· Se condo la giurisprudenza prevalente in giurisprudenza, l’erede può essere considerato terzo, rispetto alla simulazione dell’atto di vendita compiuto dal de cuius quando unitamente all’azione di simulazione proponga una domanda di riduzione della donazione dissimulata, diretta a far dichiarare l’appartenenza del bene alla massa ereditaria e a far calcolare la quota di riserva sull’intero asse, compresa la res apparentemente compravenduta e in realtà donata;
· Deve, in altre parole, facendo valere la propria qualità di legittimario, lamentare la lesione di un proprio diritto, lesione derivante dall’atto simulato, per ottenere la riacquisizione di un bene al patrimonio ereditario;
· Al di fuori di questi casi, l’erede, subentrando nella medesima posizione giuridica del de cuius, non può essere considerato terzo rispetto al negozio simulato;
· Nelle ipotesi in cui l’erede riveste la qualifica di terzo non subisce le limitazioni probatorie imposte, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1417, 2722, 2729 c.c., alle parti del contratto simulato e può provare la simulazione sia per testi che per presunzioni;
· Il procedimento logico attraverso il quale il giudice desume l’esistenza di un fatto ignoto da quella di un fatto noto, deve avvalersi di presunzioni gravi, precise e concordanti. I criteri di valutazione sono i seguenti:
a) la presunzione è grave quando la prova del fatto noto e la ricostruzione dello stesso sia tale da dimostrare con ragionevole certezza (seppure probabilistica) l’esistenza del fatto ignoto;
b) la presunzione è precisa quando il fatto noto dal quale parte il ragionamento probabilistico e l’iter logico di tale ragionamento non siano vaghi, ma ben determinati nella loro realtà storica;
c) le presunzioni sono concordanti quando il fatto ignoto possa essere desunto da fatti noti univocamente convergenti nella dimostrazione della sua esistenza. Anche un singolo fatto noto può dimostrare l’esistenza di un fatto ignoto, purché il primo sia caratterizzato da gravità e precisione tali da renderlo di per sé esaustivo e incontrovertibilmente significativo;
d) La contestualità delle vendite, la sola allegazione non dimostrata del pagamento del prezzo, il vincolo di parentela tra le parti contraenti, costituiscono presunzioni sufficienti a dare la prova della simulazione.SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Sentenza 26 aprile 2007, n. 9956
(Presidente – Relatore Settimj)
Fatto e diritto
C. B. e G. B., nella loro qualità d'eredi necessarie di M. G., impugnano per cassazione la sentenza 18.2.04 con la quale la corte d'appello di Trento, respingendo il gravame dalle stesse proposto, ha confermato la sentenza del locale tribunale che, a sua volta, ne aveva rigettata la domanda intesa previo accertamento della simulazione assoluta o relativa delle vendite effettuate in pari data prima da parte di M. G. a C. O. quindi da questi a W. B. e R. S. e della dissimulata donazione in favore di questi ultimi nulla per difetto di forma - in via principale, alla divisione dei beni costituenti l'asse ereditario della M. G. secondo la successione legittima od, in subordine, previa riunione fittizia e declaratoria della lesione della loro legittima, alla riduzione delle donazioni.
Resistono gli intimati con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Con l'unico articolato motivo di censura, le ricorrenti si dolgono - denunziando violazione degli artt. 1415, 1417, 1470, 2697, 2727, 2729 c.c. e vizi di motivazione - che il giudice a quo abbia erroneamente escluso ch'esse avessero fornito adeguata prova dell'allegata simulazione in quanto a tale conclusione pervenuto omettendo di considerare gli evidenziatigli plurimi indizi quali la contestualità delle compravendite successive, la sola allegazione non dimostrata del pagamento dei prezzi, i rapporti di parentela tra i contraenti, la riserva d'usufrutto all'apparente venditrice -palesemente idonei a dimostrare la dedotta simulazione.
La censura è manifestamente fondata.
Va premesso che, per opinione del tutto prevalente nella giurisprudenza di legittimità in materia, ai fini della prova della simulazione d'una vendita posta in essere dal de cuius onde dissimulare una donazione, l'erede può essere considerato terzo ed, in quanto tale, beneficiare delle agevolazioni probatorie previste dall'art. 1417 c.c. ove, come nella specie, abbia proposto, contestualmente all'azione intesa alla dichiarazione della simulazione e facendo valere anche la sua qualità di legittimario sulla specifica premessa che l'atto dissimulato comporti una lesione del suo diritto personale all'integrità della quota di riserva spettantegli, un'espressa e concreta domanda di riduzione della donazione dissimulata, diretta a far dichiarare, in aggiunta all'appartenenza del bene all'asse ereditario, che la quota di riserva di sua pertinenza deve essere calcolata tenendo conto del bene stesso (Cass. 30.7.02 n. 11206, 24.2.00 n. 2093, 21.4.98 n. 4024, 29.5.95 n. 6031, 29.10.94 n. 8942, 4.4.92 n. 4140, 6.8.90 n. 7909, 21.12.87 n. 9507).
È da notare, al riguardo, come - a prescindere dal testo delle massime, non sempre esattamente rispondente alle argomentazioni sviluppate nelle sentenze ed ai principi dalle stesse desumibili - ove si ponga attenzione alle motivazioni, risulti agevole rilevare che l'esonero dalle limitazioni probatorie della simulazione è stato riconosciuto all'erede legittimo, e negato in caso contrario, sempre solo ed in quanto questi avesse contestualmente allegato che il suo diritto alla quota di riserva non poteva trovare soddisfazione sui beni relitti o, comunque, che la quota di riserva stessa doveva essere calcolata tenendo conto anche del bene la cui simulata alienazione era stata dedotta in giudizio; presupposto sul quale si basano anche le decisioni con le quali è stata correttamente ritenuta possibile l'estensione degli effetti del detto esonero nel caso in cui, propostasi dal legittimario impugnazione dell'atto per simulazione, il relativo accoglimento, sulla base di prove consentitegli in quanto terzo, si riflettesse poi anche sull'azione dallo stesso contestualmente proposta quale erede per la riacquisizione del bene al patrimonio ereditario (Cass. 2.2.99 n. 848, 25.2.87 n. 1999).
Ciò stante, le originarie attrici legittimamente avevano chiesto di fornire la prova della dedotta simulazione a mezzo degli allegati elementi presuntivi, idonei a dimostrarla, come consentito loro dalla surrichiamata normativa sostanziale.
Pacifico che la scelta dei fatti noti da porre alla base della presunzione ed il giudizio logico con il quale si deduce l'esistenza del fatto ignoto dal coordinamento dei fatti noti ritenuti all'uopo idonei siano riservati al giudice del merito e sottratti al controllo di legittimità ove sorretti da idonea motivazione, va, non di meno, considerato come sindacabili nel giudizio di cassazione siano tanto i vizi della detta motivazione quanto l'accertamento dell'esistenza della base della presunzione e dei fatti noti in quanto facenti parte della struttura normativa della presunzione (Cass. 22.3.01 n. 4168).
Questa può essere validamente desunta solo sulla scorta d'una pluralità d'elementi di valutazione gravi, precisi e concordanti, nei quali il requisito della gravità è ravvisabile per il grado di convincimento che ciascun d'essi è idoneo a produrre ed, a tal fine, è necessario che l'esistenza del fatto ignoto sia allegata e dimostrata come dato caratterizzato da ragionevole certezza, se pure probabilistica; il requisito della precisione impone che i fatti noti, dai quali muove il ragionamento probabilistico, e l'iter logico nel ragionamento stesso seguito non siano vaghi ma ben determinati nella loro realtà storica; in fine, il requisito, unificante, della concordanza richiede che il fatto ignoto sia desunto, salvo l'eccezionale caso d'un singolo elemento di gravità e precisione tali da essere di per sé solo esaustivamente ed incontrovertibilmente significativo, da una pluralità di fatti noti gravi e precisi univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza.
Nella specie, gli elementi indiziari indicati dalle odierne ricorrenti erano plurimi, precisi, altamente significativi ed evidentemente concordanti.
In ordine a tali elementi la corte territoriale non solo ha formulato una valutazione negativa del tutto generica nell'esame di ciascuno di essi - e tanto già basterebbe ad inficiarne la decisione ex art. 360 n. 5 c.p.c. - ma, soprattutto, ha omesso di valutarne la conferenza in considerazione della loro -complessiva rilevanza, non tenendo presente come, se pure non avessero rappresentato di per se stessi, singolarmente considerati, prova piena dell'assunto, avevano non di meno carattere indiziario ed, in quanto possedevano all'evidenza i requisiti richiesti dall'art. 2729 c.c., il cui difetto dev'esserne altrimenti motivatamente escluso, ed a maggior ragione in quanto trovavano altresì riscontro in altre emergenze indiziarie, non ne poteva essere aprioristicamente pretermesso l'esame dacché il giudice del merito può trarre la fonte del proprio convincimento anche dalle sole presunzioni o delle stesse escludere la conferenza ma, in entrambi i casi, deve valutare in concreto l'efficacia sintomatica o meno degli elementi di giudizio indiziari fornitigli, non solo analitìcamente ma anche nella loro convergenza globale, onde motivatamente accertarne o negarne la complessiva pregnanza conclusiva (cfr. Cass. 30.5.05 n. 11372, 24.11.03 n. 17858).
Del tutto erroneamente la corte territoriale ha, poi, fatto carico alle originarie attrici della dimostrazione del mancato pagamento del prezzo, prova negativa che, ovviamente, non potevano essere in grado di fornire, omettendo di far carico ai convenuti della prova positiva dell'effettivo avvenuto pagamento, desunta, invece, dalla sola dichiarazione risultante negli atti di vendita, dichiarazione che, nei confronti del terzo, non ha rilevanza alcuna (Cass. 30.5.05 n. 11372, 11.10.99 n. 11361).
L'impugnata sentenza va, dunque, annullata in relazione al motivo accolto e la causa, di conseguenza, rimessa per nuovo esame ad altro giudice del merito di secondo grado, che s'indica nella corte d'appello di Trieste. cui è anche demandato, ex art. 385 c.p.c., di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l'impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, alla corte d'appello di Trieste.
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