lunedì 19 marzo 2007

Procedimenti sanzionatori edilizi: motivazione


TAR Lazio-Roma, sez. II ter, sentenza 04.12.2006 n° 13652



Il concetto di disponibilità di cui all'art. 3 della L. n. 241 del 1990 non comporta che l'atto amministrativo richiamato "per relationem " debba essere unito imprescindibilmente al documento, bensì che il documento sia reso disponibile a norma della stessa legge, vale a dire che esso possa essere acquisito utilizzando il procedimento di accesso ai documenti amministrativi. In sostanza, detto obbligo determina che la motivazione del provvedimento deve essere portata nella sfera di conoscibilità legale del destinatario, sicché nella motivazione "per relazione" è sufficiente che siano espressamente indicati gli estremi dell'atto richiamato, mentre non è necessario che lo stesso sia allegato, dovendo essere messo a disposizione e mostrato su istanza di parte.

La normativa generale sull'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo ai possibili destinatari dell'emanando provvedimento, di cui agli art. 7 e ss. della L. n. 241 del 1990, deve trovare applicazione anche nei procedimenti preordinati all'emanazione di provvedimenti di ingiunzione della demolizione di opere edili abusive, laddove il Comune non abbia emesso alcun provvedimento di sospensione dei lavori, suscettibile di assumere una tale natura.

La mancata indicazione di precisi confini ovvero dell'area di sedime che verrebbe acquisita nell'ipotesi di inottemperanza all'ordine di demolizione non costituisce causa di illegittimità dell'ingiunzione a demolire, in quanto tali indicazioni più propriamente si appartengono al successivo atto di accertamento dell'inottemperanza e di acquisizione gratuita al patrimonio comunale.

Sono questi i passaggi fondamentali che hanno determinato il T.A.R. Lazio a respingere una richiesta di annullamento di un atto di diffida alla sospensione di lavori di realizzazione di un intervento edilizio abusivo e contestuale diffida alla demolizione di quanto fino ad allora realizzato.

Il ricorrente, invero, contesta diversi motivi di illegittimità dell’atto.

All’asserita carenza di motivazione per mancata allegazione del verbale di accertamento con il quale si sono rilevati i comportamenti non leciti del ricorrente, il T.A.R. risponde rammentando che è la conoscenza c.d. “legale” – effettuata a mezzo di indicazione dei riferimenti di ufficio (data, numero protocollo, ecc.) – quella che conta al fine di soddisfare la “disponibilità” contenuta nella disposizione di cui all’articolo 3 della legge n. 241/1990, mentre nessun obbligo imponeva all’amministrazione di portare l’interessato a conoscenza dei contenuti del verbale medesimo con la materiale inclusione (che integrerebbe la c.d. conoscenza “materiale”) dello stesso alla diffida. Del resto, dati gli estremi, l’interessato può sempre accedere agli atti del procedimento e visionare o estrarre copia del verbale stesso.

Il Collegio giudicante, poi, afferma che «dopo l'entrata in vigore della L. 28 febbraio 1985 n. 47 per demolire un'opera edilizia abusiva non è più necessaria la puntuale indicazione delle ragioni di pubblico interesse che inducono il Comune ad agire. La legge ha consentito a chi aveva posto in essere attività urbanistiche senza, o in difformità, del titolo autorizzatorio, di sanare gli abusi tramite il pagamento di una somma a titolo di oblazione. Se l'interessato non si è avvalso di tale possibilità, ovviamente ciò ha fatto a suo rischio, con la conseguenza, tra l'altro, di non poter pretendere, in caso di emissione del conseguente e necessitato ordine di demolizione, che il Comune valuti altri elementi oltre al mero dato fattuale dell'esistenza dell'abuso»; in tal senso è ragionevole ritenere che, ove il ricorrente avesse voluto tutelarsi, avrebbe potuto farlo tempestivamente proponendo istanza di sanatoria.

Il Giudice amministrativo stabilisce, poi, che non vi è necessità di comunicazione di avvio del procedimento ex articolo 7 della l. n. 241/1990 se l’ingiunzione a demolire è preceduta da un ordine di sospensione dei lavori.

Tuttavia, simile affermazione va ben contestualizzata.

Oltre a quanto riportato in massima, infatti, recita la decisione che «l'avviso previsto dall'art. 7 della L. n. 241 del 1990 non è, tuttavia, dovuto nel caso di procedimento volto all'erogazione della demolizione di una costruzione eseguita senza titolo o relativa ad abusi che non necessitino di particolari valutazioni discrezionale, ma comporti, invece, un semplice accertamento di natura tecnica sulla consistenza delle opere, atteso che la prescrizione che impone la comunicazione d'avvio deve essere applicata nel contesto generale dei principi che presidiano il procedimento amministrativo e va, quindi, coordinata con il principio di speditezza dell'azione amministrativa»; e ancora, «nella specie, la partecipazione dei privati al procedimento non avrebbe potuto in nulla modificare il contenuto della statuizione amministrativa (atteso che la stessa documentazione prodotta in sede giurisdizionale non fornisce alcuna prova o indizio tecnico in tal senso rilevante), per cui deve ritenersi che gli interessati non avrebbero potuto introdurre alcun elemento utile ai fini di una più compiuta istruttoria procedimentale - nell’ambito della quale la comunicazione dell’avvio del procedimento avrebbe permesso al privato di richiedere la concessione od autorizzazione in sanatoria, in relazione alla sostanziale conformità dell'opera con la destinazione di zona e con la relativa disciplina urbanistica - prima dell'adozione della determinazione repressiva».

Ciò, pertanto, non appare affermare una sostanziale equivalenza de jure fra comunicazione ex articolo 7 della l. n. 241/1990 e diffida di sospensione dei lavori, quanto, piuttosto, un’equivalenza giustificata solo nel caso in esame.

Tale passaggio logico appare, pertanto, come un obiter dictum che, in sostanza, fa “tacitamente” applicazione dell’articolo 21-octies della rinnovata l. n. 241.

Eppure, altra sezione del medesimo T.A.R. ha avuto occasione di ricordare che «in numerose pronunce, il Consiglio di Stato ha assunto un orientamento differente, riconoscendo l’obbligo di procedere alla comunicazione dell’avvio del procedimento in caso di provvedimenti di demolizione, ancorché con l’ammissione di una sostanziale equivalenza tra la previa adozione dell’ordinanza di sospensione dei lavori e la comunicazione de qua» (T.A.R. Lazio - Roma, Sezione I QUATER, sentenza 1 agosto 2006, n. 6693, in questa Rivista).

Sul punto, dunque, il T.A.R. non ha certo contribuito (e, forse, non ha voluto contribuire) a fare chiarezza.



T.A.R.

Lazio - Roma

Sezione II ter

Sentenza 4 dicembre 2006, n. 13652

(Pres. Perrelli, Est. Amicuzzi)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO

SEZIONE SECONDA TER

composto dai signori Magistrati:

Consigliere Michele PERRELLI - Presidente
Consigliere Paolo RESTAINO - Componente
Consigliere Antonio AMICUZZI - Componente relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 1355 del 1995 proposto da C. M., rappresentata e difesa dall’avv. Valeria Mazzarelli, unitamente al quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla Via Donatello n. 71;

CONTRO

il COMUNE di ROMA, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Massimo Baroni, unitamente al quale è elettivamente domiciliato presso l’Avvocatura comunale, in Roma, alla Via del Tempio di Giove n. 21;

il COMUNE di ROMA, CIRCOSCRIZIONE XVI, in persona del Dirigente in carica;

il COMUNE di ROMA, RIPARTIZIONE XV, in persona del Dirigente in carica;

per l’annullamento

della diffida n. 1001 dell’11.10.1994, prot. n. 0033946, del Dirigente della Circoscrizione XVI del Comune di Roma, di sospensione immediata di lavori e di demolizione di opere abusive realizzate in Roma, alla Via del Casale Lombroso, fronte civico n. 109, nonché di ogni ulteriore opera eseguita e di ripristino dello stato dei luoghi;

di tutti gli atti della procedura e di quelle connesse;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Roma;

Vista la memoria prodotta dalla parte resistente a sostegno delle proprie difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi, alla pubblica udienza del 9.10.2006, con designazione del Consigliere Antonio Amicuzzi relatore della causa, il procuratore della parte resistente comparso come da verbale d'udienza; nessuno essendo presente per la parte ricorrente;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

Con ricorso notificato il 12/13.1.1995, depositato il 6.2.1995 la sig. M. C., ha impugnato la diffida n. 1001 dell’11.10.1994, prot. n. 0033946, del Dirigente della Circoscrizione XVI del Comune di Roma, di sospensione immediata di lavori e di demolizione entro 90 giorni di opere abusive (consistenti nello sbancamento di una porzione di terreno, con posa in opera di cordoli di fondazione in c.a. e di 23 plinti in c.a., nonché con parziale posa in opera di carpenteria lignea e metallica per la realizzazione di un piano terra bifamiliare) realizzate in Roma, alla Via del Casale Lombroso, fronte civico n. 109, nonché di ogni ulteriore opera eseguita e di ripristino dello stato dei luoghi, con l’avvertenza che in difetto le opere suddette sarebbero state acquisite al patrimonio comunale, unitamente alle aree di sedime.

A sostegno del gravame sono stati dedotti i seguenti motivi:

1.- Violazione della L. n. 241 del 1990 sotto vari profili.

E’ stato violato l’art. 3 della norma in epigrafe indicata che prescrive l’indicazione dei presupposti di fatto e di diritto posti a base delle determinazioni assunte dall’Amministrazione.

Non è infatti sufficiente indicare, come nel caso che occupa, che sono state realizzate opere senza concessione edilizia, perché tanto non comporta automaticamente la violazione dell’art. 7 della L. n. 47 del 1985, atteso che la costruzione senza titolo abilitativo non è sanzionabile a norma di detto articolo nell’ipotesi in cui le opere siano sanabili ex art. 13 della legge suddetta.

Neppure è sufficiente la indicazione della zona di p.r.g. in cui è stato commesso il presunto abuso allorché, come nel caso che occupa, detta zona non è sottratta in via di principio alla edificazione.

L’atto impugnato è quindi carente della indicazione del contrasto sostanziale con la strumentazione urbanistica di riferimento e delle prescrizioni urbanistiche violate.

Non è inoltre stato reso disponibile il rapporto dei Vigili urbani richiamato nell’atto impugnato e sul quale è fondato.

Non è stato infine detto negativo atto preceduto dalla comunicazione dell'avvio del procedimento, con violazione dell’obbligo previsto dall’art. 7 della L. n. 241 del 1990.

2.- In subordine: Violazione per falsa applicazione dell’art. 7 della L. n. 47 del 1985. Omessa motivazione.

Non è stata indicata la superficie dell’area che, in caso di spontanea demolizione delle opere assuntamente abusive, sarebbe stata acquisita gratuitamente dal Comune, né è stato specificato se esse opere sarebbero state demolite dall’Amministrazione a spese del proprietario o meno.

3.- Incompetenza.

L’adozione del provvedimento impugnato è attribuita alla specifica competenza del Sindaco, con incompetenza del Dirigente superiore della XVI Circoscrizione che ha invece sottoscritto lo stesso.

Con atto depositato il 17.2.1995 si è costituito in giudizio il Comune di Roma.

Con memoria depositata il 14.4.1995 l’Amministrazione resistente ha dedotto la infondatezza del ricorso, concludendo per la reiezione.

Alla pubblica udienza del 9.10.2006 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.- Con il ricorso in esame una interessata ha impugnato la diffida n. 1001 dell’11.10.1994, prot. n. 0033946, del Dirigente della Circoscrizione XVI del Comune di Roma, di sospensione immediata di lavori e di demolizione entro 90 giorni di opere abusive (consistenti nello sbancamento di una porzione di terreno, con posa in opera di cordoli di fondazione in c.a. e di 23 plinti in c.a., nonché con parziale posa in opera di carpenteria lignea e metallica per la realizzazione di un piano terra bifamiliare) realizzate in Roma, alla Via del Casale Lombroso, fronte civico n. 109, nonché di ogni ulteriore opera eseguita e di ripristino dello stato dei luoghi, con l’avvertenza che in difetto le opere suddette sarebbero state acquisite al patrimonio comunale, unitamente alle aree di sedime.

2.- Con il primo motivo di gravame è stata dedotta la violazione della L. n. 241 del 1990, innanzi tutto dell’art. 3, che prescrive l’indicazione dei presupposti di fatto e di diritto posti a base delle determinazioni assunte dall’Amministrazione, perché non sarebbe sufficiente indicare, come nel caso che occupa, che sono state realizzate opere senza concessione edilizia, perché tanto non comporta automaticamente la violazione dell’art. 7 della L. n. 47 del 1985, atteso che la costruzione senza titolo abilitativo non è sanzionabile a norma di detto articolo nell’ipotesi in cui le opere siano sanabili ex art. 13 della legge suddetta.

Secondo il motivo in esame neppure sarebbe sufficiente la indicazione della zona di p.r.g. in cui è stato commesso il presunto abuso allorché, come nel caso che occupa, detta zona non è sottratta in via di principio alla edificazione. L’atto impugnato sarebbe quindi carente della indicazione del contrasto sostanziale con la strumentazione urbanistica di riferimento e delle prescrizioni urbanistiche violate.

Osserva in proposito il Collegio che l'ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è sufficientemente motivata con riferimento all'oggettivo riscontro dell'abusività delle opere ed alla sicura assoggettabilità di queste al regime concessorio (T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 05 gennaio 2006, n. 61), atteso che il presupposto per la sua adozione è soltanto la constatata esecuzione dell'opera in totale difformità dalla concessione o in assenza della medesima.

A tanto consegue necessariamente il dovere per l’Amministrazione di emanare l’ordine di demolizione ex art. 7 della L. n. 47 del 1985, in assenza di presentazione da parte dell’interessato, nelle more, di istanza di sanatoria ex art. 13 della legge medesima.

Dopo l'entrata in vigore della L. 28 febbraio 1985 n. 47 per demolire un'opera edilizia abusiva non è più necessaria la puntuale indicazione delle ragioni di pubblico interesse che inducono il Comune ad agire. La legge ha consentito a chi aveva posto in essere attività urbanistiche senza, o in difformità, del titolo autorizzatorio, di sanare gli abusi tramite il pagamento di una somma a titolo di oblazione. Se l'interessato non si è avvalso di tale possibilità, ovviamente ciò ha fatto a suo rischio, con la conseguenza, tra l'altro, di non poter pretendere, in caso di emissione del conseguente e necessitato ordine di demolizione, che il Comune valuti altri elementi oltre al mero dato fattuale dell'esistenza dell'abuso (T.A.R. Veneto, sez. II, 12 maggio 1998 , n. 666).

Le esaminate doglianze non possono, quindi, essere condivise.

2.2.- E’ stato inoltre lamentato con la censura di cui trattasi che non sarebbe stato reso disponibile il rapporto dei Vigili urbani richiamato nell’atto impugnato e sul quale è fondato.

Osserva al riguardo il Collegio che il concetto di disponibilità di cui all'art. 3 della L. n. 241 del 1990 non comporta che l'atto amministrativo richiamato "per relationem " debba essere unito imprescindibilmente al documento, bensì che il documento sia reso disponibile a norma della stessa legge, vale a dire che esso possa essere acquisito utilizzando il procedimento di accesso ai documenti amministrativi. In sostanza, detto obbligo determina che la motivazione del provvedimento deve essere portata nella sfera di conoscibilità legale del destinatario, sicché nella motivazione "per relazione" è sufficiente che siano espressamente indicati gli estremi dell'atto richiamato, mentre non è necessario che lo stesso sia allegato, dovendo essere messo a disposizione e mostrato su istanza di parte (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 02 settembre 2005, n. 6534).

Nel caso che occupa il provvedimento impugnato fa espresso riferimento al mod. 23Abis della Circoscrizione XVI del Comune di Roma n. 26053 del 20.7.1994, depositato in atti in data 14.4.1995, contenente dati circa le matricole dei vigili urbani che hanno effettuato l’accesso sul luogo in questione, la data dell’accesso, il riferimento al numero del fascicolo formato al riguardo dai vigili stessi e la descrizione degli abusi riscontrati.

Detto atto era disponibile a norma della citata legge n. 241 del 1990 e poteva essere acquisito utilizzando il procedimento di accesso ai documenti amministrativi, sicché, per il principio in precedenza riportato, la censura è da valutare negativamente.

2.3.- E’ stato infine dedotto con il ridetto motivo che il negativo atto impugnato non sarebbe stato preceduto dalla comunicazione dell'avvio del procedimento, con violazione dell’obbligo previsto dall’art. 7 della L. n. 241 del 1990.

Osserva il Collegio che la normativa generale sull'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo ai possibili destinatari dell'emanando provvedimento, di cui agli art. 7 e ss. della L. n. 241 del 1990, deve trovare applicazione anche nei procedimenti preordinati all'emanazione di provvedimenti di ingiunzione della demolizione di opere edili abusive, laddove il Comune non abbia emesso alcun provvedimento di sospensione dei lavori, suscettibile di assumere una tale natura (Consiglio Stato , sez. IV, 27 gennaio 2006 , n. 399).

L'avviso previsto dall'art. 7 della L. n. 241 del 1990 non è, tuttavia, dovuto nel caso di procedimento volto all'erogazione della demolizione di una costruzione eseguita senza titolo o relativa ad abusi che non necessitino di particolari valutazioni discrezionale, ma comporti, invece, un semplice accertamento di natura tecnica sulla consistenza delle opere, atteso che la prescrizione che impone la comunicazione d'avvio deve essere applicata nel contesto generale dei principi che presidiano il procedimento amministrativo e va, quindi, coordinata con il principio di speditezza dell'azione amministrativa.

Nella specie, la partecipazione dei privati al procedimento non avrebbe potuto in nulla modificare il contenuto della statuizione amministrativa (atteso che la stessa documentazione prodotta in sede giurisdizionale non fornisce alcuna prova o indizio tecnico in tal senso rilevante), per cui deve ritenersi che gli interessati non avrebbero potuto introdurre alcun elemento utile ai fini di una più compiuta istruttoria procedimentale (T.A.R. Calabria Reggio Calabria, 24 novembre 2005 , n. 2079) - nell’ambito della quale la comunicazione dell’avvio del procedimento avrebbe permesso al privato di richiedere la concessione od autorizzazione in sanatoria, in relazione alla sostanziale conformità dell'opera con la destinazione di zona e con la relativa disciplina urbanistica - prima dell'adozione della determinazione repressiva (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 9 settembre 2005, n. 6785).

Il destinatario dell'ordine di demolizione non preceduto dalla preventiva comunicazione dell'avvio del procedimento ovvero dalla notifica dell'ordine di sospensione lavori (idonea ad integrare l'esigenza partecipativa ex art. 7 L. 7 agosto 1990 n. 241) non può, invero, limitarsi, in sede di impugnativa, a dedurre la mera violazione dell'art. 7 della L. n. 241, ma ha l'obbligo di evidenziare nel ricorso, al fine di contrastare la presunzione sul carattere abusivo dell'opera, quei fatti e circostanze che egli avrebbe rappresentato all'Amministrazione se fosse stato informato dell'avvio del procedimento repressivo, così da prospettare una visione più completa di tutti gli elementi presenti nella vicenda edificatoria, ritenuta in contrasto con le previsioni urbanistico - edilizie, nel contempo consentendo al Giudice di valutare con cognizione di causa la fondatezza della censura (T.A.R. Lazio, Latina, 13 dicembre 2001, n. 1168).

Nel caso che occupa detti fatti non risultano dedotti e provati, sicché la censura in esame non può essere condivisa.

3.- Con la seconda censura posta a base del ricorso è stata, in subordine, dedotta la violazione per falsa applicazione dell’art. 7 della L. n. 47 del 1985 per omessa motivazione. Non sarebbe stata indicata la superficie dell’area che, in caso di spontanea demolizione delle opere assuntamente abusive, sarebbe stata acquisita gratuitamente dal Comune, né sarebbe stato specificato se esse opere sarebbero state demolite dall’Amministrazione a spese del proprietario o meno.

Il motivo è, ad avviso del Collegio, non suscettibile di positivo apprezzamento atteso che la mancata indicazione di precisi confini ovvero dell'area di sedime che verrebbe acquisita nell'ipotesi di inottemperanza all'ordine di demolizione non costituisce causa di illegittimità dell'ingiunzione a demolire, in quanto tali indicazioni più propriamente si appartengono al successivo atto di accertamento dell'inottemperanza e di acquisizione gratuita al patrimonio comunale (T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 04 giugno 2004 , n. 3371).

4.- Con il terzo motivo di ricorso è stata eccepita incompetenza del Dirigente superiore della XVI Circoscrizione che ha sottoscritto il provvedimento impugnato, essendo la adozione dello stesso attribuita alla specifica competenza del Sindaco.

Osserva il collegio che l'art. 51, comma 3, della L. 8 giugno 1990 n. 142, nel testo vigente all’epoca della adozione dell'atto impugnato, prevedeva che "Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione di atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, che la legge e lo statuto espressamente non riservino gli organi di governo dell'ente. Spettano ad essi in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto, la presidenza delle commissioni di gara e di concorso, la responsabilità sulle procedure d'appalto e di concorso, la stipulazione dei contratti".

Anche prima che l'art. 2, comma 12, l. 16 giugno 1998, n. 191, espressamente attribuisse al dirigente il potere di ordinare la demolizione d'ufficio in caso di inosservanza dell'ordine di rimozione rivolto all'autore dell'abuso, la competenza in siffatta materia era quindi del Dirigente e non del Sindaco, essendo il relativo potere espressione di discrezionalità tecnica (T.A.R. Lombardia Brescia, 4 luglio 2000, n. 610); ciò in particolare in ipotesi di atti emanati nell’ambito del Comune di Roma, il cui statuto, all'art. 27, comma 2, prevede che quella di emanare detto ordine sia una funzione rientrante in quelle esercitate dai Dirigenti dello stesso Comune.

La censura in esame non può quindi essere favorevolmente apprezzata.

5.- Il ricorso deve essere, pertanto, respinto.

6.- Le spese del giudizio, stante particolarità della fattispecie, possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sezione seconda ter - respinge il ricorso in epigrafe indicato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla pubblica amministrazione.

Così deciso in Roma, dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio - Sezione II ter -, nella camera di consiglio del 9.10.2006, con l’intervento dei signori Magistrati elencati in epigrafe.

Consigliere Michele PERRELLI Presidente

Consigliere Antonio AMICUZZI Estensore

Depositata in data 4 dicembre 2006.

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