La Corte ha stabilito che l’audizione, intesa come strumento per raccogliere le opinioni del minore e per dare forma al diritto dello stesso di partecipare alla sua tutela, postula che il minore stesso riceva le informazioni pertinenti ed appropriate con riferimento alla sua età ed al suo grado di sviluppo, a meno che tali informazioni nuocciano al suo benessere. La sentenza – nel fare applicazione, a tale proposto, della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996 – ha osservato che sebbene lo Stato italiano, al momento del deposito dello strumento di ratifica, abbia elencato come campo di applicazione della Convenzione di Strasburgo soltanto quattro procedimenti, senza includervi i procedimenti di sottrazione internazionale dei minori e, in genere, di controllo della potestà genitoriale, nondimeno le disposizioni di detta Convenzione relative all’ascolto del minore, per la loro valenza di principio e per il loro significato promozionale, sono suscettibili di influenzare l’attività interpretativa anche nei procedimenti che si collocano al di fuori dell’elenco delle categorie di controversie formulato dallo Stato italiano al momento del deposito dello strumento di ratifica, orientando il senso delle disposizioni di cui il giudice è chiamato a fare diretta applicazione.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 27 luglio 2007, n. 16753
Svolgimento del processo
1. - Con ricorso ai sensi della L. 15 gennaio 1994, n. 64, art. 7, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Venezia, attivato dall'Autorità centrale presso il Ministero della giustizia, chiese, in applicazione della Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980, il rimpatrio in Slovacchia presso la madre O. B. del minore M.M., nato il ...omissis... a ...omissis..., in quanto trattenuto illecitamente in Italia dal padre naturale M.M..
2. - Nella resistenza del padre naturale, l'adito Tribunale per i minorenni di Venezia, con decreto depositato il 13 ottobre 2006, ha ordinato il ritorno immediato del minore in Slovacchia presso il domicilio della madre.
Ha premesso il Tribunale per i minorenni: che M.M. era vissuto in Slovacchia dalla sua nascita e fino alla sottrazione da parte del padre, salvo brevi periodi di vacanza in Italia; che in particolare il minore dal 2001, dopo la rottura della relazione tra i genitori, aveva abitato a ...omissis... con la madre, incontrando con una certa regolarità il padre che aveva mantenuto una propria abitazione nella medesima città; che il ...omissis... il padre ed il minore erano partiti per una vacanza in Italia, dove avrebbero dovuto restare per quattro settimane per rientrare in Slovacchia il ...omissis..., rientro poi concordemente con la madre procrastinato al ...omissis...; che in data ...omissis... il padre aveva comunicato alla madre che il minore non avrebbe fatto ritorno in Slovacchia, trattenendolo effettivamente presso di sè in Italia; che il padre aveva presentato ricorso ex artt. 317 bis e 336 cod. civ. avanti al Tribunale per i minorenni di Venezia, chiedendo l'emissione di provvedimenti temporanei ed urgenti, ma tale richiesta era stata rigettata dal Tribunale con decreto depositato l'11 agosto 2006; che la madre aveva contemporaneamente presentato ricorso per l'affidamento esclusivo del figlio al Tribunale provinciale di Zvolen, il quale con proprio provvedimento preventivo del 21 agosto 2006 aveva affidato il minore alla cura personale della madre.
Il Tribunale per i minorenni ha quindi dichiarato l'illiceità del trattenimento compiuto dal padre e sussistenti i presupposti per ordinare il rientro del minore presso la madre, rilevando:
- che - premesso che la decisione in ordine al trasferimento all'estero del minore doveva essere presa di comune accordo tra i genitori o, in caso di contrasto, dall'autorità giudiziaria - il mancato rientro del minore in Slovacchia presso la madre era avvenuto in violazione dell'esercizio della potestà genitoriale alla stessa spettante e doveva pertanto considerarsi illecito, avendo il padre violato l'accordo di ricondurre il minore in Slovacchia entro il 1 agosto 2006;
- che non sussisteva il fondato rischio per il minore di essere esposto, per il fatto del suo rientro, a pericoli fisici o psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile, tale non potendosi considerare il progettato trasferimento della madre, e della conseguente residenza del minore, nella città di ...omissis... nell'est della Slovacchia, anche se tale trasferimento poteva rendere più difficile l'esercizio del diritto di divisità del padre;
- che, infine, non poteva ritenersi ostativa la volontà del minore (non ancora undicenne) di rimanere con il padre e di opporsi al rientro, avendo egli addotto motivazione e ragioni ("la scuola è migliore in Italia"; ...omissis... è luogo "poco attrezzato per lo sport") che apparivano riconducibili a quelle udite dagli adulti, piuttosto che frutto di un proprio autonomo convincimento;
- che al volere del minore poteva essere dato il giusto peso, avanti al giudice naturale, nel giudizio relativo alla determinazione dell'affidamento del minore e nella decisione circa le concrete modalità dello stesso, ma esso non appariva, tuttavia, tale da fondare da solo, in presenza di un comportamento di sottrazione illecita da parte del padre ed in assenza di pericolo di grave pregiudizio, una decisione di rigetto del ricorso.
3. - Per la cassazione del decreto del Tribunale per i minorenni ha interposto ricorso il M. con atto notificato il 16 dicembre 2006, svolgendo cinque motivi di censura, illustrati con memoria.
L'intimata O.B. ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale, sulla base di un unico motivo, censurando la mancata statuizione di condanna del M. alle spese da lei sostenute in primo grado.
Motivi della decisione
1. - Preliminarmente, il ricorso principale del M. ed il ricorso incidentale della O. devono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ., essendo entrambe le impugnazioni relative al medesimo decreto.
2. - Sempre in via preliminare, deve essere dichiarata irricevibile la documentazione (ricevuta di pagamento del volo aereo Venezia- Vienna, fatture e relazione del servizio di psichiatria infantile) prodotta unitamente al controricorso e al ricorso incidentale, atteso che tali documenti non riguardano nè la nullità del provvedimento impugnato, nè l'ammissibilità del ricorso o del controricorso.
Per lo stesso motivo, non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità la relazione del consulente tecnico ausiliario della polizia giudiziaria, prodotta dal ricorrente in via principale al momento del deposito della memoria illustrativa ex art. 378 cod. proc. civ..
3. - Passando all'esame del ricorso principale, con il primo motivo si denuncia violazione ed erronea applicazione dell'art. 13, comma 1, lettera b), e comma 3, della Convenzione de L'Aja 25 ottobre 1980, per omessa valutazione dei rischi connessi al rientro del minore in Slovacchia e per omessa richiesta e valutazione delle informazioni fornite dalle Autorità competenti dello Stato di provenienza del minore.
Ad avviso del ricorrente, il Tribunale per i minorenni non deve basare il giudizio sulla sussistenza delle condizioni ostative al rientro solo sulle proprie autonome sommarie valutazioni e sulle prove fornite dalla parte che si oppone al rientro, ma deve decidere sulla base di una approfondita istruttoria del caso che dovrà necessariamente tenere conto anche delle informazioni sulla situazione sociale del minore fornite dall'autorità centrale o da qualsiasi altra autorità competente dello Stato di residenza abituale (forze di polizia, assistenti sociali), tali informazioni costituendo una indicazione di natura processuale vincolante per il giudice, ancorchè non esclusiva.
Nel caso di specie, non vi sarebbe stato alcun accertamento d'ufficio, da parte del Collegio giudicante, della presenza di eventuali rischi psico-fisici connessi al rimpatrio di M. in Slovacchia. il Tribunale per i minorenni non avrebbe assunto alcuna informazione dallo Stato di residenza del minore volta ad accertare l'idoneità dell'ambiente sociale in cui lo stesso avrebbe fatto rientro, nè ha disposto, d'ufficio, alcun mezzo istruttorio (ad esempio, una c.t.u.) al fine di valutare l'incidenza che il rimpatrio in Slovacchia avrebbe avuto sulla psiche del minore.
Del resto, il padre aveva rappresentato al Collegio veneziano che M., se fosse stato costretto a far ritorno in Slovacchia dalla madre avrebbe dovuto trasferirsi presso l'abitazione del nuovo compagno di quest'ultima - con il quale non aveva un rapporto positivo - nella lontana ...omissis..., nell'est della Slovacchia, quasi ai confini con l'Ucraina, in una terra sperduta dove il tasso di disoccupazione supera soglie del 50% e non vi sono prospettive per una equilibrata crescita educativa, intellettuale ed affettiva di un bambino. Inoltre, il trasferimento del minore nella nuova realtà, distante oltre 300 km. di strade impervie e disagiate dal paese di origine di M., avrebbe reso oltremodo difficile, se non impossibile, la frequentazione di quest'ultimo con il padre.
Infine, nel valutare l'opportunità di disporre il rientro del minore in Slovacchia, il Tribunale per i minorenni avrebbe dovuto tenere in debito conto il fatto che M., che già conosceva bene l'Italia per averci sempre trascorso ampi periodi di vacanza e le festività insieme al padre, si era ormai perfettamente inserito nella realtà patavina (frequentando la parrocchia, praticando sport di gruppo e iscrivendosi alla quinta elementare).
Conclusivamente, il ricorrente formula il seguente quesito di diritto: "Qualora sussista per il minore il fondato rischio di essere esposto, per il fatto del suo ritorno nel paese di origine, a pericoli psichici o comunque di trovarsi in una situazione di intollerabile disagio, l'Autorità giudiziaria dello Stato richiesto può prescindere dalle informazioni fornite dalle Autorità competenti dello Stato di residenza del minore e dal compimento di una c.t.u. per valutare il complesso degli elementi offerti dalle parti e acquisiti d'ufficio a tali, scopo?". 3.1. - Il motivo è privo di fondamento.
Nel procedimento in tema di sottrazione internazionale del minore, previsto dalla Convenzione de L'Aja del 25 ottobre 1980, resa esecutiva con la legge di autorizzazione alla ratifica 15 gennaio 1994, n. 64, l'art. 13 del testo internazionale introduce alcune deroghe al dovere dello Stato, che ne sia richiesto, di ordinare l'immediato rientro del minore nel proprio Stato di residenza abituale, concernenti, tra l'altro, l'ipotesi in cui la persona o l'ente che si oppone al ritorno dimostri che esiste un rischio grave per il minore, implicando il relativo accertamento un'indagine di fatto, riservata al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto se non congruamente e logicamente motivata.
A tale proposito, contrariamente a quanto prospettato dal ricorrente nella formulazione del quesito di diritto, deve escludersi che l'art. 13 citato imponga al giudice di disporre in ogni caso una consulenza tecnica d'ufficio o di chiedere informazioni all'Autorità centrale o ad ogni altra Autorità competente dello Stato di residenza del minore, riguardo alla sua situazione sociale, essendo egli tenuto esclusivamente a considerare adeguatamente le eventuali informazioni fornite dalle Autorità dello Stato di residenza del minore, senza peraltro attribuire a tali informazioni un valore peculiare o addirittura poziore rispetto alle prove raccolte nel procedimento diretto ad accertare la sussistenza delle condizioni per l'emanazione dell'ordine di ritorno (Cass., Sez. 1^, 19 dicembre 2003, n. 19544; Cass., Sez. 1^, 18 marzo 2006, n. 6081).
Conclusivamente, deve affermarsi il seguente principio di diritto.
"In tema di sottrazione internazionale del minore, ai fini dell'accertamento delle condizioni ostative all'emanazione dell'ordine di ritorno, ai sensi dell'art. 13 della Convenzione de L'Aja 25 ottobre 1980, l'inopportunità, discrezionalmente ponderata dal giudice di merito, di assumere - attesi anche i ritmi serrati in cui il procedimento è scandito, essendo la materia caratterizzata dall'urgenza di provvedere - ulteriori informazioni e di disporre consulenza tecnica d'ufficio, è incensurabile in sede di ricorso per Cassazione. Al medesimo fine, il giudice dello Stato richiesto non è tenuto a chiedere informazioni all'Autorità centrale o ad ogni altra Autorità competente dello Stato di residenza del minore, riguardo alla sua situazione sociale, ma deve valutare anche dette informazioni, sempre che esse siano state fornite dalle Autorità dello Stato richiedente". 4. - Il secondo mezzo del ricorso principale - con cui si denuncia violazione ed erronea applicazione dell'art. 13, comma 2, della citata Convenzione de L'Aja per errata valutazione ed interpretazione della volontà del minore - pone il seguente interrogativo: "In presenza di una volontà del minore espressa anche per iscritto e confermata da entrambi i genitori di opporsi al rientro, a quali condizioni l'Autorità giudiziaria dello Stato richiesto può disattendere la volontà del minore, il cui stato evolutivo sia risultato consono rispetto alla vicenda (nella fattispecie trattandosi di adolescente e non di infante)?".
In sede di illustrazione del motivo, si rileva che il Tribunale per i minorenni si è limitato a verificare per quali motivi M. desiderava rimanere in Italia con il padre, senza poi accertare se tale desiderio si traducesse in una effettiva opposizione a ritornare in Slovacchia. In secondo luogo, il Collegio a quo avrebbe erroneamente interpretato e valutato le dichiarazioni rese da M., ritenendo che nel caso di specie non fosse opportuno tenerne conto, siccome provenienti da un bambino di soli undici anni e in quanto probabilmente influenzate dall'ambiente familiare in cui lo stesso era vissuto negli ultimi mesi.
Sostiene il ricorrente che, in sede di audizione, a M. sarebbero state chieste soltanto informazioni generiche sulla sua vita in Slovacchia e in Italia e sulla sua famiglia, nonchè spiegazioni sul perchè desiderava rimanere in Italia con il padre, mentre non gli sarebbero state chieste le ragioni per le quali non voleva ritornare in Slovacchia con la madre e con il suo compagno a lui estraneo.
Da parte del Tribunale per i minorenni non vi sarebbe stato una chiaro ascolto della volontà del minore. L'istruttoria, anche sotto tale profilo, sarebbe stata carente in quanto non integrata da nessuna approfondita perizia da parte di professionisti competenti ai fini dello svolgimento di una audizione protetta, con i noti canoni della psicopedagogia infantile.
Il Tribunale avrebbe errato nel ritenere di non dovere tenere conto della volontà espressa da M. che all'epoca aveva solo undici anni; nonchè nel non considerare le dichiarazioni rese dalla stessa madre all'udienza del 5 ottobre 2006, avendo la stessa riferito che a febbraio il minore aveva manifestato la sua paura di non poter vedere più il suo papà una volta effettuato il cambio di residenza, mostrando così la sua contrarietà al cambiamento. Tali affermazioni - unitamente ad ulteriori documenti - proverebbero che il minore aveva maturato e consolidato dentro di sè già da tempo la volontà di vivere in Italia con il padre e che, pertanto, la sua volontà non era frutto di un convincimento repentino, coartato dall'ambiente in cui lo stesso era vissuto negli ultimi mesi.
4.1. - Il motivo, scrutinabile esclusivamente nei limiti della violazione di legge denunciata con il quesito di diritto formulato ex art. 366 bis cod. proc. civ., è infondato.
L'art. 13, comma 2, della Convenzione de L'Aja riguarda un'ipotesi di esclusione dell'ordine di rimpatrio (per la quale non è richiesto il rischio di pericolo fisico o psichico o, comunque, di trovarsi in una situazione intollerabile), che ricorre allorchè il minore vi si oppone, sempre che costui abbia raggiunto "un'età ed un grado di maturità" tali da giustificare il rispetto della sua opinione.
L'indagine sulla maturità del minore è testualmente subordinata al compimento di una certa età del soggetto, al di sotto della quale - secondo comuni nozioni di esperienza e prudenza, apprezzabili dal Giudice del merito - è sconsigliabile dar peso decisivo al suo parere, se contrastante con la presunzione, sulla quale è fondata la Convenzione, di prevalente interesse del minore illecitamente sottratto a tornare presso l'affidatario.
Nella specie il Tribunale per i minorenni, considerando l'età del minore (che avrebbe compiuto undici anni il successivo 4 novembre), ha motivatamente escluso le ragioni per cui alla dichiarata volontà del minore di rimanere con il padre non poteva riconnettersi una valenza di per sè ostativa all'emanazione dell'ordine di rientro.
Inoltre, ha tenuto conto dell'opinione (negativa) espressa dal minore ai fini della valutazione della sussistenza o meno del fondato rischio di cui all'art. 13, comma 1, lettera b), della Convenzione;
ed ha - ancora motivatamente - escluso la ricorrenza di tale situazione, perchè la decisione del minore non era frutto di una elaborazione maturata nel tempo da parte dello stesso, bensì era stata adottata repentinamente, durante le vacanze estive passate in compagnia del padre, non era fondata su gravi ragioni, ed era ancorata a motivazioni riconducibili a quelle udite dagli adulti, piuttosto che a un proprio, autonomo convincimento ("la scuola è migliore in Italia"; ...omissis... è un posto "poco attrezzato per lo sport").
Il decreto del Tribunale si sottrae pertanto alla censura del ricorrente, giacchè ai sensi dell'art. 13 della Convenzione de L'Aja 25 ottobre 1980, la volontà del minore di opporsi al rientro non integra una condizione di per sè preclusiva dell'emanazione dell'ordine di rimpatrio da parte del Giudice dello Stato richiesto quando essa provenga da un minore che - secondo il motivato apprezzamento del Tribunale per i minorenni - non abbia ancora raggiunto l'età ed il grado di maturità tali da giustificare il rispetto della sua opinione; in tal caso, l'ascolto del minore, avente capacità di discernimento, ha una rilevanza cognitiva, in quanto l'esito di quel colloquio consente al giudice di valutare direttamente se sussista o meno il fondato rischio, per il minore medesimo, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile". 5. - Il terzo mezzo del ricorso principale (violazione ed erronea applicazione dell'art. 3 della Convenzione di Strasburgo 25 gennaio 1996) pone il quesito se "Nell'ambito di un procedimento che riguarda un minore degli anni diciotto, avente sufficiente capacità di comprensione, l'Autorità giudiziaria dello Stato richiesto è tenuta a fornire al minore tutte le informazioni pertinenti al caso", chiedendo alla Corte di stabilire, "In caso di omissione, quali sono le conseguente processuali sul decreto di rimpatrio".
Si sostiene che il Tribunale per i minorenni avrebbe violato l'art. 3 della Convenzione di Strasburgo, giacchè M., in sede di audizione avanti il Tribunale per i minorenni, non sarebbe stato informato dal Collegio circa il significato degli atti in corso, nè sarebbe stato avvertito delle conseguenze derivanti dall'eventuale attuazione del provvedimento di rimpatrio. La carenza di informazioni a M., da parte del Tribunale, circa i risvolti del procedimento in corso renderebbe illegittima l'impugnata decisione per violazione dei principi consacrati nella Convenzione di Strasburgo a difesa dei diritti processuali del fanciullo.
5.1. - Il motivo non è meritevole di accoglimento.
5.1.1. - Nei procedimenti di sottrazione internazionale, l'ascolto del minore rinviene la propria disciplina nella L. 15 gennaio 1994, n. 64, la quale, nel rendere esecutiva e nell'autorizzare la ratifica della citata Convenzione de L'Aja, impone al Tribunale per i minorenni (art. 7, comma 3) di sentire, oltre al Pubblico Ministero e agli altri interessati, il minore medesimo "se del caso", ossia quando ne ritiene l'opportunità, in relazione alle diverse circostanze, a nozioni di comune esperienza e prudenza, come quelle riferibili all'età del soggetto ed alla necessità di evitargli ulteriori traumi psichici. Una formula analoga si rinviene nell'art. 11, comma 2, del regolamento CE 27 novembre 2003, n. 2201/2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, prevedendosi che "Nell'applicare gli artt. 12 e 13 della Convenzione de L'Aja del 1980, si assicurerà che il minore possa essere ascoltato durante il procedimento se ciò non appaia inopportuno in ragione della sua età o del suo grado di maturità".
Un diritto di espressione e di ascolto del minore da parte delle istituzioni è sancito altresì dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e resa esecutiva con la Legge di autorizzazione alla ratifica 27 maggio 1991, n. 176, il cui art. 12, dotato di immediata efficacia imperativa nell'ordinamento interno (cfr. Corte Cost., sentenza n. 1 del 2002, punto n. 8 del Considerato in diritto), dopo avere disposto, al comma 1, che il fanciullo capace di discernimento ha diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, soggiunge, al comma 2, che "A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale".
Le citate previsioni, tanto della legge n. 64 del 1994 quanto della Convenzione di New York, sono state ulteriormente rafforzate dalla Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, resa esecutiva con la legge di autorizzazione alla ratifica 20 marzo 2003, n. 77. In base a questa Convenzione, nei procedimenti dinanzi ad un'autorità giudiziaria che lo riguardano, al minore che sia considerato secondo il diritto interno come avente una capacità di discernimento sufficiente vengono riconosciuti, come diritti di cui egli stesso può chiedere di beneficiare, quelli di ricevere ogni informazione pertinente, di essere consultato ed esprimere la propria opinione, di essere informato delle eventuali conseguenze dell'attuazione della sua opinione e delle eventuali conseguenze di qualunque decisione;
inoltre l'autorità giudiziaria, prima di giungere a una decisione e quando il diritto interno ritiene che il minore abbia una capacità di discernimento sufficiente, deve, nei casi che lo richiedono, consultare il minore personalmente con una forma adeguata alla sua maturità, a meno che ciò non sia manifestamente contrario agli interessi superiori del minore, consentire al fanciullo di esprimere la sua opinione e tenere debitamente conto dell'opinione da lui espressa (artt. 3 e 6).
Quantunque lo Stato italiano, al momento del deposito dello strumento di ratifica, esercitando il dovere di designare "almeno tre categorie di controversie familiari dinnanzi ad un'autorità giudiziaria cui la presente Convenzione può applicarsi" (art. 1, comma 4), abbia elencato come campo di applicazione della Convenzione di Strasburgo (come risulta dal comunicato del Ministero degli affari esteri 10 settembre 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 210 del 10 settembre 2003) soltanto quattro procedimenti (quelli di cui:
all'art. 145 cod. civ., in materia di intervento del Giudice in caso di disaccordo tra i genitori, all'art. 244 c.c., u.c., e art. 247 c.c., u.c., in tema di azione di disconoscimento di paternità;
all'art. 264 cod. civ., comma 2, in tema di autorizzazione ad impugnare il riconoscimento, e all'art. 274 cod. civ., poi dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza n. 50 del 2006;
nonchè agli artt. 322 e 323 cod. civ., in materia di amministrazione dei beni del minore da parte dei genitori), senza includervi i procedimenti di sottrazione internazionale dei minori e, in genere, di controllo della potestà genitoriale, nondimeno le disposizioni di detta Convenzione relative all'ascolto del minore, per la loro valenza di principio e per il loro significato promozionale, sono suscettibili di influenzare l'attività interpretativa anche nei procedimenti che si collocano al di fuori dell'elenco delle categorie di controversie formulato dallo Stato italiano al momento del deposito dello strumento di ratifica, orientando il senso delle disposizioni di cui il Giudice è chiamato a fare diretta applicazione.
Del resto, questa Corte (Sez. 1^, 16 aprile 2007, n. 9094), proprio in relazione ad un procedimento di sottrazione internazionale di minori, ha avuto occasione di precisare che l'audizione del minore riceve una consacrazione normativa indiscutibile nell'art. 6 della citata Convenzione di Strasburgo, e la sua esclusione, oltre che per la valutazione di non idoneità del minore a renderla (per età o stati psichici particolari), deve essere correlata soltanto al rischio che la stessa audizione, per quanto protetta, rechi danni gravi alla serenità del destinatario. E nello stesso modo - questa volta nell'ambito di un procedimento di adozione in casi particolari - l'essenzialità della previsione dell'audizione dell'adottando è stata colta (Cass., Sez. 1^, 26 novembre 2004, n. 22350) anche alla luce dei "principi sanciti dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 e ribaditi dalla Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996 sull'esercizio dei diritti del fanciullo".
Se ne trae che - pur involgendo l'aspetto delle modalità dell'ascolto del minore profili inevitabilmente rimessi alla discrezionalità del giudice del merito procedente (Cass., Sez. 1^, 4 aprile 2007, n, 8481) l'audizione, intesa come strumento per raccogliere le opinioni del minore avente un discernimento sufficiente e per dare forma al diritto dello stesso di partecipare alla sua tutela attraverso un interlocutore che lo ascolta e che lo considera in ciò che dice, postula che il minore riceva le informazioni pertinenti ed appropriate con riferimento alla sua età e al suo grado di sviluppo, a meno che tali informazioni nuocciano al suo benessere.
5.1.2. - Nella specie, il ricorrente in via principale si duole in effetti del come dell'ascolto: il minore, benchè udito dal Tribunale, non avrebbe ricevuto le informazioni pertinenti al caso, e questa violazione della legge processuale - si sostiene - avrebbe conseguenze invalidanti sul decreto di rimpatrio emesso dal primo Giudice.
A prescindere da ogni ulteriore considerazione, è sufficiente rilevare che la censura muove da un'inesatta premessa in fatto.
Dalla lettura del verbale dell'udienza del 5 ottobre 2006 - al quale è possibile accedere, essendo denunciato un vizio in procedendo - risulta infatti che al minore, ascoltato direttamente dal Collegio (in una stanza diversa dall'aula d'udienza), è stato spiegato il significato dell'incontro e del colloquio e che allo stesso è stata fornita, compatibilmente con la sua tenera età ed il suo grado di discernimento, ogni informazione pertinente al caso.
Lo si ricava, implicitamente ma inequivocabilmente, dal fatto che il giudice minorile, dopo avere conosciuto il bambino e messo lo stesso in condizione di parlare a proprio agio, ha rivolto allo stesso domande sul suo contesto di vita, in Slovacchia ed in Italia, e sul suo rapporto con la mamma e con il papa, con gli altri parenti, con gli amici ed i compagni di scuola, offrendogli la piena possibilità di esprimere emozioni e di manifestare desideri in relazione alla specifica vicenda giudiziaria che lo riguarda.
6. - Il quarto motivo del ricorso principale (nullità del decreto impugnato per violazione dell'art. 6 della Convenzione di Strasburgo 25 gennaio 1996) censura che il Tribunale per i minorenni non abbia previamente accertato che al minore fossero state date tutte le informazioni pertinenti al caso, non abbia richiesto informazioni supplementari (ad esempio provenienti dalle Autorità dello Stato slovacco) al fine di prendere una decisione nel superiore interesse del fanciullo, e non abbia comunque valutato correttamente e tenuto in debito conto l'opinione espressa da M..
L'illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto; "Nelle procedure riguardanti i fanciulli, l'Autorità giudiziaria dello Stato richiesto può adottare una decisione se non dispone di informazioni sufficienti a decidere nel superiore interesse del fanciullo?". 6.1. il motivo reitera, senza ulteriori argomentazioni, censure già sollevate con il primo e con il terzo mezzo.
Esso, pertanto, è infondato per le ragioni esposte retro, sub 3.1. e sub 5.1.2. 7. - Il quinto mezzo del ricorso del M. denuncia violazione dell'art. 3, comma 1, art. 9, comma 1, e art. 12 della Convenzione di New York 20 novembre 1989, giacchè gli effetti del provvedimento sarebbero concretamente ed irreversibilmente pregiudizievoli per il minore e il suo allontanamento dal positivo ambiente familiare del padre avrebbe provocato una situazione intollerabile per il bambino e un disastroso contraccolpo psicologico che difficilmente potrà essere lenito. "Quali conseguenze ha sulla decisione dell'Autoritàdello Stato richiesto - si chiede conclusivamente il ricorrente - il fatto che la stessa decida senza tenere in considerazione il preminente superiore interesse del fanciullo garantendogli, al contempo, il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa?". 7.1. - Il motivo è inammissibile.
Occorre premettere che, in tema di illecita sottrazione internazionale di minori, ai sensi della Convenzione de L'Aja 25 ottobre 1980, il giudizio sulla domanda di rimpatrio non investe il merito della controversia relativa alla migliore sistemazione possibile del minore; cosicchè tale domanda può essere respinta, nel superiore interesse del minore, solo in presenza di una delle circostanze ostative indicate dagli artt. 12, 13 e 20 della Convenzione, fra le quali non è compresa alcuna controindicazione di carattere comparativo che non assurga - nella valutazione di esclusiva competenza del giudice di merito - al rango di vero e proprio rischio, derivante dal rientro, di esposizione a pericoli fisici e psichici o ad una situazione intollerabile (da ultimo, Cass., Sez. 1^, 7 marzo 2007, n. 5236).
Ora, il ricorrente in via principale, dietro l'apparente prospettazione di un vizio di violazione di legge, censura in realtà le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale per i minorenni nell'escludere la sussistenza di alcuna delle condizioni ostative all'emanazione dell'ordine di rientro.
L'accertamento relativo alla presenza del rischio, derivante dal rientro, di esposizione a pericoli psichici o ad una situazione intollerabile esige la valutazione di elementi probatori, attraverso un'indagine di fatto sottratta al controllo di legittimità (Cass., Sez. 1^, 25 settembre 2001, n. 11999).
A tale proposito occorre dare atto che il decreto impugnato ha congruamente motivato, con argomentazioni immuni da vizi logici e giuridici, l'ordine di rimpatrio: evidenziando che un'eccezione al meccanismo di reazione al comportamento illecito (il mancato rimpatrio) non poteva configurarsi nel progettato trasferimento della residenza del minore da una città all'altra all'interno del medesimo Stato, anche se tale trasferimento, giustificato in concomitanza con la formazione di un nuovo nucleo familiare della madre, era suscettibile di rendere più difficile l'esercizio del diritto di visita da parte del padre; rilevando che la volontà del minore di rimanere in Italia era fortemente influenzata dall'ambiente familiare in cui egli era vissuto negli ultimi mesi e dalla sua difficoltà di rapportarsi con le recenti decisioni personali e familiari della madre; e precisando che la valutazione comparativa dei potenziali affidatari non rientra tra i compiti affidati all'autorità adita in sede di sottrazione internazionale.
Sotto questo motivo il mezzo di ricorso si risolve nella sollecitazione ad un - non consentito - riesame degli elementi probatori acquisiti al giudizio di merito, sui quali il Tribunale per i minorenni ha espresso la sua ponderata valutazione.
8. - L'unico motivo del ricorso incidentale, con cui la O. si duole della mancata statuizione di condanna del M. alle spese da lei sostenute dinanzi al Tribunale per i minorenni di Venezia, è inammissibile, perchè la censura non è accompagnata dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto, prescritto dall'art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6. 9. - Conclusivamente, il ricorso principale è rigettato e quello incidentale è inammissibile.
La natura della controversia, la complessità delle questioni trattate e l'esito delle contrapposte impugnazioni giustificano la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il principale e dichiara inammissibile l'incidentale, compensando tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 luglio 2007.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2007.
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