lunedì 5 febbraio 2007

Mediazione atipica: la provvigione spetta solo agli iscritti nei ruoli

Ex legge 3 febbraio 1989, n. 39, art. 2, comma 4, l'iscrizione al ruolo degli agenti di affari in mediazione deve essere richiesta; pena, in difetto, la operatività del precetto di cui all'art. 6, comma 1, della stessa Legge, secondo cui "hanno diritto alla provvigione soltanto coloro che sono iscritti nei ruoli" "coloro che svolgono su mandato a titolo oneroso attività per la conclusione di affari relativi ad immobili od aziende".

Nello stesso senso milita anche la Corte di Giustizia delle comunità europee che con la direttiva 67/43/CEE del Consiglio, del 12 febbraio 1967, concernente la realizzazione della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi per le attività non salariate relative al settore degli affari immobiliari, non impedisce allo Stato membro di riservare determinate attività rilevanti nel settore degli affari immobiliari alle persone autorizzate ad esercitare la professione di agente immobiliare (C. Giust. CE 25 giugno 1992, n. 147).


SUPREMA CORTE DI CASSAZONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 5 settembre 2006, n. 19066

Svolgimento del processo

Con atto 15 settembre 1994 e date successive C.S. ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Roma, R. M. e F., nonchè H.P.Y..

Premesso che esso attore aveva ricevuto dai R. mandato in esclusiva a vendere, e dall' H. ad acquistare, il ristorante (OMISSIS) e che i predetti avevano concluso la vendita del descritto esercizio commerciale, nonchè di altri immobili, con atto notaio N. del 15 marzo 1994, omettendo di corrispondergli il previsto compenso, il C. ha chiesto la condanna dei convenuti al pagamento della provvigione del caso, pari al 3% del prezzo effettivo pagato.

Costituitisi in giudizio i convenuti hanno chiesto il rigetto della domanda.

Svoltasi l' istruttoria del caso l'adito Tribunale con sentenza 12 giugno 1998 ha rigettato la domanda.

Ha evidenziato il Tribunale che nella specie era configurabile un contratto di mediazione, ancorchè di natura atipica e occasionale, caratterizzato dalla messa in relazione delle parti per la conclusione dell'affare.

Il C., peraltro, ha ancora evidenziato quel giudice, non è iscritto nel ruolo dei mediatori ai sensi della L. n. 39 del 1989, con conseguente nullità del contratto inter partes, a norma dell'art. 8 della ricordata legge e inesistenza del diritto, in capo al C., a ottenere un compenso per l'attività svolta.

Gravata tale pronunzia dal C., si sono costituiti in grado di appello unicamente i R., chiedendo il rigetto del gravame.

In contumacia dello H. la Corte di Appello di Roma, con sentenza 4 ottobre - 6 novembre 2001 ha rigettato il gravame, con condanna dell'appellante al pagamento delle spese.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso il C., con atto 21 dicembre 2002, affidato a tre motivi.

Resistono, con controricorso, unicamente R.M. e F., con controricorso notificato il 13 gennaio 2003.

Motivi della decisione

1. Rileva, in limine, la Corte che nel giudizio di legittimità la procura rilasciata dal controricorrente in calce o a margine della copia notificata del ricorso anzichè in calce al controricorso medesimo non è idonea per la valida proposizione di quest'ultimo, nè per la formulazione di memorie, in quanto non dimostra l'avvenuto conferimento del mandato anteriormente o contemporaneamente alla notificazione dell'atto di resistenza, ma è idonea ai soli fini della costituzione in giudizio del controricorrente e della partecipazione del difensore alla discussione orale, non potendo a tali fini configurarsi incertezza circa l'anteriorità del conferimento del mandato stesso (Cass. 20 agosto 2004, n. 16349;

Cass. 24 febbraio 2004, n. 3646).

Pacifico quanto precede, certo che nella specie l'avv. Ciano Sandro ha sottoscritto il controricorso nell'interesse di R. M. e di R.F. in forza di "procura in calce ai ricorsi agli stessi notificati "è evidente che deve dichiararsi la inammissibilità del controricorso.

2. Con il terzo motivo - che per motivi di ordine logico deve esaminarsi con precedenza rispetto agli altri - il ricorrente denunzia la sentenza gravata lamentando, quanto al carattere atipico del contratto concluso tra le parti, "omessa, insufficiente e contrad- dittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia nonchè violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Si osserva, infatti, che erroneamente i Giudici del merito hanno qualificato il contratto inter partes quale "mediazione", "connotandosi esso, piuttosto, per la presenza di elementi di più contratti tipici quale la rappresentanza, il mandato, la mediazione e la prestazione opera professionale, elementi che il tribunale e la corte di appello non hanno tenuto nel debito conto, ritenendo erroneamente e sulla base del mero richiamo della L. n. 39 del 1989, art. 2, comma 4 che il connotato della mediazione assumerebbe rilievo determinante ai fini dell'assoggettamento del rapporto alla legge medesima".

"Invero - si afferma - l'oggetto del contratto con i R. è l'incarico di rappresentanza esclusiva per reperire acquirente ed il ruolo del C. di rappresentante dei venditori o comunque di curarne gli interessi sulla base di un apposito incarico esclude quello di mediatore" "I due contratti, di mediazione e di rappresentanza mandato, anche se dal punto di vista economico assolvono una analoga funzione, hanno infatti diversi connotati giuridici. In particolare la figura del mediatore è caratterizzata dall'assenza di rapporti di dipendenza, collaborazione o di rappresentanza con alcuna delle parti messe in relazione, ciò che le attribuisce una assoluta imparzialità nel senso che egli non deve agire a vantaggio di alcuna di esse". 3. Il motivo non coglie nel segno.

In termini opposti, rispetto a quanto invocato dal ricorrente, giusta quanto assolutamente pacifico - alla luce di un insegnamento costante di questa Corte- regolatrice - è configurabile, nel vigente ordinamento, una mediazione negoziale, c.d. atipica, fondata su un contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (ed. mediazione unilaterale).

Ovverosia il caso in cui una parte, volendo concludere un affare, incarica altri di svolgere un'attività intesa alla ricerca di una persona interessata alla conclusione del medesimo affare a determinate prestabilite condizioni.

Si riferisce appunto a tale incarico, facendone derivare un rapporto di mediazione tra chi lo da e chi lo riceve, l'art. 1756 c.c., in quanto fa discendere dall'incarico, salvo patto contrario, l'obbligazione di rimborsare al mediatore le spese fatte per eseguirlo, anche quando l'affare non si sia concluso.

Ulteriore riferimento al contratto può considerarsi contenuto nella L. 3 febbraio 1989, n. 39, art. 5, dove è menzione dei moduli e formulari impiegati dal mediatore professionale nell'esercizio della sua attività e delle condizioni generali di contratto in essi inserite (in termini, recentemente, Cass. 18 marzo 2005, n. 5952).

Pacifico quanto precede, pacifico che nella specie il C. aveva, da un lato ricevuto mandato in esclusiva da parte dei R. a reperire acquirenti per il ristorante di loro proprietà, dall'altro, dall' H. a acquistare lo stesso ristorante, è palese che correttamente i giudici del merito hanno affermato che la L. n. 39 del 1989, art. 2, comma 4, disciplina "anche ipotesi atipiche ... stante la rilevanza, nella atipicità, che assume il connotato della mediazione, la quale si accompagna l'attività ulteriore in vista della conclusione dell'affare".

Come puntualmente evidenziato dalla sentenza impugnata l'assunto ancora in questa sede sostenuto dal ricorrente, non potersi qualificare il rapporto oggetto di controversia mediazione per la presenza di elementi di più contratti tipici e avendo esso concludente ricevuto dai R. l'incarico di rappresentanza esclusiva per reperire acquirenti, contrasta con la stessa formulazione letterale della norma di cui alla L. 3 febbraio 1989, n. 39, art. 2, comma 4.

Giusta quest'ultima disposizione, in particolare, l'iscrizione al ruolo degli agenti di affari in mediazione deve essere richiesta pena, in difetto, la operatività del precetto di cui all'art. 6, comma 1, della stessa Legge, secondo cui "hanno diritto alla provvigione soltanto coloro che sono iscritti nei ruoli" "coloro che svolgono su mandato a titolo oneroso attività per la conclusione di affari relativi ad immobili od aziende".

Certo che il ricorrente invoca, a fondamento della richiesta della provvigione, di avere agito, nella specie, proprio in forza di un mandato conferitogli dai R. è evidente la correttezza della conclusione fatta propria dai giudici a quibus e la insostenibilità dell'assunto di cui al terzo motivo del ricorso.

4. Con il primo motivo il ricorrente, censura la sentenza impugnata, nella parte in cui questa ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 39 del 1989, denunziando "illegittimità costituzionale della L. 3 febbraio 1989, n. 39, artt. 2, 3, 6 e 8, in riferimento agli artt. 1 e 2 Cost., art. 3 Cost., comma 2, artt. 4 e 18 Cost., art. 33 Cost., comma 5, artt. 35, 36 e 41 Cost.; omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Si osserva, in particolare, che la L. n. 39, in violazione delle ricordate disposizioni costituzionali, prevedendo l'obbligo dell'iscrizione al ruolo per quanti intendano svolgere l'attività di mediatore, pone all'accesso alla stessa limiti che non trovano giustificazione nella necessità di particolari conoscenze tecniche da parte di chi la esercita e, soprattutto, non corrisponde a alcun interesse pubblico particolare", non potendo l'attività di mediatore essere in alcun modo assimilata alle professioni intellettuali il cui esercizio è subordinato all'iscrizione in appositi albi o elenchi in ragione della utilità generale che si riconosce loro.

5. Il motivo è infondato.

Giusta la testuale previsione di cui all'art. 33 Cost., comma 5, "E' prescritto un esame di Stato ... per l'abilitazione all'esercizio professionale".

In attuazione della regola de qua, L. 3 febbraio 1989, n. 39, art. 2, da un lato, prevede che "presso ciascuna Camera di Commercio, artigianato e agricoltura è istituito un ruolo degli agenti in affari in mediazione nel quale devono iscriversi coloro che svolgono o intendono svolgere l'attività di mediazione, anche se esercitata in modo discontinuo o occasionale" comma 1, dall'altro prescrive che "per ottenere l'iscrizione nel ruolo gli interessati devono ... tra l'altro aver superato un esame diretto ad accertare l'attitudine e la capacità professionale dell'aspirante in relazione al ramo di mediazione prescelto, oppure avere conseguita il diploma di scuola secondaria di secondo grado ed aver effettuato un periodo di pratica di almeno dodici mesi continuativi con l'obbligo di frequenza di uno specifico corso di formazione professionale", comma 3, lett. e).

Pacifico quanto precede è di palmare evidenza che la normativa in esame, in quanto in attuazione di puntuali principi costituzionali non può, contemporaneamente, essere sospettata di illegittimità costituzionale.

A prescindere dal considerare che rientra nella discrezione del legislatore, introdurre nuove categorie di "professionisti" (cfr., del resto, da ultimo il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 30, ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni, ai sensi della L. 5 giugno 2003, n. 131, art. 1) è palese l'interesse pubblico perchè l'attività di mediatore sia svolta esclusivamente da persone in possesso di particolari cognizioni tecniche, ove solo si tenga presente la responsabilità del mediatore quanto all' obbligo sullo stesso gravante di comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla sicurezza dell'affare, a norma dell'art. 1759 c.c. (cfr., al riguardo, ad esempio, Cass. 24 ottobre 2003, n. 16009; Cass. 8 maggio 2001, n. 6389, nonchè, da ultimo, Cass. 15 marzo 2006, n. 5777; Cass. 22 luglio 2004, n. 13767).

6. Con il secondo motivo, denunziando "omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia.

1 violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) il ricorrente assume che la specifica sanzione di mancato riconoscimento di un compenso per la prestazione eseguita per quanti esercitino attività di mediazione senza iscrizione crea ulteriori e illogiche discriminazione nell'ambito dello stesso mercato europeo, soprattutto ove si considerino le regole di dirittoprivato internazionale in ordine alla scelta e/o comunque all'applicazione della legge nazionale che regola l'obbligazione contrattuale ... e tenuto altresì presente il principio del reciproco riconoscimento.

La Corte di Appello - pertanto - si assume, avrebbe dovuto esaminare il prospettato contrasto della L. del 1989, sia con i principi costituzionali di cui all'artt. 3 e 41 Cost., per irragionevolezza e disuguaglianza, sia inoltre con quelli comunitari, contenuti nel Trattato di Roma relativamente alle libertà di stabilimento e alla libera prestazione di servizi.

Si sollecita, infine, l'opportunità di rimettere la questione pregiudiziale alla Corte di giustizia delle comunità europee al fine di stabilire se la L. n. 39 del 1989, osti alla applicazione dei principi contenuti nel trattato di Roma, direttamente applicabili negli Stati membri, sulla libertà di stabilimento e sulla libera prestazione dei servizi.

7. Il motivo è manifestamente infondato. Sotto tutti i molteplici profili in cui si articola.

7.1. A quel che risulti dal ricorso, nonchè dalla sentenza impugnata, non si è mai dubitato, nella presente controversia, dell'applicabilità, alla presente vicenda, del solo diritto italiano e dell'assenza di elementi di estraneità che impongano di fare riferimento alla L. 31 maggio 1995, n. 218 (riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) o alla Convenzione di Roma 19 giugno 1980 (resa esecutiva in Italia con la L. 18 dicembre 1984, n. 975.)

E' palese, per l'effetto, l'assoluta irrilevanza - al fine del decidere - e di pervenire alla soluzione della controversia stessa ogni riferimento alle citate disposizioni.

7. 2. Manifestamente infondata, inoltre, si appalesa, sotto il profilo di cui all'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale della L. n. 39 del 1989, e, in particolare, dell'art. 6, comma 1, di questa, nella parte in cui esclude il diritto al compenso per i non iscritti nel ruolo.

Da un lato, infatti, è certo il carattere "generale" della prescrizione in parola, che non prevede deroghe di sorta per i non iscritti, dall'altro la stessa è in armonia con la regola contenuta dall'art. 2231 c.c., comma 1.

Giusta tale ultima norma "quanto l'esercizio di una attività professionale è condizionata all'iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli da azione per il pagamento della retribuzione".

Facendo propria, con riguardo ai "mediatori", la regola de qua è di palmare evidenza che neppure in tesi è prospettabile una questione di legittimità costituzionale sotto il profilo di cui all'art. 3 Cost., della L. 3 febbraio 1989, n. 39, art. 6 cit., comma 1.

Parimenti manifestamente infondata appare la questione così come sollevata con riferimento all'art. 41 Cost..

L'ultimo comma della ricordata disposizione espressamente prevede che "la legge determina ... i controlli opportuni perchè l'attività economica ... privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali".

Poichè, come osservato sopra, a fini "sociali" e di tutela della generalità dei cittadini è stata dettata la speciale disciplina di cui alla L. n. 39 del 1989, è di palmare evidenza la insussistenza di qualsiasi violazione del precetto costituzionale.

7.3. Quanto da ultimo, alla compatibilità della disciplina di cui alla L. n. 39 del 1989, con il Trattato di Roma si osserva che la Corte di Giustizia delle comunità europee già si è espressa al riguardo, in termini opposti, rispetto a quanto invocato dall' odierno ricorrente.

Ha statuito - infatti - la Corte di Giustizia delle comunità europee che la direttiva 67/43/CEE del Consiglio, del 12 febbraio 1967, concernente la realizzazione della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi per le attività non salariate relative al settore degli affari immobiliari, non impedisce allo Stato membro di riservare determinate attività rilevanti nel settore degli affari immobiliari alle persone autorizzate ad esercitare la professione di agente immobiliare (C. Giust. CE 25 giugno 1992, n. 147).

Pacifico quanto precede, atteso che non risultano prospettati nuovi profili di censura, è palese, da un lato, che è sufficiente fare riferimento alla motivazione svolta nella richiamata pronunzia, dall'altro, che deve disattendersi la richiesta del ricorrente perchè sia rimessa dalla ricordata Corte la questione pregiudiziale prospettata.

8. Risultato infondato in ogni sua parte, il proposto ricorso deve rigettarsi.

Nessun provvedimento deve adottarsi in ordine alle spese di questo giudizio di cassazione, accertata la inammissibilità del controricorso di parte R..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

nulla sulle spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2006.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2006.

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