L'art. 36, comma 2, del D.L. 4 luglio 2006 (meglio conosciuto come Decreto Bersani), convertito, con modificazioni, in L. 4 agosto 2006, n. 248, chiarisce che "Ai fini dell'applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, un'area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo".
Tuttavia, secondo le SS UU, ai fini dell'applicazione del D.Lgs. 504/1992, un'area è da considerarsi fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo: in tal caso, l'Ici deve essere dichiarata e liquidata sulla base del valore venale in comune commercio, tenendo conto anche di quanto sia effettiva e prossima la utilizzabilità a scopo edificatorio del suolo, e di quanto possano incidere gli ulteriori eventuali oneri di urbanizzazione.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Sentenza 28 settembre 2006, 25506
(Pres. Carbone, Rel. Merone)
1. Fatto, svolgimento del processo e motivi del ricorso
1.1. Il comune di X. ricorre contro la sig.ra C.C., nella qualità di erede della sig.ra A.L., per ottenere la cassazione della sentenza specificata in epigrafe. La parte intimata non ha svolto alcuna attività difensiva.
1.2. In fatto, la sig.ra A.L., dante causa dell'odierna intimata, ha impugnato gli avvisi di accertamento ed irrogazione delle conseguenti sanzioni, con i quali l'ente impositore le ha contestato:
a) per gli anni 1993/1994, l'infedele dichiarazione Ici, avendo dichiarato, indebitamente, che i terreni agricoli posseduti, erano condotti direttamente da lei, in qualità di coltivatrice diretta, per beneficiare della riduzione d'imposta prevista dall'art. 9 del D.Lgs. n. 504/1992;
b) per gli anni 1995/1997, l'omessa dichiarazione della variazione di destinazione urbanistica di terreni, divenuti edificabili a seguito dell'adozione del nuovo piano regolatore generale, a far data dal 22 maggio 1995.
La Commissione tributaria adita in primo grado, ha riunito tutti i ricorsi, ha accolto parzialmente quelli riferiti agli anni di imposta 1993 e 1994 (con riferimento ai profili sanzionatori, pur respingendo la tesi della spettanza della riduzione dell'imposta) ed ha accolto in toto quelli riferiti agli anni 1995, 1996, 1997, sul rilievo che il piano regolatore, pur adottato nel 1995, è stato approvato dalla regione soltanto in epoca successiva.
Entrambe le parti hanno impugnato la decisione. Il comune, con appello principale ha eccepito l'erronea applicazione dell'art. 2, lettera b), del D.Lgs. n. 504/1992, che definisce le aree edificabili ai fini dell'Ici. La contribuente, con appello incidentale, ha riproposto la tesi del suo diritto alla riduzione dell'imposta, in quanto coltivatrice diretta dei propri fondi.
La Commissione tributaria regionale ha respinto l'appello principale del comune, confermando la tesi che l'adozione del piano regolatore generale, non ancora approvato, non può conferire il carattere dell'edificabilità ai suoli, prima dell'approvazione definitiva. Ha accolto, invece, l'appello incidentale della contribuente, annullando gli avvisi di accertamento all'origine del contenzioso.
1.3. A sostegno dell'odierno ricorso, il comune di Noventa di Piave denuncia:
a) violazione e falsa applicazione dell'art. 2, lettera b), del D.Lgs. n. 504/1992, in quanto l'adozione del piano regolatore generale da parte del comune è sufficiente a far considerare fabbricabili le aree per le quali sia prevista la utilizzabilità a scopo edificatorio. Anche prima del perfezionamento dello strumento urbanistico;
b) violazione e falsa applicazione degli artt. 9 del D.Lgs.
n. 504/1992, 11 della L. n. 9/1963, e 58, comma 2, del D.Lgs. n. 446/1997, in quanto la contribuente non ha provato di possedere i requisiti soggettivi per beneficiare della agevolazione richiesta.
1.4. La trattazione del ricorso è stata assegnata, ratione materiae, alla Sezione V civile. Questa, con ordinanza 8 marzo 2005, ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, ai sensi dell'art. 374, comma 2, del codice di procedura civile, avendo rilevato, nella giurisprudenza della Corte, un contrasto interpretativo, riferito al primo motivo di ricorso, che riguarda i criteri in base ai quali un'area deve essere definita fabbricabile ai fini fiscali, in generale, e dell'imposta comunale sugli immobili, in particolare.
Infatti, secondo un primo indirizzo, definito "sostanzialistico" (in quanto, realisticamente, valorizza le immediate ricadute economiche di qualunque variazione che faccia sorgere o consolidi una aspettativa di diritto), è sufficiente che un'area sia utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici, ancorché le relative procedure non siano state perfezionate (Cass. n. 4120/2002, n. 4341/2002, n. 17513/2002, n.
13817/2003, n. 16751/2004 e n. 19750/2004). Secondo altro e diverso orientamento, definito "formale-legalistico", la qualifica di area fabbricabile, anche ai fini fiscali, presuppone che le procedure per l'approvazione degli strumenti urbanistici, siano perfezionate (Cass.
n. 10406/1994, n. 15320/2000, n. 13296/2001, n. 2416/2002, n. 14024/2002, n. 2316/2003, n. 5433/2003, 21573/2004 e 21644/2004).
1.5. Il Primo Presidente ha rimesso la trattazione del ricorso a queste Sezioni Unite.
2. Diritto e motivi della decisione
2.1. Il ricorso appare fondato in relazione al primo motivo di ricorso.
Va respinto, invece, in relazione al secondo motivo.
2.2. Le Sezioni Unite sono chiamate a fornire la corretta interpretazione dell'art. 2, comma 1, lettera b), del D.Lgs. n. 504/1992, superando il contrasto in atto, nella parte in cui dispone che "per area fabbricabile si intende l'area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi". Per affrontare correttamente il problema ermeneutico, bisogna partire da alcune premesse di sistema: l'imposta comunale sugli immobili è un'imposta locale sul patrimonio immobiliare, a carattere proporzionale (ad aliquota unica), reale (in quanto prescinde dalle ulteriori condizioni economiche del contribuente) e periodica (riferita all'anno solare). Infatti, il presupposto impositivo è costituito, per quanto interessa in questa sede, dal "possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati" (art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 504/1992). Dunque, l'Ici incide sia il possesso delle aree fabbricabili che quello dei terreni agricoli.
La distinzione, però, è rilevante, ai fini fiscali, perché differenti sono i criteri utilizzati per determinare la base imponibile. Infatti, per le aree fabbricabili, la base imponibile è costituita dal "valore venale in comune commercio", calcolato al 1° gennaio dell'anno di imposizione, "avendo riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all'indice di edificabilità, alla destinazione d'uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche" (art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 504/1992). Per i terreni agricoli, invece, "il valore è costituito da quello che risulta applicando all'ammontare del reddito dominicale risultante in catasto, vigente al 1° gennaio dell'anno di imposizione, un moltiplicatore pari a settantacinque" (art. 5, comma 7, del D.Lgs. n. 504/1992, oltre gli eventuali coefficienti di rivalutazione, ex art. 3, comma 5, della L. n. 662/1996). In definitiva, ai fini dell'Ici, la distinzione tra aree edificabili e terreni agricoli, non serve per distinguere un bene imponibile da uno non imponibile, serve soltanto per individuare il criterio in base al quale deve essere determinata la base imponibile Ici (criterio del valore venale, secondo i prezzi medi di mercato, ovvero valore catastale). Questa premessa serve anche a sdrammatizzare il problema, perché, se i criteri di calcolo vengono applicati correttamente, il contribuente subirà un prelievo che non sarà mai superiore a quello giustificato dal reale valore del bene posseduto.
Con la possibilità, del tutto naturale, che si verifichino oscillazioni di valore connesse all'andamento del mercato e/o allo stato di attuazione delle procedure che determinano il perfezionamento dello ius edificandi. È naturale che le imposte patrimoniali siano commisurate al valore del patrimonio cui si riferiscono. Possono verificarsi variazioni al rialzo, che comportano un maggior prelievo nel periodo di imposta, o variazioni al ribasso (ad esempio, a causa della mancata approvazione del piano regolatore generale), che attenuano il prelievo, senza che questo comporti, ex se, il diritto al rimborso per gli anni pregressi [salvo che i comuni non ritengano, sul piano dell'equità, di riconoscere il diritto al rimborso, ex art. 59, comma 1, lettera f), del D.Lgs. n. 446/1997], durante i quali, comunque, l'imposta è stata commisurata al valore venale di mercato. E non rileva, ai fini dell'Ici, che l'incremento di valore non sia stato monetizzato, attraverso un atto di trasferimento oneroso, che, eventualmente, ricorrendone i presupposti di legge, avrebbe potuto dar luogo ad una plusvalenza, soggetta ad imposta sul reddito. D'altra parte, anche un piano regolatore generale approvato e vigente è soggetto a modifiche che possono portare a una diversa classificazione dei suoli con conseguenti sensibili oscillazioni di valore. Per ragioni di equità, come già accennato, il legislatore ha previsto espressamente che i comuni possano "prevedere il diritto al rimborso dell'imposta pagata per le aree successivamente divenute inedificabili, stabilendone termini, limiti temporali e condizioni, avuto anche riguardo alle modalità ed alla frequenza delle varianti apportate agli strumenti urbanistici" [art. 59, comma 1, lettera f), del D.Lgs. n. 446/1997)].
2.3. I criteri per stabilire se un suolo debba qualificarsi come area fabbricabile o come terreno agricolo, sono indicati nelle lettere b) e c) dell'art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 504/1992. In base alle citate disposizioni, "per terreno agricolo si intende il terreno adibito all'esercizio delle attività indicate nell'art. 2135 del codice civile" (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali ed attività connesse); per area fabbricabile, invece, per quanto di interesse nella fattispecie, "si intende l'area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi". Dal momento in cui un terreno agricolo è utilizzabile a scopo edificatorio in base ad uno strumento urbanistico generale, prevale quest'ultima qualificazione. A meno che non si tratti di "terreni posseduti e condotti dai soggetti indicati nel comma 1 dell'art. 9, sui quali persiste l'utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l'esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura ed all'allevamento di animali" [art. 2. comma 1, lettera b), secondo alinea]. Nel caso di specie, il problema della conduzione diretta del terreno agricolo non risulta che sia stato prospettato in relazione alle annualità 1995, 1996 e 1997, per le quali, quindi il quesito della qualificazione del suolo in questione deve essere risolto esclusivamente sulla base della corretta interpretazione della prima parte della lettera b) del comma 1 dell'art. 2 del D.Lgs. n. 504/1992.
Nelle more del giudizio, sono intervenuti due provvedimenti legislativi, a carattere interpretativo, che incidono sulla trama normativa di riferimento. Il primo, riguarda specificamente l'Ici, e stabilisce che "Ai fini dell'applicazione del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, la disposizione prevista dall'articolo 2, comma 1, lettera b), dello stesso decreto si interpreta nel senso che un'area è da considerare comunque fabbricabile se è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale, indipendentemente dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo". La norma impone di ritenere edificabili le aree utilizzabili a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico, anche se manchino gli strumenti attuativi. Non risolve il problema del valore da attribuire al piano regolatore generale, adottato, ma non ancora approvato, che è quello che qui interessa e che, invece appare risolto dal secondo intervento.
Infatti, l'art. 36, comma 2, del D.L. 4 luglio 2006 [, n. 223, n.d.r.], convertito, con modificazioni, in L. 4 agosto 2006, n. 248, chiarisce che "Ai fini dell'applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, un'area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo". La norma citata ha accolto la tesi sostanzialistica, propugnata dall'ente impositore, secondo la quale "non occorre che lo strumento urbanistico, adottato dal comune, abbia perfezionato il proprio iter di formazione mediante l'approvazione da parte della regione, atteso che l'adozione dello strumento urbanistico, con inserimento di un terreno con destinazione edificatoria, imprime al bene una qualità che è recepita dalla generalità dei consociati come qualcosa di già esistente e di difficile reversibilità e, quindi, è sufficiente a fare venir meno, ai fini anzidetti, la presunzione del rapporto proporzionale tra reddito dominicale risultante in catasto e valore del terreno medesimo, posto a fondamento della valutazione automatica" (Cass. n. 17513/2002; conf., ex plurimis, n. 4381/2002, n. 4120/2202, n. 17762/2002 e n. 3817/2003). In altri termini, dinanzi ad una vocazione edificatoria di un suolo, formalizzata in un atto della procedura prevista dalla legislazione urbanistica, il Fisco ritiene che, a prescindere dallo status giuridico formale dello stesso, non sia più possibile apprezzarne il valore sulla base di un parametro di riferimento, come il reddito dominicale, che resta superato da più concreti criteri di valutazione economica. Non interessa, dunque, ai fini fiscali, che il suolo sia immediatamente ed incondizionatamente edificabile, perché possa farsi ricorso legittimamente al criterio di valutazione del valore venale in comune commercio. L'inizio della procedura di "trasformazione" urbanistica di un suolo implica, di per sé, una "trasformazione" economica dello stesso, che non consente più la valutazione, ai fini fiscali, secondo il criterio del reddito dominicale. Tuttavia, l'aspettativa di edificabilità di un suolo, non comporta, ai fini della valutazione fiscale, l'equiparazione sic et simpliciter alla edificabilità; comporta soltanto, l'assoggettamento ad un regime di valutazione differente da quello specifico dei terreni agricoli, oggi meno conveniente per il contribuente, ma non per questo iniquo.
L'art. 36, comma 2, citato, fornisce una condivisibile chiave interpretativa che, per espressa volontà del legislatore, deve essere utilizzata nell'applicazione delle disposizioni relative all'Iva (D.P.R. n. 633/1972), al Tuir (D.P.R. n. 917/1986), all'Ici (D.Lgs. n. 504/1992) e all'imposta di registro (D.P.R. n. 131/1986). La novella non fornisce un nuovo criterio di valutazione, ma si limita a chiarire che il beneficio della tassazione su base catastale, prevista per i terreni agricoli, non compete quando si tratti di suoli la cui vocazione edificatoria sia stata formalizzata in uno strumento urbanistico, ancorché non operativo. È di comune esperienza, infatti, che tale circostanza è sufficiente a far lievitare il valore venale del suolo, secondo le leggi di mercato.
Trattandosi di imposta periodica, le oscillazioni di valore, come già è stato accennato, dovranno riflettersi, nel bene e nel male, nelle dichiarazioni di variazione.
2.4. La soluzione adottata dal legislatore, per quanto non abbia bisogno di avalli giurisprudenziali e di esplicite motivazioni, sembra la più aderente ad un corretto e realistico approccio al problema in esame. Posto che i maggiori problemi ermeneutici hanno avuto ad oggetto il concetto di "utilizzabilità a scopo edificatorio", occorre chiarire cosa debba intendersi con tale espressione, dopo l'approvazione dell'art. 36, comma 2, del D.L. n. 223/2006.
La qualifica di area fabbricabile, che apre la strada all'accertamento del valore venale dell'immobile, presuppone la utilizzabilità a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico. Secondo alcuni arresti giurisprudenziali di questa Corte, per aree fabbricabili si deve intendere, ai fini fiscali (con specifico riferimento all'Ici), "i terreni immediatamente utilizzabili a scopo edificatorio, con possibilità legale ed effettiva di rilascio di concessione edilizia al momento dell'imposizione tributaria, distinguendosi, nella disciplina dell'imposta, tra le zone urbanizzate per le quali è consentito il rilascio della concessione edilizia secondo le previsioni del piano regolatore generale del comune, ancora prima dell'adozione dei piani attuativi, e le zone che, pur comprese nelle previsioni del piano regolatore generale, non sono immediatamente utilizzabili a scopo edificatorio, essendo il rilascio della concessione a edificare subordinato all'adozione dei piani particolareggiati o dei piani di lottizzazione" (Cass. n. 21573/2004 e n. 21644/2004). Secondo tale indirizzo giurisprudenziale, "il legislatore ha voluto sottoporre ad imposta, con base imponibile diversa, quelle aree immediatamente utilizzabili a scopo edificatorio, con possibilità legale ed effettiva di rilascio di concessione edilizia al momento dell'imposizione fiscale, distinguendo tra zone urbanizzate, per le quali è consentito il rilascio di concessione edilizia in base al piano regolatore generale, ancora prima dell'approvazione dei piani attuativi, e quelle che, non trovandosi in tale situazione anche se comprese nei piani regolatori generali, devono attendere i piani particolareggiati o i piani di lottizzazione per poter ottenere tale concessione". In altri termini, "il legislatore ha inteso riservare un diverso trattamento fiscale, con la previsione di una base imponibile sul valore reale, per quelle aree la cui utilizzazione a scopo edificatorio è attuale e non rinviata alla adozione e successiva approvazione regionale degli strumenti urbanistici attuativi e, quindi, per quei terreni per i quali il rilascio della concessione edilizia è previsto da provvedimenti definitivi e non in fieri. Se non avesse inteso dire quanto sopra esposto, il legislatore avrebbe potuto limitarsi a definire l'area fabbricabile quella "compresa nel piano regolatore generale" oppure quella "destinata all'edificazione", senza riferimento agli strumenti urbanistici "attuativi" o alle "possibilità effettive di edificare" richiamando, inoltre, i criteri contenuti nella L. n. 359/1952 (possibilità legali ed effettive di edificazione)" (Cass. n. 21573/2004 e n. 21644/2004).
Dopo la novella del 2006, tale tesi non è più sostenibile. Il legislatore (rectius: l'Amministrazione finanziaria "vestita" da legislatore) ha fatto la sua scelta. Il testo della legge non consente più di distinguere a seconda delle "fasi di lavorazione" degli strumenti urbanistici. Se c'è stato l'avvio della procedura per la formazione del piano regolatore generale, la situazione in movimento non consente più di beneficiare del criterio statico della valutazione automatica. Quello che interessa al legislatore fiscale è la necessità di adottare un diverso criterio di valutazione dei suoli, quando questi siano avviati sulla strada (non necessariamente senza ritorno) della edificabilità. Normalmente, infatti, già l'avvio della procedura per la formazione del piano regolatore generale determina una "impennata" di valore, pur con tutti i necessari distinguo (riferiti alle zone e alla necessità di ulteriori passaggi procedurali). Il fulcro della norma interpretativa è costituito dalla precisazione che la edificabilità dei suoli, ai fini fiscali, non è condizionata ("indipendentemente") "dall'approvazione della regione [degli strumenti urbanistici] e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo".
È chiara, dunque, la voluntas legis di tenere conto, realisticamente, delle variazioni di valore che subiscono i suoli in ragione delle vicende degli strumenti urbanistici. Diverse, infatti, sono le finalità della legislazione urbanistica rispetto a quelle della legislazione fiscale.
La prima tende a garantire il corretto uso del territorio urbano, e, quindi, lo ius edificandi non può essere esercitato se non quando gli strumenti urbanistici siano perfezionati (garantendo la compatibilità degli interessi individuali con quelli collettivi); la seconda, invece, mira ad adeguare il prelievo fiscale alle variazioni dei valori economici dei suoli, che si registrano e progrediscono, in parallelo, dal sorgere della mera aspettativa dello ius edificandi, fino al perfezionamento dello stesso. Ne consegue, che le chiavi di lettura dei due comparti normativi possono essere legittimamente differenti. Infatti, non bisogna confondere lo ius edificandi con lo ius valutandi, che poggiano su differenti presupposti. Il primo sul perfezionamento delle relative procedure, il secondo sull'avvio di tali procedure. Non si può costruire se prima non sono definite tutte le norme di riferimento. Invece, si può valutare un suolo considerato "a vocazione edificatoria", anche prima del completamento delle relative procedure. Anche perché i tempi ancora necessari per il perfezionamento delle procedure, con tutte le incertezze riferite anche a quelli che potranno essere i futuri contenuti prescrittivi, entrano in gioco come elementi di valutazione al ribasso.
In definitiva, la equiparazione legislativa di tutte le aree che non possono considerarsi "non inedificabili", non significa che queste abbiano tutte lo stesso valore.
Con la perdita dell'inedificabilità di un suolo (cui normalmente, ma non necessariamente, si accompagna un incremento di valore) si apre soltanto la porta alla valutabilità in concreto dello stesso. È evidente che, in sede di valutazione, la minore o maggiore attualità e potenzialità della edificabilità dovrà essere considerata ai fini di una corretta valutazione del valore venale delle stesse, ai sensi dell'art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 504/1992, per l'Ici, e 51, comma 3, del D.P.R. n. 131/1986, per l'imposta di registro.
Pertanto, ai fini dell'applicazione del D.Lgs. 504/1992, un'area è da considerarsi fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo: in tal caso, l'Ici deve essere dichiarata e liquidata sulla base del valore venale in comune commercio, tenendo conto anche di quanto sia effettiva e prossima la utilizzabilità a scopo edificatorio del suolo, e di quanto possano incidere gli ulteriori eventuali oneri di urbanizzazione.
2.5. Infine, osserva il Collegio, l'intervento interpretativo, da parte del legislatore, piuttosto che dare forza alla soluzione adottata, che sarebbe stata recepita anche in mancanza della imposizione ex auctoritate, l'ha indebolita, in quanto può apparire inutilmente e dichiaratamente di parte. Infatti, il legislatore è intervenuto quando già le Sezioni Unite erano state investite del contrasto e, quindi, era imminente la rimozione del contrasto stesso da parte di un giudice terzo, nell'esercizio della specifica funzione istituzionale di garante dell'uniforme interpretazione della legge (artt. 65, comma 1, del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, e 374, comma 2, del codice di procedura civile). Si aggiunga, poi, che, come è accaduto nel caso di specie, in materia fiscale gli interventi interpretativi sono sempre pro Fisco, in quanto dettati da ragioni di cassa (nell'intento di realizzare maggiori entrate). Non sono ispirati, quindi, alla esigenza di realizzare la certezza del diritto, ma soltanto a garantire gli interessi di una delle parti in causa. Ciò non facilita l'istaurarsi di un rapporto di fiducia tra Amministrazione e contribuente, basato sul principio della collaborazione e della buona fede, come vorrebbe lo Statuto del contribuente (art. 10, comma 1, della L. n. 212/2000).
Nel caso di specie, poi, non è facile distinguere l'Amministrazione finanziaria, parte in causa, dal legislatore, posto che la norma interpretativa è stata approvata con decreto-legge del Governo, convertito in una legge, la cui approvazione è stata condizionata dal voto di fiducia al Governo. Tanto che se fosse stato diverso l'orientamento del Collegio (rispetto alla scelta legislativa), non ci si sarebbe potuto esimere dal valutare la compatibilità della procedura di approvazione dell'art. 36, comma 2, del D.L. n. 223/2006, con il parametro costituzionale di cui all'art. 111 della Costituzione, che presuppone una posizione di parità delle parti nel processo, posto che, nella specie, l'Amministrazione finanziaria ha avuto il privilegio di rivestire il doppio ruolo di parte in causa e di legislatore e che, in questa seconda veste, nel corso del giudizio ha dettato al giudice quale dovesse essere, pro domo sua, la corretta interpretazione della norma sub iudice.
L'intervento è apparso inopportuno anche perché la Pubblica amministrazione, anche quando è parte in causa, ha sempre l'obbligo di essere e di apparire imparziale, in forza dell'art. 97 della Costituzione.
2.6. Con il secondo motivo, il comune ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 9 del D.Lgs. 504/1992, 11 della L. n. 9/1963 e 58, comma 2, del D.Lgs. n. 446/1997, anche sotto il profilo del vizio di motivazione, in quanto la contribuente non avrebbe provato che negli anni 1993/1994 aveva condotto direttamente i suoi terreni agricoli, in qualità di coltivatrice diretta o di imprenditrice agricola, non avendo dimostrato di essere iscritta, in tale qualità, nell'apposito elenco comunale, così come impone l'art. 58 del D.Lgs. n. 446/1997. In realtà, in punto di fatto, la Commissione tributaria regionale afferma che la contribuente A.L. aveva dimostrato di condurre direttamente i terreni in questione, respingendo l'eccezione, prospettata dal comune, secondo la quale l'agevolazione fiscale competeva soltanto a coloro che risultassero iscritti negli appositi elenchi comunali, ai sensi dell'art. 58, comma 2, del D.Lgs..n. 446/1997. Tale eccezione, riproposta come motivo di ricorso, è infondata, perché il precetto contenuto nell'art. 58 citato, non vale per le annualità 1993 e 1994, ma soltanto per il futuro, così ha osservato il giudice di merito, in sintonia con l'insegnamento di questa Corte. (vd. Cass. n. 19375/2003 e n. 13334/2006).
2.7. Conclusivamente, il primo motivo di ricorso deve essere accolto, il secondo, invece, va respinto. La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio al giudice del merito, per le sue ulteriori valutazioni, sulla base del principio di diritto affermato e per la liquidazione delle spese.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale del Veneto.
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