Cassazione penale , SS.UU., sentenza 22.06.2009 n° 25957
le SSUU hanno espresso il seguente principio di diritto: “ Non è abnorme il provvedimento del giudice emesso nell’esercizio del potere di adottarlo se ad esso non consegua la stasi del procedimento per l’impossibilità da parte del P.M. di proseguirlo senza concretizzare un atto nullo rilevabile nel corso del procedimento”.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE PENALI
Sentenza 26 marzo 2009 - 22 giugno 2009, n. 25957
(Sezioni Unite Penali, Presidente T. Gemelli, Relatore R. Galbiati)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il Giudice del Tribunale di Perugia-sezione distaccata di Foligno-, rilevando la nullità della notifica a M. T. e A. T. ( imputati per il reato di cui all’art.388 C.P.) dell’avviso di conclusione delle indagini ai sensi dell’art. 415 bis C.P.P., la dichiarava unitamente a quella degli atti conseguenti e disponeva la trasmissione degli atti al P.M..
Il Procuratore della Repubblica di Perugia ricorreva per cassazione avverso il provvedimento, rilevando che il giudice era incorso in errore, essendo state le notifiche regolarmente effettuate a mezzo posta, per cui era stato determinato l’effetto abnorme della restituzione degli atti al P.M. con l’indebita regressione del procedimento; e chiedeva l’annullamento dell’ordinanza.
2.La Sesta Sezione Penale, con ordinanza in data 20-11-2008, rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite, dando atto che le notificazioni anzidette risultavano eseguite ritualmente ed osservando che sul tema dell’abnormità sussisteva un contrasto di giurisprudenza.
Secondo un primo orientamento, non poteva ritenersi abnorme, e quindi non era ricorribile in cassazione, il provvedimento con cui il giudice del dibattimento dichiarava la nullità del decreto di citazione a giudizio disponendo la restituzione degli atti al P.M., poiché tale dichiarazione, pur concernendo eventualmente un’invalidità insussistente, configurava un esercizio dei poteri propri del giudice, con la conseguenza che l’atto non era qualificabile come al di fuori del “sistema”.
Per contro, secondo altro orientamento, il provvedimento in questione si palesava abnorme giacché comportava una indebita regressione del procedimento.
La Sezione rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618 C.P.P., per la soluzione della questione controversa così esplicitata: “Se è abnorme il provvedimento con cui il giudice del dibattimento, ritenuta la mancata notificazione all’imputato dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, disponga la restituzione degli atti al Pubblico Ministero dopo avere dichiarato, erroneamente, la nullità del decreto di citazione a giudizio.”
3. Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione riteneva fondato il ricorso, osservando che l’orientamento più recente della Corte era nel senso di collegare l’ipotesi di indebita regressione del processo con il principio costituzionale della sua ragionevole durata, dal che discenderebbe la configurazione di abnormità in tutti i casi in cui il procedimento venisse “riportato” indietro senza che ciò fosse giustificato da obbiettive ragioni di fatto e di diritto.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4. Premesso che nel caso in esame la notificazione agli imputati dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415 bis C.P.P. si palesa correttamente eseguita ai sensi dell’art. 170 C.P.P., contrariamente all’assunto del giudice del merito, si osserva che provvedimento abnorme è quello che presenta anomalie genetiche o funzionali tanto radicali da non potere essere inquadrato nello schema normativo processuale.
La categoria dell’abnormità è stata elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza in stretto collegamento con il tema della tassatività, che, come è noto, pervade il regime delle impugnazioni, in genere, e del ricorso per cassazione in specie. Rimedio, quest’ultimo, che, significativamente, racchiude in sé l’esigenza di approntare uno strumento - eventualmente alternativo e residuale rispetto a tutti gli altri rimedi – che assicuri il controllo sulla legalità del procedere della giurisdizione. L’abnormità, quindi, più che rappresentare un vizio dell’atto in sé, da cui scaturiscono determinate patologie sul piano della dinamica processuale, integra - sempre e comunque - uno sviamento della funzione giurisdizionale, la quale non risponde più al modello previsto dalla legge, ma si colloca al di là del perimetro entro il quale è riconosciuta dall’ordinamento. Tanto che si tratti di un atto strutturalmente “eccentrico” rispetto a quelli positivamente disciplinati, quanto che si versi in una ipotesi di atto normativamente previsto e disciplinato, ma “utilizzato” al di fuori dell’area che ne individua la funzione e la stessa ragione di essere nell’iter procedimentale, ciò che segnala la relativa abnormità è proprio l’esistenza o meno del “potere” di adottarlo. In questa prospettiva, dunque, abnormità strutturale e funzionale si saldano all’interno di un “fenomeno” unitario. Se all’autorità giudiziaria può riconoscersi l’”attribuzione” circa l’adottabilità di un determinato provvedimento, i relativi, eventuali vizi saranno solo quelli previsti dalla legge, a prescindere dal fatto che da essi derivino effetti regressivi del processo. Ove, invece, sia proprio l’”attribuzione” a far difetto - e con essa, quindi, il legittimo esercizio della funzione giurisdizionale - la conseguenza non potrà essere altra che quella dell’abnormità, cui consegue l’esigenza di rimozione.
Il problema delle abnormità processuali si era già presentato nel vigore del Codice Rocco, pur esso improntato al principio di tassatività delle impugnazioni, e non ha trovato una definizione legislativa nel Codice di Procedura Penale vigente: la relativa Relazione al progetto preliminare (pag. 126 ), consapevole dell’esistenza della categoria nel sistema processuale previgente, ha sottolineato che “è rimasta esclusa l’espressa previsione dell’impugnazione dei provvedimenti abnormi, attesa la rilevante difficoltà di una possibile tipizzazione e la necessità di lasciare sempre alla giurisprudenza di rilevarne l’esistenza e di fissarne le caratteristiche ai fini dell’impugnabilità. Se, in fatto, proprio per il principio di tassatività, dovrebbe essere esclusa ogni impugnazione non prevista, è vero pure che il generale rimedio del ricorso per cassazione consente comunque l’esperimento di un gravame atto a rimuovere un provvedimento non inquadrabile nel sistema processuale o adottato a fini diversi da quelli previsti dall’ordinamento”.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in particolare, hanno tracciato le caratteristiche della categoria dell’abnormità ( S.U. 18-6-1993, P.M. in proc. Garonzi; S.U 24-3-1995, P.M. in proc. Cirulli; S.U. 9-7-1997, P.M. in proc. Balzan; S.U. 9-7-1997, P.M. in proc. Quarantelli; S.U. 10-12-1997, Di Battista; S.U. 24-11-1999, Magnani; S.U. 24-11-1999 confl. giur. in proc. Di Dona; S.U. 22-11-2.000, P.M. in proc. Boniotti; S.U. 31-1-2001, P.M. in proc. Romano; S.U. 11-7-2001, P.G. in proc. Chirico ; S.U. 29-5-2002, Manca; S.U. 25-2-2004, P.M. in proc. Lustri).
Al riguardo, si è affermato che è affetto da vizio di abnormità, sotto un primo profilo, il provvedimento che, per singolarità e stranezza del suo contenuto risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ovvero quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni ragionevole limite. Sotto altro profilo, si è detto che l’abnormità può discendere da ragioni di struttura allorché l’atto si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, ovvero può riguardare l’aspetto funzionale nel senso che l’atto stesso, pur non essendo estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo.
5. Gli orientamenti espressi dalle Sezioni semplici di questa Corte di legittimità, sul tema specifico della dichiarazione di nullità del decreto di citazione a giudizio per invalidità afferenti i requisiti necessari ovvero per mancata notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini ex art. 415 bis C.P.P., si presentano di particolare rilievo per la soluzione della questione rimessa alle Sezioni Unite, per quanto riguarda in particolare i rapporti tra Giudice e P.M. ed il fenomeno della regressione, ritenuta anomala, del processo ad una fase precedente.
L’orientamento che fa riferimento ad una concezione limitativa di atto abnorme, incentrata essenzialmente sul profilo dell’abnormità strutturale, svolge le seguenti prospettazioni: il provvedimento con cui il giudice dichiari la nullità, ancorché erratamente, del decreto di citazione a giudizio, per violazione dell’art. 415 bis C.P.P., non è abnorme. La conclusione si giustifica con l’affermazione che non si può ricorrere alla categoria dell’abnormità quando l’atto o il provvedimento che si vuole rimuovere rientri nei poteri del Giudice che lo ha adottato, e cioè discende da un potere riconosciuto o attribuito dalla legge, dato che in tal caso nessuna estraneità al sistema può evidenziarsi. Così è nell’ipotesi in cui si faccia valere l’inosservanza di norme che prevedono l’adozione di un determinato atto a date condizioni di fatto, e l’eventuale insussistenza delle stesse ne determina l’illegittimità ma non l’abnormità e, quindi, si tratterà di un provvedimento “contro norma” ma non “extra norma”. Si aggiunge che la configurazione di un atto abnorme non richiede verifica ulteriore rispetto a quella concernente l’assenza di potere del giudice di provvedere, con la conseguenza che il ricorso per cassazione con denuncia di abnormità non può autorizzare la verifica, in sede di legittimità, di un vizio di legge del provvedimento, ex art. 606 comma 1 lett. c) C.P.P., “ salvo eludere lo stesso fondamento del concetto di abnormità” e porre nel nulla il principio di tassatività delle impugnazioni. Inoltre, si afferma che non è possibile desumere l’abnormità dall’effetto e che, quindi, bisogna distinguere tra regressione del procedimento dovuta all’adozione di provvedimenti che si collocano al di fuori dell’ordinamento e della struttura del sistema processuale e regressione del procedimento in conseguenza di un atto che rientri fisiologicamente nelle attribuzioni del giudice che l’ha adottato, perché solo nel primo caso e non nel secondo saremmo davanti ad un atto abnorme. Nel secondo caso, si tratta di un atto illegittimo, discendente dalla rilevazione errata di un’invalidità insussistente, ma di per sé la dichiarazione di nullità è inclusa tra le attribuzioni del giudice e, quindi, non è estranea al sistema processuale. ( Cass. 6-11-2.000 n° 4601, Giua; Cass. 15-6-2001 n°34.613, Cau; Cass. 18-6-2003 n° 36.771, Massimiani; Cass. 4-11-2003 n° 47691, Caputo; Cass. 21-1-2004 n° 6806, Frezza; Cass. 4-12-2003 n°1238/2004, De Luca; Cass. 14-10-2003 n° 635/2004, Di Silvio; Cass. 4-2-2004 n°22.859, P.M. in proc. Boukessra; Cass.15-10-2003 n° 44422, P.M. in proc. Spagnoletto; Cass. 17-3-2005 n° 16212, P.M. in proc. Latifi; Cass. 13-6-2006 n° 30369, P.M. in proc. Manna; Cass. 23-11-2006 n° 40.230, P.M. in proc. Celona; Cass. 2-7-2007 n° 31.904, P.M. in proc. Fantin; Cass. 28-5-2008 n° 26.770, P.M. in proc. Amatucci; Cass. 9-12-2008 n°4.678/2009).
Alla luce di tale impostazione, la conclusione é che la retrocessione del procedimento di per sé non costituisce elemento decisivo ed esclusivo ai fini dell’individuazione dell’atto abnorme. Il regresso non rappresenta una causa autonoma di abnormità ed, al riguardo, deve distinguersi tra regresso tipico (consentito dalla legge), regresso illegittimo ( compiuto nell’esercizio di un potere non correttamente esercitato), regresso fonte di abnormità in quanto atipico e conseguente ad atto compiuto in carenza di potere.
6. L’orientamento che individua in modo più estensivo l’atto abnorme, configura l’abnormità dell’atto quando la declaratoria di nullità del decreto di citazione a giudizio, che abbia determinato la rimessione degli atti al P.M., sia fondata su un presupposto erroneo o su una applicazione “contra legem” degli istituti processuali. Secondo tale tesi, l’abnormità del provvedimento emesso deriva dall’avere esso comportato un’indebita regressione del procedimento, pur esercitandosi un potere legittimo, qual è quello di accertamento di una nullità, ma al di là delle ipotesi previste e dei casi consentiti, in quanto l’avere ritenuto una nullità non contemplata normativamente si risolve in una chiara violazione del principio di tassatività delle nullità sancito ex art. 177 C.P.P., creando in via del tutto abnorme una nullità in realtà inesistente. In tal modo, si determinano la violazione del principio di tassatività delle nullità e del principio di non regressione del procedimento. ( Cass.3-3-2004 n°14.756, P.M. in proc. Genovese; Cass. 23-6-2004 n° 33.709, P.M. in proc. Sestito; Cass. 13-6-2005 n° 32.818, P.M. in proc. Rampolla; Cass. 13-1-2006 n° 6921, P.M. in proc. Rejewski; Cass. 8-6-2006 n°26.867, Panichelli; Cass. 3-4-2007 n° 16.836, P.M. in proc. Di Stefano).
7. Nell’ambito delle decisioni pronunciate dalle Sezioni Unite, di particolare rilievo si palesa la sentenza Manca già citata. Detta decisione, in ordine alla problematica della ritualità del decreto di citazione a giudizio nel procedimento davanti al Tribunale in composizione monocratica, distingue, da un verso, la citazione a giudizio valida con rapporto processuale correttamente instaurato e semplice necessità di ricitare l’imputato, e, dall’altra, la ricorrenza di invalidità e carenze incidenti sulla regolarità della costituzione del rapporto processuale.
Secondo le S.U., dunque, il regresso del procedimento è atipico e comporta l’abnormità del relativo provvedimento se consegua ad un atto adottato dal giudice in carenza di potere (restituzione degli atti nei casi ex art. 552 3° comma C.P.P., allorché questi doveva provvedere direttamente a rinnovare la citazione a giudizio o la relativa notifica); invece, non è abnorme il provvedimento con cui il giudice, dichiarata la nullità del decreto di citazione, restituisca gli atti al P.M., ancorché si tratti di declaratoria originata da un suo errore, in quanto l’ atto rientra nella sfera di competenza del giudice e comporta tipicamente la regressione.
Tra le più recenti statuizioni delle Sezioni Unite va fatto riferimento alla decisione 26-6-2008, Corna, che, come già espressamente avevano fatto le sentenze S.U.10-12-1997, Di Battista e S.U. 24-11-1999, Magnani, fa richiamo all’abnormità c.d. funzionale, la quale comporta una crisi di funzionamento (stasi o indebita regressione) del processo.
Va, altresì, evidenziato che la Corte Costituzionale ha sottolineato che il sistema è complessivamente improntato, per esigenze di speditezza e di economia, al principio di non regressione del procedimento (v. Corte Costit. Ord. 22-6-2005 N° 236).
8. Le argomentazioni desumibili dalle decisioni della Corte di Cassazione, Sezioni semplici e Sezioni Unite, consentono, dunque, alla luce dei principi generali del sistema, l’enucleazione di criteri cui fare riferimento per la soluzione della questione controversa.
Si rileva che il ricorso avanzato dal Pubblico Ministero va, innanzitutto, delibato per la sua ammissibilità o meno. Questa si identifica con l’idoneità del ricorso ad instaurare il giudizio di legittimità in relazione alla tassatività delle “vie di accesso” al rapporto di impugnazione davanti alla Corte di Cassazione previste dallo schema devolutivo delineato dal Codice di rito, ovvero a ragione dell’abnormità del provvedimento. L’ammissibilità va individuata sulla base della situazione processuale prospettata nel ricorso a prescindere da verifiche nel merito delle anomalie prospettate. Per quanto concerne l’atto abnorme, questo può essere sottoposto a ricorso immediato per cassazione per la sua eccentricità. La mancata previsione di una specifica impugnazione del provvedimento affetto da abnormità, come si è accennato, dipende dalla difficoltà della sua tipizzazione e dalla non riconducibilità ad alcuno degli schemi disciplinati dal sistema processuale, per cui la sua imprevedibilità non consente l’inserimento di esso tra gli atti impugnabili come tali tassativamente previsti. Peraltro, a fronte di atti caratterizzati da assoluta peculiarità rispetto al sistema legale del processo ovvero tali da determinare l’impossibilità di prosecuzione del processo, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto indispensabile consentire di porre rimedio a dette situazioni con l’impugnazione in cassazione al fine di rimuovere un provvedimento non inquadrabile nel sistema o che si pone di impedimento allo sviluppo processuale.
Tuttavia, la categoria presenta indubbi caratteri di eccezionalità, in relazione alla deroga che viene attuata al principio di tassatività delle nullità (art. 177 C.P.P.) e dei mezzi di impugnazione (art.568 C.P.P.). L’abnormità è ravvisabile solo in mancanza di ulteriori strumenti di gravame “lato sensu” , ovvero di possibilità offerte dal sistema per rimediare con prontezza all’anomalia della pronuncia giudiziale nell’ambito dello sviluppo processuale e delle sue fasi.
9.Non appare, pertanto, conforme al sistema, per le caratteristiche di assolutà atipicità e residualità del fenomeno, dilatare il concetto di abnormità, per non utilizzarlo impropriamente per far fronte a situazioni di illegittimità considerate altrimenti non inquadrabili né rimediabili. Limite logico previsto per evitare un eccessivo ricorso alla categoria dell’abnormità è rappresentato, innanzitutto, dai c.d. vizi innocui, che si riscontrano nei casi in cui vi é una irrilevanza sopravvenuta dell’anomalia, dovuta ad un successivo provvedimento o ad una situazione processuale che ne ha fatto venir meno la rilevanza: sono ipotesi in cui il giudice ha esercitato un potere che non gli spettava, ma non si è comunque realizzata alcuna stasi del processo, anche se vi sia stata indebita regressione, ma le cui conseguenze siano rimediabili con attività propulsive legittime.
Né é da trascurare, nella logica di una adeguata interpretazione della categoria, che l’emissione di provvedimento “abnorme” configura comunque un’ipotesi di illecito disciplinare per il magistrato, ai sensi dell’art. 2 lett. ff) D.L.G.S. n°109/2006 come modificato dalla L. 269/2006 (“adozione di provvedimento non previsto da norme vigenti”).
10. La corretta applicazione dei principi processuali, come sopra evidenziati, ai rapporti tra giudice e pubblico ministero impone di limitare, dunque, l’ipotesi di abnormità strutturale al caso di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale (carenza di potere in astratto) ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale nel senso di esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto).
L’abnormità funzionale, riscontrabile, come si é detto, nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo, va limitata all’ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso futuro del procedimento o del processo. Solo in siffatta ipotesi il pubblico ministero può ricorrere per cassazione lamentando che il conformarsi al provvedimento giudiziario minerebbe la regolarità del processo; negli altri casi egli è tenuto ad osservare i provvedimenti emessi dal giudice. In tal senso si è innovativamente determinato il vigente codice di rito in cui, a proposito dei “casi analoghi” di conflitto (art.28 comma 2 C.P.P.), si è affermato, nella Relazione al progetto preliminare del Codice (pag. 16): “ Si è volutamente evitato qualsiasi riferimento a casi di contrasto tra pubblico ministero e giudice, proprio per sottolineare che eventuali casi di contrasto non sono riconducibili alla categoria dei conflitti, e ciò anche in considerazione della qualità di parte - sia pure pubblica – che il pubblico ministero ha nel contesto del nuovo sistema processuale”.
Non è invece caratterizzante dell’abnormità la regressione del procedimento, nel senso di “ritorno” dalla fase del dibattimento a quella delle indagini preliminari.L’esercizio legittimo dei poteri del giudice può comportare siffatta regressione. Se si consente al pubblico ministero di invocare il sindacato della Cassazione in ogni caso in cui essa è stata disposta dal giudice, si rende possibile tale sindacato avverso tutti i provvedimenti di siffatto tipo, eludendosi così il principio di tassatività delle impugnazioni.
Deve, quindi, ribadirsi che se l’atto del giudice è espressione di un potere riconosciutogli dall’ordinamento, si è in presenza di un regresso “consentito”, anche se i presupposti che ne legittimano l’emanazione siano stati ritenuti sussistenti in modo errato. Non importa che il potere sia stato male esercitato, giacché in tal caso esso sfocia in atto illegittimo, ma non in un atto abnorme.
11. Nel caso in esame, non sussiste alcun impedimento per il P.M. per la rinnovazione della notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini agli indagati.
Pertanto, deve darsi risposta negativa alla questione demandata al Collegio, nel senso che il provvedimento adottato dal Giudice del dibattimento, sia pure fondato su una errata declaratoria di nullità del decreto di citazione a giudizio, è illegittimo, ma non è qualificabile sotto alcun profilo di abnormità, poiché il contenuto dell’atto non è avulso dal sistema e gli effetti di esso non sono tali da pregiudicare in concreto lo sviluppo successivo del processo.
Pertanto,va formulato il seguente principio di diritto: “ Non è abnorme il provvedimento del giudice emesso nell’esercizio del potere di adottarlo se ad esso non consegua la stasi del procedimento per l’impossibilità da parte del P.M. di proseguirlo senza concretizzare un atto nullo rilevabile nel corso del procedimento”.
In conseguenza, il ricorso va dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione a Sezioni Unite dichiara inammissibile il ricorso.
Libero Professionista, esercente la professione forense nel Foro di Brindisi, distretto Corte d'Appello di Lecce (Italy)- già Magistrato, abilitato innanzi alle Giurisdizioni Superiori (Corte di Cassazione, Corte Costituzionale)
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