venerdì 9 febbraio 2007

Possesso di armi: requisiti soggettivi e giudizio di non affidabilità

Secondo il TAR Lombardia, sez. III, sentenza 29.12.2006 n° 4379, circa la facoltà di detenere armi, la valutazione della sicura affidabilità al buon uso delle armi è un atto discrezionale molto ampio della P.A., la quale “può addirittura nei casi estremi prescindere da una condanna penale dell'interessato e si svolge sulla base di un giudizio sintetico valutativo di accertamento del possesso del predetto requisito che deve investire nel complesso la condotta di vita del soggetto interessato, con riguardo all'osservanza delle comuni regole di convivenza sociale e di quelle tradotte in precetti giuridici a salvaguardia dei valori fondamentali dell'ordinamento, così che non emerga il ripetersi di fatti e circostanze da cui l'Autorità di P.S. possa dedurre la possibilità di un abuso delle armi (Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 ottobre 2005, n. 5462)”.


TAR Lombardia

Sezione III

Sentenza 29 dicembre 2006, n. 4379

N. /06 Reg. Sent.
N. 762/06 Reg.
Ric

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA (Sezione III)

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 762/2006 proposto da R. E., rappresentato e difeso dall’avv. Ivan Behare nello studio del quale è elettivamente domiciliato in Milano, Via Buonarroti, n. 9;

contro

il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, e la Questura di Milano, in persona del Questore pro tempore, rappresentati e difesi dalla Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso cui sono domiciliati “ex lege” in Milano, via Freguglia n. 1;

per l'annullamento

del decreto del Questore di Milano Cat. 6/F/2005 div. PAS del 09.12.2005, notificato il 3 gennaio 2006, con il quale è stata revocata la licenza di porto di fucile per uso caccia n. 374389 intestata al ricorrente.

VISTO il ricorso con i relativi allegati;

VISTO l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

VISTE le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

VISTI gli atti tutti della causa;

Nominato relatore alla pubblica udienza del 23 novembre 2006 il Ref. Vincenzo Blanda;

Uditi, ai preliminari, l'avv. Ivan Behare per il ricorrente e l'avv. dello Stato Mario Capolupo per l’amministrazione resistente;

Considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO

Con ricorso notificato il 3 marzo 2006, R. E. ha impugnato il decreto della Questura di Milano in data 09.12.2005 con il quale gli è stata revocata la licenza di porto di fucile uso caccia, ai sensi degli artt. 1, 5, 11, 42 e 43 del TULPS (R.D. 773/1931).

Il provvedimento di revoca era stato adottato con riferimento ad una sentenza di applicazione della pena emessa, ai sensi degli art. 444 e 445 c.p.p., per il reato di cui agli artt. 482 (lesioni personali) e 612 (minaccia) del codice penale e ad un decreto penale di condanna per violazione dell’art. 22, comma 12, del D.lgs. n. 286/1998.

Il primo procedimento penale attiene ad un episodio accaduto il 9.11.1996 durante una battuta di caccia. In tale occasione l’interessato, a seguito di un diverbio avuto con un ciclista, esplodeva un colpo di fucile che colpiva il malcapitato alla coscia della gamba sinistra, provocandogli lesioni giudicate guaribili in 5 giorni.

Il secondo procedimento riguarda l’impiego da parte del R., quali manovali edili, di cittadini stranieri privi del permesso di soggiorno.

A sostegno dell’impugnazione l’interessato deduce l’illegittimità del decreto del Questore di Milano che ritiene immotivato, illogico, emanato in violazione delle norme in materia di rilascio delle licenze in materia di armi ed affetto da eccesso di potere.

Assume in particolare il ricorrente che il provvedimento si basa esclusivamente sulle vicende penali sopra indicate che, essendosi entrambe definite con “patteggiamento” ex artt. 444 e 445 c.p.p., non assumerebbero alcun rilievo ai fini dell’impugnata revoca.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio per resistere al ricorso.

Con decreto presidenziale n. 702 del 23 marzo 2006 è stata respinta l’istanza di misure cautelari provvisorie presentata contestualmente al ricorso, ai sensi dell’art. 21 della legge n. 1034/71, come modificato dall’art. 3 della legge n. 205/00.

Alla udienza pubblica del 23 novembre 2006, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

In linea generale occorre osservare che, secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa, condiviso da questo Collegio, l'inaffidabilità della persona in ordine al non abuso delle armi, prevista dall'articolo 43, secondo comma, del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 quale motivo discrezionale di denegabilità della licenza per porto d'arma, assolve ad una finalità di prevenzione a tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, richiedendo che l'interessato garantisca la sicura affidabilità circa il buon uso delle armi. Ciò implica una valutazione discrezionale caratterizzata da notevole ampiezza che può addirittura nei casi estremi prescindere da una condanna penale dell'interessato (T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 18 gennaio 2005, n. 173) e si svolge sulla base di un giudizio sintetico valutativo di accertamento del possesso del predetto requisito che deve investire nel complesso la condotta di vita del soggetto interessato, con riguardo all'osservanza delle comuni regole di convivenza sociale e di quelle tradotte in precetti giuridici a salvaguardia dei valori fondamentali dell'ordinamento, così che non emerga il ripetersi di fatti e circostanze da cui l'Autorità di P.S. possa dedurre la possibilità di un abuso delle armi (Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 ottobre 2005, n. 5462).

2. In particolare gli artt.42 e 43 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza definiscono i requisiti soggettivi e i presupposti per il rilascio della licenza di porto d’armi, prevedendo tra l’altro l’affidabilità dell’interessato circa il non abuso delle armi.

2.1. Al riguardo questa Sezione ha già avuto occasione di considerare (cfr. sentenza 13 novembre 2001, n. 7224) che la facoltà di detenere le armi non corrisponde ad un diritto il cui affievolimento debba essere assistito da garanzie di particolare ampiezza, atteso che il nostro ordinamento in materia di pubblica sicurezza è ispirato ad una concezione sostanzialmente monopolistica dello Stato.

Da quanto premesso discende che la facoltà di detenere armi corrisponde ad un interesse che è reputato senz’altro cedevole a fronte del ragionevole sospetto dell’abuso della facoltà medesima ed il cui soddisfacimento recede al cospetto dell’esigenza di evitare rischi di sorta per l’incolumità pubblica e per la tranquilla convivenza della collettività.

Ciò porta a ritenere che, qualora la condotta o le relazioni dell’interessato presentino segni di pericolosità o anche indizi di inaffidabilità tali da giustificare un giudizio prognostico circa la possibilità di abuso delle armi, l’autorità di P.S. possa legittimamente rifiutare l’autorizzazione al porto delle armi, salvo l’obbligo di motivare le proprie determinazioni.

3. Or bene venendo alla vicenda in esame, reputa il Collegio che nel caso di specie il giudizio di non affidabilità sull’uso delle armi sia stato adeguatamente motivato, posto che nel provvedimento impugnato sono chiaramente esposte in parte motiva le ragioni per cui è stata rigettata l’istanza di rinnovo della licenza del porto d’armi per uso caccia.

Il decreto del Questore, infatti, senza fare un mero rinvio alle sentenze emesse ai sensi dell’art. 444 c.p.p., afferma che “dalle circostanze di cui sopra (le pronunce del Tribunale di Milano), ed in particolare per la condotta che ha dato luogo al reato di lesioni e minacce, il R. non da più affidamento di non abusare del titolo di Polizia e delle armi e che i medesimi precedenti penali, qualora fossero stati conosciuti all’epoca dal rilascio del titolo, non avrebbero consentito l’accoglimento della istanza”.

3.1. Né depone, in senso contrario, il fatto che il ricorrente sia stato condannato con sentenza di patteggiamento.

Invero, il Collegio ritiene di aderire all’orientamento giurisprudenziale secondo cui tale pronuncia equivale a quella di condanna, per l’espressa equiparazione al riguardo sancita dall’art.445 c.p.p. (Consiglio di Stato, Sez. I, 27.05.1992, n. 1647; idem, Sez. VI, 16.10.1995, n. 1149; TAR Campania, III, 11.10.1996, n. 646; TAR Liguria, 15.11.2000, n. 1228): il patteggiamento, infatti, investe la pena, e non il titolo di imputazione, tanto che il giudice può disattendere la richiesta delle parti quando ritiene di pervenire a pronuncia di assoluzione o di estinzione del reato (TAR Piemonte, II, 23/10/1997, n. 535; Consiglio di Stato, Sez. VI, 24.08.1996, n. 1067).

I vantaggi di tale sentenza per l’imputato rimangono confinati nello stretto ambito penale, giacché per le conseguenze extrapenali del fatto non sussiste alcuna preclusione, né per l’autorità amministrativa, che ai sensi dell’art. 445, comma 1, c.p.p. è tenuta ad equiparare detta pronuncia a quella di condanna, né per l’ex imputato che, nei limiti previsti dai rispettivi ordinamenti processuali, è ammesso a provare nelle ulteriori sedi di giudizio quanto non ha voluto o potuto addurre innanzi al giudice penale (TAR Lombardia, Brescia, 13.12.1993, n. 1040; TAR, Puglia Lecce, Sez. I, n. 5921/2001).

3.2. Nella fattispecie il ricorrente ha incentrato le argomentazioni difensive sulla pretesa non assimilabilità tra la sentenza in questione e quella di condanna, ma non ha in alcun modo offerto, né all’amministrazione né al giudicante, elementi tali da escludere o rendere dubbia la responsabilità in ordine al reato per il quale ha prestato consenso al patteggiamento.

La Questura ha, pertanto, correttamente basato il proprio diniego sulla condanna subita dall’istante.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza del ricorrente nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sez. III, respinge il ricorso in epigrafe.

Condanna il ricorrente alle spese di giudizio in favore dell’amministrazione resistente che liquidano in € 2000,00 (duemila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Milano, nella Camera di Consiglio del 23 novembre 2006, con l'intervento dei magistrati:

Domenico Giordano - Presidente

Luca Monteferrante - Referendario

Vincenzo Blanda - Referendario est.

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