martedì 21 luglio 2009

Zona e area, distinzione concettuale nell'urbanistica

T.A.R. Toscana, Sezione III, 7 maggio 2009

Sulla distinzione concettuale della zona con l’area: siamo di fronte a due concetti diversi , quello di zona e quello di area dalla cui distinzione nascono conseguenze giuridiche rilevanti proprio con riferimento alla natura dei vincoli apposti dalle destinazioni.
Invero, mentre la zona ( nella specie, la sottozona)identifica una parte del territorio cui corrisponde una funzione specializzata , l’area, invece, è un concetto topografico più ristretto e precisamente una porzione più limitata in ordine alla quale l’Amministrazione in sede di PRG effettua una sorte di prenotazione per insediarvi impianti ed opere pubbliche, con la conseguenza , in questo caso, che se l’opzione fatta dall’Ente pubblico non viene attuata in un determinato arco di tempo, l’area in questione viene liberata da quella sorte di ipoteca ad uso pubblico apposta in origine dallo strumento urbanistico.


T.A.R. Toscana, Sezione III, 7 maggio 2009
SENTENZA N. 775

1. La destinazione “F2e” con il simbolo impianti tecnologici e servizi annessi va considerata come normale vincolo di natura conformativa, discendente dalle ordinarie scelte di pianificazione urbanistica, quindi non soggetta al normale termine quinquennale di decadenza, la cui validità è a tempo indeterminato( come stabilito dall’art.11 della legge “urbanistica” n.1150 del 17 agosto 1942) e senza che possa nella specie configurarsi una compressione del diritto di proprietà nei sensi di cui all’art.42 terzo comma della Costituzione.

2. La giurisprudenza costituzionale ha elaborato, com’è noto i criteri di individuazione dei vincoli di inedificabilità assoluta e preordinati all’esproprio ovvero aventi caratteri sostanzialmente espropriativo rispetto ai c.d. vincoli conformativi, in ispecie, con le sentenze 29 maggio 1999 n.179, 18 dicembre 2001 n.411 e 9 maggio 2003 n.148, identificandoli con quelli che producono lo svuotamento del contenuto del diritto di proprietà, incidono sul godimento del bene , tanto da renderlo inutilizzabile ovvero da diminuirne in modo significativo il valore di scambio : in tali sensi peraltro si è espressa la giurisprudenza amministrativa formatasi in relazione all’art.2 della legge n.1187 del 1968( ex multis, Cons Stato Sez. V 3/172001 n.3 e 24/2/2004 n.745). Tali indicazioni poi possono valere anche nell’attuale vigenza dell’art.9 commi 3 e 4 del DPR 8 giugno 2001 n.237 che ha solo disciplinato con una diversa terminologia la regola della durata quinquennale, disciplinando espressamente gli istituti della decadenza e della reiterazione. Natura e contenuto diversi ha invece la categoria dei vincoli c.d. conformativi, enucleabile in relazione ad una previsione di tipologia urbanistica che non configura una “prenotazione” dell’Amministrazione all’inedificabilità assoluta o all’espropriazione , trattandosi di una prescrizione diretta a regolare concretamente l’attività edilizia e per ciò stesso con validità a tempo indeterminato , ai sensi dell’art.11 della legge n.1150 del 17 agosto 1942.

2. Parte ricorrente contesta la legittimità della scelta operata dall’Amministrazione di subordinare l’intervento edificatorio de quo alla presentazione e approvazione di un piano di recupero. Invero, la critica mossa alla scelta operata dall’Amministrazione si fonda su una interpretazione per così dire restrittiva dell’istituto urbanistico del piano di recupero, lì dove si accede da parte ricorrente ad una visione che, per il vero, la giurisprudenza ha ampliato dagli angusti limiti propri dell’originaria definizione. Vero è, infatti, che il presupposto richiesto per legittimare la redazione e approvazione di un Piano di Recupero è rappresentato principaliter dall’esistenza concreta ed effettiva di un patrimonio edilizio degradato, costituito cioè da immobili fatiscenti, abbandonati, coma da superfetazioni e che quindi tali condizioni nella specie non sussisterebbero; ciònondimeno, il Collegio ritiene di dovere aderire a quell’orientamento giurisprudenziale (cfr Cons stato Sez. IV 11/4/2007 n.1606) secondo cui “i piani di recupero possono prevedere non solo il mero recupero, ma anche le modificazioni urbanistiche necessarie al più consono assetto del territorio”. Il divisamento assunto dal Comune con la deliberazione per cui è causa si pone esattamente nell’alveo delle caratteristiche e finalità conferite dalla giurisprudenza testé citata allo strumento del Piano di Recupero e tanto è ricavabile dalla disamina delle ragioni esplicitamente contenute nell’atto deliberativo de quo. Il Consiglio Comunale prendendo l’abbrivio dalla vicenda processuale qui all’esame e tenuto conto delle connotazioni specifiche delle realtà territoriali come quella costituita dall’ex sede Telecom ha deciso, nell’esercizio di un suo preciso potere discrezionale di procedere a conferire per alcune parti del territorio, identificate con i perimetri che includono le zone F e G, , “interne al Centro Storico”e “per dimensione e localizzazione di particolare significato per la città” un assetto pianificatorio coerente ed unitario , in modo da non stravolgere il contenuto dell’impianto urbanistico generale .

3. La redazione e approvazione di un Piano di Recupero è un modulo procedimentale di definizione degli interessi pubblico-privati che ben si attaglia al caso di specie dove una ridefinizione degli standard urbanistici si rende necessaria per il “nuovo” utilizzo direzionale delle aree e dei fabbricati in questione, le quante volte, la progettata trasformazione degli immobili comporti un decremento di detti standard con innegabili riflessi di carattere negativo in ordine alla qualità della vita delle persone abitanti nella zona interessata.
FATTO

La ricorrente è proprietaria , per acquisto effettuato nel giugno del 2005 dell’immobile adibito ad ex sede della Telecom di Firenze, formato da due corpi di fabbrica in comunicazione tra loro e posti su via Masaccio e via Fattori. Detto immobile ricade , secondo la normativa di PRG in zona A3, centro storico fuori le mura , nella sottozona “F2e”, con simbolo di area per impianti tecnologici e servizi annessi, è stato costruito, come riferito in ricorso, come struttura ad uso direzionale,non ha mai perso tale destinazione” ed è rimasto inutilizzato per molti anni.
In data 18/9/2007 la Società proprietaria dell’immobile ha presentato una d.i.a “per opere di risanamento conservativo volte a realizzare , attraverso interventi interni un pluralità di unità immobiliari tutte direzionali”.
Il Comune di Firenze, con ordinanza n.917 del 1 ottobre 2008, rilevando il contrasto con l’art.182.4 del Regolamento Edilizio e la non compatibilità della destinazione d’uso direzionale proposta con le previsioni di PRG, Zona F2e, ha ordinato la non esecuzione dei lavori.
Lo stesso Comune poi, con deliberazione consiliare n.88 del 13 ottobre 2008 ha proceduto ad individuare , ai sensi dell’art.27 della legge n.457/78, come zone di recupero le zone F e G inserite all’interno del centro storico così come definito dall’art.15 delle NTA del PRG, con l’obbligo di Piano di recupero “quando si intenda riutilizzare gli immobili preesistenti già destinati a funzioni pubbliche o di pubblico interesse per destinazioni d’uso diverse dalla disciplina generale delle zone “F2 e “ G “ .
La società Telma ha impugnato con il ricorso all’esame sia l’ordinanza inibitoria sia la delibera consiliare suindicate, deducendo i seguenti motivi:
quanto all’ordinanza dirigenziale:
Violazione e falsa applicazione degli artt.182.4 e 1999del Regolamento edilizio di Firenze. Eccesso di potere per travisamento ed errore sui presupposti: il progetto di risanamento conservativo presentato dalla ricorrente è pienamente rispettoso delle prescrizioni regolamentari opposte dall’amministrazione dal momento che il prospetto esterno dell’immobile rimane totalmente immodificato. Inoltre, quanto alla destinazione d’uso direzionale contestata dall’Amministrazione, l’ edificio nasce come edificio direzionale, tale è stato utilizzato e l’intervento di risanamento conservativo progettato non muta tale destinazione d’uso del fabbricato;
Violazione e falsa applicazione del PRG del Comune di Firenze( in particolare artt.50 e 52 delle NTA). Eccesso di potere per carenza del presupposto: la destinazione F2e con il simbolo “impianti tecnologici e servizi annessi” apposto sul complesso immobiliare in parola non ha valore prescrittivo ( volto a conservare tale destinazione) ma unicamente ricognitivo che, come tale, non può comprimere la libertà di utilizzazione dell’immobile per destinazioni diverse da quella ad impianti tecnologici e servizi connessi, una volta che l’uso che ha dato luogo alla funzione rilevata dal PRG sia venuto meno;
Violazione e falsa applicazione art.9 DPR 8/6/2001 n.327; eccesso di potere per illogicità manifesta: anche a voler riconoscere efficacia prescrittiva alla destinazione F2e, la stessa destinazione, essendo preordinata all’esproprio e/o in edificabilità assoluta, sarebbe comunque decaduta per decorso del termine del quinquennio dall’approvazione del Piano Regolatore ( avvenuta il 9/2/1998), di talchè il caso di specie ricadrebbe sotto la disciplina di cui all’art.9 del DPR 327/2001 che ammette in zone a vincolo decaduto interventi fino al restauro e il risanamento conservativo.
Quanto alla delibera consiliare n.88/2008:
Violazione art.27 legge n.457/78, art.7 legge n.241/90: eccesso di potere per errore, travisamento, difetto del presupposto e di istruttoria: l’individuazione delle zone di recupero deve avvenire, in primis, all’interno dello strumento urbanistico comunale e comunque la delibera recante siffatta individuazione avrebbe dovuto essere preceduta dall’avviso di inizio del procedimento per consentire ai proprietari di partecipare .In ogni caso, mancano nella specie i presupposti per qualificare le zone di che trattasi come degradate urbanisticamente e ciò anche in riferimento al fatto che il fabbricato de quo si trova in condizioni tutt’altro che disdicevoli..
Si è costituito in giudizio il Comune di Firenze che ha contestato la fondatezza dei motivi di gravame del quale ha chiesto la reiezione.
DIRITTO

Questa Sezione è chiamata a pronunziarsi, in sostanza, sull’assentibilità o meno di un intervento edilizio proposto a mezzo di una denuncia di inizio attività presentata al Comune di Firenze in data 18/9/2008 ( D.I.A. n.4914/08), relativamente ad un complesso immobiliare di proprietà della Società ricorrente.
Oggetto del progettato intervento edilizio è un edificio, composto da due corpi di fabbrica, sito tra via Masaccio e via Fattori, realizzato dalla Società Telefonica Tirrena in base a licenza edilizia del 1960, già utilizzato come sede della Telecom Firenze e inserito dalla Variante Generale al PRG del 1998 in zona omogenea F,sottozona “F2e” “Attrezzature e servizi pubblici esistenti”con simboli “impianti tecnologici e servizi annessi” all’interno della zona omogenea A3 “centro storico fuori le mura”.
Le opere per le quali è stata prodotta la D.I.A. consistono, in particolare, come da elaborati tecnici allegati, in “ modifiche interne in risanamento conservativo con identificazione di nuove unità immobiliari direzionali” e comportano, secondo la scheda relativa all’ istruttoria tecnica predisposta dal Comune , il frazionamento dell’attuale unica unità immobiliare in 142 unità direzionali private.
Ciò detto e passando più da vicino ad esaminare le questioni giuridiche sollevate col ricorso avverso il primo dei provvedimenti impugnati ( l’ordinanza n.917 dell’1/10/2008) l’Amministrazione comunale si è determinata ad inibire l’inizio dei lavori, mettendo, così, in non cale la validità della presentata d.i.a., sulla base di due rilievi, l’uno costituito dal fatto che alcune pareti divisorie interesserebbero le aperture di facciate prospicienti spazi pubblici, in contrasto con quanto al riguardo stabilito dal regolamento edilizio ( art.182.4), l’atro , dalla circostanza per cui nella specie si sarebbe inverato un cambio di destinazione d’uso dell’immobile, non consentito dalla classificazione di PRG F2e “attrezzature e servizi pubblici esistenti”.
Con riferimento alla prima delle ragioni opposte dall’Amministrazione, parte ricorrente col primo mezzo d’impugnazione contesta l’addebito mosso dal Comune , sostenendo come in realtà le tramezzature interne agiscano in corrispondenza dei montanti delle finestre, senza andare ad incidere sui prospetti esterni dell’edificio.
Sul punto le argomentazioni svolte dalla Società non sono del tutto convincenti, lì dove, di contro, anche il Comune, come si evince dalla relazione della Direzione Urbanistica prot. n.5283/09/36 del 4 febbraio 2009, adduce una serie di ragioni tecniche volte a dimostrare che tali tramezzature per come progettate vanno ad interessare le aperture di facciata, incidendo in modo pregiudizievole sulla composizione architettonica dei prospetti esterni del fabbricato.
Ad ogni buon conto osserva il Collegio che “l’addebito” relativo al preteso contrasto con l’art.182.4 del Regolamento Edilizio non assume nell’ambito delle ragioni poste a fondamento del provvedimento inibitorio un ruolo decisivo, dipendendo, invero la verifica della legittimità o meno dell’atto comunale de quo dagli altri addebiti pure formulati dall’Amministrazione , quelli riguardanti il contestato contrasto con la normativa del PRG, rivestenti, questi sì, carattere dirimente .Passando allora al punctum dolens della controversia , parte ricorrente rileva l’assenza di un mutamento di destinazione d’uso sotto un primo profilo, quello per cui il complesso immobiliare in questione sarebbe nato come edificio direzionale, come tale è stato adibito ad uffici e tale destinazione direzionale rimarrebbe a seguito del realizzando progetto edilizio, sicchè non sarebbe configurabile alcun mutamento di destinazione d’uso
Una siffatta prospettazione va necessariamente verificata quanto alla sua fondatezza o meno con le previsioni recate sul punto dallo strumento urbanistico generale ( l’area e il fabbricato sono classificati F2e “attrezzature e servizi pubblici esistenti”) e più in generale con la disciplina vigente di rango legislativo e regolamentare, applicabile nel caso all’esame.
Ebbene, la Legge Regione Toscana n.1 del 2005 all’art.154, dal titolo “ mutamenti di destinazione d’uso” così dispone: “1 ai sensi dell’art.58… sono comunque considerati mutamenti di destinazione d’uso i passaggi dall’una all’altra delle seguenti categorie: a) residenziale; b) industriale e artigianale;c) commerciale; d) turistico-ricettiva; e) direzionale; f) di servizi; ha) commerciale all’ingrosso e depositi; h) agricola e funzioni connesse”.
Il Regolamento Edilizio del Comune di Firenze , poi, si occupa della disciplina delle destinazioni d’uso all’art.194 dove, richiamando il disposto di cui all’art.59 della L.R. n.1/2005 identifica ciascuna delle destinazioni previste dalla norma legislativa sopra riportata con l’indicazione delle funzioni , nei seguenti termini: …e) direzionale: rientrano nella destinazione d’uso direzionale le banche, le assicurazioni, le sedi preposte alla direzione ed organizzazione di enti e società fornitrici di servizi, gli uffici privati, gli studi professionali in genere; f) di servizio: rientrano nella destinazione d’uso di servizio i servizi e le attrezzature pubbliche di qualsiasi tipo e natura, i servizi e le attrezzature private che rivestano interesse pubblico, ivi comprese le attrezzature ricreative e per il tempo libero e le altre attività di servizio alla residenza anche quando esercitate in forma artigianale”.
La classificazione F2e attribuita al complesso immobiliare ex Telecom ben si inquadra quindi nella categoria di cui alla lettera f) in ragione del fatto che da sempre l’edificio è stato adibito allo svolgimento di servizi che rivestono un interesse pubblico e tale funzione pubblicistica il Piano Regolatore Generale a mezzo della destinazione urbanistica in questione ha voluto all’uopo consacrare e conservare.
Dunque vi è una categoria di destinazione d’uso direzionale ed una categoria di destinazione d’uso di servizio, ciascuna con una propria identità ed autonomia e ognuna delle quali tipizza la funzione delle aree e degli immobili ai quali viene assegnata e in relazione alle quali è parametrato il fabbisogno di standard urbanistici , di talchè il progettato intervento edilizio dal momento che prevede la realizzazione di n.142 unità immobiliari direzionali non è conservativo di una originaria destinazione e , in particolare, comporta il passaggio da una categoria di destinazione d’uso, quella di servizio ( di tipo pubblicistico) ad un’altra, quella direzionale ( di tipo privatistico) che non sono interscambiabili, ma hanno autonomia e funzioni ben distinte.
Se così è, il contrasto con la prescrizione delle NTA del PRG F2e che impone per l’immobile de quo quella determinata destinazione ( e non altre ), è di palmare evidenza e il provvedimento comunale che nega l’ammissibilità di quello che è indubitabilmente un cambio di destinazione d’uso risulta supportato da giustificate ragioni di fatto e di diritto saldamente ancorate, in particolare,all’esistenza di una disciplina urbanistica di tipo preclusivo.
Col secondo e terzo motivo di gravame che per ragioni di logica connessione vanno congiuntamente esaminati parte ricorrente contesta in radice la valenza ostativa della disciplina urbanistica del PRG prevista per l’ex sede Telecom con riferimento a due specifiche argomentazioni:
la dicitura F2e con relativo simbolo “attrezzature e servizi pubblici” non avrebbe portata prescrittiva;
anche a voler ammettere una valenza prescrittiva, la destinazione impressa sarebbe decaduta per decorrenza del termine quinquennale.
In particolare, l’illegittimità dell’operato dell’Amministrazione, secondo la tesi di parte ricorrente, sarebbe data dal fatto che la classificazione “F2e” e il simbolo “impianti tecnologici e servizi annessi” al complesso immobiliare “de quo” non costituiscono una prescrizione finalizzata ad imporre la conservazione della destinazione d’uso in parola, rivestendo, in particolare, il simbolo di che trattasi un valore meramente ricognitivo.
In altri termini, secondo la Società Telma, la destinazione recata dal PRG in quanto meramente descrittiva non può comprimere la libertà di utilizzazione dell’immobile per destinazioni diverse da quella di impianti tecnologici e servizi annessi di talchè una volta cessato tale uso, il compendio immobiliare può essere adibito alle destinazioni diverse ammesse per il centro storico fuori le mura fino agli interventi di ristrutturazione.
Tale tesi, ancorchè pregevolmente prospettata, non appare condivisibile.
La disciplina esplicativa delle sottozone “F2”( attrezzature e servizi pubblici di interesse urbano e territoriale ) è contenuta nell’art.52 delle NTA che così dispone: “52.1 – Tali sottozone comprendono le aree e gli edifici destinati ad attrezzature pubbliche amministrative…..
Le specifiche destinazioni d’uso sono individuate con apposita simbologia nelle planimetrie di PRG”.
Inoltre, “52.2: In tali sottozone il PRG si attua per intervento edilizio diretto, previa redazione ed approvazione da parte del Comune di un progetto unitario esteso all’intera perimetrazione”.
Ciò precisato il problema giuridico di fondo da dirimere è quello della valenza delle previsioni appena indicate e precisamente appurare se la classificazione F2 e il simbolo impianti tecnologici e servizi annessi costituiscono un precetto volto alla conservazione di tale destinazione d’uso( come interpretato dall’Amministrazione) oppure hanno invece una funzione meramente ricognitiva o comunque di censimento del patrimonio esistente di guisa che la destinazione pubblicistica cessa col venir meno dell’uso specifico ( quello di sede del servizio pubblico di telefonia)
Ebbene, dall’ordito normativo recato dal PRG appare ragionevole ritenere che si è in presenza di prescrizioni introduttive di una destinazione di zona e cioè di una classificazione tipologica della zona di riferimento, con la destinazione di funzioni specifiche, quelle che individuano ai sensi del D.M. 2 aprile 1968 n.1444 le zone di pubblico interesse.
Un tanto è peraltro evincibile da un elemento ben preciso, quello per cui il citato art.52.1 delle NTA comprende nelle sottozone F2 le aree e gli edifici destinati ad attrezzature pubbliche, lì dove siamo di fronte a due concetti diversi , quello di zona e quello di area dalla cui distinzione nascono conseguenze giuridiche rilevanti proprio con riferimento alla natura dei vincoli apposti dalle destinazioni.
Invero, mentre la zona ( nella specie, la sottozona)identifica una parte del territorio cui corrisponde una funzione specializzata , l’area, invece, è un concetto topografico più ristretto e precisamente una porzione più limitata in ordine alla quale l’Amministrazione in sede di PRG effettua una sorte di prenotazione per insediarvi impianti ed opere pubbliche, con la conseguenza , in questo caso, che se l’opzione fatta dall’Ente pubblico non viene attuata in un determinato arco di tempo, l’area in questione viene liberata da quella sorte di ipoteca ad uso pubblico apposta in origine dallo strumento urbanistico.
Nel caso in esame, allora, le previsioni di cui all’ art 52 del PRG del Comune di Firenze, quali dati normativi posti a fondamento degli adottati provvedimenti di annullamento delle varie D.I.A., anche in ragione della dizione letterale recata, hanno operato in concreto una zonizzazione e non una localizzazione ed in tal senso la classificazione F2 ha sì valore precettivo.
Per il vero, va dato atto che un elemento di mera ricognizione nella specie pure sussiste ed è rappresentato dalla simbologia impianti tecnologici e servizi annessi che connota quella specifica funzione attribuita dal fabbricato esistente , allo stato, e che può naturalmente cessare e quindi non più essere conservata , senza che ciò però faccia venir meno la più generale funzione ad uso pubblico recata dalla destinazione F2 che, come sopra osservato, accomuna gli edifici e le aree di una più vasta parte del territorio ( appunto, la sottozona) e che perciò stesso rimane validamente impressa . In altri termini, la disciplina urbanistica nella specie è congegnata in modo tale che ad una destinazione d’uso caratterizzante il singolo complesso immobiliare che viene meno “naturaliter” subentri la destinazione generale di zona (più propriamente della sottozona) e siffatto meccanismo normativo non appare contra legem e/o incongruente e neppure risulta produttivo di lesioni delle posizioni del soggetto privato
A questo punto ci si deve occupare degli altri , intersecanti profili di illegittimità dedotti dalla parte ricorrente del quale si afferma l’ammissibilità dell’intervento edilizio oggetto delle denunce di inizio attività e la correlata illegittimità dei provvedimenti qui impugnati, sul rilievo che nella specie la destinazione “F2e” con il simbolo impianti tecnologici e servizi annessi, in quanto costituente un vincolo preordinato all’espropriazione o comunque sostanzialmente ablatorio, sarebbe decaduta per decorso del quinquennio dall’approvazione del piano regolatore generale, con la possibilità, in tal modo per i privati interessati di realizzare un intervento di restauro e risanamento conservativo
Anche tali censure, ad una approfondita indagine , non paiono cogliere nel segno.
La giurisprudenza costituzionale ha elaborato, com’è noto i criteri di individuazione dei vincoli di inedificabilità assoluta e preordinati all’esproprio ovvero aventi caratteri sostanzialmente espropriativo rispetto ai c.d. vincoli conformativi, in ispecie, con le sentenze 29 maggio 1999 n.179, 18 dicembre 2001 n.411 e 9 maggio 2003 n.148, identificandoli con quelli che producono lo svuotamento del contenuto del diritto di proprietà, incidono sul godimento del bene , tanto da renderlo inutilizzabile ovvero da diminuirne in modo significativo il valore di scambio : in tali sensi peraltro si è espressa la giurisprudenza amministrativa formatasi in relazione all’art.2 della legge n.1187 del 1968( ex multis, Cons Stato Sez. V 3/172001 n.3 e 24/2/2004 n.745) .Tali indicazioni poi possono valere anche nell’attuale vigenza dell’art.9 commi 3 e 4 del DPR 8 giugno 2001 n.237 che ha solo disciplinato con una diversa terminologia la regola della durata quinquennale , disciplinando espressamente gli istituti della decadenza e della reiterazione.
Natura e contenuto diversi ha invece la categoria dei vincoli c.d. conformativi, enucleabile in relazione ad una previsione di tipologia urbanistica che non configura una “prenotazione” dell’Amministrazione all’inedificabilità assoluta o all’espropriazione , trattandosi di una prescrizione diretta a regolare concretamente l’attività edilizia e per ciò stesso con validità a tempo indeterminato , ai sensi dell’art.11 della legge n.1150 del 17 agosto 1942.
La Corte costituzionale con la citata, fondamentale sentenza n.179 del 1999 ha avuto modi di precisare che “sono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali i vincoli che importano una destinazione ( anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene”.
Trattasi, in altri termini di limiti non ablatori posti nei regolamenti urbanistici o nella pianificazione urbanistica connaturali alla proprietà e che per ciò stesso sfuggono allo schema ablatorio e che si risolvono nell’imporre per il titolare del diritto dominicale intenzionato a trarre relative utilità dal bene l’osservanza di una data procedura( cfr TAR Lombardia Brescia 11/6/2007 n.507; TAR veneto Sez. II 3/4/2008 n.3128): in tale ottica e con le predette finalità “limitative” vanno lette le disposizioni di cui agli artt.50 e 52 delle NTA del PRG lì dove prevedono che l’attuazione delle previsioni dello strumento urbanistico generale debba avvenire.. “ previa redazione ed approvazione da parte del Comune di un progetto unitario esteso alla intera perimetrazione
Ritornando al concetto giuridico di vincoli senza valenza ablatoria, lo stesso è stato peraltro più volte ribadito dai giudici di merito , lì dove si è statuito che non possono essere annoverati nella categoria dei vincoli sostanzialmente espropriativi ( secondo la definizione di cui all’art.39 comma 1 del citato DPR n.327/2001) quei vincoli derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso l’iniziativa privata in regime di economia di mercato ( cfr, tra le tante, Cons Stato sez V 6/10/2000 n.5327; idem Sez VI 14/5/2000 n.2934; Sez.IV 28/2/2005 n.693 ; Cass. Civ. 26 gennaio 2006 n.1626).
E’ con quest’ultimo taglio interpretativo ( quello che definisce le previsioni di tipologia urbanistica inerenti alla potestà conformativa ) che va letta e interpretata la destinazione della sottozona F2e- attrezzature e servizi pubblici e tanto anche alla luce della disciplina urbanistico-edilizia recata in subjecta materia da alcune disposizioni del Regolamento edilizio del Comune di Firenze del 2007, quelle contenute all’art.202/bis, dal seguente , inequivocabile tenore:
“1 Il vincolo preordinato all’esproprio che può gravare sia su aree libere che su edifici esistenti ha la durata di cinque anni da quando diventa efficace l’atto di approvazione del piano urbanistico generale che prevede la realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità: lo stesso decade se entro tale termine non è tempestivamente dichiarata la pubblica utilità dell’opera e trova applicazione entro i termini di efficacia del vigente PRG la disciplina dettata dall’art.9 del DPR n.380/2001 e dall’art.27 quarto comma della legge n.457/1978;
…3 in caso di immobili classificati dal vigente PRG come attrezzature esistenti, caratterizzate dalla lettera “e” ( esistente) associata al relativo simbolo identificativo, indipendentemente dall’effettivo permanere in loco dell’attività che ha dato origine alla classificazione , non trattandosi di vincolo preordinato all’esproprio, non si determina alcuna decadenza;
4 le aree per le quali siano decaduti i vincoli preordinati all’esproprio comprese entro i perimetri di cui alla zone omogenee A1,A2,A3,A4,A5 ( art.15 NTA) non sono da considerarsi come aree non pianificate ma sono soggette alla disciplina di cui alle sottozone corrispondenti”.
In tali norme viene consacrata in maniera espressa la volontà dell’Amministrazione comunale di configurare dei vincoli di conformità proprio in relazione alla parte di territorio omogenea , di aree e fabbricati contrassegnata dalla tipologia F2e e ciò nell’ambito di un potere discrezionale tradizionalmente riconosciuto all’Ente pubblico in sede di pianificazione territoriale.
Conclusivamente, sul punto,la previsione F2e va considerata come normale vincolo di natura conformativa, discendente dalle ordinarie scelte di pianificazione urbanistica, quindi non soggetta al normale termine quinquennale di decadenza, la cui validità è a tempo indeterminato( come stabilito dall’art.11 della legge “urbanistica” n.1150 del 17 agosto 1942 )e senza che possa nella specie configurarsi una compressione del diritto di proprietà nei sensi di cui all’art.42 terzo comma della Costituzione
Passando all’esame del motivo d’impugnazione rivolto avverso la delibera del Consiglio Comunale di Firenze n.88 del 13/10/2008 avente ad oggetto : “individuazione come zone di recupero delle zone F e G”, parte ricorrente lamenta in primo luogo il fatto che il Comune avrebbe potuto procedere ad adottare il Piano di Recupero solo in sede di strumento urbanistico a mezzo di un’apposita variante,ma tale rilievo non appare accoglibile , atteso che la norma di cui all’art.27 della legge n.457/78 consente in presenza di un Piano Regolatore Generale vigente ( è il caso di Firenze) di utilizzare la modalità procedurale dell’atto deliberativo consiliare . Non appare, inoltre, condivisibile la doglianza dedotta circa la mancata attivazione da parte del Comune della procedura di partecipazione dei privati (di cui agli artt.7 e ss della legge n.241/90) al processo decisionale relativo alla individuazione delle zone di recupero: trattasi di scelte di carattere generale a fronte delle quali non è configurabile per l’Amministrazione uno specifico onere di comunicazione dell’avvio del procedimento ( cfr Cons Stato sez.IV 11/4/2007 n.1668).
Parte ricorrente, infine, contesta la legittimità della scelta operata dall’Amministrazione di subordinare l’intervento edificatorio de quo alla presentazione e approvazione di un piano di recupero sul rilievo che tale prescrizione è affetta da un travisamento dei fatti dal momento che nella specie non sussisterebbero le condizioni di degrado che giustificano l’applicazione dell’istituto di cui all’art.27 della legge n.457/78
La tesi sostenuta dalle ricorrenti non appare condivisibile.
Invero, la critica mossa alla scelta operata dall’Amministrazione si fonda su una interpretazione per così dire restrittiva dell’istituto urbanistico del piano di recupero, lì dove si accede da parte ricorrente ad una visione che , per il vero, la giurisprudenza ha ampliato dagli angusti limiti propri dell’originaria definizione.
Vero è, infatti, che il presupposto richiesto per legittimare la redazione e approvazione di un Piano di Recupero è rappresentato principaliter dall’esistenza concreta ed effettiva di un patrimonio edilizio degradato, costituito cioè da immobili fatiscenti, abbandonati, coma da superfetazioni e che quindi tali condizioni nella specie non sussisterebbero; ciònondimeno, il Collegio ritiene di dovere aderire a quell’orientamento giurisprudenziale( cfr Cons stato Sez. IV 11/4/2007 n.1606) secondo cui “ i piani di recupero possono prevedere non solo il mero recupero, ma anche le modificazioni urbanistiche necessarie al più consono assetto del territorio”.
Il divisamento assunto dal Comune con la deliberazione per cui è causa si pone esattamente nell’alveo delle caratteristiche e finalità conferite dalla giurisprudenza testè citata allo strumento del Piano di Recupero e tanto è ricavabile dalla disamina delle ragioni esplicitamente contenute nell’atto deliberativo de quo.
Il Consiglio Comunale prendendo l’abbrivio dalla vicenda processuale qui all’esame e tenuto conto delle connotazioni specifiche delle realtà territoriali come quella costituita dall’ ex sede Telecom ha deciso, nell’esercizio di un suo preciso potere discrezionale di procedere a conferire per alcune parti del territorio , identificate con i perimetri che includono le zone F e G, , “interne al Centro Storico”e “ per dimensione e localizzazione di particolare significato per la città”un assetto pianificatorio coerente ed unitario , in modo da non stravolgere il contenuto dell’impianto urbanistico generale .
In questa ottica, l’Organo consiliare si è fatto carico della necessità di approntare una disciplina per quelle situazioni, come quella qui in rilievo, in cui venga ad aversi una dismissione e poi la successiva trasformazione di numerose ed estese aree del territorio urbano, ricadenti in Zona A, sottozone F e G e destinate in origine ad attrezzature e servizi pubblici di interesse urbano e territoriale”, lì dove in tali situazioni il riutilizzo di contenitori come quello che ha ospitato la sede del servizio telefonico ben può dare luogo a fenomeni di degrado , in assenza di un disciplina che regoli in maniera più dettagliata gli interventi modificativi o sostitutivi a farsi e tanto, come sottolineato nella parte motiva dell’atto deliberativo de quo al fine di contemperare le legittime aspettative dei proprietari delle aree con le altrettanto legittime competenze pianificatorie del Comune.
Ora, in concreto la redazione e approvazione di un Piano di Recupero è un modulo procedimentale di definizione degli interessi pubblico-privati che ben si attaglia al caso di specie dove una ridefinizione degli standard urbanistici si rende necessaria per il “nuovo” utilizzo direzionale delle aree e dei fabbricati in questione, le quante volte, la progettata trasformazione degli immobili comporti un decremento di detti standard con innegabili riflessi di carattere negativo in ordine alla qualità della vita delle persone abitanti nella zona interessata.
Quelle sopra illustrate costituiscono la ratio e la portata della scelta recata dalla deliberazione consiliare n.88/2008 in contestazione , delle quali l’Amministrazione procedente ha dato compiuta e corretta contezza con l’articolata motivazione ivi esposta sia in punto di fatto che di diritto.
D’altra parte, se così è, nella specie, tutt’al più si può parlare dell’introduzione di un “aggravio procedurale”, imposto alla Società ricorrente, beninteso, a tutela delle esigenze di una razionale pianificazione del territorio come valutate dall’Amministrazione comunale nell’esercizio di un potere discrezionale spettante da sempre all’Ente pubblico, ma anche a garanzia della Società proprietaria dell’immobile che vede riconosciuto in maniera indiscutibile il proprio jus aedificandi sia pure secondo le modalità e i limiti costruttivi recati dall’approvando Piano di Recupero.
Non si può parlare dunque di un divieto di intervento edilizio diretto tout court, venendo unicamente in rilievo una previsione di un intervento edilizio per così dire concordato dettato dall’esigenza di tutelare aspetti di gestione del territorio non capricciosamente voluti dall’Amministrazione, ma imposti dalla constatata necessità di disciplinare in dettaglio l’entità degli standard urbanistici preordinati ad evitare possibili situazioni di degrado nei sensi già esposti e comunque posti a garanzia di una utilizzazione del patrimonio immobiliare migliore di quella, allo stato, esistente.
L’operato del Comune , quindi si appalesa legittimo, risulta adeguatamente giustificato dalla copiosa motivazione di ordine tecnico-amministrativa esposta nella parte narrativa della delibera de qua, rivelandosi in sintonia con le prescrizioni del PRG che agli artt.50 e 52 prevedono l’attuazione delle previsioni dello strumento urbanistico “previa redazione e approvazione da parte del Comune di un progetto unitario esteso all’intera perimetrazione”. Vale, inoltre, osservare in ordine alla lamentata compressione del diritto all’edificazione che nella specie con la prescritta approvazione del piano di recupero non si va a limitare le destinazioni d’uso contemplate dal PRG, bensì unicamente a disciplinare le modalità di realizzazione di tali destinazioni d’uso, il che non solo non è vietato e neppure precluso dalla normativa urbanistica comunale , ma rientra nelle facoltà rimesse alla pubblica amministrazione .
Conclusivamente sia l’ordinanza inibitoria n.917/2008 sia la deliberazione consiliare n.88/08 recante la individuazione delle zone F e G come zone di recupero si appalesano immuni dai vizi di legittimità denunciati col ricorso all’esame che, in quanto infondato, va respinto
Le spese e competenze del giudizio seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, Sezione III, definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, lo Rigetta.
Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore del resistente Comune di Firenze, delle spese e competenze del giudizio che si liquidano complessivamente in euro3.000,00(tremila) + IVA e CPA.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 26/02/2009 con l'intervento dei Magistrati:
Angela Radesi, Presidente
Andrea Migliozzi, Consigliere, Estensore
Alessio Liberati, Primo Referendario

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