"ai fini della delibazione della sussistenza o meno dell'attenuante di cui al 5° comma dell'art. 73 del D.P.R. n. 309/1990, il giudice è tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l'azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all'oggetto materiale del retao (qualità e quantità delle sostanze): dovrà, conseguentemente, escludere connotazioni di “lieve entità” del fatto quando la ricorrenza di uno solo degli elementi indicati porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia, appunto, di “lieve entità”. Ed in tale contesto valutativo, ove la quantità di sostanza stupefacente si riveli considerevole, la circostanza è di per sé sintomo sicuro di una notevole potenzialità offensiva del fatto e di diffusibilità della condotta di spaccio"
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 21 novembre 2007, n. 1692
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
IV SEZIONE PENALE
Composta dai sigg.:
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Dott. Lionello MARINI – Presidente
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Dott. Francesco MARZANO – Consigl. Rel.;
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Dott.ssa Silvana IACOPINO – Consigliere;
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Dott. Francesco NOVARESE – Consigliere;
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Dott.ssa Adelaide AMENDOLA – Consigliere;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da S.M. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino in data 17.01.2003.
Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal Consigliere dott. Francesco Marzano;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. Luigi Ciampoli, che ha concluso per la inammissibilità del ricorso;
Non comparso il difensore del ricorrente;
Osserva:
Svolgimento del processo
1. Il 22 maggio 2002 il G.I.P. del Tribunale di Torino, a seguito di giudizio abbreviato, condannava S.M., riconosciutegli le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata recidiva, a pena ritenuta di giustizia per imputazioni, unificate sotto il vincolo della continuazione, di cui agli artt. 110, c.p., 73 D.P.R. N. 309/90; 110, 81, 648 c.p.; 81, 495 c.p..
Sul gravame dell'imputato, la Corte di Appello di Torino, con sentenza del 17 gennaio 2003, riduceva la pena inflitta dal primo giudice e confermava nel resto, dando atto che in ordine al reato sub c) della rubrica (artt. 81, 495 c.p.) non era stata proposta alcuna doglianza, sicché non era più in discussione tale capo di imputazione.
I fatti venivano così ricostruiti dai giudici del merito (in particolare, alla stregua di quanto evidenziato nella integrativa sentenza di primo grado).
Il 15 marzo 2002 gli agenti di P.S. Operanti avevano notato l'imputato aprire la porta di ingresso di un appartamento, utilizzando un mazzo di chiavi in suo possesso. Dopo circa quindici minuti egli era stato visto uscire dal portone dello stabile in compagnia di N.O. (coimputato nello stesso procedimento), anch'egli in possesso di un mazzo di chiavi dell'alloggio e recante in mano un sacchetto per l'immondizia. I militi, quindi, avevano fermato i due ed avevano proceduto alla perquisizione dell'appartamento, ove avevano rinvenuto, nella camera da letto, un involucro in cellophane contenente gr. 11 lordi di cocaina, con principio attivo di gr. 6,18, nonché altre buste in cellophane trasparenti, un paio di forbici, un bilancino, un cucchiaio con tracce di sostanza stupefacente, la somma di €.37.750,00 (in un mobiletto di quella camera da letto), documenti concernenti il contratto di affitto di quell'appartamento, intestato al N.), rinvenivano, inoltre, ventotto telefoni cellulari, cinque catenine d'oro, sette braccialetti d'oro, otto anelli d'oro, un paio di orecchini d'oro con perle, otto orologi in metallo, tre televisori, tre videoregistratori, un lettore CD, uno stereo ed un set di casse acustiche per autovettura.
N. in sede di convalida dell'arresto, si era avvalso della facoltà di non rispondere; successivamente, in sede di udienza davanti al Tribunale del riesame, aveva ammesso l'addebito, quanto alla detenzione della sostanza stupefacente, affermando che “il S. aveva le chiavi di casa in quanto era andato qualche volta a trovarlo, ma non aveva nulla a che fare con la droga”. S. dal canto suo, aveva dichiarato che non abitava in quell'appartamento e ne aveva le chiavi solo perché “ogni tanto vi aveva portato delle ragazze”, sicché “non sapeva nulla della droga”.
I giudici di merito ritenevano inattendibili le dichiarazioni resa da N., scagionatorie di S. e ritenevano, invece, tale coimputato pienamente partecipe, concorsualmente, all'attività delittuosa contestata, esplicitandone le ragioni.
2. Avverso tale sentenza ha personalmente proposto ricorso l'imputato, denunziando vizi di motivazione e violazione di legge.
Deduce che:
a) illegittimamente era stata ritenuta la sua responsabilità e “la sola circostanza relativa al possesso delle chiavi dell'appartamento da parte del sottoscritto non era tale da consentire di emettere una sentenza di condanna, anche alla luce delle conclusioni alle quali era giunto in precedenza il Tribunale del riesame di Torino...”; prosegue rilevando “la totale assenza di elementi di prova in relazione ad una presunta condotta penalmente rilevante ex art. 110 c.p. con riferimento alla detenzione della sostanza stupefacente di esclusiva proprietà del N...” e che, “quindi, ha posto in essere una condotta che non ha apportato alcun contributo alla detenzione dello stupefacente in questione...”;
b) illegittimamente era stata esclusa la sussistenza dell'attenuante di cui al 5° comma dell'art. 73 DP.R. n. 309/90 “sulla base esclusiva del dato quantitativo dello stupefacente...”;
c) “la mancata applicazione....di una pena più prossima all'assoluto minimo edittale...”.
MOTIVI DELLA DECISIONE
3.0 Il primo motivo di doglianza è manifestamente infondato ed aspecifico.
I giudici del merito, difatti, hanno reso ampia ed esaustiva contezza delle ragioni apprezzate nel pervenire alla confermativa statuizione di responsabilità, rilevando che, “a parte l'intrinseca scarsa verosimiglianza della spiegazione del possesso di quelle chiavi fornita dal S., a farla ritenere, sicuramente falsa valgono gli argomenti indicati nella sentenza appellata e, in particolare: il rilievo che in quell'alloggio erano custoditi droga, una cospicua somma di denaro e numerosi oggetti di valore di provenienza illecita...; sì da renderlo poco adatto per appuntamenti “galanti” fra soggetti estranei...; l'osservazione che l'imputato non ha saputo indicare neppure il nome di qualcuna delle ragazze con cui, a suo dire, si sarebbe accompagnato; soprattutto la circostanza che egli era solo allorché entrò, il pomeriggio del 15.3.2002, in quell'appartamento usando le chiavi in suo possesso e, ciononostante, non ha saputo fornire un'attendibile spiegazione di quell'ingresso e, soprattutto, della sua successiva permanenza all'interno dell'alloggio per circa un quarto d'ora, in compagnia dello N.”.
A fronte di tale puntuale apparato argomentativo, che si sottrae del tutto a rinvenibili vizi di illogicità – che, peraltro, la norma vuole dover essere manifesta, cioè coglibile immediatamente, ictu oculi -, il ricorrente si limita ad addurre che “la sola circostanza relativa al possesso delle chiavi dell'appartamento” avrebbe determinato il giudizio di responsabilità, senza minimamente misurarsi con le ulteriori argomentazioni che i giudici del merito hanno esplicitato nel dare conto delle ragioni per le quali doveva ritenersi il suo concorsuale apporto alla commissione del reato e “sicuramente Falsa” la prospettazione della sua tesi scagionatoria.
3.1 Del tutto privo di fondamento è anche il secondo profilo di doglianza.
Infatti, ai fini della delibazione della sussistenza o meno dell'attenuante di cui al 5° comma dell'art. 73 del D.P.R. n. 309/1990, il giudice è tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l'azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all'oggetto materiale del retao (qualità e quantità delle sostanze): dovrà, conseguentemente, escludere connotazioni di “lieve entità” del fatto quando la ricorrenza di uno solo degli elementi indicati porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia, appunto, di “lieve entità”. Ed in tale contesto valutativo, ove la quantità di sostanza stupefacente si riveli considerevole, la circostanza è di per sé sintomo sicuro di una notevole potenzialità offensiva del fatto e di diffusibilità della condotta di spaccio.
Nella specie, i giudici del merito, nell'esercizio del relativo potere che al riguardo è loro riconosciuto dalla legge, hanno logicamente apprezzato le evidenziate circostanze relative all'azione ed all'oggetto, ovvero le modalità del fatto e “il quantitativo stesso della cocaina rinvenuto in quell'appartamento”, nei termini ponderali sopra indicati (pag. 8 della sentenza impugnata), correttamente alla stregua di queste pervenendo ad escludere la sussistenza di tale attenuante.
3.2 Quanto, invece, al terzo ed ultimo motivo di ricorso, col quale il ricorrente si duole della “mancata applicazione...di una pena più prossima all'assoluto minimo edittale”, deve rilevarsi che il giudice di primo grado ritenuti i reati contestati unificati per continuazione, determinò la pena base per il reato più grave, ex art. 73 D.P.R. n. 309/1990, in anni otto,mesi sei di reclusione ed €.30.000,00 di multa, in misura, quindi, del tutto prossima al minimo edittale all'epoca vigente per i reati concernenti le c.d. “droghe pesanti”, come, nella specie, la cocaina. La sentenza ora impugnata (resa il 17 gennaio 2003, prima, quindi, delle modifiche normative di cui subito di seguito si dirà) ha ritenuto che “la pena base per il reato più gravemente sanzionato...possa in effetti essere fissata in misura pressoché corrispondente al minimo edittale”: la ha quindi determinata in anni 8 di reclusione ed €.27.000,00 di multa. La pena detentiva così indicata corrisponde esattamente al minimo all'epoca vigente; quella pecuniaria è lievemente superiore a quella minima edittale di €.25.882,00. Rimane, quindi, che nella valutazione discrezionale che al riguardo si appartiene al giudice del merito, questi ha ritenuto che il fatto sia sanzionabile “in misura pressoché corrispondene al minimo edittale” e, in concreto, in misura esattamente corrispondente al minimo edittale” e, in concreto, in misura esattamente corrispondente al minimo edittale quanto alla pena detentiva.
Epperò, deve rilevarsi che l'art. 4-bis della sopravvenuta L.21 febbraio 2006 n. 49, ha rivisto il trattamento sanzionatorio per le sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella 1 prevista dall'art. 14 D.P.R. n. 309/1990, in senso più favorevole all'imputato, stabilendo il nuovo limite edittale minimo in anni sei di reclusione ed €.26.000,00, sicché, quanto alla pena detentiva, la pena irrogata non corrisponde (più) a al precedente minimo edittale, applicato con la sentenza impugnata. Sotto tale profilo, ed in applicazione dell'art. 2, 4° c., c.p., va ritenuta la fondatezza del motivo al riguardo proposto con conseguente necessitato annullamento con rinvio su tale punto.
4. Conclusivamente, la sentenza impugnata va annullata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Torino. Il ricorso va nel resto rigettato
P.Q.M.
La Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio sul punto ad altra sezione della Corte diAppello di Torino. Rigetta nel resto il ricorso.
Roma, 21 novembre 2007
Il Consigliere Estensore Il presidente
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