sabato 10 marzo 2007

Interesse ad agire dei vicini, sopraelevazione, distanze dei fabbricati


La situazione giuridica soggettiva azionata dai proprietari di immobili situati nelle immediate vicinanze dell'opera assentita ed ivi residenti, comporta la sussistenza di quella situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato richiesta per la titolarità della potestà di impugnativa in materia e al riguardo laddove i ricorrenti facciano valere in primo luogo un interesse giuridicamente protetto di natura urbanistica, quale è quello dell'osservanza delle prescrizioni regolatrici dell'edificazione, non occorre procedere ad alcuna ulteriore indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione (vd. ad es. CdS, IV, n. 6467/2005);

la sopraelevazione - per tale intendendosi qualsiasi costruzione che si eleva al di sopra della linea di gronda di un preesistente fabbricato- deve rispettare le distanze legali tra costruzioni stabilite dalla normativa vigente al momento della realizzazione della stessa, poiché comporta sempre un aumento della volumetria preesistente (vd. ad es. TAR Puglia Lecce, n. 565/2006);

le norme sulle distanze dei fabbricati contenute nel D.M. n. 1444 del 1968, a differenza di quelle sulle distanze dai confini derogabili mediante convenzione tra privati, hanno carattere pubblicistico e inderogabile, in quanto dirette alla tutela di interessi generali in materia urbanistica, sicchè l'inderogabile distanza di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti vincola anche i comuni in sede di formazione e di revisione degli strumenti urbanistici, con la conseguenza che ogni previsione regolamentare in contrasto con il suddetto limite minimo è illegittima essendo consentito alla p.a. solo la fissazione di distanze superiori (vd. ad es. TAR Liguria, 1027/2005);

gli strumenti urbanistici locali devono osservare la prescrizione di cui all'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 che prevede la distanza minima inderogabile di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti; pertanto, nel caso di norme contrastanti , il giudice è tenuto ad applicare la disposizione di cui al citato art. 9, in quanto automaticamente inserita nello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima (vd. ad es. Cass. Civile, n. 12741/2006);

in linea di diritto deve escludersi che l'ampliamento di un fabbricato attraverso la sopraelevazione di un piano possa configurarsi alla stregua di una mera ristrutturazione. Infatti ai fini dell'individuazione della tipologia di un intervento edilizio, il concetto di sopraelevazione si differenzia da quello di mero innalzamento, dovendosi considerare che quest'ultimo, specie se modesto ed inidoneo a determinare un incremento volumetrico, può risultare compatibile con la nozione di ristrutturazione, mentre altrettanto non può affermarsi nel caso di una sopraelevazione che sia inscindibilmente connessa all'incremento volumetrico in ragione di un rapporto di causa ed effetto e che sia quindi diretta all'accrescimento della cubatura di un fabbricato (vd. ad es. TAR Piemonte, n. 1603/2003);

le autorizzazioni paesaggistiche, sebbene abbiano natura di atti ampliativi della sfera giuridica dei destinatari, debbono essere congruamente motivate in modo che possa essere ricostruito l'iter logico che ha condotto a ritenere le opere autorizzate non lesive dei valori paesistici sottesi all'imposizione del vincolo (vd. ad es. TAR Liguria n. 1408/2005).


T.A.R. Liguria

Sezione I

Sentenza 19 dicembre 2006, n. 1711

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LIGURIA

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 508 del 2003, proposto da B.A., M.G., B.E., M.M., F.A.M., rappresentati e difesi dagli Avv.ti R.F. e C.I., elettivamente domiciliati presso quest’ultimo in xxx

contro

Comune di Riva Ligure, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’Avv. R.D., elettivamente domiciliato presso lo stesso in xxx

Regione Liguria, in persona del Presidente in carica, non costituitosi in giudizio;

nei confronti di

Società C., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli Avv.ti M.A. e G.G., elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in xxx

M.M., non costituitosi in giudizio;

per l'annullamento

del provvedimento 08.03.2002 n. 9/2002, avente ad oggetto "concessione edilizia per un intervento di sopraelevazione di un fabbricato di un fabbricato a destinazione commerciale", nonché per l'annullamento della autorizzazione paesaggistico ambientale 1° agosto 2001.

visto il ricorso con i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Riva Ligure e della Società controinteressata;

viste le memorie difensive;

visti gli atti tutti della causa;

designato relatore per la pubblica udienza del 30 novembre 2006 il giudice Dr. Davide Ponte;

uditi altresì i procuratori delle parti come da verbale d’udienza;

ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

Con il gravame introduttivo del giudizio gli odierni ricorrenti esponevano, in qualità di proprietari di unità immobiliari site nel condominio di via A. ponente n. 61 confinante con l’immobile in questione, di aver constatato in quest’ultimo l’inizio di lavori di demolizione e costruzione di nuovo fabbricato con sopraelevazione. L’accesso agli atti consentiva di verificare il rilascio del titolo in epigrafe, concernente l’assenso anche paesaggistico per le opere di sopraelevazione con mutamento di destinazione d’uso da locale deposito a locale vendita – deposito.

Agli atti impugnati si muovevano pertanto le seguenti censure:

- violazione degli artt. 12 n.t.a. PRG di Riva ligure e 3 legge 241/90, difetto di motivazione, istruttoria e presupposto, nonché travisamento dei fatti, per mancato rispetto delle caratteristiche tipologiche - architettoniche;

- violazione degli artt. 12 cit., 873 c.c., 41-quinquies legge 1150/42, 9 d.m. 2/4/68, 2 codice della strada e 26 – 28 del regolamento attuativo, eccesso di potere sotto i profili del travisamento dei fatti e del difetto di motivazione, istruttoria e presupposto, per violazione delle distanze tra fabbricati;

- violazione degli artt. 8 PRG, 41-sexies legge 1150 cit. e 5 d.m. cit, insufficienza degli standards e illegittima modifica della destinazione d’uso;

- violazione dell’art. 46 reg. edilegge, insufficiente altezza interna;

- violazione dell’art. 2 legge 1086/71 e 11 r.d. 724/29, incompetenza del geometra a sottoscrivere un progetto di tali dimensioni;

- violazione della legge 64/74, del d.m. 16/1/96, degli artt. 3 reg. edil., 9 e 17 legge 373/71, 9 d.m. 236/89, difetto di istruttoria e di presupposto, travisamento dei fatti, per mancata specificazione del progetto e carenze negli allegati tecnici;

- violazione dell’art. 49 PTCP, difetto di presupposto e travisamento di fatto, per insufficiente motivazione dell’autorizzazione paesaggistica;

- violazione dell’art. 7 legge 241 cit. e difetto di istruttoria per mancata comunicazione di avvio del procedimento.

Il Comune di Riva ligure e la società controinteressata, costituitisi in giudizio, chiedevano la declaratoria di inammissibilità - irricevibilità ed il rigetto del gravame.

Alla pubblica udienza del 30/11/2006, cui la causa giungeva da rinvio conseguente alla rinuncia alla istanza di sospensiva, la causa passava in decisione.

DIRITTO

In via preliminare, vanno esaminate le eccezioni processuali dedotte dalle parti resistenti.

In primo luogo, la difesa comunale ha eccepito il difetto di legittimazione dei ricorrenti.

Se l’eccezione appare erroneamente formulata, atteso che la legittimazione si fonda sull’asserzione di situazioni legittimanti in capo alla medesima parte ricorrente mentre nella specie si contesta la sussistenza dei presupposti del necessario interesse a ricorrere, la stessa è comunque infondata: in linea di fatto assumono rilievo le situazioni giuridiche soggettive fondate sulle non smentite dichiarazioni concernenti la titolarità della proprietà di immobili siti nel condominio confinante con quello oggetto dei lavori contestati; in linea di diritto assume rilievo la costante opinione giurisprudenziale a tenore della quale la situazione giuridica soggettiva azionata dai proprietari di immobili situati nelle immediate vicinanze dell'opera assentita ed ivi residenti, comporta la sussistenza di quella situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato richiesta per la titolarità della potestà di impugnativa in materia e al riguardo, laddove i ricorrenti facciano valere in primo luogo un interesse giuridicamente protetto di natura urbanistica, quale è quello dell'osservanza delle prescrizioni regolatrici dell'edificazione, non occorre procedere ad alcuna ulteriore indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione (cfr. ad es. Consiglio Stato , sez. IV, 21 novembre 2005, n. 6467 e T.A.R. Liguria, sez. I, 07 aprile 2006 , n. 355). Tali considerazioni generali trovano riscontro nel caso de quo in cui l’interesse dei ricorrenti si fonda sulla titolarità di immobili confinanti. Analoga conclusione consegue per l’eccezione di inammissibilità formulata dalla società controinteressata.

Parimenti infondata è l’eccezione, formulata dalla difesa comunale, di inammissibilità per difetto di contraddittorio, derivante dalla mancata intimazione della Soprintendenza. Invero, nel caso de quo il titolo paesaggistico è stato rilasciato dalla stessa amministrazione comunale e l’amministrazione statale non ha inteso esercitare il proprio potere discrezionale di annullamento del medesimo nulla osta: conseguentemente amministrazione parte necessaria non può che essere quella che ha adottato l’atto impugnato, non anche quella che avrebbe potuto, nell’esercizio della propria discrezionalità, intervenire in via eventuale ed autonoma entro un termine decadenziale al fine di annullare il medesimo titolo all’esito di un autonomo iter procedimentale.

Infine, del pari infondata appare l’ulteriore eccezione, formulata dalla difesa della società controinteressata in termini di irricevibilità del gravame in quanto proposto oltre il termine decadenziale. Infatti, in linea generale costituisce principio pacifico in giurisprudenza quello per cui la conoscenza effettiva e completa della concessione edilizia rilasciata a terzi - che deve essere provata da chi eccepisce la tardività dell' impugnazione - si verifica di regola, in mancanza di diversi mezzi di inoppugnabile prova, con l' ultimazione dei lavori di costruzione dell'immobile e non con solo il loro inizio occorre pertanto che le parti evidenzino elementi di prova di una conoscenza anteriore dell'opera assentita e della sua consistenza o una ultimazione dei lavori in epoca anteriore oltre sessanta giorni rispetto alla proposizione del ricorso (cfr. ad es. Consiglio Stato , sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2295 e T.A.R. Liguria, sez. I, 12 ottobre 2005, n. 1349).

Nel caso di specie parte resistente non ha assolto al relativo onere probatorio, non avendo fornito alcun elemento in base al quale ipotizzare una piena conoscenza del titolo e del progetto assentito in data anteriore all’ultimazione dei lavori (che la stessa parte ricorrente individua come avvenuta in data 15/3/2003 rispetto alla quale tempestiva appare quindi la notifica del ricorso in data 2/4/2003).

Passando all’analisi del merito, il ricorso appare fondato in relazione ad alcuni dei motivi dedotti.

Con il primo motivo parte ricorrente lamenta la violazione della pianificazione vigente per mancato rispetto delle caratteristiche tipologiche ed architettoniche. La censura appare infondata sulla scorta di una applicazione ragionevole del disposto di piano invocato, in quanto il mantenimento delle caratteristiche deve essere riferito al contesto e non alla situazione del singolo immobile, in specie laddove, come nel caso de quo, lo stesso sia in condizioni fatiscenti e comunque incoerenti con il predetto contesto, tanto che l’originario fabbricato risulta essere stato mantenuto solo sulla scorta di un condono edilizio.

A diverse conclusioni deve giungersi relativamente al secondo motivo di gravame, con cui parte ricorrente contesta la violazione della normativa in materia di distanze tra fabbricati, essendo inferiore sia ai dieci che ai tre metri.

In proposito le difese resistenti, se in linea di fatto sostengono la sussistenza di una distanza pari a 3,10 metri, in linea di diritto assumono l’inapplicabilità della normativa invocata sulla scorta della ritenuta prevalenza della normativa di piano di Riva ligure la quale, nel consentire la sopraelevazione degli immobili siti lungo l’Aurelia, supererebbe la disciplina invocata dal ricorrente, la quale non sarebbe applicabile alle sopraelevazioni.

La censura è fondata in base a diversi livelli di principio.

In primo luogo, osserva il Collegio, costituisce principio costante e pienamente condivisibile quello in base al quale la sopraelevazione - per tale intendendosi qualsiasi costruzione che si eleva al di sopra della linea di gronda di un preesistente fabbricato - deve rispettare le distanze legali tra costruzioni stabilite dalla normativa vigente al momento della realizzazione della stessa, poiché comporta sempre un aumento della volumetria preesistente (cfr. ad es. T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 27 gennaio 2006, n. 565 e Cassazione civile sez. II, 12 gennaio 2005, n. 400).

In secondo luogo, analoga natura di principio deve essere riconosciuta alla normativa in tema di distanze tra edifici statuita dalla normativa invocata da parte ricorrente. Al riguardo va infatti ribadito che ha natura inderogabile la norma sulle distanze minime fra edifici, essendo disposizione di ordine pubblico atta ad evitare intercapedini dannose per la salute pubblica; in particolare, la normativa dettata dall'art. 9 comma 1 d.m. 2 aprile 1968 n. 1444, laddove prescrive per gli edifici ricadenti in zone territoriali diverse dalla zona A la distanza minima assoluta di dieci metri tra le pareti di edifici antistanti, è tassativa ed inderogabile , con l'unica eccezione di edifici ricompresi in un piano particolareggiato.

Le norme sulle distanze dei fabbricati contenute nel d.m. citato quindi, a differenza di quelle sulle distanze dai confini derogabili mediante convenzione tra privati, hanno carattere pubblicistico e inderogabile, in quanto dirette, più che alla tutela di interessi privati, a quella di interessi generali in materia urbanistica, sicché l' inderogabile distanza di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti vincola anche i comuni in sede di formazione e di revisione degli strumenti urbanistici, con la conseguenza che ogni previsione regolamentare in contrasto con l'anzidetto limite minimo è illegittima essendo consentita alla p.a. solo la fissazione di distanze superiori. (cfr. ad es. T.A.R. Liguria, Genova, sez. I, 07 luglio 2005, n. 1027).

Più in generale, sulla costante valenza della disciplina predetta, poiché l'art. 136 t.u. 6 giugno 2001 n. 380, nell'abrogare (con effetto ex nunc) l'art. 17, comma 1 lett. c), delle legge n. 765 del 1967, ha lasciato in vigore i commi 6, 8, 9, dell'art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, gli strumenti urbanistici locali devono osservare la prescrizione di cui all'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, che prevede la distanza minima inderogabile di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti; pertanto, nel caso di norme contrastanti, il giudice è tenuto ad applicare la disposizione di cui al citato art. 9, in quanto automaticamente inserita nello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima (cfr. ad es. Cassazione civile, sez. II, 29 maggio 2006, n. 12741).

Inoltre, nel nuovo contesto costituzionale post riforma del titolo V della parte seconda della Carta fondamentale, assumono rilievo la natura delle norme sulle distanze, il richiamo espresso contenuto nel testo unico dell'edilizia ed il loro inquadramento ai sensi dell'art. 117 lett. l) ed m) Cost.: da ciò non può che conseguire un’applicazione della normativa in materia sulla scorta dell’unica opzione ermeneutica conforme a Costituzione.

Analoga interpretazione deve essere a maggior ragione posta a fondamento dell’esame applicativo delle norme di piano: in proposito, se da un lato l’art. 12 punto 5 n.t.a. costituisce una disciplina specifica per le sopraelevazioni, senza che la stessa fornisca alcun concreto e diretto elemento in contraria direzione rispetto ai principi suddetti (sia in termini di nuova costruzione sia di rispetto delle inderogabili distanze), dall’altro lato il successivo punto 7 comunque indica distanze ben superiori ai 3 metri invocati dai resistenti.

Del pari fondato appare il terzo ordine di rilievi con cui parte ricorrente lamenta la insufficienza degli standards e l’illegittima modifica della destinazione d’uso. Come già sopra evidenziato, l’intervento assentito ha comportato la demolizione del manufatto preesistente (ad un piano) e la realizzazione di un edificio di due piani, destinato commercialmente non solo a deposito ma altresì a fini di vendita diretta: da ciò consegue la necessità di rispettare gli standards invocati da parte ricorrente, nonché la verifica da parte dell’amministrazione in ordine alla effettiva compatibilità della mutata destinazione funzionale.

Se già in linea di fatto e di ragionevolezza è ben ipotizzabile che un intervento quale quello progettato sia foriero di evidenti mutamenti ed incidenze urbanistiche, in linea di diritto deve escludersi in primo luogo che l’ampliamento di un fabbricato attraverso la sopraelevazione di un piano (con un raddoppio dell’ingombro come nel case de quo) possa configurarsi alla stregua di una mera ristrutturazione. A quest’ultimo proposito, va ribadito che ai fini dell'individuazione della tipologia di un intervento edilizio, il concetto di sopraelevazione si differenzia da quello di mero innalzamento, dovendosi considerare che quest'ultimo, specie se modesto ed inidoneo a determinare un incremento volumetrico, può risultare compatibile con la nozione di ristrutturazione, mentre non altrettanto può affermarsi nel caso di una sopraelevazione che sia inscindibilmente connessa all'incremento volumetrico in ragione di un rapporto di causa ed effetto e che sia quindi diretta all'accrescimento della cubatura di un fabbricato (cfr. ad es. T.A.R. Piemonte, Torino, sez. I, 19 novembre 2003, n. 1603). In secondo luogo, la trasformazione da mero deposito a locale commerciale destinato anche alla vendita avrebbe imposto all’amministrazione lo svolgimento di adeguata istruttoria e valutazione dell’incidenza di tali mutamenti rispetto alla situazione preesistente.

Le caratteristiche e la conseguente qualificazione dell’intervento comportano la fondatezza anche del quarto ordine di rilievi, con cui parte ricorrente contesta la violazione dell’altezza minima stabilità dalla norma regolamentare invocata pari a m. 3,50. Al riguardo, nessun rilievo possono assumere in senso contrario le considerazioni svolte dalla difesa comunale, in quanto la preesistenza di m. 3,00 a nulla rileva a fronte di una demolizione e ricostruzione con sopraelevazione in raddoppio del manufatto, e da quella controinteressata, smentita sull’asserito non svolgimento dell’attività di vendita dalla stessa relazione esplicativa del progetto approvato.

Parimenti fondato appare il settimo motivo di gravame, con cui parte ricorrente lamenta la insufficiente motivazione dell’autorizzazione paesaggistica.

In linea di diritto, costituisce principio ormai consolidato quello per cui le autorizzazioni paesaggistiche, quantunque abbiano natura di atti ampliativi della sfera giuridica dei destinatari, debbono essere congruamente motivate in modo che possa essere ricostruito l'iter logico che ha condotto a ritenere le opere autorizzate non lesive dei valori paesistici sottesi all'imposizione del vincolo. In particolare, in sede di esame dell'istanza di autorizzazione paesistica, l'autorità delegata o subdelegata deve motivare l' autorizzazione in modo tale che emerga l'apprezzamento di tutte le rilevanti circostanze di fatto e la non manifesta irragionevolezza della scelta effettuata sulla prevalenza di un valore in conflitto diverso da quello tutelato in via primaria; inoltre, pur se in sede di pianificazione urbanistica sono valutati anche gli interessi di rilievo paesistico ed ambientale, nel corso del procedimento di rilascio dell' autorizzazione paesistica l'autorità delegata o subdelegata deve effettuare le specifiche valutazioni richieste dall'art. 151 d.lg. n. 490 del 1999 (oggi sostituito dall'art. 146 d.lg. n. 42 del 2004), in considerazione della distinzione, che emerge dalla Costituzione, delle materie del paesaggio e dell'urbanistica (cfr. ad es. T.A.R. Liguria, sez. I, 27 ottobre 2005, n. 1408 e Consiglio Stato, sez. VI, 08 novembre 2005, n. 6219).

In linea di fatto, se da un lato è pacifica la sussistenza del vincolo invocato, dall’altro lato l’analisi della documentazione versata in atti evidenzia l’assoluta carenza della necessaria motivazione, la quale, lungi dall’esplicare le valutazioni concernenti i caratteri del vincolo e le caratteristiche dell’intervento, si sostanzia nella seguente mera affermazione: “considerato che l’intervento in oggetto è tale da non compromettere gli equilibri ambientali della zona interessata, di talché pare assentibile alla luce delle previsioni di PTCP”.

Inoltre, va evidenziato come il difetto di motivazione dell'autorizzazione paesaggistica non sia qualificabile nella specie alla stregua di un vizio di forma ai sensi dell'art. 21-octies comma 2 legge n. 241 del 1990, atteso che sottende all'esplicazione di un giudizio connesso alla tutela di interessi primari di tutela ex art. 117 lett. s) Cost., né l'autorizzazione paesaggistica può qualificarsi come atto vincolato (prima parte comma 2), trattandosi di valutazione di compatibilità rispetto ai vincoli sussistenti in loco pienamente discrezionale, né nel caso di specie è stato dedotto alcun difetto di comunicazione (seconda parte comma 2).

A diverse conclusioni deve giungersi relativamente alle restanti censure: infondata è la quinta censura, in quanto genericamente dedotta senza alcun concreto riferimento ai parametri dell’intervento che sarebbero incompatibili con le competenze dei geometri; analoghe considerazioni vanno svolte in merito al sesto ordine di rilievi.

Del pari infondato è l’ultimo ordine di censure, relativo alla mancata comunicazione del procedimento ai confinanti, sulla scorta della costante opinione giurisprudenziale in materia, a tenore della quale in sede di procedimento diretto al rilascio di una concessione edilizia i soggetti potenzialmente legittimati ad impugnare non possono qualificarsi, ai sensi dell'art. 7 legge n. 241 del 1990, in termini di soggetti nei confronti dei quali è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento (cfr. ad es. T.A.R. Liguria, sez. I, 15 novembre 2005, n. 1461).

Alla luce delle considerazioni sopra svolte il ricorso appare fondato in ordine ai profili individuati; ne consegue l’annul-lamento dei provvedimenti impugnati.

Le spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, sez. int. I, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso di cui in epigrafe e per l’effetto annulla gli atti impugnati.

Condanna in solido le parti resistenti costituite alla rifusione di spese ed onorari di giudizio in favore di parte ricorrente, liquidate in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori dovuti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 30/11/2006 con l'intervento dei signori:

Renato Vivenzio, Presidente
Antonio Bianchi, Consigliere
Davide Ponte, Primo Referendario, Estensore





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