martedì 9 giugno 2009

Consiglio di Stato, precesso, dimezzamento dei termini anche per i motivi aggiunti

Consiglio di Stato , sez. V, decisione 07.04.2009 n° 2149

"il Collegio ritiene che il chiarimento interpretativo della Adunanza Plenaria sulla portata del menzionato art. 23 bis della legge n. 1034/1971, debba essere mantenuto fermo nei limiti dalla stessa indicati, perché, sebbene la disciplina del rito c.d. speciale sia lacunosa e derogatoria rispetto all’impianto generale del processo ordinario, non è con il riferimento a quest’ultimo che può essere razionalizzato il rito accelerato. Ogni tentativo di uniformare il trattamento di atti, la cui analogia non è discutibile, mutuando il regime proprio del rito speciale da quello ordinario, suscita perplessità, dal momento che rimette alla discrezionalità del giudice (al riguardo non bisogna dimenticare che l’istituto dei motivi aggiunti ha avuto una lontana origine giurisprudenziale, ed è stato normativamente previsto per la prima volta con una lapidaria proposizione all’interno dell’art. 21 della legge n. 1034/1971, come modificato dalla legge n. 205/2000) l’eliminazione di possibili lacune e di intraviste discrasie, alimentando così incertezze interpretative nella materia dei termini processuali (che invece non tollera oscillazioni)."

Consiglio di Stato
Sezione V
Decisione 7 aprile 2009, n. 2149
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione ANNO 2007
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso n. 3969/2007 R.G. proposto da Ga.vi.an. s.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Francesco Vecchione e Luigi Troiano ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Andrea Abbamonte, in Roma Via degli Avignonesi n. 5;
CONTRO
Il Comune di Amalfi, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Marco Marinaro ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Giuseppe Torre, in Roma Via Crescenzio, n. 19,
e nei confronti della
Ditta S. G., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituitasi in giudizio,
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Salerno, sez. I, 22 marzo 2007, n. 267;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio del Comune appellato;
Viste le memorie prodotte;
Visti gli atti tutti della causa;
Visto l’art. 23 bis, comma sesto, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, introdotto dalla legge 21 luglio 2000, n. 205;
Alla pubblica udienza dell’1 aprile 2008, relatore il Consigliere Michele Corradino ed uditi, altresì, gli avvocati Vecchione e Marinaro;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Salerno, sez. I, 22 marzo 2007, n. 267 è stato dichiarato inammissibile il ricorso per motivi aggiunti e improcedibile il ricorso principale (iscritto al n. 225/2004 R.G.) proposto dall’odierna appellante per ottenere l’annullamento: a) della determina dirigenziale n. 904 del 27 ottobre 2003, con le quali si è stabilito di revocare la determina n. 762 del 15 settembre 2003 e, per l’effetto, di annullare l’aggiudicazione definitiva dei lavori per cui è causa in favore della ditta ricorrente, di procedere alla escussione della garanzia fidejussoria e di procedere allo scorrimento della graduatoria; b) di ogni atto presupposto e consequenziale.
L’odierna appellante esponeva: a) di aver partecipato alla gara di appalto bandita dal Comune di Amalfi per l’affidamento dei lavori di costruzione della strada interpoderale per Sopramare, indetta con provv. n. 5463 del 18 giugno 2003, all’esito della quale era risultata provvisoriamente aggiudicataria; b) di aver ricevuto, con nota del 17 settembre 2003, formale comunicazione della avvenuta aggiudicazione, con contestuale invito – ai fini della stipula del relativo contratto – alla sottoscrizione del verbale di permanenza delle condizioni per l’immediata esecuzione dei lavori, ai sensi dell’art. 71, 3° comma d.p.r. n. 554/99; c) di avere, per tal via, formalmente chiesto di prendere visione della inerente documentazione ed, in particolare, della attestazione del direttore dei lavori resa ai sensi dell’art. 71 cit., manifestando seri dubbi sulla cantierabilità dell’opera per essere il relativo progetto in contrasto con la vigente normativa sismica; d) di avere segnatamente rappresentato – a seguito di incontro con il responsabile del procedimento – l’asserita inadeguatezza del progetto esecutivo, elaborato nell’anno 2000 sulla scorta di parametri e norme tecniche di costruzione che non potevano tenere conto del sopravvenuto aggiornamento della classificazione sismica dei Comuni della Regione Campania, approvato con deliberazione di G.R. n. 5447 del 7 novembre 2002, in virtù del quale il Comune di Amalfi era stato per la prima volta ricompreso tra quelli a rischio sismico; e) di aver, per tal via e suo malgrado, dovuto rifiutare la sottoscrizione del verbale di attestazione della sussistenza delle condizioni per l’immediata esecuzione dei lavori, all’esito di che l’Amministrazione aveva avviato il procedimento di revoca dell’aggiudicazione ed escussione della cauzione provvisoria; i) di aver inutilmente rappresentato – con apposita memoria presentata quale atto di partecipazione all’incoato procedimento sanzionatorio – l’inconferenza, ai fini delle formulate contestazioni, della validazione del progetto operata in data 15 aprile 2003, in quanto effettuata sulla scorta di mera dichiarazione del direttore dei lavori con la quale si era attestata, in assenza di apposita relazione tecnica contenente le necessarie verifiche tecniche, la non necessità di modifica dell’originario elaborato progettuale.
L’odierna appellante impugnava la conclusiva determinazione con la quale il Comune aveva proceduto all’annullamento della aggiudicazione definitiva in suo favore e alla conseguente escussione della cauzione provvisoria, estendendo il gravame a tutti gli atti antecedenti conosciuti a seguito della costituzione in giudizio dell’Amministrazione e a quelli consequenziali, ivi compresa l’aggiudicazione a favore della impresa S., cui estendeva il contraddittorio mercé la notificazione dei motivi aggiunti.
Con il ricorso in appello in epigrafe la Ga.vi.an. s.a.s. contrasta le argomentazioni del giudice di primo grado.
Il Comune di Amalfi resiste al gravame.
La Ditta S. G. non si è costituita in giudizio.
Alla pubblica udienza dell’1 aprile 2008, il ricorso in appello veniva trattenuto per la decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato e non merita di essere accolto.
Il Giudice di prime cure ha giudicato improcedibile il gravame principale, accogliendo l’eccezione con la quale veniva dedotta la tardività della notifica dei motivi aggiunti avverso il provvedimento di aggiudicazione a favore della impresa controinteressata. In proposito, veniva osservato che il principio del dimezzamento dei termini ex art. 23 bis l. TAR, introdotto dalla l. 21 luglio 2000 n. 205, trova applicazione generalizzata ed è riferita a tutti i termini e i gradi del giudizio fatta eccezione per quelli di proposizione del ricorso. Pertanto, la previsione del dimezzamento dei termini ha effetto anche in relazione al termine per la proposizione dei motivi aggiunti, ulteriore, distinto e successivo rispetto a quello dettato per la proposizione del ricorso introduttivo del giudizio. Infatti, da un lato la pendenza di un giudizio comporta la evidente conseguenza che la parte è già assistita da un difensore, a differenza della considerazione della necessità di mantenere il termine intero in sede di prima proposizione laddove la parte debba avere il tempo di rivolgersi al necessario intermediario legale; dall'altro non può rimanere senza conseguenze la scelta di utilizzare lo strumento dei motivi aggiunti, il quale nell'ottica dell'ordinamento vigente sconta anche in termini di dimezzamento dei termini gli indubbi vantaggi rispetto alla proposizione di un autonomo ricorso. L'ottica acceleratoria che permea l’intera l. n. 205 del 2000 impone di interpretare l'eccezione del dimezzamento dei termini secondo canoni di rigida tassatività; non essendo contemplata la proposizione di motivi aggiunti (sia contenenti nuove doglianze avverso gli atti già impugnati sia concernenti l'impugnazione di nuovi provvedimenti) tra le eccezioni, deve allora valere la regola della dimidiazione dei termini; incontestabile è infatti che, per le materie elencate nell'art. 23 bis, la regola è quella del dimezzamento dei termini processuali. Alla luce dell’esposto principio, secondo il primo Decidente, i motivi aggiunti notificati in data 2 marzo 2004 ed indirizzati avverso provvedimenti conosciuti all’atto del deposito nella Segreteria del Tribunale (avvenuto il 30 gennaio 2004) sono da considerarsi inammissibili, con conseguente improcedibilità (per sopravvenuta carenza di interesse) del gravame articolato in via principale.
Orbene, merita di essere integralmente confermata la tesi del primo giudicante circa l’inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti e l’improcedibilità del ricorso principale.
Il Collegio (anche alla stregua della più recente giurisprudenza: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 5 marzo 2008, n. 949) ritiene che per risolvere la questione del dimezzamento del termine per la proposizione dei motivi aggiunti debba essere seguito l’indirizzo giurisprudenziale affermato dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 5 del 2002 (ma cfr. anche Cons. Stato, sez. V, 6 luglio 2002 n. 3717 secondo cui <>), la quale ha chiarito che la regola generale, nelle materie soggette alla disciplina dell’art. 23 bis della legge n. 205/2000, è quella del dimezzamento del termine, regola generale che non può che riguardare anche il termine per la proposizione dei motivi aggiunti, sia che abbiano ad oggetto nuovi provvedimenti, sia che riguardino atti già impugnati. La norma citata prevede il dimezzamento di tutti i termini processuali, “salvo quelli per la proposizione del ricorso”; tale dimezzamento risponde alla logica acceleratoria della disciplina dettata dal citato art. 23 bis l. T.A.R.; l’esclusione del ricorso di primo grado dal dimezzamento del termine ha carattere tassativo ed eccezionale; non è compromessa la tutela del cittadino a motivo delle riduzione del termine per proporre motivi aggiunti, dal momento che non è necessario affidare un nuovo mandato. Queste ragioni tuttavia non sono state ritenute decisive né dalla giurisprudenza (come è dato vedere dagli indirizzi giurisprudenziali difformi) né dalla dottrina, in quanto: - la proposizione dei motivi aggiunti ha la stessa ratio della proposizione del ricorso, per cui non vi è alcuna ragione che possa giustificare un diverso regime (Cons. Stato, sez. VI, n. 5707/2003); - la stessa formulazione letterale dell’art. 23 bis l. T.A.R. (“i termini processuali previsti sono ridotti alla metà, salvo quelli per la proposizione del ricorso”) depone per l’integrità del termine per la proposizione dei motivi aggiunti, dal momento che vi è stata una significativa variazione del testo del comma 2 del citato art. 23 bis l. TAR. La versione definitiva di quest’ultimo, con la dizione “salvo quelli per la proposizione del ricorso” (e non “salvo quello”, come previsto nell’originario disegno di legge), sembra escludere dal dimezzamento dei termini non solo la proposizione del ricorso principale e di quello incidentale (come riconosciuto dalla stessa Adunanza Plenaria), ma anche dei motivi aggiunti, che “partecipano della medesima natura dei suddetti ricorsi” (Cons. Stato, sez. VI, n. 4480/2007); - la proposizione dei motivi aggiunti richiede poi la garanzia del diritto di difesa allo stesso modo di come questo viene garantito nella proposizione del ricorso, per la quale viene mantenuta l’integrità del termine per ricorrere; - sul piano sistematico, si può dire che, sebbene il rito speciale (o se si vuole, accelerato) disciplinato dall’art. 23 bis l. TAR sia un “vero e proprio microsistema, capace di autointegrarsi e di colmare eventuali lacune in base a propri autonomi principi”, il carattere eccezionale e tassativo è proprio del dimezzamento dei termini (vera eccezione rispetto alla regola ordinaria), e non dell’integrità del termine per la proposizione del ricorso, per cui è il primo che non è suscettivo di interpretazioni estensive o analogiche. Oltre tutto, la logica acceleratoria propria del “rito speciale” riguarda lo svolgimento del giudizio e non la definizione del suo oggetto mediante l’impugnativa di nuovi atti o mediante l’ampliamento delle censure avverso atti già impugnati. Le due letture dell’art. 23 bis l. TAR (l’una, contraria al dimezzamento dei termini; l’altra, favorevole) muovono, come validamente sostenuto in dottrina, da distinte ragioni, che ne condizionano l’interpretazione: la prima, attenta alla coerenza del processo amministrativo, riduce la portata della novità generalizzata del dimezzamento dei termini, in modo da salvaguardare un unico regime per atti che hanno una eadem ratio e assicurare la medesima garanzia del diritto di difesa in situazioni analoghe; la seconda, più attenta all’impianto complessivo della nuova disciplina del rito accelerato di cui all’art. 23 bis, ne valorizza le finalità acceleratorie, con il risultato di attenersi al dato letterale della norma, che non consente interpretazioni estensive o analogiche. Il giudice è però chiamato ad interpretare le norme anzitutto secondo quello che le stesse letteralmente esprimono, e in coerenza con la finalità perseguita, la quale deve comunque essere individuata alla stregua di quanto il legislatore ha disposto. Questo canone interpretativo vale ancora di più in materia di termini processuali, data la loro positività.
Orbene, se questo è il criterio che deve guidare il giudice nella interpretazione del più volte menzionato art. 23 bis l. TAR, occorre dire che l’interpretazione della Adunanza Plenaria (dec. n. 5/2002) è la più corretta, perché le obiezioni (avanti evidenziate) non sono accettabili, a meno di non volere accedere a forme di integrazione dello stesso art. 23 bis l. TAR, con il risultato di lasciare all’arbitrio dell’interprete la pretesa razionalizzazione di questo. Senza eccessivamente dilungarsi, le critiche mosse alla decisione all’Adunanza Plenaria n. 5/2002, che hanno dato vita ad orientamenti giurisprudenziali difformi da essa, non possono essere condivise perché: - il dato letterale (“salvo quelli per la proposizione del ricorso”) non può essere interpretato nel senso che “la salvezza dei termini” si riferisca a tutti i termini per la proposizione del ricorso, e quindi anche alla proposizione dei motivi aggiunti, che partecipa della stessa ratio. Il pronome plurale “quelli” indica semplicemente una concordanza con quanto prima specificato al plurale, cioè che “i termini processuali previsti sono ridotti alla metà”. Questa proposizione imponeva, per ragioni sintattiche, che il termine per la proposizione del ricorso “fatto salvo” fosse espresso al plurale e, quindi, non è significativo che vi sia stata una modifica della dizione dello stesso comma nel testo del disegno di legge originario, che risulta diverso dal testo definitivamente approvato; - la finalità acceleratoria del rito disciplinato dall’art. 23 bis l. TAR non pare possa essere messa in discussione, sebbene sia risultata di dubbia (anzi di nessuna) utilità rispetto alla finalità perseguita, giacché (anche questo è stato opportunamente osservato) non è con il dimezzamento dei termini processuali che si consegue una maggiore rapidità nell’ottenere le decisioni. Questa logica acceleratoria del rito in esame (per quanto inutilmente perseguita) deve essere tenuta presente nell’interpretarne la disciplina e, quindi, il dimezzamento dei termini non può che essere assunto quale regola generale di questo rito “speciale”, le cui eccezioni devono essere espressamente previste, come è avvenuto per quella della proposizione del ricorso; - non è consentito procedere alla assimilazione di due istituti (motivi aggiunti e proposizione del ricorso) sol perché partecipano della eadem ratio, dal momento che di tale eadem ratio il legislatore non ha tenuto conto, limitandosi a disporre “la salvezza” del solo termine per proporre il ricorso. Una tale assimilazione non è consentita neppure in presenza di una diversità di regime della impugnativa (con motivi aggiunti) di un nuovo atto sopravvenuto (connesso con uno impugnato) rispetto a quella del medesimo atto proposta in via autonoma, per la quale è stabilito il termine ordinario per la proposizione del ricorso. Questa diversità potrebbe destare stupore, qualora il differente regime riguardasse identità di atti all’interno del medesimo rito speciale, ma non invece nell’ipotesi in cui la previsione normativa consentisse di utilizzare, in alternativa alla proposizione di motivi aggiunti nel giudizio speciale già introdotto, la medesima proposizione seguendo il rito ordinario. In questa seconda ipotesi, è la parte che, pur potendo concentrare in un unico giudizio le due impugnative, preferisce avvalersi (quali che siano le ragioni: decorrenza del termine dimezzato ovvero strategia professionale consapevole) del termine ordinario per la proposizione con ricorso in via autonoma di motivi aggiunti; - da ultimo, una volta escluso che un sistema derogatorio della disciplina processuale, quale è quello disegnato dall’art. 23 bis l. TAR, possa essere sospettato di illegittimità costituzionale a motivo della particolare finalità acceleratoria della definizione delle controversie a cui questo rito si applica (Corte Cost. n. 427/1999), ogni argomento sulla compressione del diritto di difesa e sullo spazio temporale necessario per apprestare una adeguata impostazione della causa (spazio che dovrebbe identico per gli atti accomunati da una eadem ratio), si rivela inutile. La soglia di attenzione del legislatore alle ragioni del ricorrente si è arrestata alla sola fase della proposizione del ricorso, ed ha escluso positivamente ogni analoga fase, quale è quella della proposizione dei motivi aggiunti (per completezza va detto che anche il ricorso incidentale è stato, in via di interpretazione, escluso dalla eccezione della regola generale del dimezzamento del termine, e che, per questo, la decisione n. 5/2002 della Adunanza Plenaria ha ravvisato “le stesse esigenze che hanno condotto alla esclusione della regola del dimezzamento del ricorso principale”).
In conclusione, il Collegio ritiene che il chiarimento interpretativo della Adunanza Plenaria sulla portata del menzionato art. 23 bis della legge n. 1034/1971, debba essere mantenuto fermo nei limiti dalla stessa indicati, perché, sebbene la disciplina del rito c.d. speciale sia lacunosa e derogatoria rispetto all’impianto generale del processo ordinario, non è con il riferimento a quest’ultimo che può essere razionalizzato il rito accelerato. Ogni tentativo di uniformare il trattamento di atti, la cui analogia non è discutibile, mutuando il regime proprio del rito speciale da quello ordinario, suscita perplessità, dal momento che rimette alla discrezionalità del giudice (al riguardo non bisogna dimenticare che l’istituto dei motivi aggiunti ha avuto una lontana origine giurisprudenziale, ed è stato normativamente previsto per la prima volta con una lapidaria proposizione all’interno dell’art. 21 della legge n. 1034/1971, come modificato dalla legge n. 205/2000) l’eliminazione di possibili lacune e di intraviste discrasie, alimentando così incertezze interpretative nella materia dei termini processuali (che invece non tollera oscillazioni).
Inoltre, in presenza di tre diversi indirizzi interpretativi, che permangono pur dopo le indicazioni generali dell’Adunanza Plenaria n. 5 del 2002, non può riconoscersi il beneficio dell’errore scusabile dovendosi, in via prudenziale, improntare la propria strategia processuale all’indirizzo più restrittivo (peraltro autorevolmente sostenuto dall’Adunanza Plenaria sopra citata).
Alla stregua di tali ragioni, ribadendosi la non concedibilità del beneficio dell’errore scusabile e la insussistenza dei presupposti per sollevare la questione di legittimità costituzionale concernente l’art. 23 bis l. TAR (cfr. supra) come richiesto dall’appellante, deve confermarsi la statuizione di prime cure, non solo nella parte in cui ha dichiarato inammissibile il ricorso per motivi aggiunti, ma anche nella parte in cui ha dichiarato improcedibile il gravame principale atteso che l’impossibilità di demolire giuridicamente l’atto di aggiudicazione disposto in favore del controinteressato priva in via radicale l’odierna appellante dell’interesse a coltivare il ricorso principale.
Conclusivamente la sentenza impugnata merita di essere confermata.
Il Collegio ravvisa la sussistenza di motivi equitativi, attesa la complessità delle questioni trattate, per disporre la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, rigetta l’appello.
Compensa le spese.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio dell’1 aprile 2008, con l'intervento dei sigg.ri:
Pres. Sergio Santoro
Cons. Aldo Fera
Cons. Marzio Branca
Cons. Michele Corradino Est.
Cons. Adolfo Metro
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
F.to Michele Corradino F.to Sergio Santoro
IL SEGRETARIO
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 07/04/09.

1 commento:

soughr ha detto...

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