi;
VISTO che su proposta del Servizio Protezione Civile si è svolta una riunione tecnica in data 18.02.2010 con il Corpo Forestale dello Stato, il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, il Servizio Foreste della Regione Puglia, l’Ufficio Parchi regionale e il PROGESA, nell’ambito della quale è stato definito e condiviso il testo del presente decreto ed è stata concordata, per l’anno in corso, la decorrenza del periodo di massima pericolosità dal 15 Giugno al 15 Settembre, fatta salva la possibilità, in caso di necessità contingenti, di anticipare al 1 Giugno lo stato di allertamento delle strutture operative ovvero di posticiparlo al 30 Settembre;
VISTO che, nel periodo di massima pericolosità per gli incendi boschivi, il Servizio Protezione Civile regionale attiva in modalità H24 la Sala Operativa Unificata Permanente di cui alla L. 353/2000, secondo procedure e schemi condivisi per coordinare e ottimizzare l’impiego delle forze in campo disponibili;
DECRETA
Art. 1)
Nel periodo dal 15 giugno al 15 settembre 2010 è dichiarato lo stato di grave pericolosità per gli incendi per tutte le aree boscate, cespugliate o arborate della Regione Puglia, fatta salva la possibilità, in caso di necessità contingenti, di anticipare al 1°giugno e/o posticipare al 30 settembre lo stato di allertamento delle strutture operative.
Chiunque avvisti un incendio che interessi o minacci aree boscate, incolte e adibite a pascolo comprese eventuali strutture e infrastrutture antropizzate poste all’interno delle predette aree, è tenuto a darne immediata comunicazione alle competenti Autorità locali riferendo ogni utile elemento territoriale per la corretta localizzazione dell’evento.
Art. 2)
Ad integrazione delle norme contenute nel R.D.L. n° 3267 del 30/12/1923, del relativo Regolamento e delle Prescrizioni di Massima, nonché dell’art. 3 della Legge n° 353/2000, durante il periodo di grave pericolosità di incendio, in tutte le aree della Regione a rischio di incendio boschivo di cui all’art. 2 della richiamata L. 353/2000 e/o immediatamente ad esse adiacenti, è tassativamente vietato:
• accendere fuochi di ogni genere, compresi quelli di pic-nic o campeggio, senza eccezione alcuna anche per le aree appositamente attrezzate;
• far brillare mine o usare esplosivi;
• usare apparecchi a fiamma od elettrici per tagliare metalli;
• usare motori, fornelli o inceneritori che producano faville o brace;
• tenere in esercizio fornaci, discariche pubbliche e private e/o incontrollate;
• fumare, gettare fiammiferi, sigari o sigarette accese e compiere ogni altra operazione che possa creare comunque pericolo mediato o immediato di incendio;
• esercire attività pirotecnica, accendere fuochi d’artificio, razzi di qualsiasi tipo o altri articoli pirotecnici;
• inoltrare nel bosco, su viabilità non asfaltate, auto (specialmente se dotata di marmitta catalitica) e parcheggiare a contatto con l’erba secca;
• transitare con mezzi motorizzati fuori dalle strade statali, provinciali, comunali, private e vicinali gravate dai servizi di pubblico passaggio, fatta eccezione per i mezzi di servizio e per le attività agrosilvo-pastorali;
• abbandonare rifiuti nei boschi ed in discariche abusive.
Art. 3)
Le Società di gestione delle Ferrovie, l’ANAS, l’Acquedotto Pugliese, la Società Autostrade, le Province, i Comuni o Consorzi di Comuni e i Consorzi di Bonifica, entro il 15 giugno 2010 lungo gli assi viari, di rispettiva competenza, nei tratti di attraversamento delle aree boscate della Regione ovvero distanti da queste meno di duecento metri, devono provvedere alla pulizia delle banchine, cunette e scarpate, mediante la rimozione di erba secca, sterpi, residui di vegetazione ed ogni altro materiale infiammabile creando, nel contempo, idonee fasce di protezione da sottoporre al trattamento sistematico con prodotti ritardanti della combustione e/o con diserbanti purchè di natura ecocompatibile.
Il periodo scelto per il trattamento dovrà essere tale da evitare il ricaccio delle specie erbacee durante il periodo di massima pericolosità incendi.
Art. 4)
I proprietari di attività commerciali insistenti o limitrofe alle aree rientranti nella definizione di cui all’art. 2 della L. 353/2000, ad alto rischio esplosivo e/o di infiammabilità (fabbriche di fuochi pirotecnici, depositi di carburanti, depositi/fabbriche di prodotti chimici e plastici, ecc.), entro il 1° maggio, devono comunicare al Comune l’ubicazione della propria sede e di quelle periferiche, comunicare i riferimenti ed i recapiti del responsabile dell’attività e della sicurezza (con reperibilità h24) e produrre copia del piano di emergenza antincendio valido anche per le aree esterne. Il Comune dovrà trasmettere tali dati al Servizio Protezione Civile della Regione Puglia entro e non oltre il 15 maggio, onde consentire una migliore azione delle attività della Sala Operativa Unificata Permanete.
Art. 5)
I Sindaci dei Comuni che vogliano consentire l’attività pirotecnica nelle aree non prescritte dall’art. 2 del presente Decreto, possono autorizzare tale attività previa verifica di documentazione che attesti la dotazione di appositi mezzi e squadre AIB opportunamente abilitate da tenere a presidio sull’area interessata per tutta la durata dell’attività pirotecnica e in grado di controllare l’eventuale innesco e propagazione di incendi.
Art. 6)
I proprietari, gli affittuari e i conduttori dei campi a coltura cerealicola a conclusione delle operazioni di mietitrebbiatura, devono prontamente e contestualmente praticare sul suolo agricolo perimetrale delle superfici interessate una precesa o fascia protettiva sgombra da ogni residuo di vegetazione, per una larghezza continua e costante di almeno quindici metri e, comunque, tale da assicurare che il fuoco non si propaghi alle aree circostanti e/o confinanti. La bruciatura delle stoppie, dall’accensione del fuoco fino allo spegnimento, deve essere controllata sul posto dal proprietario o dal conduttore del fondo, eventualmente coadiuvato da altro personale, che dovrà vigilare in maniera attiva e continuativa sull’andamento della combustione utilizzando appropriate misure di sicurezza e/o mezzi idonei ad evitare l’espansione incontrollata del fuoco.
I proprietari ed i conduttori, a qualsiasi titolo, che intendono avvalersi della pratica dell’accensione delle stoppie devono darne preventiva comunicazione, almeno sette giorni prima della data di inizio della bruciatura, all’Amministrazione Comunale competente per territorio che dovrà curarne l’istruttoria, verificandone la compatibilità con le disposizioni di cui al presente Decreto e con le altre norme ivi richiamate, nonché con riferimento ad eventuali rischi di incendio di interfaccia. Degli esiti di tale istruttoria l’Amministrazione Comunale dovrà dare preventiva comunicazione, almeno 48 ore prima, al Corpo Forestale dello Stato, al Servizio Foreste regionale, ed alla Sala Operativa Unificata Permanente, con specifica indicazione degli estremi catastali delle aree interessate.
Art. 7)
È fatto divieto di bruciatura delle stoppie e delle paglie, nonché della vegetazione presente al termine di prati naturali o seminati ricadenti nelle Zone a Protezione Speciale (Z.P.S.) prima del 1° settembre di cui all’articolo 5 comma 1, lett. w del Regolamento Regionale n. 28 del 22.12.2008. Tale divieto è esteso anche nelle aree dei Siti di Interesse Comunitario (S.I.C.).
In considerazione delle condizioni climatiche favorevoli l’innesco degli incendi boschivi che si protraggono principalmente fino al 31 agosto e che fino a questo periodo la pressione antropica dovuta al flusso turistico incide maggiormente sulle aree boscate del territorio pugliese, al fine di preservare l’incolumità pubblica ed il patrimonio boschivo regionale è fatto divieto di accensione e bruciatura delle stoppie e di qualsiasi materiale vegetale su tutto il territorio regionale prima del 1 settembre.
L’accensione può avvenire, a partire dal primo settembre, esclusivamente in giorni di non eccessivo calore e privi di vento, nelle prime ore del mattino e nelle ore del crepuscolo e a condizione che il fumo non invada abitazioni, luoghi di lavoro, strade pubbliche o di uso pubblico, tale da generare situazioni di pericolo per le persone o i veicoli in transito.
Art. 8)
I proprietari ed i conduttori, a qualsiasi titolo, di terreni incolti o a riposo e a pascolo hanno il divieto assoluto di bruciare la vegetazione spontanea; hanno inoltre l’obbligo di realizzare entro e non oltre il 15 giugno fasce protettive di larghezza non inferiore a metri quindici lungo tutto il perimetro del fondo, prive di vegetazione, in modo da evitare che un eventuale incendio, attraversando il fondo, possa propagarsi alle aree circostanti e/o confinanti.
Art. 9)
E’ fatto obbligo ai proprietari, conduttori, Enti pubblici e privati titolari della gestione, manutenzione e conservazione dei boschi, entro il 15 giugno 2010, di eseguire l’apertura, il ripristino, la ripulitura ed il diserbo dei viali parafuoco, in particolare lungo le linee di confine a contatto con strade, autostrade, ferrovie e terreni seminativi, pascolivi, incolti e cespugliati. I proprietari o conduttori a qualsiasi titolo di superfici boscate devono a loro cura e spese tenere costantemente riservata una fascia protettiva nella loro proprietà libera da piante e/o arbusti per tutta l’estensione perimetrale del bosco confinante con fondi adibiti a coltura cerealicola o diversamente coltivata larga almeno cinque metri.
È fatto obbligo ai Sindaci di rendere pubblico il contenuto del presente decreto anche emanando apposita ordinanza entro quindici giorni dalla pubblicazione del presente Decreto sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia.
Ove ritenuto, ed in relazione a particolari condizioni climatiche accertate, i Sindaci potranno posticipare il periodo di bruciatura delle stoppie nel territorio di competenza.
Art. 10)
I proprietari, i gestori ed i conduttori di campeggi, villaggi turistici, alberghi e strutture ricettive, sono tenuti entro il 15 giugno 2010 a realizzare una fascia di protezione della larghezza di metri 20 (venti), sgombra di erba secca, sterpi, residui di vegetazione e di ogni altro tipo di materiale facilmente infiammabile, lungo tutto il proprio perimetro. Dovranno, inoltre, adottare idonei sistemi di difesa antincendio nel rispetto delle norme vigenti in materia di sicurezza e salvaguardia della pubblica incolumità, anche mediante dotazioni mobili provviste di cisterne e motopompe, opportunamente attrezzate su mezzi idonei, per eventuali interventi di spegnimento sui focolai che dovessero insorgere ai margini dei rispettivi complessi turistici o residenziali. Inoltre dovranno predisporre apposita cartellonistica ben visibile indicante le vie di fuga e i punti di raccolta che dovranno essere mantenuti costantemente liberi e accessibili.
Art. 11)
I Comandi Militari, nell’esecuzione di esercitazioni a fuoco, sono tenuti a dare tempestiva comunicazione al Corpo Forestale dello Stato, ai Vigili del Fuoco ed alla S.O.U.P. almeno dieci giorni prima dell’inizio delle operazioni, nonché ad adottare tutte le precauzioni necessarie per prevenire incendi nei boschi, secondo quanto potrà essere preventivamente prescritto dal Corpo Forestale dello Stato.
Art. 12)
Ai sensi della L.R. n. 18/2000, artt. 12 - 13 - 14, le Province ed i Comuni concorrono alla lotta attiva agli incendi boschivi, ognuno per quanto di propria competenza. Le Amministrazioni Comunali, nell’ambito del cui territorio insistono complessi boscati, ovvero situazioni di rilevante rischio, sono tenute all’utilizzo del volontariato di protezione civile nei termini di cui all’art. 14 della legge regionale n. 18 del 30/11/2000 e a darne tempestiva ed esauriente comunicazione al Servizio Protezione Civile regionale.
Le Amministrazioni Comunali sono tenute a comunicare tempestivamente al Servizio Protezione Civile regionale qualsiasi variazione riguardante la consistenza delle risorse disponibili per l’AIB 2010, i nominativi dei referenti di Protezione Civile e qualunque altro utile elemento considerato nel Piano comunale per la lotta attiva agli incendi boschivi.
I Sindaci concorrono alla campagna AIB secondo uno schema operativo che coinvolge prioritariamente i mezzi a disposizione dei propri Comuni, progressivamente quelli in dotazione alle Amministrazioni Provinciali e successivamente le risorse strumentali del sistema regionale di lotta attiva agli incendi boschivi, coordinate dalla Sala Operativa Unificata Permanente della Regione.
Art. 13)
Le trasgressioni ai divieti e prescrizioni previsti dall’art. 2 del presente Decreto, saranno punite a norma dell’art. 10, commi 5-6-7-8, della Legge n° 353 del 21/11/2000, con una sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma pari ad un minimo di euro 1.032,91 fino ad un massimo di euro 10.329,14.
Art. 14)
Le trasgressioni ai divieti e prescrizioni previsti dall’art. 7 del presente Decreto, saranno punite a norma dell’art. 7 bis comma 2 del Regolamento Regionale n.28/08.
Art. 15)
Ogni altra inosservanza alle disposizioni del presente Decreto, sarà punita a norma dell’art.11 della L.R. 15 del 12/05/1997 e dell’art.49 della L.R. n.27 del 13/08/1998.
Art. 16)
I Comandi del Corpo Forestale dello Stato, gli Organi di Polizia, nonché tutti gli altri Enti territoriali preposti per legge, sono incaricati di vigilare sulla stretta osservanza delle norme del presente Decreto, oltre che di tutte le leggi e regolamenti in materia di incendi nei boschi e nelle campagne perseguendo i trasgressori a termini di legge.
Art. 17)
Il presente decreto è pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia, ai sensi delle lett. a - i dell’art. 6 della L.R. n° 13/94.
Art. 18)
Il presente Decreto è esecutivo dalla data di pubblicazione sul B.U.R.P. ed è fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e farlo osservare.
Art. 19)
Il presente Decreto non comporta implicazioni di natura finanziaria sia di entrata che di spesa e dallo stesso non deriva alcun onere a carico del bilancio della Regione Puglia.
Bari, lì 3marzo 2010
On. Nicola Vendola
lunedì 15 marzo 2010
Srl, non è applicabile l'art. 2409 cc che prevede il controllo giudiziario gestionale per le spa
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE I CIVILE Sentenza 13 gennaio 2010, n. 403
"Il rinvio alle disposizioni in tema di società per azioni dettato dall'art. 2477 c.c., u.c., in tema di società a responsabilità limitata, va quindi interpretato come richiamo ai requisiti professionali, alle cause di ineleggibilità, decadenza ed incompatibilità dei sindaci stabilite dall'art. 2397 c.c., e segg., nonchè alle rispettive funzioni e ai poteri indicati dall'art. 2403 c.c., e segg., ma non può certamente valere ad assegnare loro il potere di sollecitare il controllo giudiziario in relazione a ravvisate irregolarità gestionali, a ciò ostando, come sopra detto, la formulazione letterale delle disposizioni vigenti, l'intenzione del legislatore, i diversi connotati attribuiti alle dette società rispetto a quelle per azioni, con la riforma organica delle società di capitali di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003".
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 13 gennaio 2010, n. 403
Svolgimento del processo
Con ordinanza del 27.10.2008 il Tribunale di Lecce dichiarava inammissibile il ricorso proposto ai sensi dell'art. 2409 c.c., da D.F.G., P.M. e P.A. nella loro qualità di componenti del Collegio Sindacale della X. Costruzioni e Servizi s.r.l., ritenendo limitata alle società per azioni l'applicabilità della disposizione invocata e condannando inoltre i ricorrenti, in quanto soccombenti, al pagamento delle spese processuali.
Avverso la decisione D.F. ed i due P. proponevano ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui non resistevano gli intimati.
La controversia veniva quindi decisa all'esito dell'udienza pubblica del 29.10.2009.
Motivi della decisione
Con i motivi di impugnazione i ricorrenti hanno rispettivamente denunciato:
1) violazione dell'art. 2409 c.c., D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, art. 33, art. 91 c.p.c., per il fatto che il ricorso ai sensi dell'art. 2409 c.c., era stato proposto in ragione della rivestita qualità di sindaci della X. Costruzioni e Servizi s.r.l., l'istanza non era stata motivata dall'esigenza di tutelare un diritto o un interesse nei confronti della detta società, l'instaurato procedimento ex art. 2409 c.c., non avrebbe natura contenziosa e non sarebbe stata quindi neppure astrattamente configurabile l'ipotesi di soccombenza delineata;
2) violazione dell'art. 2477 c.c., in relazione agli artt. 2043 e 2409 c.c., art. 91 c.p.c., atteso che l'affermata irrilevanza della dimensione della società sarebbe frutto di una interpretazione errata. L'omessa considerazione di tale aspetto nel caso di società a responsabilità limitata si porrebbe infatti in contrasto con i canoni di ragionevolezza poichè, pur a fronte dell'obbligatorietà della nomina dei sindaci nell'ipotesi di società a responsabilità limitata con capitale sociale non inferiore a quello minimo previsto per le società per azioni, ove si precludesse loro il ricorso al procedimento di cui all'art. 2409 c.c., si vanificherebbe significativamente il potere - dovere di controllo pur ad essi demandato, nell'impossibilità di segnalare al Tribunale gravi irregolarità eventualmente riscontrate. congiuntamente, perchè fra loro connessi, e sono infondati.
Al riguardo va innanzitutto premesso che correttamente il ricorso è stato proposto limitatamente alla parte della decisione contenente la condanna degli originari istanti alle spese processuali (p. 5), poichè il decreto che abbia deciso sull'istanza proposta avverso il provvedimento del tribunale reso ai sensi dell'art. 2409 c.c., non è impugnabile con il ricorso ex art. 111 Cost. sotto altro aspetto (C. 09/1571, C. 07/6805, C. 01/6365).
Così delimitato l'ambito della controversia devoluto all'esame del Collegio, occorre precisare che l'erroneità della statuizione sul punto è stata sostanzialmente dedotta sotto un duplice profilo, vale a dire: a) per il fatto che nei procedimenti di volontaria giurisdizione non sarebbe in via generale configurabile una ipotesi di soccombenza, e ciò tanto più per il procedimento ex art. 2409 c.c., predisposto in funzione dell'esercizio del potere - dovere di controllo da parte dei sindaci, che sarebbe altrimenti fortemente ridimensionato se non vanificato; b) in ragione della omessa considerazione delle ipotesi di obbligatoria costituzione del collegio sindacale nelle società a responsabilità limitata, fra le quali, segnatamente per la parte di interesse, quella in cui i limiti dimensionali della società siano corrispondenti a quelli della società per azioni. Ancor meno comprensibile risulterebbe infatti in tal caso, secondo i ricorrenti, la diversità di disciplina fra i due tipi di società di capitale (s.r.l. e s.p.a.), in cui sia ugualmente obbligatoria la nomina del collegio sindacale ed il cui capitale sociale non sia inferiore a Euro 120.000 (art. 2477 c.c., comma 2, art. 2327 c.c.).
La questione relativa alla legittimità della condanna alle spese nei procedimenti di volontaria giurisdizione in generale, e di quello di cui all'art. 2409 c.c., in particolare, è stato già affrontato da questa Corte, che lo ha risolto in senso affermativo, precisando in linea generale che le disposizioni di cui all'art. 91 c.p.c., e segg., trovano applicazione anche nei procedimenti camerali, quando siano finalizzati alla decisione su posizioni soggettive fra loro contrastanti (C. 05/293, C. 04/12021, C. 92/11961), fra i quali va compreso pure il procedimento ex art. 2409 c.c., in cui la nozione di soccombenza va intesa in senso esclusivamente processuale, indipendentemente quindi dall'esistenza di un rapporto di diritto sostanziale diretto tra le parti in giudizio (C. 09/1571, C. 05/293, C. 02/9828).
A tali condivise statuizioni, rispetto alle quali non sono stati indicati ulteriori differenti profili di censura e dalle quali non vi è ragione di discostarsi, pertanto si rinvia.
Risulta viceversa nuova l'ulteriore questione relativa alla legittimità o meno del ricorso al procedimento di cui all'art. 2409 c.c., da parte del collegio sindacale di una s.r.l. obbligatoriamente costituito, questione alla quale, come sopra anticipato, il Collegio ritiene di dover dare risposta negativa.
Ed infatti depone innanzitutto in tal senso il dato letterale.
L'espresso richiamo all'applicabilità anche per le società a responsabilità limitata del procedimento previsto dall'art. 2409 c.c. (art. 2488 c.c., u.c., nella precedente formulazione ) non è stato invero riproposto nell'attuale disciplina del detto tipo di società, quale risultante dall'intervento normativo di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (artt. da 2462 a 2483 c.c.), e analogamente l'art. 92 disp. att. c.c., nello stabilire gli effetti della nomina dell'amministratore giudiziario ex art. 2409 c.c., sull'imprenditore, si riferisce soltanto alle società per azioni e in accomandita per azioni, escludendo quindi dalla previsione le società a responsabilità limitata.
Il dato, già di per sè di notevole rilevanza tenuto conto che il riferimento all'art. 2409 c.c., era contenuto in apposito comma (circostanza che renderebbe comunque poco verosimile l'imputazione dell'omissione ad un refuso), acquista poi ulteriore rilievo alla luce della Relazione al decreto legislativo sopra citato, in cui per la parte di interesse è affermata la superfluità e la contraddittorietà con il sistema delle società a responsabilità limitata della "previsione di forme di intervento del giudice, quali quelle ora previste dall'art. 2409 c.c.".
Sulla base di quanto sinora esposto si deve dunque concludere che per le società a responsabilità limitata non vi è alcun richiamo al procedimento di cui all'art. 2409 c.c., e che detto mancato richiamo è riferibile ad una chiara opzione del legislatore, esplicitamente motivata con l'esigenza di adottare soluzioni in sintonia con il nuovo più articolato sistema societario delineato.
Dunque per le società a responsabilità limitata in cui la nomina del collegio sindacale sia facoltativa il procedimento ex art. 2409 c.c., è certamente precluso.
Qualche ulteriore considerazione occorre invece svolgere laddove, per il medesimo tipo di società, la nomina del collegio sindacale sia obbligatoria.
L'art. 2477 c.c., indica infatti due ipotesi in cui è necessario procedere alla costituzione del collegio sindacale (capitale sociale non inferiore a quello minimo previsto per le società per azioni, superamento per un biennio dei limiti dettati per il bilancio in forma abbreviata), stabilendo inoltre che in tali casi "si applicano le disposizioni dettate in tema di società per azioni" (u.c.).
Orbene, considerato che l'art. 2409 c.c., è collocato nell'ambito della disciplina del collegio sindacale nelle società per azioni, si potrebbe astrattamente sostenere che per effetto del detto richiamo i provvedimenti di cui all'art. 2409 c.c., che il collegio sindacale può richiedere (u.c.), possano essere sollecitati anche ove si tratti di società a responsabilità limitata.
Tuttavia una siffatta interpretazione non appare condivisibile per diversi motivi, e segnatamente: per la genericità del richiamo contenuto nell'art. 2477 c.c., alle disposizioni dettate in tema di società per azioni; per l'espressa e specifica indicazione del legislatore in senso contrario; per le analitiche argomentazioni svolte a sostegno dell'opzione effettuata nella relazione al testo normativo; per il contrasto che si verrebbe a determinare fra un eventuale potere riconosciuto al collegio sindacale di sollecitare l'intervento dell'autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 2409 c.c., e la collocazione attribuita alla società a responsabilità limitata, non più delineata come una società per azioni di più modeste dimensioni, nell'ambito del sistema societario nel suo complesso.
In proposito va invero considerato che il giudizio di superfluità e di contraddittorietà del ricorso al procedimento di cui all'art. 2409 c.c., nelle società a responsabilità limitata, formulato nella relazione ministeriale cui si è fatto cenno, è ancorato al manifestamente palese intento di privatizzare il controllo societario in favore dei singoli soci, intento che trova riscontro nella disciplina dettata a tal fine, e in particolare: nel diritto dei soci di ottenere notizie dagli amministratori circa l'andamento degli affari sociali, nel loro diritto di procedere all'ispezione dei libri sociali e dei documenti, nella riconosciuta legittimazione a proporre l'azione sociale di responsabilità, nella possibilità di ottenere in tale sede provvedimenti cautelari, nella predisposizione di un sistema idoneo a risolvere i conflitti societari interni, nell'attribuzione al collegio sindacale di compiti di controllo incentrati più sui profili contabili (artt. 2476 e 2477 c.c.), anzichè su quelli di corretta gestione e di legalità, rispetto ai quali deve essere invece concentrata l'attenzione del collegio sindacale delle società per azioni.
D'altra parte il potere di controllo del tribunale sulle società per azioni (disposizione che, come detto, era dapprima espressamente richiamata anche per le società a responsabilità limitata) era attribuito con disposizione avente collocazione successiva alla disciplina del collegio sindacale e alla fine della sezione relativa agli organi sociali. Si trattava dunque di disposizione di chiusura, dettata con riferimento all'ipotesi in cui il controllo sindacale non avesse funzionato, ipotesi che non è più neppure astrattamente ravvisabile alla stregua della nuova disciplina delle società a responsabilità limitata, atteso che il socio nel caso di gravi irregolarità di gestione può promuovere azione di responsabilità contro gli amministratori e richiederne la revoca in via cautelare (art. 2476 c.c.).
Come nota conclusiva sul profilo ora considerato, sembra infine utile ancora evidenziare che lo stesso legislatore ha successivamente interpretato la normativa vigente nel senso indicato, avendo disposto con il D.Lgs. n. 37 del 2004, art. 8, modificativo del decreto attuativo della riforma societaria, che alle società sportive di cui alla L. 23 marzo 1981, n. 91, art. 10, si applica l'art. 2409 c.c., pur se aventi forma di società a responsabilità limitata, disposizione che trova fondamento e presupposto nel convincimento che, diversamente, l'articolo in questione non sarebbe stato applicabile alle società sportive a responsabilità limitata.
Il rinvio alle disposizioni in tema di società per azioni dettato dall'art. 2477 c.c., u.c., in tema di società a responsabilità limitata, va quindi interpretato come richiamo ai requisiti professionali, alle cause di ineleggibilità, decadenza ed incompatibilità dei sindaci stabilite dall'art. 2397 c.c., e segg., nonchè alle rispettive funzioni e ai poteri indicati dall'art. 2403 c.c., e segg., ma non può certamente valere ad assegnare loro il potere di sollecitare il controllo giudiziario in relazione a ravvisate irregolarità gestionali, a ciò ostando, come sopra detto, la formulazione letterale delle disposizioni vigenti, l'intenzione del legislatore, i diversi connotati attribuiti alle dette società rispetto a quelle per azioni, con la riforma organica delle società di capitali di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003.
L'originaria prospettazione dei ricorrenti risulta pertanto infondata ed il conseguente ricorso per cassazione deve quindi essere rigettato.
Nulla va infine disposto in ordine alle spese processuali, poichè l'intimato non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010.
"Il rinvio alle disposizioni in tema di società per azioni dettato dall'art. 2477 c.c., u.c., in tema di società a responsabilità limitata, va quindi interpretato come richiamo ai requisiti professionali, alle cause di ineleggibilità, decadenza ed incompatibilità dei sindaci stabilite dall'art. 2397 c.c., e segg., nonchè alle rispettive funzioni e ai poteri indicati dall'art. 2403 c.c., e segg., ma non può certamente valere ad assegnare loro il potere di sollecitare il controllo giudiziario in relazione a ravvisate irregolarità gestionali, a ciò ostando, come sopra detto, la formulazione letterale delle disposizioni vigenti, l'intenzione del legislatore, i diversi connotati attribuiti alle dette società rispetto a quelle per azioni, con la riforma organica delle società di capitali di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003".
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 13 gennaio 2010, n. 403
Svolgimento del processo
Con ordinanza del 27.10.2008 il Tribunale di Lecce dichiarava inammissibile il ricorso proposto ai sensi dell'art. 2409 c.c., da D.F.G., P.M. e P.A. nella loro qualità di componenti del Collegio Sindacale della X. Costruzioni e Servizi s.r.l., ritenendo limitata alle società per azioni l'applicabilità della disposizione invocata e condannando inoltre i ricorrenti, in quanto soccombenti, al pagamento delle spese processuali.
Avverso la decisione D.F. ed i due P. proponevano ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui non resistevano gli intimati.
La controversia veniva quindi decisa all'esito dell'udienza pubblica del 29.10.2009.
Motivi della decisione
Con i motivi di impugnazione i ricorrenti hanno rispettivamente denunciato:
1) violazione dell'art. 2409 c.c., D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, art. 33, art. 91 c.p.c., per il fatto che il ricorso ai sensi dell'art. 2409 c.c., era stato proposto in ragione della rivestita qualità di sindaci della X. Costruzioni e Servizi s.r.l., l'istanza non era stata motivata dall'esigenza di tutelare un diritto o un interesse nei confronti della detta società, l'instaurato procedimento ex art. 2409 c.c., non avrebbe natura contenziosa e non sarebbe stata quindi neppure astrattamente configurabile l'ipotesi di soccombenza delineata;
2) violazione dell'art. 2477 c.c., in relazione agli artt. 2043 e 2409 c.c., art. 91 c.p.c., atteso che l'affermata irrilevanza della dimensione della società sarebbe frutto di una interpretazione errata. L'omessa considerazione di tale aspetto nel caso di società a responsabilità limitata si porrebbe infatti in contrasto con i canoni di ragionevolezza poichè, pur a fronte dell'obbligatorietà della nomina dei sindaci nell'ipotesi di società a responsabilità limitata con capitale sociale non inferiore a quello minimo previsto per le società per azioni, ove si precludesse loro il ricorso al procedimento di cui all'art. 2409 c.c., si vanificherebbe significativamente il potere - dovere di controllo pur ad essi demandato, nell'impossibilità di segnalare al Tribunale gravi irregolarità eventualmente riscontrate. congiuntamente, perchè fra loro connessi, e sono infondati.
Al riguardo va innanzitutto premesso che correttamente il ricorso è stato proposto limitatamente alla parte della decisione contenente la condanna degli originari istanti alle spese processuali (p. 5), poichè il decreto che abbia deciso sull'istanza proposta avverso il provvedimento del tribunale reso ai sensi dell'art. 2409 c.c., non è impugnabile con il ricorso ex art. 111 Cost. sotto altro aspetto (C. 09/1571, C. 07/6805, C. 01/6365).
Così delimitato l'ambito della controversia devoluto all'esame del Collegio, occorre precisare che l'erroneità della statuizione sul punto è stata sostanzialmente dedotta sotto un duplice profilo, vale a dire: a) per il fatto che nei procedimenti di volontaria giurisdizione non sarebbe in via generale configurabile una ipotesi di soccombenza, e ciò tanto più per il procedimento ex art. 2409 c.c., predisposto in funzione dell'esercizio del potere - dovere di controllo da parte dei sindaci, che sarebbe altrimenti fortemente ridimensionato se non vanificato; b) in ragione della omessa considerazione delle ipotesi di obbligatoria costituzione del collegio sindacale nelle società a responsabilità limitata, fra le quali, segnatamente per la parte di interesse, quella in cui i limiti dimensionali della società siano corrispondenti a quelli della società per azioni. Ancor meno comprensibile risulterebbe infatti in tal caso, secondo i ricorrenti, la diversità di disciplina fra i due tipi di società di capitale (s.r.l. e s.p.a.), in cui sia ugualmente obbligatoria la nomina del collegio sindacale ed il cui capitale sociale non sia inferiore a Euro 120.000 (art. 2477 c.c., comma 2, art. 2327 c.c.).
La questione relativa alla legittimità della condanna alle spese nei procedimenti di volontaria giurisdizione in generale, e di quello di cui all'art. 2409 c.c., in particolare, è stato già affrontato da questa Corte, che lo ha risolto in senso affermativo, precisando in linea generale che le disposizioni di cui all'art. 91 c.p.c., e segg., trovano applicazione anche nei procedimenti camerali, quando siano finalizzati alla decisione su posizioni soggettive fra loro contrastanti (C. 05/293, C. 04/12021, C. 92/11961), fra i quali va compreso pure il procedimento ex art. 2409 c.c., in cui la nozione di soccombenza va intesa in senso esclusivamente processuale, indipendentemente quindi dall'esistenza di un rapporto di diritto sostanziale diretto tra le parti in giudizio (C. 09/1571, C. 05/293, C. 02/9828).
A tali condivise statuizioni, rispetto alle quali non sono stati indicati ulteriori differenti profili di censura e dalle quali non vi è ragione di discostarsi, pertanto si rinvia.
Risulta viceversa nuova l'ulteriore questione relativa alla legittimità o meno del ricorso al procedimento di cui all'art. 2409 c.c., da parte del collegio sindacale di una s.r.l. obbligatoriamente costituito, questione alla quale, come sopra anticipato, il Collegio ritiene di dover dare risposta negativa.
Ed infatti depone innanzitutto in tal senso il dato letterale.
L'espresso richiamo all'applicabilità anche per le società a responsabilità limitata del procedimento previsto dall'art. 2409 c.c. (art. 2488 c.c., u.c., nella precedente formulazione ) non è stato invero riproposto nell'attuale disciplina del detto tipo di società, quale risultante dall'intervento normativo di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (artt. da 2462 a 2483 c.c.), e analogamente l'art. 92 disp. att. c.c., nello stabilire gli effetti della nomina dell'amministratore giudiziario ex art. 2409 c.c., sull'imprenditore, si riferisce soltanto alle società per azioni e in accomandita per azioni, escludendo quindi dalla previsione le società a responsabilità limitata.
Il dato, già di per sè di notevole rilevanza tenuto conto che il riferimento all'art. 2409 c.c., era contenuto in apposito comma (circostanza che renderebbe comunque poco verosimile l'imputazione dell'omissione ad un refuso), acquista poi ulteriore rilievo alla luce della Relazione al decreto legislativo sopra citato, in cui per la parte di interesse è affermata la superfluità e la contraddittorietà con il sistema delle società a responsabilità limitata della "previsione di forme di intervento del giudice, quali quelle ora previste dall'art. 2409 c.c.".
Sulla base di quanto sinora esposto si deve dunque concludere che per le società a responsabilità limitata non vi è alcun richiamo al procedimento di cui all'art. 2409 c.c., e che detto mancato richiamo è riferibile ad una chiara opzione del legislatore, esplicitamente motivata con l'esigenza di adottare soluzioni in sintonia con il nuovo più articolato sistema societario delineato.
Dunque per le società a responsabilità limitata in cui la nomina del collegio sindacale sia facoltativa il procedimento ex art. 2409 c.c., è certamente precluso.
Qualche ulteriore considerazione occorre invece svolgere laddove, per il medesimo tipo di società, la nomina del collegio sindacale sia obbligatoria.
L'art. 2477 c.c., indica infatti due ipotesi in cui è necessario procedere alla costituzione del collegio sindacale (capitale sociale non inferiore a quello minimo previsto per le società per azioni, superamento per un biennio dei limiti dettati per il bilancio in forma abbreviata), stabilendo inoltre che in tali casi "si applicano le disposizioni dettate in tema di società per azioni" (u.c.).
Orbene, considerato che l'art. 2409 c.c., è collocato nell'ambito della disciplina del collegio sindacale nelle società per azioni, si potrebbe astrattamente sostenere che per effetto del detto richiamo i provvedimenti di cui all'art. 2409 c.c., che il collegio sindacale può richiedere (u.c.), possano essere sollecitati anche ove si tratti di società a responsabilità limitata.
Tuttavia una siffatta interpretazione non appare condivisibile per diversi motivi, e segnatamente: per la genericità del richiamo contenuto nell'art. 2477 c.c., alle disposizioni dettate in tema di società per azioni; per l'espressa e specifica indicazione del legislatore in senso contrario; per le analitiche argomentazioni svolte a sostegno dell'opzione effettuata nella relazione al testo normativo; per il contrasto che si verrebbe a determinare fra un eventuale potere riconosciuto al collegio sindacale di sollecitare l'intervento dell'autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 2409 c.c., e la collocazione attribuita alla società a responsabilità limitata, non più delineata come una società per azioni di più modeste dimensioni, nell'ambito del sistema societario nel suo complesso.
In proposito va invero considerato che il giudizio di superfluità e di contraddittorietà del ricorso al procedimento di cui all'art. 2409 c.c., nelle società a responsabilità limitata, formulato nella relazione ministeriale cui si è fatto cenno, è ancorato al manifestamente palese intento di privatizzare il controllo societario in favore dei singoli soci, intento che trova riscontro nella disciplina dettata a tal fine, e in particolare: nel diritto dei soci di ottenere notizie dagli amministratori circa l'andamento degli affari sociali, nel loro diritto di procedere all'ispezione dei libri sociali e dei documenti, nella riconosciuta legittimazione a proporre l'azione sociale di responsabilità, nella possibilità di ottenere in tale sede provvedimenti cautelari, nella predisposizione di un sistema idoneo a risolvere i conflitti societari interni, nell'attribuzione al collegio sindacale di compiti di controllo incentrati più sui profili contabili (artt. 2476 e 2477 c.c.), anzichè su quelli di corretta gestione e di legalità, rispetto ai quali deve essere invece concentrata l'attenzione del collegio sindacale delle società per azioni.
D'altra parte il potere di controllo del tribunale sulle società per azioni (disposizione che, come detto, era dapprima espressamente richiamata anche per le società a responsabilità limitata) era attribuito con disposizione avente collocazione successiva alla disciplina del collegio sindacale e alla fine della sezione relativa agli organi sociali. Si trattava dunque di disposizione di chiusura, dettata con riferimento all'ipotesi in cui il controllo sindacale non avesse funzionato, ipotesi che non è più neppure astrattamente ravvisabile alla stregua della nuova disciplina delle società a responsabilità limitata, atteso che il socio nel caso di gravi irregolarità di gestione può promuovere azione di responsabilità contro gli amministratori e richiederne la revoca in via cautelare (art. 2476 c.c.).
Come nota conclusiva sul profilo ora considerato, sembra infine utile ancora evidenziare che lo stesso legislatore ha successivamente interpretato la normativa vigente nel senso indicato, avendo disposto con il D.Lgs. n. 37 del 2004, art. 8, modificativo del decreto attuativo della riforma societaria, che alle società sportive di cui alla L. 23 marzo 1981, n. 91, art. 10, si applica l'art. 2409 c.c., pur se aventi forma di società a responsabilità limitata, disposizione che trova fondamento e presupposto nel convincimento che, diversamente, l'articolo in questione non sarebbe stato applicabile alle società sportive a responsabilità limitata.
Il rinvio alle disposizioni in tema di società per azioni dettato dall'art. 2477 c.c., u.c., in tema di società a responsabilità limitata, va quindi interpretato come richiamo ai requisiti professionali, alle cause di ineleggibilità, decadenza ed incompatibilità dei sindaci stabilite dall'art. 2397 c.c., e segg., nonchè alle rispettive funzioni e ai poteri indicati dall'art. 2403 c.c., e segg., ma non può certamente valere ad assegnare loro il potere di sollecitare il controllo giudiziario in relazione a ravvisate irregolarità gestionali, a ciò ostando, come sopra detto, la formulazione letterale delle disposizioni vigenti, l'intenzione del legislatore, i diversi connotati attribuiti alle dette società rispetto a quelle per azioni, con la riforma organica delle società di capitali di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003.
L'originaria prospettazione dei ricorrenti risulta pertanto infondata ed il conseguente ricorso per cassazione deve quindi essere rigettato.
Nulla va infine disposto in ordine alle spese processuali, poichè l'intimato non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2010.
venerdì 12 marzo 2010
Danno civile, criteri ultimi di identificazione
Tribunale di Milano Sezione V Civile Sentenza 9 giugno 2009, n. 7515
"tanto la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. (che consente il completo ristoro del danno, necessariamente personalizzato conseguente alla lesione del bene salute) quanto la ricostruita netta bipolarità del sistema del danno alla persona (che impone la reductio ad unum del danno non patrimoniale, ma impedisce ogni fungibilità tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale) escludono che il diritto del lavoratore all’integrale risarcimento del danno non patrimoniale (differenziale) possa essere in qualche modo compresso dalle ragioni creditorie dell’ente assicuratore relative al costo sopportato per le conseguenze patrimoniali del sinistro. Qualora tale costo sia superiore all’importo civilisticamente liquidato a titolo di danno patrimoniale, solo questa eccedenza non potrà che restare a carico dell’INAIL, che l’ha sostenuta, per le finalità previdenziali proprie dell’ente.
Se, infatti, il sistema della responsabilità civile mira a garantire il risarcimento integrale, scopo di quello previdenziale è la liberazione del lavoratore e della sua famiglia dallo stato di bisogno, in attuazione dell’art. 38 Cost., mediante prestazioni strutturate come indennizzo, ove l’eventualità di un ristoro non esaustivo del danno è compensata dall’automaticità e rapidità dell’erogazione."
Tribunale di Milano
Sezione V Civile
Sentenza 9 giugno 2009, n. 7515
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI MILANO
SEZIONE V CIVILE
In persona del Giudice Istruttore, in funzione di Giudice Unico, dott. Damiano Spera,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile iscritta al R.G. n. 26093/04 , promossa da
L. R., con gli avv.ti Giuseppe Centola ed Ezio Centola
- attore -
contro
UFFICIO CENTRALE ITALIANO Soc. Cons. a r.l., con l’avv. Filippo Martini
- convenuto -
e
SOC. PH SERVICES
X.
*
convenuti contumaci –
nonché
ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO (I.N.A.I.L.), con l’avv. Pierpaolo Piluso
- terzo chiamato -
e
M. M., in proprio
L. R. e M. M., quali genitori esercenti la potestà sulla minore L. K., con gli avv.ti Fausto Felice e Ferruccio Felice
- terzi intervenuti -
CONCLUSIONI
Per l’attore: vedi foglio n. 3
Per il convenuto: vedi foglio n. 4
Per il terzo chiamato: vedi fogli n. 5-6
Per i terzi intervenuti: vedi fogli n. 7-8
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, R. L. esponeva:
*
che il giorno 28.08.2002, alle ore 22,20 circa, sull’Autostrada A/4 Venezia-Milano in località Capriate San Gervaso (BG), l’attore, mentre si trovava ad espletare attività lavorativa di manutenzione autostradale alle dipendenze di Nuova Omege S.p.A. Edilizia, veniva investito da un camion, il cui conducente si allontanava dopo il sinistro senza prestare soccorso;
*
che quest’ultimo veniva poi individuato e tratto in arresto, identificandosi nella persona di X., residente in Francia, così come in Francia aveva sede la società Ph Services, proprietaria dell’autocarro condotto dal signor X.;
*
che, nel sinistro, l’attore riportava gravissime lesioni, da cui derivava lunghissima malattia con postumi permanenti e che, pertanto, anche avuto riguardo alla sua giovane età, l’attore aveva subito ingenti danni patrimoniali, biologici, morali, esistenziali. Tra l’altro, non potendo espletare attività lavorativa e dunque non riuscendo a provvedere al pagamento del mutuo fondiario contratto, era stato costretto a vendere il proprio appartamento sito in Como;
*
che alcun indennizzo era ancora stato offerto dall’Ufficio Centrale Italiano, garante per la responsabilità civile relativa a veicolo estero.
Conveniva pertanto in giudizio la Società Ph Services, X. e l’ Ufficio Centrale Italiano soc. cons. a r.l. (di seguito, UCI) e concludeva affinché il Tribunale - preliminarmente disponendo a loro carico, ex art. 24 L. 990/69, provvisionale di Euro 500.000,00 od in diversa misura - condannasse i convenuti, in via tra loro solidale, al risarcimento di tutti i danni derivanti dalle lesioni riportate nell’anzidetto sinistro, nella misura da accertarsi e previa deduzione della rivalsa INAIL; il tutto oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.
Instaurato il contradditorio sull’istanza ai sensi dell’art. 24 L. 990/69, il Tribunale assegnava a R. L., ponendola a carico solidale dei convenuti, la somma di Euro 500.000,00, da imputarsi alla liquidazione definitiva del danno.
Instauratosi il contraddittorio, si costituiva il convenuto UCI, che, condividendo l’attribuzione di responsabilità del sinistro in capo al X., si limitava a contestare il quantum delle pretese avversarie; previo differimento dell’udienza, l’U.C.I. provvedeva a chiamare in causa l’INAIL, al fine di ripartire, secondo le legittime spettanze, le voci di danno tra il soggetto danneggiante e l’assicuratore sociale.
Intervenivano volontariamente M. M. in proprio, nonché la stessa e R. L. in qualità di genitori esercenti la potestà sulla minore L. K., onde ottenere – previa declaratoria di esclusiva responsabilità del sinistro in capo al convenuto X. Jacky – la condanna dei convenuti al ristoro dei danni morali, biologici, patrimoniali patiti dalle medesime M. M. e K. L., rispettivamente moglie e figlia dell’attore, in conseguenza del sinistro occorso a quest’ultimo.
Si costituiva, infine, il terzo chiamato INAIL, deducendo di aver già erogato al signor L., in conseguenza del sinistro in oggetto, prestazioni per l’ammontare totale di Euro 419.868,38; chiedeva pertanto, in via riconvenzionale, che il signor X. e Ph Services venissero condannati in solido al rimborso in suo favore della predetta somma, nonché di eventuali ulteriori somme che l’INAIL potesse essere tenuto a corrispondere in dipendenza dello stesso evento.
Dichiarata la contumacia dei convenuti X. e Ph Services, il terzo chiamato INAIL precisava, ai sensi dell’art. 183 comma 5 c.p.c., che le prestazioni erogate in favore di R. L. ammontavano a complessivi Euro 445.582,22.
Il G.I. disponeva consulenza tecnica d’ufficio medico-legale diretta ad accertare e a quantificare i danni patiti dall’attore, nonché da M. M. e dalla figlia minore K. L..
Conclusa l’istruttoria, ritenuta la causa matura per la decisione, il giudice invitava le parti a precisare le proprie conclusioni come in epigrafe trascritte; disposto lo scambio delle sole comparse conclusionali, all’udienza di discussione dell’11.3.2009, la causa veniva assegnata in decisione, ai sensi dell'art. 281 quinquies cpv. c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il Tribunale che debba essere dichiarata la responsabilità – peraltro non contestata – nella produzione del sinistro per cui è causa, in capo al convenuto X..
Gli elementi di prova desumibili dal rapporto di incidente redatto dalla Polizia Stradale di Seriate, nonché dalle dichiarazioni che i due colleghi dell’attore (presenti sul posto al momento del fatto) hanno reso sia ai verbalizzanti della Polizia Stradale sia all’Ispettorato del lavoro (cfr. verbale di inchiesta DPL 28.11.2002), consentono un’univoca ricostruzione dell’accadimento.
In data 28.08.2002, R. L., mentre era intento ad apporre una segnaletica di deviazione sulla corsia di emergenza dell’autostrada Venezia-Milano, in località Capriate, veniva urtato e scagliato a terra dall’autocarro condotto da X.. Lo stesso mezzo proseguiva la sua corsa, sfiorando lo specchietto retrovisore del furgone degli operai, fermo sulla corsia di emergenza.
Risulta per tabulas, inoltre, che l’attore – il cui corpo veniva interamente rinvenuto all’interno della corsia di emergenza – al momento dell’impatto indossava l’apposita tuta di colore arancione catarifrangente. Deve pertanto ritenersi che la presenza del signor L. a piedi sull’asfalto fosse ben visibile; e ciò considerando, altresì, che il furgone degli operai, fermo sulla corsia di emergenza con luci accese (cfr. verbale DPL), avrebbe dovuto facilmente richiamare l’attenzione dei conducenti i mezzi in transito sul tratto autostradale in questione ed imporre particolare cautela nella percorrenza dello stesso.
Ritiene dunque il Tribunale indubitabile, alla luce degli elementi obiettivi acquisiti, la piena responsabilità del convenuto che, per imprudenza, negligenza ed imperizia, ha cagionato l’incidente di cui trattasi, invadendo, senza avvedersi degli operai al lavoro, la corsia di emergenza.
Per quanto attiene al quantum, va osservato:
*
che, a seguito dell’impatto, l’attore veniva ricoverato, in stato di coma profondo, agli Ospedali Riuniti di Bergamo, riportando, tra l’altro, trauma cranioencefalico con danno assonale diffuso e focolai contusivi cerebrali multipli, fratture multiple, contusione epatica, renale e polmonare;
*
che l’attore veniva, tra l’altro, sottoposto ad intervento chirurgico sull’omero destro con utilizzo di fissatore esterno;
*
che, dopo lunghissima degenza anche presso l’istituto Clinico Villa Aprica per la riabilitazione, l’attore veniva dimesso con diagnosi di postumi di trauma cranioencefalico, fratture multiple del cingolo scapolare destro ed arto superiore destro, lesione severa del plesso brachiale destro con deficit subtotale dell’arto superiore destro, fratture costali multiple;
*
che il 22.12.2003 si concludeva la riabilitazione, prendendosi atto della persistente paralisi dell’arto superiore destro, ed il 13.01.2004, all’esito di controllo neurologico, si decideva per la stabilizzazione del quadro clinico;
*
che, nella primavera 2004, l’attore ricorreva, altresì, ad ausilio specialistico per lamentati deficit sessuali, con alterazione della libido e della funzione eiaculatoria;
*
che i C.T.U. hanno quantificato in 59 giorni (corrispondenti alla degenza ospedaliera) il periodo di inabilità temporanea assoluta ed in quindici mesi quello di inabilità temporanea parziale (mediamente all’80%), con una durata totale di malattia, pertanto, di diciassette mesi;
*
che tuttora persiste situazione di sostanziale perdita funzionale dell’arto, cui si è associata sindrome dolorosa cronica, il cui trattamento richiede la somministrazione cronica di morfina;
*
che, sul piano psichico, l’attore presenta, tra l’altro, deficit di memoria e di giudizio, concomitanti a sintomatologia ansioso-depressiva, che i C.T.U. hanno ritenuto riconducibili ad una reazione psicologica all’evento lesivo in oggetto, oltre che alla presenza di sofferenza frontale secondaria al riportato trauma cranioencefalico;
*
che i C.T.U. hanno pertanto ritenuto individuabile, complessivamente, una lesione dell’integrità psico-fisica dell’attore pari al 75%;
*
che, ad avviso dei C.T.U., i sopra enunciati postumi hanno determinato la perdita completa della capacità lavorativa specifica dell’attore, dovendosi valutare, da un lato, la plegia dell’arto superiore dominante (ostativa allo svolgimento di attività manuali) e, d’altro lato, la compromissione del generale assetto neuro-psichico (ostativa allo svolgimento di mansioni lavorative esposte ad eventi imprevedibili);
*
che le spese di cura documentate, sostenute dal signor L., devono ritenersi, secondo i C.T.U., pertinenti e congrue per l’importo di € 1.598,97;
*
che sono state altresì documentate spese per copia di cartelle cliniche e per consulenza tecnica di parte per complessivi € 332,00;
*
che, invece, nessun danno biologico, né permanente né temporaneo, veniva dai C.T.U. riconosciuto relativamente alla signora M. M. ed alla minore K. L..
Questo giudice condivide le argomentazioni e le conclusioni cui sono pervenuti i C.T.U., con metodo corretto ed immune da vizi logici o di altra natura.
Pertanto, alla luce delle risultanze sopra esposte, ritiene il Tribunale che l’attore abbia certamente subito il danno biologico e, cioè, quello derivante da illecito lesivo dell’integrità psico-fisica della persona, che, quale evento interno al fatto lesivo della salute, deve necessariamente esistere in presenza delle accertate lesioni, e che prescinde dal danno correlato alla capacità di produzione del reddito; dovendosi, tuttavia, sin d’ora precisare che il predetto danno biologico viene qui in rilievo a meri fini descrittivi quale componente medicalmente accertata del più complesso danno non patrimoniale subito.
Come è noto, infatti, la Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 26972/2008) ha recentemente ritenuto che, nell’ambito del danno non patrimoniale, il riferimento a determinati tipi di pregiudizi, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. E’ compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione.
E’ mutata, invece, la nozione di danno morale soggettivo.
La nozione di “danno morale soggettivo transeunte va definitivamente superata”; non ne parla la legge ed è inadeguata se si pensa che la sofferenza morale cagionata da reato non è necessariamente transeunte, ben potendo l’effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo.
Nell’ambito del danno non patrimoniale il danno morale non individua una autonoma sottocategoria, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi, quello “costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento”.
Viene riaffermata, invece, la nozione di danno biologico, come danno conseguente alla lesione del diritto inviolabile della salute, nell’accezione normativa di cui agli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni.
Si noti, poi, che le Sez. Unite, pur negando la sussistenza del “danno esistenziale” come voce autonoma di danno non patrimoniale, non disdegnano affatto di menzionare “i pregiudizi esistenziali” concernenti aspetti relazionali della vita, che possono accertarsi come compresi nel danno biologico c.d. dinamico.
Rilevano poi che certamente incluso nel danno biologico, se derivante da lesione dell'integrità psicofisica, è il pregiudizio da perdita o compromissione della sessualità, del quale pure non può, a pena di incorrere in duplicazione risarcitoria, darsi separato indennizzo.
Analogamente, deve dirsi per il c.d. danno da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto, laddove “la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato”.
Circa i criteri di liquidazione, il giudice, coerentemente con quanto statuito dalla Cassazione a Sez. Unite citate, è chiamato a valutare congiuntamente, entro il danno biologico, tutte le sofferenze soggettivamente patite dall’attore, in relazione alle condizioni personali dello stesso ed ai risvolti che concretamente la lesione all’integrità psico-fisica ha comportato.
Così stigmatizzano le Sezioni Unite: “Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. Egualmente determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua nuova configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato”.
Le Sez. Unite ribadiscono tuttavia che il danno non patrimoniale, quale danno conseguenza, deve essere allegato e provato. La sentenza della Corte Costituzionale n. 184/1986 è stata superata dalla sentenza della stessa Corte n. 372/1994, poi seguita dalle sentenze gemelle del 2003.
Il danno non è mai in re ipsa ed il giudice dovrà porre a fondamento della propria decisione non solo la consulenza tecnica d’ufficio, ma anche “tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze) avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni” (ex artt. 115 cpv. c.p.c e 2727 e ss. c.c.).
Alla luce di questa innovativa sentenza, devono essere necessariamente rivisti i criteri di liquidazione tabellare adottati dagli Uffici Giudiziari.
In particolare, la tabella milanese (ad eccezione del danno morale) già comprendeva, nella nozione unitaria del danno biologico, la molteplicità delle singole possibili “voci” di pregiudizi, non lasciando spazio ad autonome liquidazioni del danno alla vita di relazione, del danno estetico, del danno alla sfera sessuale, ecc.; la tabella prevedeva, separatamente, solamente la liquidazione del danno morale, nella misura da un quarto alla metà dell’importo liquidato per il danno biologico.
Incorreva dunque anche questa tabella nelle censure delle Sez. Unite, perché produceva una duplicazione di risarcimento del danno.
Come risolvere questo problema, salvaguardando in pari tempo i valori monetari finora riconosciuti?
E’ stato necessario approvare una nuova tabella.
La nuova tabella milanese muove dal presupposto che i criteri di liquidazione del danno non patrimoniale da lesione del bene salute debbano prevedere valori monetari che siano riconducibili a quelli già riconosciuti precedentemente, sia a titolo di danno biologico che di danno morale, da liquidarsi dal giudice complessivamente, all’esito di una unitaria personalizzazione del danno accertato.
In sostanza, per ciascun punto percentuale di menomazione dell’integrità psicofisica, si liquiderà un importo che dia ristoro alle conseguenze della lesione in termini “medi”: in relazione agli aspetti anatomo-funzionali, agli aspetti relazionali, agli aspetti di sofferenza soggettiva, ritenuti provati anche presuntivamente.
Il giudice - in considerazione delle peculiarità allegate e provate nella fattispecie concreta, con specifico riguardo sia alla “sofferenza soggettiva” che alle “particolari condizioni soggettive del danneggiato” (nozione accolta anche dagli artt. 138 e 139 Cod. delle Assicurazioni) - procederà ad un’adeguata e complessiva “personalizzazione” della liquidazione del danno entro valori monetari stabiliti in un predeterminato range di aumento dei citati importi “medi”.
Con gli stessi criteri il giudice liquiderà anche il danno biologico temporaneo, comprensivo altresì del danno morale, entro un range che consenta un’idonea personalizzazione.
In ogni caso, il giudice sarà sempre libero di liquidare importi diversi da quelli indicati in tabella, con congrua motivazione, soprattutto laddove la fattispecie concreta presenti aspetti affatto peculiari.
Nella fattispecie in esame, il Tribunale dovrà necessariamente tenere conto di tutto quanto sinora esposto ai fini di una corretta liquidazione del danno subito dall’attore. Tale operazione dev’essere compiuta, peraltro, non soltanto in ragione delle domande risarcitorie svolte dall’attore medesimo, ma anche ai fini dell’azione di surroga svolta dall’INAIL nei confronti dei convenuti riconosciuti responsabili, per le somme corrisposte dall’ente all’attore.
Ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale patito da R. L., occorrerà pertanto tenere conto delle accertate invalidità, della giovane età dell’attore (al momento dell’accadimento ventiseienne), delle condizioni di vita (tra queste la circostanza, di cui ancora infra, che l’attore vantava bell’aspetto e velleità di sfruttarlo a fini economici o, comunque, di metterlo in risalto), delle risultanze probatorie, dell’espletata CTU, della rilevantissima entità del danno biologico, delle particolari sofferenze fisiche e psichiche sofferte e degli innumerevoli gravi pregiudizi che una menomazione psico-fisica, quale quella subita dall’attore, comporta su un giovane, inevitabilmente compromettendone la sfera relazionale e sessuale. Tenuto infine conto dei nuovi criteri tabellari sopra delineati, stimasi equo liquidare, per il complessivo risarcimento del danno non patrimoniale da lesione al diritto alla salute nella sua nuova accezione onnicomprensiva e “dinamica”, la somma già rivalutata di Euro 750.000,00; per il danno biologico temporaneo – reputandosi equo calcolare (avuto riguardo, sempre, a tale valutazione complessiva del danno biologico) un parametro medio giornaliero di circa Euro 100,00 per l’inabilità totale – si liquida la somma già rivalutata di Euro 43.100,00.
Conformemente ai dicta delle Sezioni Unite richiamati, non residua spazio per il risarcimento di ulteriori pregiudizi non patrimoniali (quali, in particolare, i dedotti danni morale ed esistenziale), poiché tutti già ricompresi in quelli già liquidati, risultando altrimenti certa la duplicazione risarcitoria del medesimo danno.
Il danno non patrimoniale subìto dall’attore viene, pertanto, quantificato nell’importo rivalutato di Euro 793.100,00.
Quanto al danno patrimoniale, deve aversi riguardo, anzitutto, alle spese sostenute, ritenute congrue dai C.T.U. per l’importo di Euro 1.598,97, al quale va aggiunto l’importo delle ulteriori spese documentate di Euro 332,00, per un totale di Euro 1.930,97. Questa somma, rivalutata ad oggi secondo gli indici I.S.T.A.T., è pari ad (arrotondati) Euro 2.201,00.
In punto di lucro cessante per perdita della capacità lavorativa specifica, il danno dev’essere quantificato considerando un reddito annuo oggi pari a circa Euro 16.000,00 (come documentato) ed utilizzando le tabelle di capitalizzazione di cui al R.D. 9.10.1922 n. 1403, con coefficiente di sopravvivenza pari a 18,557 per il totale di Euro 296.912,00, da decurtarsi nella misura del 15% avuto riguardo allo scarto tra vita fisica e vita lavorativa e pertanto si liquida la somma di (arrotondati) Euro 252.375,00.
Dal momento che il danno patrimoniale da capacità lavorativa specifica è stato determinato nella misura del 100%, non può essere distintamente liquidato, pena incorrere in duplicazione risarcitoria, il danno patrimoniale da inabilità temporanea.
Non può, inoltre, essere accolta la domanda relativa al danno da perdita di chance, con riferimento alla compromissione definitiva della possibilità per l’attore (asseritamente già offertagli in passato) di posare o sfilare come modello e, così, di integrare le proprie entrare reddituali. L’accoglimento della domanda di risarcimento del danno da lucro cessante esige, infatti, la prova dell’esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile (da ultimo, Cass. 4052/2009). In tal senso, non risulta sufficientemente ed univocamente probante l’unico elemento oggettivo risultante per tabulas, ossia la circostanza che l’attore si sia fatto scattare delle fotografie professionali (un c.d. book) per mettere in risalto il proprio aspetto fisico. Le deduzioni svolte in punto e, segnatamente, il principio di prova desumibile dal book fotografico versato in atti, sono stati tuttavia considerati (come innanzi accennato) ai fini della complessiva valutazione del danno non patrimoniale subito dall’attore, in quanto compromissione delle sue condizioni di vita.
Il danno patrimoniale complessivamente subito dall’attore deve, pertanto, essere liquidato nell’importo rivalutato di Euro 254.576,00.
Tuttavia, sul diritto al risarcimento dei predetti valori incide la rivalsa esercitata dall’assicuratore pubblico, che ha allegato e dimostrato di aver liquidato all’attore, in ragione dell’infortunio de quo, i seguenti importi: Euro 20.254,72 a titolo di indennità per 500 giorni di inabilità temporanea assoluta dall’1.9.2002 al 13.1.2004; Euro 77,47 per spese mediche e accertamenti medico-legali; Euro 43.627,73 per ratei di rendita corrisposti dal 14.1.2004, data di decorrenza della rendita, al 22.2.2006, data di effettuazione dei calcoli; Euro 1.105,70 a titolo di interessi maturati sui ratei fino a quest’ultima data; dette somme, rivalutate ad oggi sono pari a complessivi Euro 71.380,00.
L’I.N.A.I.L. ha inoltre liquidato all’attore la somma di Euro 185.582,70, a titolo di valore capitale della quota di rendita erogata quale indennizzo del danno biologico, calcolato alla data del 22.2.2006, nonché la somma di Euro 194.933,90, a titolo di valore capitale della quota di rendita erogata quale indennizzo del danno patrimoniale, calcolato sempre alla stessa data.
In definitiva, l’I.N.A.I.L. ha liquidato la somma di (arrotondati) Euro 266.314,00 per le conseguenze patrimoniali del sinistro e la somma di Euro 185.582,70 per il danno biologico.
In relazione alla domanda di surroga ex art. 1916 c.c. svolta dall’INAIL con riferimento alle dette somme, si rendono necessarie alcune premesse.
L’art. 13 del D. lgs. 38/2000, anche accogliendo le sollecitazioni al riguardo avanzate dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 87/1991), ha inserito il danno biologico nella copertura indennitaria dell’assicuratore sociale.
Il problema del c.d. danno differenziale, ossia del risarcimento di quel danno che il lavoratore può ottenere, ai sensi dell’art. 10 commi 6 e 7 del D.P.R. 1124/1965, dal datore di lavoro penalmente responsabile o dai terzi civilmente responsabili, se e nella misura in cui tale danno superi l’ammontare delle indennità corrisposte dall’INAIL, era problema che trovava una sua (non pacifica) sistemazione in termini sia qualitativi – il danno differenziale relativo alle poste di credito non ristorabili dall’INAIL: danno biologico temporaneo, danno biologico permanente sino al 5%, danno morale ed esistenziale, esborsi ecc. – sia in termini quantitativi, avuto riguardo, cioè, al differenziale relativo alle poste indennizzate.
A tale proposito, il nodo della questione era costituito soprattutto dalla scindibilità o meno delle poste ai fini della rivalsa. Poiché di regola il danno biologico veniva liquidato in sede civilistica in misura maggiore di quella indennizzata dall’INAIL e il danno patrimoniale, invece, era liquidato in misura inferiore a quest’ultima, parte della giurisprudenza riteneva – al fine di evitare l’indebita locupletazione del lavoratore infortunato – di dover raffrontare unitariamente i rispettivi ristori (civilistico e previdenziale) e consentire la surroga INAIL per l’intero ammontare versato a titolo di danno biologico e patrimoniale (vedi in proposito Cass. n. 10035/2004). Un’altra parte della dottrina e della giurisprudenza operando la scomposizione delle singole voci indennizzate dall’INAIL in definitiva aumentava l’importo del danno differenziale riconosciuto al danneggiato e, conseguentemente, diminuiva l’importo riconosciuto all’INAIL in accoglimento della domanda di surroga.
Il recente intervento delle Sezioni Unite, che ha ridisegnato la nozione di danno alla persona come onnicomprensiva ed ha riportato il sistema risarcitorio alla sua originale bipolarità tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, impone una diversa soluzione.
Si pone anzitutto all’interprete la questione dell’omogeneità - ai fini della surroga INAIL e della liquidazione al danneggiato del c.d. danno differenziale - tra il danno biologico ristorato dal sistema previdenziale con criteri standardizzati ed il danno biologico liquidato civilisticamente in maniera “personalizzata” (comprensiva, tra l’altro, dell’intero ammontare che, in precedenza, veniva liquidato a titolo di danno morale e pacificamente riconosciuto per l’intero, in quanto non indennizzato dall’INAIL, al lavoratore).
Ritiene questo Tribunale che la soluzione positiva alla questione sia imposta dallo stesso intervento del Giudice nomofilattico, che preclude ogni possibilità di scomposizione del danno alla persona in poste distintamente risarcibili, onde non incorrere in duplicazioni risarcitorie, e che, chiaramente, delinea una nozione anche ontologicamente unitaria del danno biologico, “del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente”. Non può dunque il giudice scorporare all’interno del danno non patrimoniale riconosciuto, pena la violazione di questi principi (e neppure ai soli fini della surroga INAIL), la quota relativa al danno biologico “standard” da quella relativa ad ulteriori componenti non valutate dall’INAIL ai fini indennitari.
Parte della giurisprudenza - onde pervenire all’affermazione di sopravvivenza del danno morale come categoria autonoma e ontologicamente diversa dal danno biologico e della scindibilità di queste due voci di danno ai fini del riconoscimento del danno differenziale - si è adoperata in una interpretazione della sentenza n. 26972/2008 che, invero, contrasta apertamente con i principi di diritto accolti nella stessa pronuncia. Si è, in particolare, affermato che le Sez. Unite avrebbero inteso evitare solo la duplicazione risarcitoria in presenza di un danno biologico c.d. “dinamico” o personalizzato; la surroga INAIL, a sua volta, sarebbe esercitabile solo entro il danno biologico c.d. “statico” o “puro”, mentre l’ente nulla avrebbe diritto ad ottenere sul quantum riconosciuto a titolo di danno biologico “dinamico” e personalizzato e sull’intero (e ancora una volta distinto) danno morale.
Come accennato, questa tesi non può essere condivisa.
Le Sezioni Unite sono tassative nell’espungere dal sistema ogni possibilità di frammentazione, a fini risarcitori, del danno non patrimoniale.
Infatti, non vi sono ragioni per ritenere che la Suprema Corte abbia inteso negare l’esistenza e la risarcibilità delle sofferenze fisiche e morali in presenza di danno biologico. Le Sezioni Unite hanno semplicemente “bacchettato” i giudici (togati ed onorari), perché procedono a queste liquidazioni con errati automatismi tabellari. I giudici non si avvedono che, quando c’è lesione biologica, i pregiudizi conseguenti alla menomazione psicofisica - “il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare” e quello ravvisato nella pena e nel dolore conseguenti e cioè “nella sofferenza morale determinata dal non poter fare” - sono, in definitiva, due facce della stessa medaglia, essendo la sofferenza morale “componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale”. Il giudice deve quindi, con congrua motivazione, “procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”.
Per altro verso, il danno biologico cui ha riguardo la normativa previdenziale non può sostanziarsi in concetto ontologicamente distinto da quello cui ha riguardo la normativa civilistica. Mentre ex art. 13 D.lgs n. 38/2000 devono essere cogentemente applicati i criteri di liquidazione standard disciplinati dalla tabella degli indennizzi, in relazione ai baréme previsti dalla tabella delle menomazioni, nel processo civile muta il tipo e l’entità della tutela che richiede una valutazione maggiormente complessa e personalizzata ai fini risarcitori. Tuttavia, non può conseguire a queste diverse modalità di accertamento e liquidazione, il venir meno del diritto dell’ente al recupero di quanto versato per il ristoro dello stesso danno.
Del resto, alla luce della nozione di danno biologico prevista dall’art. 13 citato e dagli artt. 138 e 139 Codice delle Assicurazioni accolta espressamente dalle Sezioni Unite, di danno biologico “statico” e cioè del tutto avulso dagli aspetti interelazionali, ritiene questo Tribunale, “non è più dato discorrere”, perché “per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”.
Ed ancora, proprio l’aspetto dinamico relazionale connaturato al danno biologico comporta, anche per questo verso, l’impossibilità di scindere le sofferenze fisiche e psichiche dai pregiudizi anatomo-funzionali conseguenti alla menomazione psico-fisica.
Ed, infatti, ha senso accertare un pregiudizio anatomo-funzionale del tutto avulso dalla sofferenza psico-fisica?
Anche una gravissima menomazione fisica, scissa da qualsivoglia sofferenza morale e/o percezione del dolore, darebbe luogo ad un irrisorio risarcimento perché, in definitiva, il vero danno consiste nella percezione “emotiva” della menomazione e delle conseguenti alterazioni delle condizioni di vita della vittima in un contesto sociale.
Una differente conclusione comporterebbe proprio quella duplicazione risarcitoria del danno non patrimoniale che lo sforzo ricostruttivo delle Sezioni Unite ha inteso scongiurare, programmaticamente premettendo, nella sentenza n. 26972/2008 che già le sentenze gemelle del 2003 “avevano avuto cura di precisare che non era proficuo ritagliare all’interno della generale categoria del danno non patrimoniale specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo (n. 8828/2003) e di rilevare che la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. doveva essere riguardata non già come occasione di incremento delle poste di danno (e mai come strumento di duplicazione del risarcimento degli stessi pregiudizi), ma per colmare le lacune della tutela risarcitoria della persona (n. 8827/2003). Considerazioni che le Sezioni Unite condividono” e pervenendo infine ad affermare che“Il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre”.
In definitiva, il giudice – una volta liquidato il danno non patrimoniale civilisticamente risarcibile e conseguente alla lesione del bene salute – non può fare altro che raffrontare tale importo, senza ulteriori e non più consentiti distinguo, con il quantum erogato dall’ente a titolo di danno biologico, accogliendo la domanda di surroga per l’intero relativo ammontare (nei limiti dell’importo risarcitorio liquidato) e riconoscendo in capo al danneggiato il diritto al risarcimento dell’importo differenziale.
Altra questione, posta e non pacificamente risolta in passato, e della quale ora si rende quanto mai opportuno un ripensamento, è quella relativa alla scindibilità delle poste di danno biologico e patrimoniale ai fini della rivalsa.
Si potrebbe sostenere che l’INAIL possa agire in surroga per tutti gli importi unitariamente liquidati al danneggiato. In tal modo si consentirebbe all’INAIL di rivalersi per l’intero (sempre, ovviamente, nei limiti del quantum civilisticamente liquidato a titolo complessivamente patrimoniale e non patrimoniale), senza distinguere tra somma e/o quota di rendita erogata per danno biologico e somma e/o quota di rendita erogata per le conseguenze patrimoniali dell’infortunio, consentendo all’ente (in caso di maggior indennizzo erogato a titolo patrimoniale), di rivalersi integralmente erodendo così una quota dell’importo risarcitorio spettante al danneggiato a titolo di danno non patrimoniale.
Questo giudice ritiene inaccettabile una simile soluzione.
Se già in precedenza i dicta tanto della Corte Costituzionale (sentenze nn. 319/1989, 87/1991, 356/1991, 485/1991), quanto della Corte di Cassazione (sentenze nn. 3944/1995, 9761/1995, 4218/1998, 15859/2000, 8182/2001, 10289/2001) avevano affermato il principio della non comprimibilità del diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale, tale principio, oggi, deve essere affermato con ancor più vigore.
In altri termini, tanto la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. (che consente il completo ristoro del danno, necessariamente personalizzato conseguente alla lesione del bene salute) quanto la ricostruita netta bipolarità del sistema del danno alla persona (che impone la reductio ad unum del danno non patrimoniale, ma impedisce ogni fungibilità tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale) escludono che il diritto del lavoratore all’integrale risarcimento del danno non patrimoniale (differenziale) possa essere in qualche modo compresso dalle ragioni creditorie dell’ente assicuratore relative al costo sopportato per le conseguenze patrimoniali del sinistro. Qualora tale costo sia superiore all’importo civilisticamente liquidato a titolo di danno patrimoniale, solo questa eccedenza non potrà che restare a carico dell’INAIL, che l’ha sostenuta, per le finalità previdenziali proprie dell’ente.
Se, infatti, il sistema della responsabilità civile mira a garantire il risarcimento integrale, scopo di quello previdenziale è la liberazione del lavoratore e della sua famiglia dallo stato di bisogno, in attuazione dell’art. 38 Cost., mediante prestazioni strutturate come indennizzo, ove l’eventualità di un ristoro non esaustivo del danno è compensata dall’automaticità e rapidità dell’erogazione.
Alla luce di tutte le esposte considerazioni, si possono ora esaminare la domanda di surroga INAIL svolta nel presente giudizio e la posizione dell’attore circa eventuali danni differenziali.
Il danno patrimoniale già riconosciuto dall’INAIL è pari ad Euro 266.314,00 e, per l’effetto, non spetta all’attore (che ha subito un danno patrimoniale pari ad Euro 254.576,00) alcun danno patrimoniale differenziale.
I convenuti devono essere condannati al pagamento, in favore dell’INAIL, della somma riconosciuta di Euro 254.576,00 oltre interessi legali dal 18.03.2005 (data della domanda) al saldo.
Il danno non patrimoniale già liquidato a tale titolo dall’ente è pari ad Euro 185.582,70 e, pertanto, il danno differenziale è pari ad Euro 607.517,30 (Euro 793.100,00 - 185.582,70).
L’attore, a titolo di acconto, ha ricevuto altresì la somma di Euro 500.000,00, somma che, rivalutata dalla data del versamento (29.07.2004) ad oggi secondo gli indici I.S.T.A.T., è pari ad Euro 546.191,00.
Pertanto il danno differenziale, al cui pagamento in favore dell’attore i convenuti in solido devono essere condannati, è pari ad Euro 61.326,30.
Sugli importi predetti devono essere riconosciuti gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell’equivalente pecuniario del bene perduto.
Gli interessi compensativi - secondo il più recente indirizzo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (v. sentenza n. 1712/1995) - decorrono dal momento della produzione dell'evento dannoso sino a quello del versamento dell'acconto e, poi, da tale data fino alla presente decisione; per ciascuno di questi periodi, gli interessi compensativi si possono calcolare applicando un tasso annuo medio ponderato sul danno rivalutato.
Tale tasso di interesse è ottenuto "ponderando" l'interesse legale sulla somma sopra liquidata, che - "devalutata" alla data del fatto illecito, in base agli indici I.S.T.A.T. costo vita - si incrementa mese per mese, mediante gli stessi indici di rivalutazione, sino alla data dell'acconto e poi, detratto quest'ultimo, fino alla data della presente sentenza.
Da oggi, giorno della liquidazione, all'effettivo saldo decorrono gli interessi legali sulla somma di Euro 61.326,30 dovuta all’attore.
Pertanto, alla luce degli esposti criteri, i convenuti devono essere condannati al pagamento in solido, in favore dell’attore, della complessiva somma di Euro 61.326,30 , oltre:
- interessi compensativi, al tasso annuo medio ponderato del 3%, sulla somma di Euro 793.100,00 dal 28.08.2002 (data del sinistro) al 29.07.2004 (data dell’acconto);
- interessi compensativi, al tasso annuo medio ponderato del 3%, sulla somma di Euro 61.326,30 dal 29.07.2004 (data dell’acconto) ad oggi;
- interessi, al tasso legale, su quest'ultimo importo, da oggi al saldo effettivo.
I convenuti devono, inoltre, essere condannati in solido al pagamento in surroga all’INAIL della complessiva somma di Euro 185.582,70, liquidata in moneta attuale, oltre agli interessi al tasso legale dal 18.03.2005 (data della domanda) al saldo effettivo.
Per quanto attiene ai danni lamentati da M. M. e dalla minore K. L., moglie e figlia dell’attore, il Tribunale osserva che, nonostante vada condivisa la conclusione dei nominati C.T.U. circa l’assenza, in capo alle medesime, del lamentato danno biologico in quanto lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile, non può disconoscersi, secondo dati di comune esperienza e con accertamento presuntivo (sulla base, tra l’altro, dei dati, in termini di disagio psicologico, emergenti dalla C.T.U. effettuata), l’ingente danno non patrimoniale subito da entrambe in conseguenza dei fatti di causa. Viene in rilievo in particolare (anche se non – per tutto quanto già esposto – come autonoma voce di danno, ma soltanto come categoria descrittiva) il citato danno da grave lesione del rapporto parentale subìto dalle due congiunte dell’attore. Il rapporto tra i prossimi congiunti è compromesso dalle condizioni fisiche e psichiche dell’attore accertate dai CTU, i quali hanno anche evidenziato frequenti attacchi d’ira e reazioni incontrollate: danno valutabile unitariamente nel suo aspetto di sofferenza interiore già patita (soprattutto da M. M., per la compromissione del rapporto di coniugio) e patienda (soprattutto dalla minore K., per la precocissima compromissione del rapporto con la figura paterna), nonché in quanto conseguenza della lesione dei diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.) da riconoscersi in capo alle due congiunte di R. L.. Avuto pertanto riguardo a tali aspetti, al sesso, all’età (ventottenne all’epoca del sinistro la signora M., di appena due anni la piccola K.), alle condizioni di vita delle intervenute (ed all’intervenuta separazione, a quanto consta, dei due coniugi), si ritiene equo liquidare, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, alla minore K. L. l’importo già rivalutato di Euro 300.000,00 ed alla signora M. M. l’importo già rivalutato di Euro 150.000,00.
Anche su tali importi andranno calcolati, secondo gli esplicitati criteri, gli interessi compensativi dalla data del sinistro e gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo.
Pertanto i convenuti in solido devono essere condannati al pagamento, in favore di L. R. e M. M., quali genitori esercenti la potestà sulla figlia minore L. K. e a M. M. in proprio, delle somme, rispettivamente, di Euro 300.000,00 e di Euro 150.000,00, oltre interessi compensativi su ciascuna somma al tasso annuo medio ponderato del 3% dalla data del sinistro ad oggi ed interessi legali su ciascuna delle predette somme di Euro 300.000,00 ed Euro 150.000,00 da oggi al saldo effettivo.
Quanto esposto è assorbente rispetto alle altre domande, eccezioni ed istanze proposte dalle parti.
Le spese della consulenza tecnica d’ufficio vanno poste a carico dei convenuti in solido.
Consegue alla soccombenza la condanna dei convenuti in solido a rifondere le spese processuali all'attore (da liquidarsi in favore degli avv.ti Giuseppe Centola ed Ezio Centola, antistatari ex art. 93 c.p.c.), agli intervenuti (da liquidarsi in favore dell’avv. Ferruccio Felice, antistatario ex art. 93 c.p.c.) ed al terzo chiamato.
La presente sentenza è dichiarata provvisoriamente esecutiva ex lege.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, così provvede:
*
dichiara la responsabilità esclusiva di X. nella causazione del sinistro occorso a L. R. il 28.08.2002;
*
condanna i convenuti in solido X., Ph Services e U.C.I. al pagamento, in favore dell'attore, della somma di Euro 61.326,30, oltre interessi come specificati in motivazione;
*
condanna i convenuti in solido X., Ph Services e U.C.I. al pagamento, in favore di L. R. e M. M. in qualità di genitori esercenti la potestà sulla minore L. K., della somma di Euro 300.000,00, oltre interessi come specificati in motivazione;
*
condanna i convenuti in solido X., Ph Services e U.C.I. al pagamento, in favore di M. M. in proprio, della somma di Euro 150.000,00, oltre interessi come specificati in motivazione;
*
condanna i convenuti in solido X., Ph Services e U.C.I. al pagamento, in favore dell’INAIL, delle somme di Euro 254.576,00 e di Euro 185.582,70, oltre interessi legali dal 18.03.2005 al saldo;
*
rigetta le altre domande, eccezioni ed istanze proposte dalle parti;
*
pone le spese della consulenza tecnica d’ufficio a carico dei predetti convenuti in solido;
*
condanna i predetti convenuti in solido a rifondere all'attore, le spese processuali, che liquida in Euro 1.463,63 per anticipazioni, Euro 232,00 per esborsi, Euro 7.200,00 per diritti, Euro 18.000,00 per onorario di avvocato, Euro 3.150,00 per spese generali, oltre C.P.A. ed I.V.A., da liquidarsi in favore degli avv.ti Giuseppe Centola ed Ezio Centola, antistatari;
*
condanna i predetti convenuti in solido a rifondere agli intervenuti, le spese processuali, che liquida in Euro 2.070,62 per esborsi ed anticipazioni, Euro 4.113,00 per diritti, Euro 12.000,00 per onorario di avvocato, Euro 2.014,13 per spese generali, oltre C.P.A. ed I.V.A., da liquidarsi in favore dell’avv. Ferruccio Felice, antistatario;
*
condanna i predetti convenuti in solido a rifondere al terzo chiamato, le spese processuali, che liquida in Euro 20,00 per esborsi, Euro 5.749,00 per diritti, Euro 12.000,00 per onorario di avvocato, Euro 2.218,63 per spese generali, oltre C.P.A. ed I.V.A.;
*
dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva.
Milano, 9 giugno 2009.
Il Giudice Istruttore
in funzione di giudice unico
"tanto la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. (che consente il completo ristoro del danno, necessariamente personalizzato conseguente alla lesione del bene salute) quanto la ricostruita netta bipolarità del sistema del danno alla persona (che impone la reductio ad unum del danno non patrimoniale, ma impedisce ogni fungibilità tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale) escludono che il diritto del lavoratore all’integrale risarcimento del danno non patrimoniale (differenziale) possa essere in qualche modo compresso dalle ragioni creditorie dell’ente assicuratore relative al costo sopportato per le conseguenze patrimoniali del sinistro. Qualora tale costo sia superiore all’importo civilisticamente liquidato a titolo di danno patrimoniale, solo questa eccedenza non potrà che restare a carico dell’INAIL, che l’ha sostenuta, per le finalità previdenziali proprie dell’ente.
Se, infatti, il sistema della responsabilità civile mira a garantire il risarcimento integrale, scopo di quello previdenziale è la liberazione del lavoratore e della sua famiglia dallo stato di bisogno, in attuazione dell’art. 38 Cost., mediante prestazioni strutturate come indennizzo, ove l’eventualità di un ristoro non esaustivo del danno è compensata dall’automaticità e rapidità dell’erogazione."
Tribunale di Milano
Sezione V Civile
Sentenza 9 giugno 2009, n. 7515
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI MILANO
SEZIONE V CIVILE
In persona del Giudice Istruttore, in funzione di Giudice Unico, dott. Damiano Spera,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile iscritta al R.G. n. 26093/04 , promossa da
L. R., con gli avv.ti Giuseppe Centola ed Ezio Centola
- attore -
contro
UFFICIO CENTRALE ITALIANO Soc. Cons. a r.l., con l’avv. Filippo Martini
- convenuto -
e
SOC. PH SERVICES
X.
*
convenuti contumaci –
nonché
ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO (I.N.A.I.L.), con l’avv. Pierpaolo Piluso
- terzo chiamato -
e
M. M., in proprio
L. R. e M. M., quali genitori esercenti la potestà sulla minore L. K., con gli avv.ti Fausto Felice e Ferruccio Felice
- terzi intervenuti -
CONCLUSIONI
Per l’attore: vedi foglio n. 3
Per il convenuto: vedi foglio n. 4
Per il terzo chiamato: vedi fogli n. 5-6
Per i terzi intervenuti: vedi fogli n. 7-8
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, R. L. esponeva:
*
che il giorno 28.08.2002, alle ore 22,20 circa, sull’Autostrada A/4 Venezia-Milano in località Capriate San Gervaso (BG), l’attore, mentre si trovava ad espletare attività lavorativa di manutenzione autostradale alle dipendenze di Nuova Omege S.p.A. Edilizia, veniva investito da un camion, il cui conducente si allontanava dopo il sinistro senza prestare soccorso;
*
che quest’ultimo veniva poi individuato e tratto in arresto, identificandosi nella persona di X., residente in Francia, così come in Francia aveva sede la società Ph Services, proprietaria dell’autocarro condotto dal signor X.;
*
che, nel sinistro, l’attore riportava gravissime lesioni, da cui derivava lunghissima malattia con postumi permanenti e che, pertanto, anche avuto riguardo alla sua giovane età, l’attore aveva subito ingenti danni patrimoniali, biologici, morali, esistenziali. Tra l’altro, non potendo espletare attività lavorativa e dunque non riuscendo a provvedere al pagamento del mutuo fondiario contratto, era stato costretto a vendere il proprio appartamento sito in Como;
*
che alcun indennizzo era ancora stato offerto dall’Ufficio Centrale Italiano, garante per la responsabilità civile relativa a veicolo estero.
Conveniva pertanto in giudizio la Società Ph Services, X. e l’ Ufficio Centrale Italiano soc. cons. a r.l. (di seguito, UCI) e concludeva affinché il Tribunale - preliminarmente disponendo a loro carico, ex art. 24 L. 990/69, provvisionale di Euro 500.000,00 od in diversa misura - condannasse i convenuti, in via tra loro solidale, al risarcimento di tutti i danni derivanti dalle lesioni riportate nell’anzidetto sinistro, nella misura da accertarsi e previa deduzione della rivalsa INAIL; il tutto oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.
Instaurato il contradditorio sull’istanza ai sensi dell’art. 24 L. 990/69, il Tribunale assegnava a R. L., ponendola a carico solidale dei convenuti, la somma di Euro 500.000,00, da imputarsi alla liquidazione definitiva del danno.
Instauratosi il contraddittorio, si costituiva il convenuto UCI, che, condividendo l’attribuzione di responsabilità del sinistro in capo al X., si limitava a contestare il quantum delle pretese avversarie; previo differimento dell’udienza, l’U.C.I. provvedeva a chiamare in causa l’INAIL, al fine di ripartire, secondo le legittime spettanze, le voci di danno tra il soggetto danneggiante e l’assicuratore sociale.
Intervenivano volontariamente M. M. in proprio, nonché la stessa e R. L. in qualità di genitori esercenti la potestà sulla minore L. K., onde ottenere – previa declaratoria di esclusiva responsabilità del sinistro in capo al convenuto X. Jacky – la condanna dei convenuti al ristoro dei danni morali, biologici, patrimoniali patiti dalle medesime M. M. e K. L., rispettivamente moglie e figlia dell’attore, in conseguenza del sinistro occorso a quest’ultimo.
Si costituiva, infine, il terzo chiamato INAIL, deducendo di aver già erogato al signor L., in conseguenza del sinistro in oggetto, prestazioni per l’ammontare totale di Euro 419.868,38; chiedeva pertanto, in via riconvenzionale, che il signor X. e Ph Services venissero condannati in solido al rimborso in suo favore della predetta somma, nonché di eventuali ulteriori somme che l’INAIL potesse essere tenuto a corrispondere in dipendenza dello stesso evento.
Dichiarata la contumacia dei convenuti X. e Ph Services, il terzo chiamato INAIL precisava, ai sensi dell’art. 183 comma 5 c.p.c., che le prestazioni erogate in favore di R. L. ammontavano a complessivi Euro 445.582,22.
Il G.I. disponeva consulenza tecnica d’ufficio medico-legale diretta ad accertare e a quantificare i danni patiti dall’attore, nonché da M. M. e dalla figlia minore K. L..
Conclusa l’istruttoria, ritenuta la causa matura per la decisione, il giudice invitava le parti a precisare le proprie conclusioni come in epigrafe trascritte; disposto lo scambio delle sole comparse conclusionali, all’udienza di discussione dell’11.3.2009, la causa veniva assegnata in decisione, ai sensi dell'art. 281 quinquies cpv. c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il Tribunale che debba essere dichiarata la responsabilità – peraltro non contestata – nella produzione del sinistro per cui è causa, in capo al convenuto X..
Gli elementi di prova desumibili dal rapporto di incidente redatto dalla Polizia Stradale di Seriate, nonché dalle dichiarazioni che i due colleghi dell’attore (presenti sul posto al momento del fatto) hanno reso sia ai verbalizzanti della Polizia Stradale sia all’Ispettorato del lavoro (cfr. verbale di inchiesta DPL 28.11.2002), consentono un’univoca ricostruzione dell’accadimento.
In data 28.08.2002, R. L., mentre era intento ad apporre una segnaletica di deviazione sulla corsia di emergenza dell’autostrada Venezia-Milano, in località Capriate, veniva urtato e scagliato a terra dall’autocarro condotto da X.. Lo stesso mezzo proseguiva la sua corsa, sfiorando lo specchietto retrovisore del furgone degli operai, fermo sulla corsia di emergenza.
Risulta per tabulas, inoltre, che l’attore – il cui corpo veniva interamente rinvenuto all’interno della corsia di emergenza – al momento dell’impatto indossava l’apposita tuta di colore arancione catarifrangente. Deve pertanto ritenersi che la presenza del signor L. a piedi sull’asfalto fosse ben visibile; e ciò considerando, altresì, che il furgone degli operai, fermo sulla corsia di emergenza con luci accese (cfr. verbale DPL), avrebbe dovuto facilmente richiamare l’attenzione dei conducenti i mezzi in transito sul tratto autostradale in questione ed imporre particolare cautela nella percorrenza dello stesso.
Ritiene dunque il Tribunale indubitabile, alla luce degli elementi obiettivi acquisiti, la piena responsabilità del convenuto che, per imprudenza, negligenza ed imperizia, ha cagionato l’incidente di cui trattasi, invadendo, senza avvedersi degli operai al lavoro, la corsia di emergenza.
Per quanto attiene al quantum, va osservato:
*
che, a seguito dell’impatto, l’attore veniva ricoverato, in stato di coma profondo, agli Ospedali Riuniti di Bergamo, riportando, tra l’altro, trauma cranioencefalico con danno assonale diffuso e focolai contusivi cerebrali multipli, fratture multiple, contusione epatica, renale e polmonare;
*
che l’attore veniva, tra l’altro, sottoposto ad intervento chirurgico sull’omero destro con utilizzo di fissatore esterno;
*
che, dopo lunghissima degenza anche presso l’istituto Clinico Villa Aprica per la riabilitazione, l’attore veniva dimesso con diagnosi di postumi di trauma cranioencefalico, fratture multiple del cingolo scapolare destro ed arto superiore destro, lesione severa del plesso brachiale destro con deficit subtotale dell’arto superiore destro, fratture costali multiple;
*
che il 22.12.2003 si concludeva la riabilitazione, prendendosi atto della persistente paralisi dell’arto superiore destro, ed il 13.01.2004, all’esito di controllo neurologico, si decideva per la stabilizzazione del quadro clinico;
*
che, nella primavera 2004, l’attore ricorreva, altresì, ad ausilio specialistico per lamentati deficit sessuali, con alterazione della libido e della funzione eiaculatoria;
*
che i C.T.U. hanno quantificato in 59 giorni (corrispondenti alla degenza ospedaliera) il periodo di inabilità temporanea assoluta ed in quindici mesi quello di inabilità temporanea parziale (mediamente all’80%), con una durata totale di malattia, pertanto, di diciassette mesi;
*
che tuttora persiste situazione di sostanziale perdita funzionale dell’arto, cui si è associata sindrome dolorosa cronica, il cui trattamento richiede la somministrazione cronica di morfina;
*
che, sul piano psichico, l’attore presenta, tra l’altro, deficit di memoria e di giudizio, concomitanti a sintomatologia ansioso-depressiva, che i C.T.U. hanno ritenuto riconducibili ad una reazione psicologica all’evento lesivo in oggetto, oltre che alla presenza di sofferenza frontale secondaria al riportato trauma cranioencefalico;
*
che i C.T.U. hanno pertanto ritenuto individuabile, complessivamente, una lesione dell’integrità psico-fisica dell’attore pari al 75%;
*
che, ad avviso dei C.T.U., i sopra enunciati postumi hanno determinato la perdita completa della capacità lavorativa specifica dell’attore, dovendosi valutare, da un lato, la plegia dell’arto superiore dominante (ostativa allo svolgimento di attività manuali) e, d’altro lato, la compromissione del generale assetto neuro-psichico (ostativa allo svolgimento di mansioni lavorative esposte ad eventi imprevedibili);
*
che le spese di cura documentate, sostenute dal signor L., devono ritenersi, secondo i C.T.U., pertinenti e congrue per l’importo di € 1.598,97;
*
che sono state altresì documentate spese per copia di cartelle cliniche e per consulenza tecnica di parte per complessivi € 332,00;
*
che, invece, nessun danno biologico, né permanente né temporaneo, veniva dai C.T.U. riconosciuto relativamente alla signora M. M. ed alla minore K. L..
Questo giudice condivide le argomentazioni e le conclusioni cui sono pervenuti i C.T.U., con metodo corretto ed immune da vizi logici o di altra natura.
Pertanto, alla luce delle risultanze sopra esposte, ritiene il Tribunale che l’attore abbia certamente subito il danno biologico e, cioè, quello derivante da illecito lesivo dell’integrità psico-fisica della persona, che, quale evento interno al fatto lesivo della salute, deve necessariamente esistere in presenza delle accertate lesioni, e che prescinde dal danno correlato alla capacità di produzione del reddito; dovendosi, tuttavia, sin d’ora precisare che il predetto danno biologico viene qui in rilievo a meri fini descrittivi quale componente medicalmente accertata del più complesso danno non patrimoniale subito.
Come è noto, infatti, la Cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 26972/2008) ha recentemente ritenuto che, nell’ambito del danno non patrimoniale, il riferimento a determinati tipi di pregiudizi, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. E’ compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione.
E’ mutata, invece, la nozione di danno morale soggettivo.
La nozione di “danno morale soggettivo transeunte va definitivamente superata”; non ne parla la legge ed è inadeguata se si pensa che la sofferenza morale cagionata da reato non è necessariamente transeunte, ben potendo l’effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo.
Nell’ambito del danno non patrimoniale il danno morale non individua una autonoma sottocategoria, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi, quello “costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento”.
Viene riaffermata, invece, la nozione di danno biologico, come danno conseguente alla lesione del diritto inviolabile della salute, nell’accezione normativa di cui agli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni.
Si noti, poi, che le Sez. Unite, pur negando la sussistenza del “danno esistenziale” come voce autonoma di danno non patrimoniale, non disdegnano affatto di menzionare “i pregiudizi esistenziali” concernenti aspetti relazionali della vita, che possono accertarsi come compresi nel danno biologico c.d. dinamico.
Rilevano poi che certamente incluso nel danno biologico, se derivante da lesione dell'integrità psicofisica, è il pregiudizio da perdita o compromissione della sessualità, del quale pure non può, a pena di incorrere in duplicazione risarcitoria, darsi separato indennizzo.
Analogamente, deve dirsi per il c.d. danno da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto, laddove “la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato”.
Circa i criteri di liquidazione, il giudice, coerentemente con quanto statuito dalla Cassazione a Sez. Unite citate, è chiamato a valutare congiuntamente, entro il danno biologico, tutte le sofferenze soggettivamente patite dall’attore, in relazione alle condizioni personali dello stesso ed ai risvolti che concretamente la lesione all’integrità psico-fisica ha comportato.
Così stigmatizzano le Sezioni Unite: “Determina quindi duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo. Esclusa la praticabilità di tale operazione, dovrà il giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza. Egualmente determina duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua nuova configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato”.
Le Sez. Unite ribadiscono tuttavia che il danno non patrimoniale, quale danno conseguenza, deve essere allegato e provato. La sentenza della Corte Costituzionale n. 184/1986 è stata superata dalla sentenza della stessa Corte n. 372/1994, poi seguita dalle sentenze gemelle del 2003.
Il danno non è mai in re ipsa ed il giudice dovrà porre a fondamento della propria decisione non solo la consulenza tecnica d’ufficio, ma anche “tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo (documenti, testimonianze) avvalersi delle nozioni di comune esperienza e delle presunzioni” (ex artt. 115 cpv. c.p.c e 2727 e ss. c.c.).
Alla luce di questa innovativa sentenza, devono essere necessariamente rivisti i criteri di liquidazione tabellare adottati dagli Uffici Giudiziari.
In particolare, la tabella milanese (ad eccezione del danno morale) già comprendeva, nella nozione unitaria del danno biologico, la molteplicità delle singole possibili “voci” di pregiudizi, non lasciando spazio ad autonome liquidazioni del danno alla vita di relazione, del danno estetico, del danno alla sfera sessuale, ecc.; la tabella prevedeva, separatamente, solamente la liquidazione del danno morale, nella misura da un quarto alla metà dell’importo liquidato per il danno biologico.
Incorreva dunque anche questa tabella nelle censure delle Sez. Unite, perché produceva una duplicazione di risarcimento del danno.
Come risolvere questo problema, salvaguardando in pari tempo i valori monetari finora riconosciuti?
E’ stato necessario approvare una nuova tabella.
La nuova tabella milanese muove dal presupposto che i criteri di liquidazione del danno non patrimoniale da lesione del bene salute debbano prevedere valori monetari che siano riconducibili a quelli già riconosciuti precedentemente, sia a titolo di danno biologico che di danno morale, da liquidarsi dal giudice complessivamente, all’esito di una unitaria personalizzazione del danno accertato.
In sostanza, per ciascun punto percentuale di menomazione dell’integrità psicofisica, si liquiderà un importo che dia ristoro alle conseguenze della lesione in termini “medi”: in relazione agli aspetti anatomo-funzionali, agli aspetti relazionali, agli aspetti di sofferenza soggettiva, ritenuti provati anche presuntivamente.
Il giudice - in considerazione delle peculiarità allegate e provate nella fattispecie concreta, con specifico riguardo sia alla “sofferenza soggettiva” che alle “particolari condizioni soggettive del danneggiato” (nozione accolta anche dagli artt. 138 e 139 Cod. delle Assicurazioni) - procederà ad un’adeguata e complessiva “personalizzazione” della liquidazione del danno entro valori monetari stabiliti in un predeterminato range di aumento dei citati importi “medi”.
Con gli stessi criteri il giudice liquiderà anche il danno biologico temporaneo, comprensivo altresì del danno morale, entro un range che consenta un’idonea personalizzazione.
In ogni caso, il giudice sarà sempre libero di liquidare importi diversi da quelli indicati in tabella, con congrua motivazione, soprattutto laddove la fattispecie concreta presenti aspetti affatto peculiari.
Nella fattispecie in esame, il Tribunale dovrà necessariamente tenere conto di tutto quanto sinora esposto ai fini di una corretta liquidazione del danno subito dall’attore. Tale operazione dev’essere compiuta, peraltro, non soltanto in ragione delle domande risarcitorie svolte dall’attore medesimo, ma anche ai fini dell’azione di surroga svolta dall’INAIL nei confronti dei convenuti riconosciuti responsabili, per le somme corrisposte dall’ente all’attore.
Ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale patito da R. L., occorrerà pertanto tenere conto delle accertate invalidità, della giovane età dell’attore (al momento dell’accadimento ventiseienne), delle condizioni di vita (tra queste la circostanza, di cui ancora infra, che l’attore vantava bell’aspetto e velleità di sfruttarlo a fini economici o, comunque, di metterlo in risalto), delle risultanze probatorie, dell’espletata CTU, della rilevantissima entità del danno biologico, delle particolari sofferenze fisiche e psichiche sofferte e degli innumerevoli gravi pregiudizi che una menomazione psico-fisica, quale quella subita dall’attore, comporta su un giovane, inevitabilmente compromettendone la sfera relazionale e sessuale. Tenuto infine conto dei nuovi criteri tabellari sopra delineati, stimasi equo liquidare, per il complessivo risarcimento del danno non patrimoniale da lesione al diritto alla salute nella sua nuova accezione onnicomprensiva e “dinamica”, la somma già rivalutata di Euro 750.000,00; per il danno biologico temporaneo – reputandosi equo calcolare (avuto riguardo, sempre, a tale valutazione complessiva del danno biologico) un parametro medio giornaliero di circa Euro 100,00 per l’inabilità totale – si liquida la somma già rivalutata di Euro 43.100,00.
Conformemente ai dicta delle Sezioni Unite richiamati, non residua spazio per il risarcimento di ulteriori pregiudizi non patrimoniali (quali, in particolare, i dedotti danni morale ed esistenziale), poiché tutti già ricompresi in quelli già liquidati, risultando altrimenti certa la duplicazione risarcitoria del medesimo danno.
Il danno non patrimoniale subìto dall’attore viene, pertanto, quantificato nell’importo rivalutato di Euro 793.100,00.
Quanto al danno patrimoniale, deve aversi riguardo, anzitutto, alle spese sostenute, ritenute congrue dai C.T.U. per l’importo di Euro 1.598,97, al quale va aggiunto l’importo delle ulteriori spese documentate di Euro 332,00, per un totale di Euro 1.930,97. Questa somma, rivalutata ad oggi secondo gli indici I.S.T.A.T., è pari ad (arrotondati) Euro 2.201,00.
In punto di lucro cessante per perdita della capacità lavorativa specifica, il danno dev’essere quantificato considerando un reddito annuo oggi pari a circa Euro 16.000,00 (come documentato) ed utilizzando le tabelle di capitalizzazione di cui al R.D. 9.10.1922 n. 1403, con coefficiente di sopravvivenza pari a 18,557 per il totale di Euro 296.912,00, da decurtarsi nella misura del 15% avuto riguardo allo scarto tra vita fisica e vita lavorativa e pertanto si liquida la somma di (arrotondati) Euro 252.375,00.
Dal momento che il danno patrimoniale da capacità lavorativa specifica è stato determinato nella misura del 100%, non può essere distintamente liquidato, pena incorrere in duplicazione risarcitoria, il danno patrimoniale da inabilità temporanea.
Non può, inoltre, essere accolta la domanda relativa al danno da perdita di chance, con riferimento alla compromissione definitiva della possibilità per l’attore (asseritamente già offertagli in passato) di posare o sfilare come modello e, così, di integrare le proprie entrare reddituali. L’accoglimento della domanda di risarcimento del danno da lucro cessante esige, infatti, la prova dell’esistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza di un pregiudizio economicamente valutabile (da ultimo, Cass. 4052/2009). In tal senso, non risulta sufficientemente ed univocamente probante l’unico elemento oggettivo risultante per tabulas, ossia la circostanza che l’attore si sia fatto scattare delle fotografie professionali (un c.d. book) per mettere in risalto il proprio aspetto fisico. Le deduzioni svolte in punto e, segnatamente, il principio di prova desumibile dal book fotografico versato in atti, sono stati tuttavia considerati (come innanzi accennato) ai fini della complessiva valutazione del danno non patrimoniale subito dall’attore, in quanto compromissione delle sue condizioni di vita.
Il danno patrimoniale complessivamente subito dall’attore deve, pertanto, essere liquidato nell’importo rivalutato di Euro 254.576,00.
Tuttavia, sul diritto al risarcimento dei predetti valori incide la rivalsa esercitata dall’assicuratore pubblico, che ha allegato e dimostrato di aver liquidato all’attore, in ragione dell’infortunio de quo, i seguenti importi: Euro 20.254,72 a titolo di indennità per 500 giorni di inabilità temporanea assoluta dall’1.9.2002 al 13.1.2004; Euro 77,47 per spese mediche e accertamenti medico-legali; Euro 43.627,73 per ratei di rendita corrisposti dal 14.1.2004, data di decorrenza della rendita, al 22.2.2006, data di effettuazione dei calcoli; Euro 1.105,70 a titolo di interessi maturati sui ratei fino a quest’ultima data; dette somme, rivalutate ad oggi sono pari a complessivi Euro 71.380,00.
L’I.N.A.I.L. ha inoltre liquidato all’attore la somma di Euro 185.582,70, a titolo di valore capitale della quota di rendita erogata quale indennizzo del danno biologico, calcolato alla data del 22.2.2006, nonché la somma di Euro 194.933,90, a titolo di valore capitale della quota di rendita erogata quale indennizzo del danno patrimoniale, calcolato sempre alla stessa data.
In definitiva, l’I.N.A.I.L. ha liquidato la somma di (arrotondati) Euro 266.314,00 per le conseguenze patrimoniali del sinistro e la somma di Euro 185.582,70 per il danno biologico.
In relazione alla domanda di surroga ex art. 1916 c.c. svolta dall’INAIL con riferimento alle dette somme, si rendono necessarie alcune premesse.
L’art. 13 del D. lgs. 38/2000, anche accogliendo le sollecitazioni al riguardo avanzate dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 87/1991), ha inserito il danno biologico nella copertura indennitaria dell’assicuratore sociale.
Il problema del c.d. danno differenziale, ossia del risarcimento di quel danno che il lavoratore può ottenere, ai sensi dell’art. 10 commi 6 e 7 del D.P.R. 1124/1965, dal datore di lavoro penalmente responsabile o dai terzi civilmente responsabili, se e nella misura in cui tale danno superi l’ammontare delle indennità corrisposte dall’INAIL, era problema che trovava una sua (non pacifica) sistemazione in termini sia qualitativi – il danno differenziale relativo alle poste di credito non ristorabili dall’INAIL: danno biologico temporaneo, danno biologico permanente sino al 5%, danno morale ed esistenziale, esborsi ecc. – sia in termini quantitativi, avuto riguardo, cioè, al differenziale relativo alle poste indennizzate.
A tale proposito, il nodo della questione era costituito soprattutto dalla scindibilità o meno delle poste ai fini della rivalsa. Poiché di regola il danno biologico veniva liquidato in sede civilistica in misura maggiore di quella indennizzata dall’INAIL e il danno patrimoniale, invece, era liquidato in misura inferiore a quest’ultima, parte della giurisprudenza riteneva – al fine di evitare l’indebita locupletazione del lavoratore infortunato – di dover raffrontare unitariamente i rispettivi ristori (civilistico e previdenziale) e consentire la surroga INAIL per l’intero ammontare versato a titolo di danno biologico e patrimoniale (vedi in proposito Cass. n. 10035/2004). Un’altra parte della dottrina e della giurisprudenza operando la scomposizione delle singole voci indennizzate dall’INAIL in definitiva aumentava l’importo del danno differenziale riconosciuto al danneggiato e, conseguentemente, diminuiva l’importo riconosciuto all’INAIL in accoglimento della domanda di surroga.
Il recente intervento delle Sezioni Unite, che ha ridisegnato la nozione di danno alla persona come onnicomprensiva ed ha riportato il sistema risarcitorio alla sua originale bipolarità tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, impone una diversa soluzione.
Si pone anzitutto all’interprete la questione dell’omogeneità - ai fini della surroga INAIL e della liquidazione al danneggiato del c.d. danno differenziale - tra il danno biologico ristorato dal sistema previdenziale con criteri standardizzati ed il danno biologico liquidato civilisticamente in maniera “personalizzata” (comprensiva, tra l’altro, dell’intero ammontare che, in precedenza, veniva liquidato a titolo di danno morale e pacificamente riconosciuto per l’intero, in quanto non indennizzato dall’INAIL, al lavoratore).
Ritiene questo Tribunale che la soluzione positiva alla questione sia imposta dallo stesso intervento del Giudice nomofilattico, che preclude ogni possibilità di scomposizione del danno alla persona in poste distintamente risarcibili, onde non incorrere in duplicazioni risarcitorie, e che, chiaramente, delinea una nozione anche ontologicamente unitaria del danno biologico, “del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente”. Non può dunque il giudice scorporare all’interno del danno non patrimoniale riconosciuto, pena la violazione di questi principi (e neppure ai soli fini della surroga INAIL), la quota relativa al danno biologico “standard” da quella relativa ad ulteriori componenti non valutate dall’INAIL ai fini indennitari.
Parte della giurisprudenza - onde pervenire all’affermazione di sopravvivenza del danno morale come categoria autonoma e ontologicamente diversa dal danno biologico e della scindibilità di queste due voci di danno ai fini del riconoscimento del danno differenziale - si è adoperata in una interpretazione della sentenza n. 26972/2008 che, invero, contrasta apertamente con i principi di diritto accolti nella stessa pronuncia. Si è, in particolare, affermato che le Sez. Unite avrebbero inteso evitare solo la duplicazione risarcitoria in presenza di un danno biologico c.d. “dinamico” o personalizzato; la surroga INAIL, a sua volta, sarebbe esercitabile solo entro il danno biologico c.d. “statico” o “puro”, mentre l’ente nulla avrebbe diritto ad ottenere sul quantum riconosciuto a titolo di danno biologico “dinamico” e personalizzato e sull’intero (e ancora una volta distinto) danno morale.
Come accennato, questa tesi non può essere condivisa.
Le Sezioni Unite sono tassative nell’espungere dal sistema ogni possibilità di frammentazione, a fini risarcitori, del danno non patrimoniale.
Infatti, non vi sono ragioni per ritenere che la Suprema Corte abbia inteso negare l’esistenza e la risarcibilità delle sofferenze fisiche e morali in presenza di danno biologico. Le Sezioni Unite hanno semplicemente “bacchettato” i giudici (togati ed onorari), perché procedono a queste liquidazioni con errati automatismi tabellari. I giudici non si avvedono che, quando c’è lesione biologica, i pregiudizi conseguenti alla menomazione psicofisica - “il pregiudizio non patrimoniale consistente nel non poter fare” e quello ravvisato nella pena e nel dolore conseguenti e cioè “nella sofferenza morale determinata dal non poter fare” - sono, in definitiva, due facce della stessa medaglia, essendo la sofferenza morale “componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale”. Il giudice deve quindi, con congrua motivazione, “procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza”.
Per altro verso, il danno biologico cui ha riguardo la normativa previdenziale non può sostanziarsi in concetto ontologicamente distinto da quello cui ha riguardo la normativa civilistica. Mentre ex art. 13 D.lgs n. 38/2000 devono essere cogentemente applicati i criteri di liquidazione standard disciplinati dalla tabella degli indennizzi, in relazione ai baréme previsti dalla tabella delle menomazioni, nel processo civile muta il tipo e l’entità della tutela che richiede una valutazione maggiormente complessa e personalizzata ai fini risarcitori. Tuttavia, non può conseguire a queste diverse modalità di accertamento e liquidazione, il venir meno del diritto dell’ente al recupero di quanto versato per il ristoro dello stesso danno.
Del resto, alla luce della nozione di danno biologico prevista dall’art. 13 citato e dagli artt. 138 e 139 Codice delle Assicurazioni accolta espressamente dalle Sezioni Unite, di danno biologico “statico” e cioè del tutto avulso dagli aspetti interelazionali, ritiene questo Tribunale, “non è più dato discorrere”, perché “per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”.
Ed ancora, proprio l’aspetto dinamico relazionale connaturato al danno biologico comporta, anche per questo verso, l’impossibilità di scindere le sofferenze fisiche e psichiche dai pregiudizi anatomo-funzionali conseguenti alla menomazione psico-fisica.
Ed, infatti, ha senso accertare un pregiudizio anatomo-funzionale del tutto avulso dalla sofferenza psico-fisica?
Anche una gravissima menomazione fisica, scissa da qualsivoglia sofferenza morale e/o percezione del dolore, darebbe luogo ad un irrisorio risarcimento perché, in definitiva, il vero danno consiste nella percezione “emotiva” della menomazione e delle conseguenti alterazioni delle condizioni di vita della vittima in un contesto sociale.
Una differente conclusione comporterebbe proprio quella duplicazione risarcitoria del danno non patrimoniale che lo sforzo ricostruttivo delle Sezioni Unite ha inteso scongiurare, programmaticamente premettendo, nella sentenza n. 26972/2008 che già le sentenze gemelle del 2003 “avevano avuto cura di precisare che non era proficuo ritagliare all’interno della generale categoria del danno non patrimoniale specifiche figure di danno, etichettandole in vario modo (n. 8828/2003) e di rilevare che la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. doveva essere riguardata non già come occasione di incremento delle poste di danno (e mai come strumento di duplicazione del risarcimento degli stessi pregiudizi), ma per colmare le lacune della tutela risarcitoria della persona (n. 8827/2003). Considerazioni che le Sezioni Unite condividono” e pervenendo infine ad affermare che“Il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, nel senso che deve ristorare interamente il pregiudizio, ma non oltre”.
In definitiva, il giudice – una volta liquidato il danno non patrimoniale civilisticamente risarcibile e conseguente alla lesione del bene salute – non può fare altro che raffrontare tale importo, senza ulteriori e non più consentiti distinguo, con il quantum erogato dall’ente a titolo di danno biologico, accogliendo la domanda di surroga per l’intero relativo ammontare (nei limiti dell’importo risarcitorio liquidato) e riconoscendo in capo al danneggiato il diritto al risarcimento dell’importo differenziale.
Altra questione, posta e non pacificamente risolta in passato, e della quale ora si rende quanto mai opportuno un ripensamento, è quella relativa alla scindibilità delle poste di danno biologico e patrimoniale ai fini della rivalsa.
Si potrebbe sostenere che l’INAIL possa agire in surroga per tutti gli importi unitariamente liquidati al danneggiato. In tal modo si consentirebbe all’INAIL di rivalersi per l’intero (sempre, ovviamente, nei limiti del quantum civilisticamente liquidato a titolo complessivamente patrimoniale e non patrimoniale), senza distinguere tra somma e/o quota di rendita erogata per danno biologico e somma e/o quota di rendita erogata per le conseguenze patrimoniali dell’infortunio, consentendo all’ente (in caso di maggior indennizzo erogato a titolo patrimoniale), di rivalersi integralmente erodendo così una quota dell’importo risarcitorio spettante al danneggiato a titolo di danno non patrimoniale.
Questo giudice ritiene inaccettabile una simile soluzione.
Se già in precedenza i dicta tanto della Corte Costituzionale (sentenze nn. 319/1989, 87/1991, 356/1991, 485/1991), quanto della Corte di Cassazione (sentenze nn. 3944/1995, 9761/1995, 4218/1998, 15859/2000, 8182/2001, 10289/2001) avevano affermato il principio della non comprimibilità del diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale, tale principio, oggi, deve essere affermato con ancor più vigore.
In altri termini, tanto la lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. (che consente il completo ristoro del danno, necessariamente personalizzato conseguente alla lesione del bene salute) quanto la ricostruita netta bipolarità del sistema del danno alla persona (che impone la reductio ad unum del danno non patrimoniale, ma impedisce ogni fungibilità tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale) escludono che il diritto del lavoratore all’integrale risarcimento del danno non patrimoniale (differenziale) possa essere in qualche modo compresso dalle ragioni creditorie dell’ente assicuratore relative al costo sopportato per le conseguenze patrimoniali del sinistro. Qualora tale costo sia superiore all’importo civilisticamente liquidato a titolo di danno patrimoniale, solo questa eccedenza non potrà che restare a carico dell’INAIL, che l’ha sostenuta, per le finalità previdenziali proprie dell’ente.
Se, infatti, il sistema della responsabilità civile mira a garantire il risarcimento integrale, scopo di quello previdenziale è la liberazione del lavoratore e della sua famiglia dallo stato di bisogno, in attuazione dell’art. 38 Cost., mediante prestazioni strutturate come indennizzo, ove l’eventualità di un ristoro non esaustivo del danno è compensata dall’automaticità e rapidità dell’erogazione.
Alla luce di tutte le esposte considerazioni, si possono ora esaminare la domanda di surroga INAIL svolta nel presente giudizio e la posizione dell’attore circa eventuali danni differenziali.
Il danno patrimoniale già riconosciuto dall’INAIL è pari ad Euro 266.314,00 e, per l’effetto, non spetta all’attore (che ha subito un danno patrimoniale pari ad Euro 254.576,00) alcun danno patrimoniale differenziale.
I convenuti devono essere condannati al pagamento, in favore dell’INAIL, della somma riconosciuta di Euro 254.576,00 oltre interessi legali dal 18.03.2005 (data della domanda) al saldo.
Il danno non patrimoniale già liquidato a tale titolo dall’ente è pari ad Euro 185.582,70 e, pertanto, il danno differenziale è pari ad Euro 607.517,30 (Euro 793.100,00 - 185.582,70).
L’attore, a titolo di acconto, ha ricevuto altresì la somma di Euro 500.000,00, somma che, rivalutata dalla data del versamento (29.07.2004) ad oggi secondo gli indici I.S.T.A.T., è pari ad Euro 546.191,00.
Pertanto il danno differenziale, al cui pagamento in favore dell’attore i convenuti in solido devono essere condannati, è pari ad Euro 61.326,30.
Sugli importi predetti devono essere riconosciuti gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell’equivalente pecuniario del bene perduto.
Gli interessi compensativi - secondo il più recente indirizzo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (v. sentenza n. 1712/1995) - decorrono dal momento della produzione dell'evento dannoso sino a quello del versamento dell'acconto e, poi, da tale data fino alla presente decisione; per ciascuno di questi periodi, gli interessi compensativi si possono calcolare applicando un tasso annuo medio ponderato sul danno rivalutato.
Tale tasso di interesse è ottenuto "ponderando" l'interesse legale sulla somma sopra liquidata, che - "devalutata" alla data del fatto illecito, in base agli indici I.S.T.A.T. costo vita - si incrementa mese per mese, mediante gli stessi indici di rivalutazione, sino alla data dell'acconto e poi, detratto quest'ultimo, fino alla data della presente sentenza.
Da oggi, giorno della liquidazione, all'effettivo saldo decorrono gli interessi legali sulla somma di Euro 61.326,30 dovuta all’attore.
Pertanto, alla luce degli esposti criteri, i convenuti devono essere condannati al pagamento in solido, in favore dell’attore, della complessiva somma di Euro 61.326,30 , oltre:
- interessi compensativi, al tasso annuo medio ponderato del 3%, sulla somma di Euro 793.100,00 dal 28.08.2002 (data del sinistro) al 29.07.2004 (data dell’acconto);
- interessi compensativi, al tasso annuo medio ponderato del 3%, sulla somma di Euro 61.326,30 dal 29.07.2004 (data dell’acconto) ad oggi;
- interessi, al tasso legale, su quest'ultimo importo, da oggi al saldo effettivo.
I convenuti devono, inoltre, essere condannati in solido al pagamento in surroga all’INAIL della complessiva somma di Euro 185.582,70, liquidata in moneta attuale, oltre agli interessi al tasso legale dal 18.03.2005 (data della domanda) al saldo effettivo.
Per quanto attiene ai danni lamentati da M. M. e dalla minore K. L., moglie e figlia dell’attore, il Tribunale osserva che, nonostante vada condivisa la conclusione dei nominati C.T.U. circa l’assenza, in capo alle medesime, del lamentato danno biologico in quanto lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile, non può disconoscersi, secondo dati di comune esperienza e con accertamento presuntivo (sulla base, tra l’altro, dei dati, in termini di disagio psicologico, emergenti dalla C.T.U. effettuata), l’ingente danno non patrimoniale subito da entrambe in conseguenza dei fatti di causa. Viene in rilievo in particolare (anche se non – per tutto quanto già esposto – come autonoma voce di danno, ma soltanto come categoria descrittiva) il citato danno da grave lesione del rapporto parentale subìto dalle due congiunte dell’attore. Il rapporto tra i prossimi congiunti è compromesso dalle condizioni fisiche e psichiche dell’attore accertate dai CTU, i quali hanno anche evidenziato frequenti attacchi d’ira e reazioni incontrollate: danno valutabile unitariamente nel suo aspetto di sofferenza interiore già patita (soprattutto da M. M., per la compromissione del rapporto di coniugio) e patienda (soprattutto dalla minore K., per la precocissima compromissione del rapporto con la figura paterna), nonché in quanto conseguenza della lesione dei diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.) da riconoscersi in capo alle due congiunte di R. L.. Avuto pertanto riguardo a tali aspetti, al sesso, all’età (ventottenne all’epoca del sinistro la signora M., di appena due anni la piccola K.), alle condizioni di vita delle intervenute (ed all’intervenuta separazione, a quanto consta, dei due coniugi), si ritiene equo liquidare, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, alla minore K. L. l’importo già rivalutato di Euro 300.000,00 ed alla signora M. M. l’importo già rivalutato di Euro 150.000,00.
Anche su tali importi andranno calcolati, secondo gli esplicitati criteri, gli interessi compensativi dalla data del sinistro e gli interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo effettivo.
Pertanto i convenuti in solido devono essere condannati al pagamento, in favore di L. R. e M. M., quali genitori esercenti la potestà sulla figlia minore L. K. e a M. M. in proprio, delle somme, rispettivamente, di Euro 300.000,00 e di Euro 150.000,00, oltre interessi compensativi su ciascuna somma al tasso annuo medio ponderato del 3% dalla data del sinistro ad oggi ed interessi legali su ciascuna delle predette somme di Euro 300.000,00 ed Euro 150.000,00 da oggi al saldo effettivo.
Quanto esposto è assorbente rispetto alle altre domande, eccezioni ed istanze proposte dalle parti.
Le spese della consulenza tecnica d’ufficio vanno poste a carico dei convenuti in solido.
Consegue alla soccombenza la condanna dei convenuti in solido a rifondere le spese processuali all'attore (da liquidarsi in favore degli avv.ti Giuseppe Centola ed Ezio Centola, antistatari ex art. 93 c.p.c.), agli intervenuti (da liquidarsi in favore dell’avv. Ferruccio Felice, antistatario ex art. 93 c.p.c.) ed al terzo chiamato.
La presente sentenza è dichiarata provvisoriamente esecutiva ex lege.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, così provvede:
*
dichiara la responsabilità esclusiva di X. nella causazione del sinistro occorso a L. R. il 28.08.2002;
*
condanna i convenuti in solido X., Ph Services e U.C.I. al pagamento, in favore dell'attore, della somma di Euro 61.326,30, oltre interessi come specificati in motivazione;
*
condanna i convenuti in solido X., Ph Services e U.C.I. al pagamento, in favore di L. R. e M. M. in qualità di genitori esercenti la potestà sulla minore L. K., della somma di Euro 300.000,00, oltre interessi come specificati in motivazione;
*
condanna i convenuti in solido X., Ph Services e U.C.I. al pagamento, in favore di M. M. in proprio, della somma di Euro 150.000,00, oltre interessi come specificati in motivazione;
*
condanna i convenuti in solido X., Ph Services e U.C.I. al pagamento, in favore dell’INAIL, delle somme di Euro 254.576,00 e di Euro 185.582,70, oltre interessi legali dal 18.03.2005 al saldo;
*
rigetta le altre domande, eccezioni ed istanze proposte dalle parti;
*
pone le spese della consulenza tecnica d’ufficio a carico dei predetti convenuti in solido;
*
condanna i predetti convenuti in solido a rifondere all'attore, le spese processuali, che liquida in Euro 1.463,63 per anticipazioni, Euro 232,00 per esborsi, Euro 7.200,00 per diritti, Euro 18.000,00 per onorario di avvocato, Euro 3.150,00 per spese generali, oltre C.P.A. ed I.V.A., da liquidarsi in favore degli avv.ti Giuseppe Centola ed Ezio Centola, antistatari;
*
condanna i predetti convenuti in solido a rifondere agli intervenuti, le spese processuali, che liquida in Euro 2.070,62 per esborsi ed anticipazioni, Euro 4.113,00 per diritti, Euro 12.000,00 per onorario di avvocato, Euro 2.014,13 per spese generali, oltre C.P.A. ed I.V.A., da liquidarsi in favore dell’avv. Ferruccio Felice, antistatario;
*
condanna i predetti convenuti in solido a rifondere al terzo chiamato, le spese processuali, che liquida in Euro 20,00 per esborsi, Euro 5.749,00 per diritti, Euro 12.000,00 per onorario di avvocato, Euro 2.218,63 per spese generali, oltre C.P.A. ed I.V.A.;
*
dichiara la presente sentenza provvisoriamente esecutiva.
Milano, 9 giugno 2009.
Il Giudice Istruttore
in funzione di giudice unico
Iscriviti a:
Post (Atom)
Address
Studio Legale avv. Santo De Prezzo
Erchie (Brindisi - Italy) via Principe di Napoli, 113
DPR SNT 58E29 L280J - P.I. 00746050749 - phone +39 0831 767493 - mob. +39 347 7619748