C o r t e d e i C o n t i
Sezione regionale di controllo per la Basilicata
Potenza Deliberazione n. 19/2009/PAR Parere n. 8/2009
1. se per l’affidamento di incarichi ad avvocati esterni all’Ente per la difesa giudiziale occorre seguire il procedimento di evidenza pubblica di cui agli artt. 20 e 27 del D.Lgs. n. 163/2006;
2. se è necessario che la Giunta deliberi circa l’opportunità o meno di promuovere o resistere in giudizio oppure se è sufficiente la determinazione ed il parere del Responsabile del Servizio interessato indirizzato al Sindaco;
3. se, nel caso di risposta affermativa al primo quesito, occorre istituire l’Albo dei Fornitori dei Servizi Legali e se competente per il procedimento di scelta è il Dirigente del servizio coinvolto nella controversia o l’Ufficio addetto agli affari contenziosi se esiste;
4. se occorre stipulare con il Professionista affidatario dell’incarico apposita convenzione stabilendo il compenso.
Quanto all’organo deputato a esprimersi in ordine all’opportunità di iniziare o resistere alla lite, come anche al soggetto dotato di legittimazione, che sottoscriverà la procura alla lite, in generale occorre fare riferimento a quanto indicato nello Statuto (art. 6 T.U.E.L.), dal momento che esso potrebbe attribuire la legittimazione attiva anche a dirigenti dell’ente (Cass. Civ., V, 4 febbraio 2008, n. 2585).
Quanto, poi, al soggetto legittimato a stipulare il contratto di patrocinio o di appalto di servizio con il professionista, questi non può che essere il Dirigente, ai sensi dell’art. 107 del T.U.E.L., e non già la Giunta (Cons. Stato, IV, n. 263/2008, cit.; TAR Calabria, R.C., n. 330/2007; TAR Calabria, CZ, n. 453/2006; TAR Campania, n. 3081/2004).
In ogni caso, si segnala che per il contratto d’opera professionale, quando ne sia parte committente una p.a., è richiesta la forma scritta a pena di nullità, ai sensi degli artt. 16 e 17 R.D. n. 2440/1923 (Cass., 8.6.2007, n. 13508).
2.5. Relativamente al compenso spettante al professionista, occorre distinguere. Se nell’invito per la selezione era stato richiesta anche l’indicazione di detto compenso, ovvero il modo di determinarlo in riferimento alla tariffa vigente, l’affidamento al professionista porta già con sé la determinazione di detto onere.
Se, invece, la scelta è avvenuta senza la preventiva determinazione della componente economica, occorre che sia indicato l’importo del compenso o il criterio della sua determinazione, dovendosi richiamare l’Ente all’osservanza, comunque, di misure di natura prudenziale, quali ad esempio quelle indicate dalla Sezione regione di controllo per l’Abruzzo con la delibera n. 360/2008, del 14.7.2008.
Giova ribadire, sul punto, che proprio le possibilità di determinazione del compenso professionale, anche al di sotto dei minimi tariffari, impone all’Ente – al fine della tutela del pubblico erario - di convenire sempre e preventivamente gli onorari dovuti, vigilando e controllando che le altre voci di spesa siano congrue rispetto all’attività effettivamente svolta.
Deliberazione n. 19/2009/PAR
Parere n. 8/2009
La Sezione regionale di controllo per la Basilicata così composta:
Presidente di Sezione: dr.ssa Laura Di Caro Presidente
Consigliere: dr. Antonio Nenna Componente
Primo Referendario dr. Rocco Lotito Componente
Referendario dr. Giuseppe Teti Componente-relatore
nella Camera di consiglio del 3 aprile 2009
Visto l’art.100 della Costituzione;
Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con R.D. 12 luglio 1934, n.1214 e successive modificazioni ed integrazioni;
Vista la legge 14 gennaio 1994, n.20 e successive modificazioni;
Visto l’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131;
Vista la deliberazione n.14/2000 in data 16 giugno 2000 delle Sezioni Riunite della Corte dei conti, con la quale è stato deliberato il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, e successive modificazioni ed integrazioni;
Visti gli indirizzi e criteri generali per l’esercizio dell’attività consultiva approvati dalla Sezione delle Autonomie della Corte dei conti nell’adunanza del 27 aprile 2004;
Vista la richiesta di parere ex art. 7, comma 8, della legge n. 131/2003 formulata dal Sindaco del comune di Teana (PZ), con nota prot. n. 2496 del 5 dicembre 2008;
Vista l’ordinanza del Presidente di questa Sezione regionale di controllo n. 8/2009 del 3 aprile 2009, con la quale è stata deferita la questione all’esame collegiale della Sezione per l’odierna seduta e con la quale è stato nominato relatore il referendario dr. Giuseppe Teti;
Udito nella camera di consiglio il relatore;
Premesso in fatto
Con la succitata nota il Sindaco del comune di Teana ha chiesto a questa Sezione un parere avente ad oggetto il conferimento di incarichi di patrocinio legale ad avvocati esterni all’ente.
Al riguardo, prima della formulazione degli specifici quesiti, si sostiene che l’attività di difesa giudiziale tende a conseguire un risultato ed è resa da soggetti con organizzazione strutturata e prodotta anche senza caratterizzazione personale. Il Trattato CE ricomprende, tra le prestazioni di servizi, quelle rese nell’ambito dell’attività delle libere professioni e, del resto, il D.Lgs. n. 163 del 2006 (“Codice dei contratti pubblici di lavori servizi e forniture”), adeguandosi alla Direttiva CE n. 18/2004, ha inserito nell’allegato II B anche i servizi legali tra quelli aggiudicabili mediante appalto, la cui disciplina, tuttavia, richiamata dall’art. 20 di detto Codice, è ristretta all’osservanza dei soli artt. 68, 65 e 225 del predetto Codice.
Ciò posto, dopo aver richiamato precedenti di giurisprudenza comunitaria, amministrativa e della stessa Corte dei conti, avendo rilevato che “da quanto innanzi pare che gli Enti Pubblici non possono più conferire gli incarichi di patrocinio legale ad avvocati esterni in modo diretto e personale nel rispetto del principio di concorrenza”, l’Ente istante chiede che questa Sezione si pronunci sui seguenti quesiti, appresso riportati nel loro letterale tenore:
1. se per l’affidamento di incarichi ad avvocati esterni all’Ente per la difesa giudiziale occorre seguire il procedimento di evidenza pubblica di cui agli artt. 20 e 27 del D.Lgs. n. 163/2006;
2. se è necessario che la Giunta deliberi circa l’opportunità o meno di promuovere o resistere in giudizio oppure se è sufficiente la determinazione ed il parere del Responsabile del Servizio interessato indirizzato al Sindaco;
3. se, nel caso di risposta affermativa al primo quesito, occorre istituire l’Albo dei Fornitori dei Servizi Legali e se competente per il procedimento di scelta è il Dirigente del servizio coinvolto nella controversia o l’Ufficio addetto agli affari contenziosi se esiste;
4. se occorre stipulare con il Professionista affidatario dell’incarico apposita convenzione stabilendo il compenso.
Considerato in diritto
1. Sull’ammissibilità della richiesta
1.1 La richiesta di parere è senz’altro ammissibile sotto il profilo soggettivo.
L’art. 7, comma 8, della legge n. 131/2003 ha abilitato sia le Regioni, direttamente, che i Comuni, le Provincie e le Città Metropolitane, di norma tramite il consiglio delle autonomie locali, se istituito, a richiedere alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti pareri in materia di contabilità pubblica.
Peraltro, la mancata istituzione del consiglio delle autonomie locali, previsto dall’art. 123 della Costituzione, non può considerarsi motivo ostativo alla richiesta di parere. Condizione di ammissibilità è, infatti, che la richiesta stessa sia formulata - come in questo caso è formulata - soltanto dai massimi organi rappresentativi degli enti locali (presidente della giunta regionale, presidente della provincia, sindaco o, nel caso di atti di normazione, presidente del consiglio regionale, provinciale, comunale), come puntualizzato – tra l’altro – dagli indirizzi e criteri generali approvati nell’adunanza della Sezione delle Autonomie del 27 aprile 2004.
1.2 Quanto all’ambito oggettivo che delimita le questioni che possono essere portate all’esame della Corte dei conti, va detto che, in generale, il conferimento di incarichi di natura professionale a soggetti esterni all’Amministrazione è materia sulla quale la Corte dei conti ha già ritenuto di potersi pronunciare in sede consultiva, ivi compresa la questione relativa agli incarichi di patrocinio legale, onde verificare, in disparte le considerazioni e la prospettazione dell’Ente istante, quale sia, in concreto, il contesto normativo entro il quale collocare l’incarico in discussione e quali le modalità del conferimento. La questione, inoltre, ha carattere generale, che richiede un esame da un punto di vista astratto della normativa di riferimento.
Deve, invece, essere esclusa ogni richiesta che comporti una valutazione su casi concreti o atti gestionali specifici che determinerebbero un’ingerenza della Corte dei conti nella concreta attività dell’Ente. Non si ritiene, pertanto, ammissibile il quesito concernente l’eventuale istituzione dell’Albo dei Fornitori dei Servizi Legali, trattandosi di modalità afferente ad un atto gestionale e organizzativo concreto che, appunto, determinerebbe una non consentita ingerenza della Corte dei conti nella concreta attività dell’Ente.
Alla luce delle considerazioni che precedono e fermi i limiti indicati dalla Sezione delle Autonomie con la deliberazione n. 5/2006, il parere, ad esclusione del quesito sopra detto, più dirsi ammissibile anche sotto il profilo oggettivo.
2. Nel merito.
2.1 Dal tenore dei quesiti si desume che il caso al quale si riferisce il Comune istante riguarda l’incarico di patrocinio legale che un Ente, sprovvisto di avvocatura interna, si trova a dover necessariamente conferire al professionista esterno nel momento in cui sorge la necessità di agire in giudizio (quale parte attrice) ovvero di resistere ad esso (se parte convenuta o resistente). Si desume, altresì, che il patrocinio non si intende limitato alla rappresentanza in giudizio dell’Ente ma, in generale, comprende anche l’assistenza e la difesa del patrocinato.
Il primo interrogativo posto riguarda le modalità di conferimento di detto incarico.
Il Sindaco del Comune di Teana sostiene trattarsi di “servizio legale”, come tale riconducibile alla disciplina dell’appalto di servizi, regolato dall’art. 20 del D.Lgs. n. 163/2006 (in appresso, per brevità, “Codice dei contratti pubblici” o “Codice”).
Al riguardo si osserva che vi sono, invero, indici rilevanti di un orientamento tendente a qualificare le prestazioni professionali rese da avvocati, tanto in sede giudiziale che stragiudiziale, quali “servizi”, sia pure in una accezione talmente ampia da farvi rientrare non solo il compimento di un servizio inteso quale risultato della prestazione, ma anche la c.d. prestazione di diligenza professionale in sé considerata (o di mezzi), di natura intellettuale, resa da professionisti iscritti in appositi albi. In tal senso, già la legge n. 31 del 9 febbraio 1982, regolante la libera prestazione “di servizi” da parte degli avvocati cittadini comunitari, rubricava come “servizi professionali” quelli di cui qui trattasi. Da ultimo, l’art. 2 del D.L. 223/2006 (c.d. “decreto Bersani”) ricorre anch’esso all’espressione “servizi professionali” con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, secondo una linea di continuità con la elencazione dei “servizi” contenuta nell’art. 50 del Trattato C.E., che in tale categoria espressamente include anche le “attività delle libere professioni”, fornite normalmente dietro retribuzione, al fine di vietare restrizioni alla loro libera prestazione all’interno della Comunità.
Ritiene, tuttavia, la Sezione che gli argomenti ai quali fare ricorso per dare soluzione al complesso quesito sottoposto alla sua attenzione non possano fondarsi sulla mera coincidenza nominalistica di un dato letterale, sicché non sembra sufficiente l’aver qualificato “servizio” la prestazione libero professionale resa dall’avvocato per ritenerla senz’altro compresa nella categoria dei “servizi legali”, di cui all’allegato II B richiamato dall’art. 20 del Codice dei contratti pubblici.
D’altro canto, occorre costatare che non sempre l’incarico di patrocinio legale, di cui qui si discute, è conferito a un legale solo nel momento in cui sorge il bisogno di difesa giudiziale. Si tratta, in tal caso di un incarico episodico, legato alla necessità contingente. In altri casi – rilevabili dall’esame della giurisprudenza di cui si dirà in seguito - la prestazione in argomento è inserita in un più articolato quadro di attività professionali, organizzate sulla base dei bisogni rappresentati dall’Ente.
Orbene, l’indagine che segue dovrà verificare se la soluzione ritenuta adeguata a dare risposta a un caso valga anche per l’altro, ovvero se le due ipotesi sopra indicate richiedano soluzioni diverse, in tutto o in parte.
Appare, allora, necessario sottoporre ad un più penetrante scrutinio le norme in vigore, senza ignorare il livello e la natura degli interessi protetti sui quali queste norme finiscono per incidere. Non sembra irrilevante, infatti, la considerazione che, a differenza di altre prestazioni professionali, il patrocinio legale si lega a interessi costituzionalmente protetti, che assurgono a veri e propri diritti inviolabili, quale il diritto alla difesa e, pur senza implicare l’esercizio di pubblici poteri (Corte Giust., 21.6.1974, causa 2/74, Reyners c/ Stato belga), partecipa dell’amministrazione della giustizia quale servizio pubblico essenziale volto alla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati (C.Cost., 27.5.1996, n. 171). Inoltre, sempre secondo la giurisprudenza comunitaria, l’esigenza di tutela del prestatore del servizio, in uno con la tutela del destinatario della prestazione stessa e, più in generale, con l’esigenza di una corretta ed efficiente amministrazione della giustizia, rappresentano “obiettivi che rientrano tra quelli che possono essere ritenuti motivi imperativi di interesse pubblico in grado di giustificare una restrizione della libera prestazione dei servizi (v., in tal senso, sentenze 12 dicembre 1996, causa C 3/95, Reisebüro Broede, Racc. pag. I 6511, punto 31 e giurisprudenza ivi citata, nonché 21 settembre 1999, causa C 124/97, Läärä e a., Racc. pag. I 6067, punto 33)” (così il punto 64 della decisione nelle cause riunite C.giust. C 94/04 e C 202/04).
Si procederà, pertanto, previo inquadramento della disciplina delle prestazioni professionali (rese da avvocati) secondo l’ordinamento interno, all’esame delle norme di derivazione comunitaria alle quali il Comune istante ha inteso fare riferimento ed a quelle, non indicate, che si ritengono rilevanti ai fini della corretta impostazione dei quesiti.
2.2.1 Appare senz’altro preferibile, pur tra le varie opzioni scrutinabili dall’interprete, la tesi che riconduce il contratto di patrocinio legale – tanto circoscritto alla rappresentanza in giudizio, quanto esteso anche alla difesa giudiziale - nell’ambito del contratto d’opera intellettuale regolato dall’art. 2230 c.c. e ss..
Depongono in tal senso: la necessarietà e la non volontarietà (propria del mandato) di una rappresentanza processuale affidata a tecnici dotati di competenze particolari per il compimento di atti non negoziali, che la parte non potrebbe comunque compiere da sé (tranne eccezioni che non rilevano come regola); la circostanza che detti tecnici (avvocati), iscritti in appositi albi, esercitano professionalmente tale attività, alla quale si accompagna di regola anche la difesa, scritta o orale, della parte mediante una complessa attività intellettuale per mezzo della quale l’avvocato assume la difesa e dà sostegno alle ragioni di fatto e di diritto dell’assistito; il fine pubblicistico dell’amministrazione della giustizia con cui questa attività concorre; il richiamo espresso a disposizioni dettate a proposito di tale tipo contrattuale quando si tratta di sindacare la validità dell’accordo stipulato con chi non sia iscritto all’apposito albo (art. 2229 c.c.) o l’inesigibilità della retribuzione (art. 2231 c.c.); la determinazione del compenso secondo tariffe professionali (art. 2233 c.c.; Cass. Civ., II, 19 febbraio 2007, n. 3740), nonché la misura della colpa professionale rilevante ai fini del giudizio di inadempimento (art. 2236 c.c.; Cass. Civ., II, 23 aprile 2002, n. 5928).
Tale sistematico inquadramento non sembra possa subire modifiche a seconda la natura del committente, se esso cioè sia un privato o un Ente pubblico. In disparte il dibattito, tutt’altro che sopito, circa le differenze tra appalto e contratto d’opera in generale, non potrebbe sostenersi che, se il patrocinio è richiesto da (e reso a) un soggetto privato, l’oggetto del contratto sia una prestazione d’opera intellettuale, mentre se a richiederlo è un soggetto pubblico essa diventi, per ciò stesso, oggetto di un contratto di appalto (di servizi). Al riguardo, e in generale per le prestazioni professionali, la giurisprudenza amministrativa è costantemente orientata a escludere la mutevolezza della natura giuridica del contratto d’opera intellettuale nelle due ipotesi (così Cons. Stato, IV, 27 giugno 2001 n. 3483, a proposito del contratto concluso fra una p.a. ed i componenti la commissione di collaudo di un’opera pubblica; Cons. Stato, IV, 28 agosto 2001, n. 4573, a proposito dell’attività professionale di redazione di strumenti urbanistici; TAR Liguria, 22 giugno 2002, n. 705; TAR Campania, II, 11 novembre 2003, n. 13477. Per Cass. Civ., II, 18 aprile 2003, n. 6326, la natura di contratto d’opera intellettuale, “caratterizzato, in quanto tale, dall’autonomia del prestatore”, è esclusa solo nel caso in cui l’avvocato sia un dipendente dell’Ente, prevalendo in tal caso il rapporto di subordinazione con il datore di lavoro).
2.2.2 Ciò posto, ci si deve preliminarmente chiedere se il contratto di patrocinio (qui inteso come quello volto a soddisfare il solo e circoscritto bisogno di difesa giudiziale del cliente), in quanto prestazione di lavoro autonomo, rientri o meno nella disciplina delle collaborazioni autonome, come da ultimo disciplinate dall’art. 46 del D.L. n. 112/2008, convertito con modificazioni con legge n. 133/2008. Si tratta di un tema che, non essendo stato sollevato nella richiesta di parere, non può essere trattato dalla Sezione se non nei ristretti limiti in cui è funzionale a dare contezza del complesso intreccio normativo che, per la soluzione del quesito stesso, si presenta all’attenzione dell’interprete.
In tale disciplina rientra, da un lato, il conferimento di incarichi individuali, con contratto di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, dal contenuto professionale particolarmente specializzato, per sopperire ad esigenze cui gli enti non possono far fronte con personale in servizio. Per siffatta tipologia di incarichi l’art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001, commi 6 e 6bis, ha indicato i presupposti del conferimento e ha procedimentalizzato la modalità di scelta del professionista, sia imponendo la previa procedura comparativa (art. 7, comma 6bis), sia imponendo la preventiva determinazione degli elementi del contratto. Si tratta di disposizioni alle quali devono adeguarsi anche i regolamenti degli EE.LL., ex art. 110, comma 6, del T.U.E.L.
Dall’altro lato, vi rientrano gli altri contratti di collaborazione autonoma che, indipendentemente dall’oggetto della prestazione, sono riferiti ad attività istituzionali stabilite dalla legge o previste dal programma approvato dal Consiglio ai sensi dell’art. 42, comma 2, del T.U.E.L.. Per tali contratti è il Regolamento previsto dall’art. 89 del T.U.E.L. che fissa i limiti, i criteri e le modalità per l’affidamento degli incarichi, il tutto in conformità a quanto stabilito dalle disposizioni vigenti, tra cui il citato art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001.
Si richiama quanto argomentato, sul punto, dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti in sede di controllo, con la delibera n. 6/2005. Sebbene l’occasione fosse rappresentata dall’esame della disciplina legislativa allora vigente regolante le modalità per il conferimento di incarichi di studio, ricerca, ovvero di consulenza, le Sezioni Riunite conclusero che, pur trattandosi di incarichi il cui contenuto “coincide (…) con il contratto di prestazione d’opera intellettuale, regolato dagli articoli 2229 – 2238 del codice civile”, dagli stessi restano esclusi (oltre ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, “che rappresentano una posizione intermedia fra il lavoro autonomo, proprio dell’incarico professionale, e il lavoro subordinato”), gli incarichi di “rappresentanza in giudizio ed il patrocinio dell’amministrazione”, in quanto incarichi “conferiti per gli adempimenti obbligatori per legge, mancando, in tali ipotesi, qualsiasi facoltà discrezionale dell’amministrazione”.
Tale conclusione è stata poi confermata anche dalla successiva delibera della Corte dei conti, Sezione delle Autonomie, n. 6/AUT/2008, che si è espressa con riguardo alle evoluzioni normative di epoca più recente.
Si aggiunge in questa sede, inoltre, con riferimento ai presupposti di legittimità indicati dall’art. 7, comma 6, del D.Lgs. n. 165/2001, che la prestazione di patrocinio legale per la difesa giudiziale dell’Ente non sembra possa essere ricondotta nell’ambito delle competenze istituzionali attribuite all’ente stesso dall’ordinamento, né (soprattutto per le ipotesi di incarichi episodici) possa costituire obiettivo o progetto specifico e determinato, come richiesto dalla norma.
In effetti, la difesa giudiziale rappresenta l’esercizio di un diritto-dovere mediante il quale affermare, di regola, la rispondenza degli atti (negoziali e provvedimentali), attraverso i quali si estrinseca l’attività funzionalizzata dell’ente, ai paradigmi di liceità e legittimità fissati dalla norma, che quel potere attribuisce.
Per lo stesso motivo, pur essendo astrattamente possibile ricondurre la locazione d’opera intellettuale nell’ambito delle attività di cooperazione (Cass. Civ., III, 26 luglio 2005, n. 15607), non appare configurabile il mero patrocinio legale alla stregua del contratto di collaborazione autonoma, al quale fa riferimento il citato art. 46, comma 2, del D.L. n. 112/2008, tale essendo quello riferibile alle attività istituzionali stabilite dalla legge o dall’apposito programma, approvato dal Consiglio dell’Ente ai sensi dell’art. 42, comma 2, del T.U.E.L..
In tale ultimo caso, poi, non si vede come possa essere programmabile, se non in via del tutto generica e ipotetica, un’attività che circostanze non dipendenti dalla volontà del soggetto programmatore rendono necessaria e non diversamente esercitabile se non nella forma dell’incarico a professionista esterno abilitato.
Altra cosa, invece, (con riguardo alla riferibilità alle attività istituzionali dell’Ente e alla programmabilità) è il conferimento di incarico per prestazioni che prevedano, oltre al patrocinio legale delle vertenze che sorgeranno entro un arco di tempo determinato, anche l’attività di consulenza legale a favore dell’Ente (TAR Campania-Napoli, II, 21 maggio 2008, n. 4855. In tale circostanza il Giudice adìto ha ritenuto di annullare l’affidamento fiduciario, senza la preventiva procedura selettiva e comparativa, di un incarico di patrocinio e consulenza legale, di durata annuale, per un compenso mensile fisso, per violazione del comma 6bis dell’art. 7 del D.Lgs. n. 165/2001, piuttosto che per violazione delle regole sull’appalto di servizi legali, diversamente da quanto ritenuto dal altri TT.AA.RR., come in appresso si dirà).
Riassumendo quanto fin qui detto, se ne ricava che l’incarico professionale di patrocinio, che viene conferito a un legale nel momento stesso in cui sorge il bisogno di difesa giudiziale dell’ente: a) è riconducibile al contratto d’opera intellettuale; b) il suo inquadramento sistematico lo colloca nell’ambito delle prestazioni di lavoro autonomo; c) resta escluso dall’ambito delle collaborazioni autonome, pur essendo queste prestazioni d’opera intellettuale.
Si tratta ora di verificare se le conclusioni fin qui raggiunte sono coerenti con la normativa di fonte comunitaria, ovvero se quest’ultima spinga verso soluzioni diverse quale il ritenere, necessariamente o solo sussistendone le condizioni, il patrocinio legale oggetto di appalto di servizi legali. È all’interno di tale indagine che potranno trovare collocazione sistematica le altre ipotesi, sopra solo accennate, in cui cioè la prestazione di patrocinio legale si lega a scelte organizzative più complesse e articolate.
2.2.3 Contrariamente a quanto ritenuto dall’Ente, va osservato che le disposizioni che riguardano i “servizi legali” non rappresentano affatto una novità introdotta nell’ordinamento interno a seguito della direttiva 2004/18/CE, in quanto già il D.Lgs 17 marzo 1995, n. 157 (“Attuazione della direttiva 92/50/CEE in materia di appalti pubblici di servizi”), indicava, nell’allegato 2, una serie di servizi, tra cui i “servizi legali”, relativamente ai quali non si applicava la disciplina generale nella sua integralità ma solo alcune disposizioni del citato decreto legislativo e, segnatamente: l’eventuale pubblicazione dell’avvenuta aggiudicazione (art. 8, co. 3); l’obbligo per l’amministrazione aggiudicatrice di definire le “specifiche tecniche” del servizio nei capitolati d’oneri o nei documenti contrattuali relativi a ciascun appalto (art. 20), obbligo, quest’ultimo, soggetto peraltro a deroghe (art. 21). Tutta una serie di servizi erano poi esclusi tout court dall’assoggettamento alle norme del decreto.
Veniva precisato, inoltre, nell’ottavo “considerando” delle premesse alla direttiva 1992/50/CE, trasfusa nel citato D.Lgs. n. 157/1995, che “la prestazione di servizi è disciplinata dalla presente direttiva soltanto quando si fondi su contratti d'appalto; [nel caso in cui la prestazione del servizio si fondi] su altra base, quali leggi o regolamenti ovvero contratti di lavoro, [detta prestazione] esula dal campo d'applicazione della presente direttiva”.
I servizi legali sono stati ora riproposti nell’allegato II B al D.Lgs. n. 163/2006 tra quei servizi per il cui affidamento (in virtù del richiamo operato dall’art. 20) trovano applicazione, esclusivamente, gli artt. 68 (specifiche tecniche), 65 (avviso sui risultati della procedura), 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati). Gli appalti di servizi in questione, giova ribadire, non sono disciplinati, dunque, da tutte le disposizioni del D.Lgs. n. 163/2006, ma soggiacciono solo a quel nucleo minimo di specifiche regole sopra indicate (TAR Puglia-Lecce, 30 marzo 2007, n. 1333), oltre al rispetto dei principi generali richiamati dall’art. 27 del Codice (economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità), previo invito ad almeno cinque concorrenti, “se compatibile con l’oggetto del contratto”.
La direttiva 2004/18/CE, trasfusa nel Codice dei contratti pubblici, non riproduce la limitazione contenuta nell’ottavo “considerando” alle premesse della precedente direttiva, sopra riportato, ma raccomanda che “Per quanto riguarda i servizi di cui all'allegato II B [tra cui, appunto, i servizi legali], le disposizioni della presente direttiva dovrebbero far salva l'applicazione di norme comunitarie specifiche per i servizi in questione” (diciottesimo “considerando”).
A parere di questa Sezione il legislatore comunitario ha voluto con ciò intendere che la disciplina introdotta con l’ultima direttiva sugli appalti non va a sovrapporsi a quella risultante dalle direttive specificamente regolanti i singoli servizi le quali, senza ricondurre la prestazione professionale da conferire allo schema dell’appalto, hanno già posto le condizioni per garantire al prestatore di tali servizi l’accesso libero al mercato dei paesi comunitari, in ossequio ai diritti di libertà sanciti dal Trattato CE.
In proposito, deve osservarsi, infatti, che molto incisivamente il legislatore comunitario è intervenuto quando si è trattato di indicare, con espresso riferimento alle prestazioni professionali, le modalità attraverso le quali raggiungere il risultato di dare effettività e concretezza all’obiettivo indicato dall’articolo 3, paragrafo 1, lettera c) del Trattato CE, eliminando ogni ostacolo alla libera circolazione di persone e servizi tra Stati membri. Tale obiettivo si è inteso raggiungere, innanzitutto, prevedendo l'approvazione di direttive miranti al reciproco riconoscimento di diplomi, certificati e altri titoli abilitativi che consentano l’esercizio della professione in ogni paese comunitario.
È soprattutto con la direttiva 2005/36/CE del 7.9.2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali - che ha superato la precedente direttiva 1998/5/CE, recepita con D.Lgs. n. 96 del 2.2.2001 – che sono state poste le condizioni idonee a garantire la libera circolazione e il libero accesso al mercato delle professioni.
Non è casuale, del resto, che la stessa giurisprudenza comunitaria sia sempre stata investita, con riguardo alla professione forense, di questioni riconducibili al diritto di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi all’interno degli Stati membri, censurando, perché di ostacolo alla concorrenza, la inderogabilità dei minimi tariffari, sulla quale è poi intervenuto il legislatore interno col richiamato “decreto Bersani” (C.giust., 21.6.1974, causa 74/2; Id., 3.12.1974, causa 33/74; Id., 28.4.1997, causa 71/76; Id., 12.7.1984, causa C-107/83; Id., 19.1.1988, causa 292/86; Id., 30.11.1995, causa C- 55/94; Id., 19.2.2002, causa C-303/99; Id., 5.12.2006, cause C 94/04 e C 202/04).
Ora, non pare dubitabile che in siffatto contesto la normativa comunitaria sopra riportata si preoccupi di tutelare la libera circolazione dei servizi e la libertà di stabilimento del prestatore di essi in quanto lavoratore, autonomo o subordinato. “Per i cittadini degli Stati membri, essa (libertà) comporta, tra l'altro, la facoltà di esercitare, come lavoratore autonomo o subordinato, una professione in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito la relativa qualifica professionale” (così il primo “considerando” della direttiva 36 del 2005). Ed ancora: “la presente direttiva si applica a tutti i cittadini di uno Stato membro che vogliano esercitare, come lavoratori subordinati o autonomi, compresi i liberi professionisti, una professione regolamentata in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito le loro qualifiche professionali” (così l’art. 2, comma 1, della citata direttiva).
Sembra, allora, che se il prestatore di servizi professionali è libero di poter esercitare la sua attività quale lavoratore, autonomo o subordinato, all’interno degli Stati membri, il relativo contratto debba ritenersi escluso dall’applicazione del Codice ex art. 19, comma 1, let. e). Di conseguenza, i “servizi legali” di cui all’allegato II B sarebbero oggetto di appalto solo se e quando la prestazione sia riconducibile a tale tipo di contratto. In altre parole, il servizio legale per essere oggetto di appalto richiederebbe un quid pluris, per prestazione o per modalità organizzativa, rispetto alla mera prestazione di patrocinio legale. In tal senso depone la prescrizione che, per l’affidamento di tali servizi, pretende l’indicazione delle specifiche tecniche fissate dal committente (art. 68 del Codice), che rappresentano la condizione per permettere l’apertura dell’appalto alla concorrenza (cfr. il ventinovesimo “considerando” alla direttiva n. 18 del 2004). Ed ancora, una conferma in tal senso può desumersi anche dal quarantasettesimo “considerando”: posto che “negli appalti pubblici di servizi, i criteri di aggiudicazione non devono influire sull'applicazione delle disposizioni nazionali relative alla rimunerazione di taluni servizi, quali ad esempio le prestazioni degli architetti, degli ingegneri o degli avvocati”, il prezzo di tali servizi, così determinato, di per sé solo, non sarebbe idoneo a garantire quella valutazione delle offerte in condizioni di effettiva concorrenza, che ammette soltanto l'applicazione di uno dei due criteri di aggiudicazione, quello del prezzo più basso e quello della offerta economicamente più vantaggiosa.
Da quanto precede non sembra, dunque, che il legislatore comunitario si sia preoccupato di regolare le modalità di affidamento dei contratti del tutto esclusi dall’ambito della disciplina degli appalti pubblici. Tra questi, il contratto di lavoro autonomo avente a oggetto il patrocinio legale, stipulato con un’amministrazione aggiudicatrice.
Si potrebbe, allora, ritenere che la fonte della disciplina interna per l’affidamento di detti contratti sia da rinvenire nelle disposizioni sulla contabilità generale dello Stato, recate dal R.D. n. 2440/1923, in particolare nell’art. 3, comma 2, in quanto compreso tra le “disposizioni vigenti in materia di contratti delle pubbliche amministrazioni” alle quali rinvia l’art. 192, comma 1, let. c) del T.U.E.L. per individuare le modalità di scelta del contraente ammesse per i contratti degli Enti Locali.
D’altro canto, tale lacuna, lasciata dalla normativa comunitaria, potrebbe, invece, essere colmata attingendo alle “procedure previste dalla normativa della Unione europea recepita o comunque vigente nell’ordinamento giuridico italiano” (art. 192, u.c., T.U.E.L.).
In effetti, l’estensione, in tal senso operata dal legislatore nazionale di principi comunitari a fattispecie che, a rigore, sarebbero escluse dall’ambito di applicazione della disciplina sugli appalti pubblici (cfr. art. 121 ss. del Codice a proposito degli appalti sotto soglia), risponde anche a precisi orientamenti tanto della Corte di Giustizia – secondo la quale “sebbene taluni contratti siano esclusi dalla sfera di applicazione delle direttive comunitarie nel settore degli appalti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici che li stipulano sono ciò nondimeno tenute a rispettare i principi fondamentali del Trattato” (C.giust., 3 dicembre 2001, causa C-59/00, par. 20, Bent Mousten Vestergaard) – quanto del Consiglio di Stato – secondo il quale “i principi generali del Trattato [libertà di stabilimento (art. 43); libera prestazione dei servizi (art. 49); parità di trattamento e divieto di discriminazione in base alla nazionalità (artt. 43 e 49); trasparenza e non discriminazione (art. 86)], valgono comunque anche per i contratti e le fattispecie diverse da quelle concretamente contemplate; quali (oltre alla concessione di servizi) gli appalti sottosoglia e i contratti diversi dagli appalti tali da suscitare l'interesse concorrenziale delle imprese e dei professionisti” (Ad. Pl., 1/2008) – e trova positivo riscontro nell’art. 27 del Codice dei contratti pubblici, che ha esteso a tutti i contratti di servizi, sebbene totalmente esclusi dall’ambito proprio della direttiva sugli appalti, l’osservanza dei principi generali di derivazione comunitaria, tra cui il principio di concorrenzialità che impone la valutazione comparativa tra almeno cinque concorrenti, se compatibile con l’oggetto del contratto.
Ciò consente, peraltro, di rendere applicabili anche ai contratti di lavoro autonomo di patrocinio legale le indicazioni elaborate dalla Commissione europea con la “Comunicazione interpretativa” relativa al diritto comunitario applicabile alle aggiudicazioni di appalti non o solo parzialmente disciplinate dalle direttive “appalti pubblici” (Comunicazione 2006/C 179/02, in G.U.C.E., 1 agosto 2006 – comunicazioni e informazioni), sulla quale si tornerà in seguito.
2.2.4 L’excursus che precede si è reso necessario per tracciare i temi rilevanti ai fini del richiesto parere.
In primo luogo, la normativa interna relativa al conferimento di “collaborazioni autonome” non si applica alla prestazione professionale di patrocinio legale, giuste le osservazioni delle Sezioni Riunite e della Sezione delle Autonomie della Corte dei conti, sopra riportate.
In secondo luogo, così come aveva già indicato la direttiva 1992/50/CE, già citata, la disciplina comunitaria relativa agli appalti di servizi legali - con quanto ne consegue in ordine alle modalità di conferimento della prestazione professionale che ne costituisce oggetto, ex art. 20 del Codice - si applica solo se il contratto di appalto rappresenta lo schema negoziale concretamente adottato, rimanendo esclusa quella (prestazione) che trovi fondamento in leggi o regolamenti ovvero in altri rapporti, quali, a titolo esemplificativo, quelli riconducibili ad attività lavorativa, autonoma o subordinata.
In terzo luogo, si chiarisce l’equivoco nel quale, sembra, essere incorso il Comune istante: quello cioè di aver ritenuto sufficiente considerare la prestazione di patrocinio legale un servizio per assoggettarlo alla disciplina comunitaria dell’appalto (di servizi). Vero è, invece, che il contratto di patrocinio legale, quale fonte di un rapporto di lavoro autonomo, ove non inserito in un contesto strutturato e organizzato più ampio, soggiace ai principi del diritto comunitario richiamati dall’art. 27 del Codice, che impone una procedura selettiva “se compatibile con l’oggetto del contratto”, con le ulteriori precisazioni e i suggerimenti operativi indicati nella Comunicazione della Commissione europea.
2.3 Tanto premesso, occorre ora indagare in quali casi ricorre l’appalto di servizi, con conseguente applicazione anche delle disposizioni indicate nell’art. 20 del codice stesso.
Non essendo questa la sede per affrontare il tema, ancora dibattuto, sulla natura (necessariamente o meno) imprenditoriale del prestatore di servizi negli appalti pubblici regolati dal D.Lgs. n. 163/2006, ovvero sulla natura della prestazione, se di risultato o anche solo di mezzi (Cons. Stato, IV, n. 263/2008), può soccorrere allo scopo l’esame dei casi nei quali la giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto la sussistenza della fattispecie, potendosi ivi trarre motivi di riflessione.
Diversamente da quanto ritenuto nella richiesta di parere, le decisioni segnalate attinenti all’argomento non riguardano l’affidamento del patrocinio legale nei termini di cui si è detto nell’esposizione che precede, ma piuttosto l’affidamento, per un periodo di tempo determinato e dietro un corrispettivo anch’esso determinato, di una più articolata attività legale, che comprende anche l’assistenza e la consulenza oltre l’eventualità del patrocinio legale a favore dell’Ente.
Così nel caso deciso dal TAR Puglia, n. 5053/06, l’affidamento riguardava il servizio di consulenza legale e patrocinio dell’ente, in ambito amministrativo e civile, per un periodo di cinque anni e per un corrispettivo annuo predeterminato.
Parimenti, nel caso deciso dal TAR Calabria, Sezione R.C., n. 330/2007, la fattispecie all’esame del Giudice riguardava l’affidamento diretto, senza alcuna previa procedura selettiva, dell’attività di consulenza professionale e di difesa giudiziale dell’Ente per un compenso predeterminato, attività espressamente qualificata come “servizio legale”.
Si è già detto, sopra, della fattispecie portata alla decisione del TAR Campania-Napoli, (sentenza n. 4855/2008), sebbene nella circostanza il G.A. abbia ritenuto di applicare la disciplina degli incarichi di collaborazione autonoma (secondo l’attuale terminologia) in luogo di quella sull’appalto di servizi.
Sembra, dunque, assumere un sempre più marcato rilievo la possibilità (solo di recente) concessa al professionista di organizzare e strutturare quella che, tradizionalmente, era una prestazione di lavoro autonomo, in un servizio (nella fattispecie, legale), da adeguare alle utilità che spetta solo all’ente conferente dover indicare, per un determinato arco temporale e per un corrispettivo determinato, avvalendosi degli spazi consentiti dall’art. 2 del citato D.L. 4 luglio 2006, n. 223, (c.d. Decreto Bersani). In esso, infatti, si afferma non solo la possibilità di convenire compensi inferiori ai minimi tariffari oppure parametrati al raggiungimento degli obiettivi prefissati (co.1, let. a), o ancora di indicare il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni (co. 1, let. b), ma soprattutto si afferma la possibilità di “fornire all'utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che l'oggetto sociale relativo all'attività libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non può partecipare a più di una società e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o più soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilità” (co 1, let. c).
Si può così affermare che l’obbligo del committente di indicare, adeguandole alla natura del servizio, le specifiche tecniche che consentono di definire l’oggetto dell’appalto e le modalità della prestazione, affinché il servizio sia reso in modo da corrispondere alle esigenze del committente stesso – obbligo, non derogabile, posto dall’art. 68 ed espressamente richiamato dall’art. 20 del Codice - assume concreta valenza selettiva delle offerte presentate proprio nell’ambito di un servizio organizzato e strutturato.
Sembra allora alla Sezione che l’appalto di servizi legali sia configurabile allorquando l’oggetto del servizio non si esaurisca nel patrocinio legale a favore dell’Ente, ma si configuri quale modalità organizzativa di un servizio, affidato a professionisti esterni, più complesso e articolato, che può anche comprendere la difesa giudiziale ma in essa non si esaurisce. Ciò comporta che, in quanto modalità organizzativa, essa sia strutturata e organizzata dal professionista, con mezzi propri, per far fronte alle utilità indicate dall’ente conferente in un determinato arco temporale e per un corrispettivo determinato.
Così inteso, il servizio legale non può, evidentemente, essere affidato se non con le più specifiche modalità indicate dall’art. 20 del Codice, come interpretate dalla più volte citata Comunicazione della Commissione europea, alle quali si aggiungono quelle residuali dell’art. 27, che espressamente prevedono l’invito ad almeno cinque concorrenti (TAR Sardegna, I, 26 giugno 2007, n. 1355).
Seppure la procedura di affidamento non ricalchi, in questi casi, i rigidi canoni previsti dal Codice dei contratti pubblici - (l’art. 25, co.1, let. b, della legge di delega n. 62/2005, espressamente prevedeva la “semplificazione delle procedure di affidamento che non costituiscono diretta applicazione delle normative comunitarie, finalizzata a favorire il contenimento dei tempi e la massima flessibilità degli strumenti giuridici”) - occorre comunque considerare che l’invito deve essere adeguatamente pubblicizzato (ove non ricorrano situazioni di estrema urgenza, risultanti da eventi imprevedibili) e formulato in modo da rendere espliciti gli elementi minimi affinché sia salvaguardato il risultato utile voluto dal legislatore in ordine al rispetto dei principi sopra indicati (economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità) (TAR Lazio, III quater, 8 luglio 2008, n. 6443).
Va, altresì, detto che l’Ente non potrebbe, espletata la procedura comparativa in esame, disattenderne l’esito, conferendo l’incarico ad altro professionista, ovvero a colui, tra quelli invitati, che, sulla base dei criteri predeterminati dall’Ente stesso, non appaia il concorrente più idoneo (Cons. Stato, IV, n. 263/2008).
Per ulteriori elementi di conoscenza, utili al rispetto della procedura di affidamento, si rinvia ala più volte citata “Comunicazione interpretativa della Commissione” del 1 agosto 2006.
2.4 Quanto all’organo deputato a esprimersi in ordine all’opportunità di iniziare o resistere alla lite, come anche al soggetto dotato di legittimazione, che sottoscriverà la procura alla lite, in generale occorre fare riferimento a quanto indicato nello Statuto (art. 6 T.U.E.L.), dal momento che esso potrebbe attribuire la legittimazione attiva anche a dirigenti dell’ente (Cass. Civ., V, 4 febbraio 2008, n. 2585).
Quanto, poi, al soggetto legittimato a stipulare il contratto di patrocinio o di appalto di servizio con il professionista, questi non può che essere il Dirigente, ai sensi dell’art. 107 del T.U.E.L., e non già la Giunta (Cons. Stato, IV, n. 263/2008, cit.; TAR Calabria, R.C., n. 330/2007; TAR Calabria, CZ, n. 453/2006; TAR Campania, n. 3081/2004).
In ogni caso, si segnala che per il contratto d’opera professionale, quando ne sia parte committente una p.a., è richiesta la forma scritta a pena di nullità, ai sensi degli artt. 16 e 17 R.D. n. 2440/1923 (Cass., 8.6.2007, n. 13508).
2.5. Relativamente al compenso spettante al professionista, occorre distinguere. Se nell’invito per la selezione era stato richiesta anche l’indicazione di detto compenso, ovvero il modo di determinarlo in riferimento alla tariffa vigente, l’affidamento al professionista porta già con sé la determinazione di detto onere.
Se, invece, la scelta è avvenuta senza la preventiva determinazione della componente economica, occorre che sia indicato l’importo del compenso o il criterio della sua determinazione, dovendosi richiamare l’Ente all’osservanza, comunque, di misure di natura prudenziale, quali ad esempio quelle indicate dalla Sezione regione di controllo per l’Abruzzo con la delibera n. 360/2008, del 14.7.2008.
Giova ribadire, sul punto, che proprio le possibilità di determinazione del compenso professionale, anche al di sotto dei minimi tariffari, impone all’Ente – al fine della tutela del pubblico erario - di convenire sempre e preventivamente gli onorari dovuti, vigilando e controllando che le altre voci di spesa siano congrue rispetto all’attività effettivamente svolta.
P.Q.M.
Nelle sopra esposte considerazioni è il parere della Corte dei Conti – Sezione regionale di controllo per la Basilicata in relazione alla richiesta formulata dal Sindaco del Comune di Teana (PZ) con lettera prot. n. 2496 del 5 dicembre 2008.
DISPONE
Che copia della presente deliberazione sia trasmessa, a cura della segreteria della Sezione, all’Amministrazione richiedente ed al presidente del coordinamento delle Sezioni regionali di controllo della Sezione delle Autonomie della Corte dei conti.
Così deciso in Potenza, nella Camera di consiglio del 3 aprile 2009.
IL PRESIDENTE DELLA SEZIONE
F.to dott.ssa Laura DI CARO
I Componenti
F.to Dott. Antonio NENNA
F.to Dott. Rocco LOTITO
F.to Dott. Giuseppe TETI – relatore)
Depositata in Segreteria il 03 aprile 2009
Libero Professionista, esercente la professione forense nel Foro di Brindisi, distretto Corte d'Appello di Lecce (Italy)- già Magistrato, abilitato innanzi alle Giurisdizioni Superiori (Corte di Cassazione, Corte Costituzionale)
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