lunedì 22 giugno 2009

P.A., Occupazione sine titulo, applicabilità acquisizione in sanatoria ex art. 43 T.U. anche in epoca precedente al T.U.

Consiglio di Stato -Sezione IV - Decisione 21 aprile - 8 giugno 2009, n. 3509

La giurisprudenza della Suprema Corte e quella dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato convergono infatti nell’affermare la devoluzione alla giurisdizione ordinaria delle controversie relative ai comportamenti delle pubbliche amministrazioni in materia espropriativa non riconducibili, nemmeno mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere e, dunque, tenuti in carenza di potere od in via di mero fatto; conseguentemente appartengono alla giurisdizione esclusiva del g.a. quelle controversie in tema di risarcimento del danno derivante da provvedimenti che, benché annullati per illegittimità od illiceità, sono comunque riconducibili ai poteri ablatori riconosciuti alla p.a.. (ad es. SS.UU n. 26793 del 2008 e Ap. n. 9 del 2007).

In ogni caso, a prescindere da ogni ulteriore approfondimento sul merito della questione, sono le appellanti che hanno proposto il ricorso in ottemperanza al G.A.: le stesse non possono quindi ragionevolmente contestare in appello la giurisdizione del plesso volontariamente adito al solo fine di ovviare alla soccombenza, ben potendo la sentenza di cui ora si dolgono essere travolta ex post mediante la semplice formale rinuncia al ricorso introduttivo.

Infondato è il motivo mediante il quale si deduce l’inapplicabilità dell’art. 43 del D.P.R. n. 327 del 2001 a fattispecie usurpativa perfezionatasi prima della data (30.6.2003) di entrata in vigore del T.U. sulle espropriazioni.

Secondo l’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale della Sezione (inaugurato da IV Sez. n. 2582 del 2007) la procedura di acquisizione “in sanatoria” dell’area occupata sine titulo descritta dall’art. 43 trova infatti in generale applicazione anche con riguardo alle occupazioni attuate prima dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001.

In effetti, l'art. 57 del medesimo testo unico, richiamando i "procedimenti in corso" ha previsto norme transitorie unicamente per individuare l'ambito di applicazione della riforma in relazione alle diverse fasi fisiologiche del procedimento sostanziale, mentre l'atto di acquisizione ex art. 43 è emesso ab externo del procedimento espropriativo e non rientra, pertanto, nell'ambito di operatività della normativa transitoria.

Alle considerazioni di ordine generale che precedono va aggiunto che, come ben evidenziato dal T.A.R., il comma 3 dell’art. 43 introduce comunque uno ius superveniens di carattere processuale e quindi immediatamente applicabile.

Con il terzo e quarto motivo le appellanti deducono che la richiesta del comune avente ad oggetto la richiesta di applicazione dell’art. 43 doveva essere notificata a pena di inammissibilità avendo natura di domanda riconvenzionale e che ha errato il Tribunale nel ritenere scusabile l’errore di rito in cui è incorso il patrocinio dell’ente allorchè ha proposto tale domanda con memoria non notificata.

I mezzi, che possono essere unitariamente considerati, devono essere disattesi.

Al riguardo, il Collegio è dell’avviso che la soluzione del problema in rassegna non possa che muovere dalla considerazione del carattere assolutamente peculiare che contraddistingue la domanda ex art. 43, comma 3, D.P.R. n. 327 del 2001, la quale – come di recente chiarito dalla decisione della Sezione n. 394 del 2009 - non appartiene propriamente al genus della domanda riconvenzionale, che è il solo evocato dalle appellanti.

Infatti, la domanda riconvenzionale ex art. 167 cod. proc. civ. ricorre quando il convenuto, traendo occasione dalla domanda contro di lui proposta, opponga una controdomanda, e cioè chieda un provvedimento positivo sfavorevole all’attore, che va oltre il rigetto della domanda principale ovvero chieda un provvedimento giu
diziale a sé favorevole, che gli attribuisca beni determinati in contrapposizione a quelli richiesti con la domanda principale; viceversa la domanda ex art. 43 comma 3 se conserva lo schema formale di quella riconvenzionale (controdomanda), si differenzia dalla sua essenza contenutistica in quanto non mira ad ampliare il thema decidendum, ma si mantiene nell’alveo di quello introdotto dall’attore, limitandosi a sollecitare, per il convenuto, una condanna ad una misura risarcitoria sì meno sgradita, ma sicuramente e potenzialmente già ricompresa nella domanda avversaria, tanto da poter essere disposta anche d’ufficio dal giudice. (dec. n. 394 del 2009 citata).

Consiglio di Stato

Sezione IV

Decisione 21 aprile - 8 giugno 2009, n. 3509

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello N.R.G. 582/2004 proposto dalle signore D. M. e P. I., rappresentate e difese dall’avvocato Alessandro Mantero ed elettivamente domiciliate in Roma, Corso Vittorio Emanuele II n. 18 presso G.M. Grez;

contro

il Comune di Cattolica, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Maria Teresa Barbantini e Gaetano Rossi, con domicilio eletto in Roma Viale Giulio Cesare n. 14 presso lo studio del primo difensore;

e nei confronti

della società X. s.n.c. di T. M. e C., non costituita in giudizio;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna – I Sezione di Bologna n. 2160 del 2003;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione della Amministrazione appellata;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla camera di consiglio del 21 aprile 2009 il Consigliere Antonino Anastasi; uditi gli avvocati Mantero e Barbantini;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

Con sentenza n. 806 del 1997 poi confermata in appello il T.A.R. Bologna, adito dal dante causa delle odierne appellanti, ha annullato gli atti della procedura di esproprio di una porzione del giardino della azienda alberghiera di proprietà posti in essere dal comune di Cattolica per la realizzazione di una strada.

L’interessato si è quindi rivolto allo stesso Tribunale onde ottenere l’esecuzione del giudicato e la restituzione del bene illegittimamente sottratto.

Avendo l’Amministrazione chiesto nel corso del giudizio l’applicazione dell’art. 43 comma 3 del T.U. n. 327 del 2001, la sentenza in epigrafe indicata ha accolto in parte il ricorso escludendo la restituzione del bene e condannando il comune al risarcimento del danno per equivalente in base ai criteri determinativi ivi enunciati.

La sentenza è impugnata dalle appellanti che ne chiedono in via principale la integrale riforma con restituzione del bene ablato e in via gradata la riforma per quanto attiene alla misura del risarcimento.

Si è costituita l’Amministrazione comunale instando per il rigetto del gravame.

Le parti hanno presentato memorie.

Nella camera di consiglio del 21 aprile 2009 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

L’appello non è fondato e va pertanto respinto con integrale conferma della sentenza gravata.

Da disattendere è l’eccezione mediante la quale le appellanti deducono che la controversia all’esame non rientra nella giurisdizione amministrativa.

La giurisprudenza della Suprema Corte e quella dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato convergono infatti nell’affermare la devoluzione alla giurisdizione ordinaria delle controversie relative ai comportamenti delle pubbliche amministrazioni in materia espropriativa non riconducibili, nemmeno mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere e, dunque, tenuti in carenza di potere od in via di mero fatto; conseguentemente appartengono alla giurisdizione esclusiva del g.a. quelle controversie in tema di risarcimento del danno derivante da provvedimenti che, benché annullati per illegittimità od illiceità, sono comunque riconducibili ai poteri ablatori riconosciuti alla p.a.. (ad es. SS.UU n. 26793 del 2008 e Ap. n. 9 del 2007).

In ogni caso, a prescindere da ogni ulteriore approfondimento sul merito della questione, sono le appellanti che hanno proposto il ricorso in ottemperanza al G.A.: le stesse non possono quindi ragionevolmente contestare in appello la giurisdizione del plesso volontariamente adito al solo fine di ovviare alla soccombenza, ben potendo la sentenza di cui ora si dolgono essere travolta ex post mediante la semplice formale rinuncia al ricorso introduttivo.

Infondato è il motivo mediante il quale si deduce l’inapplicabilità dell’art. 43 del D.P.R. n. 327 del 2001 a fattispecie usurpativa perfezionatasi prima della data (30.6.2003) di entrata in vigore del T.U. sulle espropriazioni.

Secondo l’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale della Sezione (inaugurato da IV Sez. n. 2582 del 2007) la procedura di acquisizione “in sanatoria” dell’area occupata sine titulo descritta dall’art. 43 trova infatti in generale applicazione anche con riguardo alle occupazioni attuate prima dell’entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001.

In effetti, l'art. 57 del medesimo testo unico, richiamando i "procedimenti in corso" ha previsto norme transitorie unicamente per individuare l'ambito di applicazione della riforma in relazione alle diverse fasi fisiologiche del procedimento sostanziale, mentre l'atto di acquisizione ex art. 43 è emesso ab externo del procedimento espropriativo e non rientra, pertanto, nell'ambito di operatività della normativa transitoria.

Alle considerazioni di ordine generale che precedono va aggiunto che, come ben evidenziato dal T.A.R., il comma 3 dell’art. 43 introduce comunque uno ius superveniens di carattere processuale e quindi immediatamente applicabile.

Con il terzo e quarto motivo le appellanti deducono che la richiesta del comune avente ad oggetto la richiesta di applicazione dell’art. 43 doveva essere notificata a pena di inammissibilità avendo natura di domanda riconvenzionale e che ha errato il Tribunale nel ritenere scusabile l’errore di rito in cui è incorso il patrocinio dell’ente allorchè ha proposto tale domanda con memoria non notificata.

I mezzi, che possono essere unitariamente considerati, devono essere disattesi.

Al riguardo, il Collegio è dell’avviso che la soluzione del problema in rassegna non possa che muovere dalla considerazione del carattere assolutamente peculiare che contraddistingue la domanda ex art. 43, comma 3, D.P.R. n. 327 del 2001, la quale – come di recente chiarito dalla decisione della Sezione n. 394 del 2009 - non appartiene propriamente al genus della domanda riconvenzionale, che è il solo evocato dalle appellanti.

Infatti, la domanda riconvenzionale ex art. 167 cod. proc. civ. ricorre quando il convenuto, traendo occasione dalla domanda contro di lui proposta, opponga una controdomanda, e cioè chieda un provvedimento positivo sfavorevole all’attore, che va oltre il rigetto della domanda principale ovvero chieda un provvedimento giudiziale a sé favorevole, che gli attribuisca beni determinati in contrapposizione a quelli richiesti con la domanda principale; viceversa la domanda ex art. 43 comma 3 se conserva lo schema formale di quella riconvenzionale (controdomanda), si differenzia dalla sua essenza contenutistica in quanto non mira ad ampliare il thema decidendum, ma si mantiene nell’alveo di quello introdotto dall’attore, limitandosi a sollecitare, per il convenuto, una condanna ad una misura risarcitoria sì meno sgradita, ma sicuramente e potenzialmente già ricompresa nella domanda avversaria, tanto da poter essere disposta anche d’ufficio dal giudice. (dec. n. 394 del 2009 citata).

Le osservazioni ora svolte consentono di assorbire ogni questione relativa alla scusabilità dell’errore per l’omessa notifica riconosciuta – in via peraltro meramente tuzioristica – dal Giudice di primo grado.

Con il quarto motivo le appellanti lamentano l’apoditticità della statuizione con la quale il Tribunale ha avallato la tesi della rispondenza dell’opera a interessi pubblici, senza tenere in alcun conto lo sproporzionato sacrificio che senza reali giustificazioni è stato imposto alla proprietà privata.

Il mezzo deve essere disatteso in quanto la sentenza impugnata ha invece evidenziato in modo analitico e del tutto condivisibile le ragioni in base alle quali – tenuto conto della limitatissima estensione del suolo privato occupato e della risalente data di ultimazione e apertura all’uso pubblico dell’opera stradale per cui è controversia – la discrezionale decisione dell’Amministrazione di procedere all’acquisizione sanante non esibisce quei profili di arbitrarietà o vessatorietà che le appellanti pretendono di lumeggiare sulla scorta di argomentazioni marcatamente soggettive.

Da disattendere è il motivo mediante il quale si deduce che il Tribunale avrebbe dovuto determinare l’importo risarcitorio prima di consentire l’adozione dell’atto acquisitivo del bene da parte del comune.

Infatti la sentenza impugnata ben chiaramente subordina (punto 5.4) l’adozione del provvedimento di acquisizione di cui al comma 4 dell’art. 43 al pagamento della somma previamente quantificata ai sensi del comma 6 dello stesso articolo.

Inammissibile per la sua novità e soprattutto per la estrema genericità è il motivo mediante il quale le appellanti lamentano il mancato risarcimento del danno morale patito dal loro dante causa e originario proprietario in connessione con la viziata vicenda ablatoria.

Infondato è invece il motivo volto a lamentare la mancata considerazione, da parte del primo Giudice, degli effetti di compromissione sulla residua proprietà non espropriata derivanti da una ablazione parziale.

Infatti nel quantificare il controvalore venale del bene ablato la sentenza impugnata – premesso che la sottrazione della superficie di mq. 47 non ha precluso l’uso della piscina e dell’area scoperta annessa all’albergo - rapporta esaustivamente tale valore alla funzione (del bene stesso) di complemento e valorizzazione della struttura alberghiera.

Inammissibili sono infine i motivi aggiunti, mediante i quali tuzioristicamente si contesta in sede d’appello la quantificazione dell’importo risarcitorio operata dal comune e la legittimità della successiva attività amministrativa posta in essere dall’ente locale: le relative questioni vanno infatti esaminate dal Giudice di primo grado, già peraltro adito dalle ricorrenti sia con ricorso di cognizione che con ricorso in ottemperanza.

Sulla scorta delle considerazioni che precedono l’appello va quindi complessivamente respinto.

Si ravvisano peraltro giusti motivi, avuto riguardo alla peculiarità della controversia, per disporre la compensazione tra le parti delle spese e onorari del grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe.

Compensa tra le parti spese e onorari del grado.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2009 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, nella Camera di Consiglio con l'intervento dei Signori:

Giovanni VACIRCA Presidente

Giuseppe ROMEO Consigliere

Antonino ANASTASI Consigliere, est.

Salvatore CACACE Consigliere

Sandro AURELI Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

Antonino Anastasi

Giuseppe Romeo

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