lunedì 26 ottobre 2009

Prelazione urbana, rilevanza della difformita' per omessa informazione della provvigione

CASSAZIONE SEZIONE III CIVILE Sentenza 27 maggio - 25 settembre 2009n. 20671

"rileva la previsione del pagamento della provvigione, contenuto nella denuntiatio, quando non sia stato più riprodotto nel rogito di vendita, comportando questo un'alterazione delle condizioni contrattuali, con la concessione, al terzo acquirente, di condizioni di pagamento più vantaggiose, non prevedendo più a suo carico tale pagamento; e di ciò, il conduttore, avente diritto alla prelazione, ha diritto ad una tempestiva ed esatta comunicazione"

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 27 maggio - 25 settembre 2009, n. 20671

(Presidente Di Nanni - Relatore Vivaldi)

Svolgimento del processo


La società S. R. & c. srl conveniva, davanti al tribunale di Venezia, la M.G. Junior sas di F. G. & C., quale locatrice, assumendo che era stato violato il suo diritto di prelazione per l'acquisto dell'immobile ad uso non abitativo, dalla stessa condotto in locazione.

La società convenuta, costituitasi, contestava il fondamento della domanda.

Il tribunale, con sentenza del 9.6.2003, accoglieva la domanda, sostituendo l'attrice nella posizione di acquirente dell'immobile in questione e condannando la convenuta alla restituzione dei canoni medio tempore percepiti.

Quest'ultima proponeva appello e la Corte di Appello, con sentenza del 5.9.2005, in totale riforma della sentenza impugnata, rigettava le domande proposte dalla S. R. & c. srl.

Ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi la S. R. & C. srl.

Resiste la M.G. Junior sas di F. G. & C..

Entrambe le parti hanno presentato memoria.




Motivi della decisione


Preliminarmente devono dichiararsi infondate le eccezioni proposte dall'odierna resistente.

Quanto a quella relativa alla proposizione di questioni nuove in questa sede e difetto di autosufficienza, deve rilevarsi che la ricorrente si è limitata - trascrivendo in ricorso il contenuto dei documenti ritenuti rilevanti e rispettando, quindi, il principio di autosufficienza - a riproporre questioni che hanno già formato oggetto dell'esame di merito, in ordine alle quali, mentre il primo giudice si è pronunciato in senso favorevole alla tesi prospettata dalla S. R. & C. snc, - in ordine alla proposta domanda di riscatto, sul presupposto della differenza tra denuntiatio e contenuto del contratto di vendita dell'immobile a terzi - il giudice di appello, viceversa, ha totalmente accolto l'impugnazione proposta dalla M.G. Junior sas, ritenendo conforme a diritto la condotta dell'attuale resistente.

La S. R. & C. snc, in questa sede, pertanto, lamenta l'erroneità della decisione impugnata, senza sollevare questioni nuove, non affrontate nelle fasi di merito.

Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia la violazione dell'art. 115, comma II, c.p.c. (art. 360, n. 3 e 5 ed in subordine n. 4 c.p.c..

Il motivo è fondato.

Correttamente la ricorrente ha denunciato l'erroneità della sentenza impugnata laddove ha ritenuto che costituisca prassi - integrante un fatto notorio - la circostanza che il venditore di un immobile “salvo patto contrario” proceda a propria cura e spese, alla cancellazione dell'ipoteca, sotto il profilo della violazione dell'art. 115, secondo comma, cod. proc. civ.

In questo caso, la Corte di cassazione deve esercitare il proprio controllo, ripercorrendo il medesimo processo cognitivo dello stato di conoscenza collettiva operato dal giudice del merito (Cass. 9.9.2008 n. 22880).

Ora, la Corte di merito - al fine di escludere che vi fosse differenza fra denuntiatio e clausole del contratto di compravendita, che indicava l'esistenza di un'ipoteca iscritta sull'immobile oggetto della vendita, con obbligo di successiva cancellazione “nel più breve tempo possibile” - ha dato per acclarato la prassi indicata, sottolineando che questo avrebbe comportato un vantaggio anche per la conduttrice.

Ma una tale prassi non integra in alcun modo il fatto notorio, quale fatto acquisito alle conoscenze della collettività.

Inoltre, il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, introducendo, nel giudizio civile, prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati, né controllati, va inteso in senso rigoroso, e cioè - come già detto - come fatto acquisito alle conoscenze della collettività, con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile.

Ne deriva che non si possono reputare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza, intesa quale esperienza di un individuo medio, in un dato tempo e in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implichino cognizioni particolari, od anche soltanto la pratica di determinate situazioni, né quelle nozioni che rientrino nella scienza privata del giudice; e ciò perché quest'ultima, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio (v. anche Cass. 28.2.2008 n. 5232; Cass. 19.11.2007 n. 23978).

Nella specie, la circostanza che il venditore cancelli l'ipoteca gravante sull'immobile all'atto della vendita non può assurgere a fatto notorio, posto che questa appare soltanto una delle facoltà che le parti possono prevedere - nell'ambito della loro autonomia privata - come clausola contrattuale, dovendosi, invece, affermare che le parti avrebbero potuto diversamente convenire; e ciò nell'interesse anche dell'acquirente, che avrebbe potuto giovarsi dell'accollo dell'ipoteca, con conseguente diminuzione del prezzo di acquisto.

Erra, perciò, nuovamente, la Corte di merito che ha ritenuto che il conduttore avrebbe rifiutato di acquistare l'immobile non purgato dall'ipoteca, così esprimendosi “vuoi infine perché presumibilmente la stessa conduttrice giammai avrebbe sottoscritto un rogito senza prima ottenere la totale liberazione del bene”.

Con il secondo motivo denuncia la violazione dell'art. 360, n. 3 e 5 c.p.c. per contraddittorietà della motivazione; violazione dell'art. 2121 c.c. e art. 38, comma 11, l. n. 392/1918.

La ricorrente censura l'errato utilizzo delle presunzioni, quale mezzo di prova e la violazione dell'art. 38 della legge n. 392 del 1978.

Il motivo è fondato.

La Corte di merito, dopo avere enunciato correttamente i principii di diritto in materia di denuntiatio, ha poi, ritenuto irrilevante la circostanza che nella denuntiatio non fosse stata fatta menzione dell'ipoteca esistente sull'immobile, ricorrendo al fatto notorio - oggetto del precedente motivo - secondo il quale sarebbe prassi consolidata quella per cui il venditore avrebbe proceduto a sue spese alla cancellazione dell'ipoteca.

Ma, in tal modo motivando, è incorsa in più violazioni.

Il fatto notorio - come già detto -, nella specie, si è visto non sussistere per le considerazioni più sopra formulate.

Inoltre, la stessa Corte, nel considerare l'irrilevanza della detta menzione, ha anche fatto ricorso alla presunzione, secondo la quale la detta irrilevanza sarebbe stata determinata dalla circostanza che “presumibilmente la stessa conduttrice giammai avrebbe sottoscritto un rogito senza prima ottenere la totale liberazione del bene”.

Un tale ragionamento non è condivisibile.

Il ricorso alle presunzioni, infatti, può essere seguito, al fine di risalire da un fatto noto - come quello appunto ricavabile dal notorio - a quello ignoto.

Ma, se il notorio tale non è - come nella specie - la presunzione non può più costituire un mezzo di prova.

La prassi per la quale, secondo la Corte di merito, salvo patto contrario, la venditrice avrebbe provveduto a sue spese e cura alla cancellazione dell'ipoteca, pertanto, non integra, né il fatto notorio, né può costituire la base dalla quale ricavare il fatto ignoto.

Correttamente, pertanto, la ricorrente ha denunciato, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione dell'art. 2727 c.c. (v. in questo senso anche Cass. 26.6.2008 n. 17535).

Né, può farsi riferimento alla “operatività delle garanzie di legge”, poiché la previsione della cancellazione dell'ipoteca a carico della venditrice costituisce soltanto una delle clausole contrattuali che le parti, nell'esercizio della loro autonomia privata, possono convenzionalmente prevedere.

Con il terzo motivo denuncia ai sensi dell'art. 360, n. 3 e 5 c.p.c.: motivazione contraddittoria e violazione degli art. 38 e 39 l. 392/1918 in relazione agli artt. 1321, 1322, 1324, 1326 e 1329 c.c..

Con il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 38 l. 392/1918 e 1213, 1322, 1324 e 1326 c.c., in relazione agli artt. 360 n. 3 e 5 c.p.c..

Con il quinto motivo denuncia la violazione, ai sensi dell'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c, degli artt. 1180, 1213, 1312 e 1411 c.c..

Con il sesto motivo denuncia la violazione degli artt. 38-39 l. 392/1918 in relazione agli art. 1321, 1322, 1324 e 1326 c.c. e 360 n. 3 e n. 5 c.p.c..

Tali motivi, per l'intima connessione delle censure con gli stessi avanzate, possono essere esaminati congiuntamente.

Essi sono fondati per le ragioni e nei termini che si vanno ad esporre.

La Corte di merito, dopo avere accertato la sussistenza di una discrepanza fra denuntiatio e rogito - per il fatto di non contenere la prima, né la indicazione della esistenza dell'ipoteca e delle sue vicende come più sopra delineate, né l'indicazione dell'obbligo, da parte dell'acquirente, di pagare la somma di lire 25.800.000, a titolo di provvigione all'agente che aveva svolto l'intermediazione, nel termine fissato per il rogito, ed inoltre, - in ordine al pagamento dell'acconto di lire 50.000.000 - che, mentre, nella denuntiatio, era previsto il pagamento immediato, nel rogito, invece, si dava atto del versamento del prezzo di lire 430.000.000 “prima della stipula, ma non già dell'avvenuto pagamento dell'acconto il 07.07.2001 ovvero nei giorni immediatamente successivi” è passato a considerare ed a valutare la opportunità e convenienza dell'operazione come svolta.

Ora, costituisce ius receptum, come già detto, che - in tema di prelazione urbana - vada riconosciuto il diritto di riscatto, non solo nell'ipotesi in cui nella denuntiatio sia stato indicato al conduttore un prezzo superiore a quello risultante dalla vendita conclusa con il terzo, ma anche nel caso in cui, a parità di prezzo, siano state concesse al terzo acquirente condizioni di pagamento più vantaggiose, senza che della stessa sia stata data tempestiva ed esatta comunicazione al conduttore avente diritto alla prelazione (Cass. 6.8.2002 n. 11776; Cass. 9.12.1997 n. 12459; Cass. 16.4.1993 n. 4532; Cass. 1.7.1991 n. 7241).

Infatti, ai sensi dell'art. 38 della legge n. 392 del 1978, la denuntiatio deve indicare, non solo il corrispettivo, ma anche le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa.

La rigorosità del contenuto della denuntiatio prescinde, quindi, dalla sua natura, poiché la completezza della stessa è posto come requisito essenziale dalla legge, e trova la sua giustificazione nel fatto che il conduttore deve essere posto nelle condizioni di valutare compiutamente la convenienza o meno dell'acquisto del bene locatogli (v. in questo senso anche Cass. 1.7.1991 n. 7241).

Ma una tale valutazione spetta al conduttore, non anche al giudice, che deve limitarsi a verificare la coincidenza o meno tra le condizioni contenute nella denuntiatio, al fine dell'esercizio del diritto di prelazione, e quelle contenute nel rogito di vendita a terzi.

Diversamente, il giudice si arroga un potere che gli è precluso, rientrando in quello dispositivo, spettante alle parti.

Al momento della denuntiatio, infatti, è operata una cristallizzazione dei valori che non può più essere mutata in sede di conclusione del contratto di vendita.

Nel caso in esame, la Corte di merito, invece, ha operato una tale valutazione affermando che “L'omessa indicazione dell'esistenza dell'ipoteca, ed il successivo obbligo assunto nel rogito dalla venditrice non si è risolto in un vantaggio a favore dell'acquirente ed in un pregiudizio per la conduttrice”, concludendo che “Non vi era necessità alcuna di darne notizia nella denuntiatio atteso che, comunque, la proprietaria avrebbe dovuto provvedere al trasferimento del bene libero da trascrizioni, iscrizioni e pesi di ogni genere”, e che “anche la conduttrice, al momento della stipula, avrebbe beneficiato del vantaggio”.

In ordine, poi, alle indicazioni, contenute nella denuntiatio, ma non riprodotte nell'atto di vendita dell'immobile all'odierna resistente, deve rilevarsi.

In tema di prelazione di immobili locati ad uso diverso da quello abitativo, la comunicazione della volontà di trasferire il bene a titolo oneroso non ha natura di proposta contrattuale (ovvero di mera informativa di un generico intento di avviare trattative negoziali), ma riveste carattere di atto formale di interpello, vincolato nella forma e nel contenuto; cosicché la corrispondente dichiarazione del conduttore, di esercizio della prelazione, non costituisce l'accettazione di una precedente proposta, e non comporta l'immediato acquisto dell'immobile.

Comporta, invece, la nascita dell'obbligo, a carico di entrambe le parti, di addivenire, entro un preciso termine, alla stipula del negozio di alienazione, con contestuale pagamento del prezzo indicato dal locatore.

Ne consegue, da un canto, che la ricordata comunicazione deve necessariamente provenire dal proprietario dell'immobile, e, dall'altro, che ogni possibilità di libera trattativa tra le parti deve essere incondizionatamente esclusa, essendo interdetta al conduttore ogni facoltà di incidere sul contenuto del contratto già predeterminato dal proprietario, pena la declaratoria di invalidità della prelazione (v. anche Cass. 17.11.1998 n. 11551).

Ora, nella specie, fra le condizioni contenute nella denuntiatio vi era quella per la quale il conduttore avrebbe dovuto pagare il costo della mediazione, indicata nella somma di lire 25.800.000.

Nel rogito di vendita tale condizione non è più riprodotta.

La Corte di merito, a tale proposito, ritiene che “Il pagamento della provvigione costituisce obbligazione che si pone al di fuori del rapporto contrattuale di compravendita, a cui di norma è estraneo, seppure collegato. La mancata indicazione, nel rogito, di tale rapporto è, perciò, del tutto consueta e normale”, aggiungendo “tra l'altro creditore, di tale obbligazione non era la venditrice, ma un soggetto terzo, che aveva piena libertà di decidere, quando e come chiedere e/o ricevere il pagamento del dovuto”.

Un siffatto ragionamento pecca sotto più profili.

In primo luogo è irrilevante - ai fini che qui interessano - la circostanza che l'obbligazione relativa al pagamento della provvigione si ponga all'interno od all'esterno del rapporto di cui si tratta.

Quella che rileva, invece, è che la previsione del pagamento della provvigione, contenuto nella denuntiatio, non sia stato più riprodotto nel rogito di vendita, comportando questo un'alterazione delle condizioni contrattuali, con la concessione, al terzo acquirente, di condizioni di pagamento più vantaggiose, non prevedendo più a suo carico tale pagamento; e di ciò non risulta sia stata data al conduttore, avente diritto alla prelazione, tempestiva ed esatta comunicazione.

Quanto, poi al fatto della irrilevanza della mancata indicazione, nel rogito, del rapporto di mediazione - perché “consueta e normale”, e dell'ulteriore circostanza secondo la quale, creditore di una tale obbligazione (quella relativa al pagamento della provvigione) non sarebbe stata “la venditrice, ma un soggetto terzo, che aveva piena libertà di decidere, quando e come chiedere e/o ricevere il pagamento del dovuto”, deve sottolinearsi che la posizione del mediatore non acquista alcun peso nella vicenda in esame.

Come già si è detto, in questa sede rileva soltanto la ricorrente alterazione delle condizioni contrattuali.

La motivazione adottata, sul punto, dalla Corte di merito, non tiene conto della oggettiva ed accertata differenza delle stesse, come previste nei due atti, tentando di fornire una spiegazione - che non le è richiesta - del perché questa alterazione - sia con riferimento all'ipoteca, sia in relazione al pagamento della provvigione - non altererebbe il meccanismo contrattuale.

Ciò che, invece, interessa è che una tale mancata previsione nel rogito di vendita - unitamente alla mancata menzione dell'ipoteca e delle sue vicende estintive nella denuntiatio (la cui mancata menzione e - viceversa - previsione nel rogito ha inciso sul prezzo di vendita, costituendone parte ) - abbiano impedito al prelazionario di valutare la vantaggiosità dell'affare, al fine dell'esercizio o meno del suo diritto di riscatto dell'immobile.

Di qui la correttezza delle violazioni denunciate.

Conclusivamente, il ricorso va accolto.

Non può essere accolta, invece, l'istanza, formulata dalla ricorrente, ai sensi dell'art. 384, secondo comma, c.p.c., di decisione nel merito, da parte di questa Corte di legittimità.

Ciò è consentito alla Corte di cassazione - operando la cassazione sostitutiva - quando, a seguito dell'accoglimento del ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto.

Ma, a tal fine, non è sufficiente che gli elementi fattuali occorrenti per ricostruire la vicenda in questione siano stati acquisiti al processo nei gradi precedenti.

L'indagine diretta a stabilire la (eventuale) non necessità di ulteriori accertamenti di fatto essere, infatti, compiuta unicamente sul provvedimento impugnato, nel senso che da questo deve emergere la sufficienza degli accertamenti effettuati per poter decidere la causa nel merito (v. anche Cass. 14.5.2003 n. 745).

Il giudice di rinvio, nel caso in esame, dovrà, invece, nuovamente valutare gli elementi di fatto acquisiti, alla luce dei principii di diritto enunciati.

Né è sufficiente che, sulle questioni esaminate, si sia pronunciato, il giudice di primo grado, per l'impossibilità della reviviscenza della sentenza di primo grado.

La sentenza pronunciata dal primo giudice è stata riformata da quella di secondo grado, in questa sede cassata.

Ne deriva che, per l'effetto sostitutivo della sentenza in questa sede impugnata, la pronuncia adottata dal secondo giudice toglie rilievo, nei limiti del principio tantum devolutum quantum appellatum, alla decisione di primo grado (v. anche Cass. 22.5.2006 n. 11928).

Le spese vanno rimesse al giudice del rinvio.




P.Q.M.


La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Venezia in diversa composizione.

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