Cassazione civile, SEZIONE
III, 23 luglio 2002, n. 10751
" nell'ambito dell'applicazione dell'art. 2054 c.c, va esclusa la corresponsabilità del veicolo parcheggiato irregolarmente nel caso di accertata insussistenza della
incidenza causale ovvero del nesso eziologico da verificare volta per volta,
rispetto alla collisione avvenuta tra altri due veicoli"
Diritto
1.
- Il ricorso principale della Sesta ed il ricorso incidentale dei
Sempronio vanno riuniti, essendo stati proposti avverso la
medesima
sentenza (art. 335 c.p.c.).
2.
- Vanno prima esaminati i sei motivi del ricorso principale.
Con
il primo motivo la Sesta, deducendo la violazione e falsa
applicazione dell'art. 2054, secondo comma, c.c., sostiene che la
presunzione posta da detta disposizione normativa doveva essere
applicata anche rispetto al veicolo
in
sosta irregolare del Caio e soggiunge che "con motivazione
apodittica e contraddittoria" la sentenza
impugnata
ha escluso l'incidenza causale della presenza dello stesso, "fermo
a dieci metri dal luogo del sinistro".
Il
motivo di ricorso è infondato.
L'art.
2054, secondo comma, c.c. dispone che "nel caso di scontro tra
veicoli si presume, fino a prova contraria, che
ciascuno
dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito
dai singoli veicoli". La detta
presunzione
si applica ai conducenti dei veicoli scontratisi e non riguarda,
quindi, un veicolo che non è stato
coinvolto
nello scontro. Correttamente, pertanto, la Corte di appello ha
escluso l'applicabilità della presunzione al
camion
del Caio che era in sosta sulla pubblica strada e che non è stato
coinvolto nello scontro avvenuto tra due
diversi
veicoli.
La
ricorrente richiama, in senso contrario, la sentenza di questa Corte
4 aprile 1996 n. 3131, secondo cui l'art. 2054,
secondo
comma, "è estensivamente applicabile anche all'ipotesi di
sinistro in cui manchi una colsempronioone diretta tra
veicoli,
quando sia necessario risolvere il problema della graduazione del
concorso di colpa, una volta che in un
incidente
stradale tale concorso sia stato accertato in concreto". Ma,
appunto, occorre che sia stato accertato il nesso
di
causalità tra la guida del veicolo e lo scontro e quindi il suo
coinvolgimento nello stesso pure se non è entrato in
colsempronioone.
È
indubbio che, qualora si accerti il nesso di causalità tra la sosta
irregolare ed il verificarsi dello scontro tra gli altri
veicoli
circolanti, sussiste la responsabilità del proprietario del veicolo
che si trovi in sosta non regolare, e per la
graduazione
della sua colpa può farsi ricorso, in via sussidiaria e cioè quando
manchino elementi probatori precisi,
alla
presunzione di uguale responsabilità posta dal secondo comma
dell'art. 2054. Ma, nel caso di specie, la Corte di
appello
ha motivatamente escluso la esistenza di tale nesso di causalità
perché, in considerazione della ampiezza
delle
due strade percorse dai veicoli scontratisi, ha ritenuto che "ciascun
conducente era in grado di avvistare,
reciprocamente,
il mezzo con cui si scontrò", onde ha escluso che la presenza
del camion del Caio "abbia
concorso
nella determinazione dell'incidente". È mancato, quindi,
quell'accertamento del concorso del veicolo nella
causazione
dello scontro che, come si è detto, costituisce il presupposto per
l'applicazione della presunzione prevista
dal
secondo comma dell'art. 2054.
Poiché
l'accertamento del nesso di causalità rientra nei poteri del giudice
del merito, il cui esercizio è stato motivato
in
modo da resistere alla censura piuttosto generica formulata nel
motivo di ricorso, la sentenza impugnata va
confermata
per quanto attiene all'esclusione della responsabilità del Caio.
3.
- Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata
per avere affermato il concorso di colpa tra i
conducenti
dei due veicoli scontratisi (il furgone del Comune e la motocicletta
del sempronio), anziché la colpa esclusiva
del
conducente del furgone comunale.Il motivo di ricorso è inammissibile
per difetto di interesse perché a favore della ricorrente è stata
pronunziata una
condanna
solidale del Comune al risarcimento di tutti i danni subiti, onde il
Comune è obbligato nei suoi confronti
per
l'intero (art. 1292 c.c.), e l'accertamento del concorso di colpa del
sempronio non ha alcun effetto pregiudizievole per la
ricorrente.
4.
- Con il terzo motivo la ricorrente, deducendo la violazione
dell'art. 2054, secondo comma, c.c., censura
l'esclusione
del danno morale, che ritiene ingiustificata perché i due conducenti
sono "complessivamente
responsabili
al 100 %" delle lesioni da lei subite, pure se la Corte di
appello ha ritenuto che non vi fosse possibilità
di
graduare le rispettive colpe. A tal riguardo la ricorrente prospetta
genericamente un dubbio di incostituzionalità.
Il
motivo di ricorso è fondato.
La
Corte di appello ha individuato in positivo ed in concreto una
condotta colposa del conducente del furgone
comunale
perché ha, innanzitutto, "addebita(to)" al medesimo "la
mancata osservanza del segnale di Stop". Poi, in
ordine
alla condotta del conducente del motoveicolo (Tiberio sempronio), ha
ritenuto operante la presunzione di colpa
posta
dal primo comma dell'art. 2054 per non avere egli "dimostrato di
aver fatto tutto il possibile per evitare lo
scontro,
con particolare riferimento alla velocità da lui tenuta", e
quindi ha applicalo la presunzione di uguale
concorso
di colpa ex art. 2054, secondo comma. La colpa in via presuntiva,
quindi, è stata affermata soltanto per il
sempronio,
mentre per il conducente dell'altro veicolo vi è stato un
accertamento di colpa non presuntivo.
La
sentenza impugnata ha escluso il risarcimento del danno morale
liquidato alla ricorrente Sesta dalla sentenza di
primo
grado per la sola ragione che tale danno, per essere risarcito,
"richiede l'accertamento in concreto della colpa
dei
danneggianti". Tale ragione è in astratto corretta perchè è
conforme all'orientamento di questa Corte di
legittimità,
il quale perè è stato applicato erroneamente perché, nel caso di
specie, un accertamento concreto della
colpa
di uno dei due conducenti (quello del veicolo comunale) è contenuto
nella sentenza impugnata.
Tale
sentenza va perciò cassata per quanto attiene all'esclusione del
danno morale a favore della ricorrente ed a
carico
del solo Comune, tenuto conto che la danneggiata ha ricevuto l'intero
massimale dalla società assicuratrice
del
Comune a cui infatti ella non ha notificato il ricorso per
cassazione.
5.
- Con il quarto motivo la ricorrente, deducendo vizi di motivazione e
violazione di legge, censura la sentenza
impugnata
nella parte in cui le ha negato gli interessi legali dalla data del
fatto alla sentenza di primo grado. La
ricorrente
si richiama alla sentenza delle Sezioni unite di questa Corte 17
febbraio 1995 n. 1712 sulla debenza degli
interessi
sulle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno man mano che
esse si rivalutano.
Il
motivo di ricorso è fondato.
La
Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado sul punto
qui censurato limitandosi ad osservare che il
Tribunale
ha liquidato il danno subito dalla ricorrente (danno biologico) "al
valore odierno della moneta", e cioè al
momento
della pronunzia giudiziale. Il riferimento della liquidazione a tale
momento è sicuramente comprensivo
della
rivalutazione della somma corrispondente al danno subito alla data
dell'illecito, ma nulla indica in ordine al
mancato
guadagno derivante dal ritardato pagamento della stessa somma, che,
secondo la sentenza delle Sezioni
unite
richiamata dalla ricorrente (relativa peraltro al danno
patrimoniale), può essere risarcito attraverso gli interessi
legali
(compensativi) sulle somme in cui è stato liquidato il danno
sofferto. Il fatto che i detti interessi non possano
essere
cumulati con la rivalutazione impedisce di calcolarli sulla somma
rivalutata, ma non ne comporta
necessariamente
l'esclusione, dovendo invece valutarsi, da parte del giudice del
merito, se un danno sia derivato alla
parte
creditrice dal ritardo con cui ha ottenuto la somma di denaro
liquidatale a titolo risarcitorio.
in
altri termini, contrariamente alla tesi implicita nella stringata
motivazione sul punto della sentenza impugnata, non
vi
è incompatibilità tra valutazione all'attualità del danno
biologico e riconoscimento degli interessi compensativi,
volti
a ristorare il diverso pregiudizio che l'avente diritto abbia subito
per la ritardata percezione del suo credito
(Cass.
24 settembre 1997 n. 9376). Certo, anche tali interessi possono
essere assorbiti nella liquidazione del danno
biologico
che venga effettuato alla stregua dei valori monetari al tempo della
decisione (Cass. 24 gennaio 2000 n.
748),
ma occorre che tale inclusione sia frutto di valutazione ed
esplicitazione del giudice del mento, assenti Invece
nella
motivazione della sentenza impugnata.
Alla
luce delle considerazioni che precedono, deve rilevarsi che la
domanda specifica dell'appellante Marika Sesta,
la
quale ha chiesto la corresponsione degli "interessi dal fatto
illecito", anziché dalla sentenza di primo grado (come
disposto
dal primo giudice), è stata rigettata con motivazione non
sufficiente, onde sulla stessa dovrà nuovamente
decidere
il giudice di rinvio.
6.
- Con il quinto motivo la ricorrente, deducendo vizi di motivazione,
censura la sentenza impugnata nella parte
relativa
al danno estetico, affermando che esso, concretandosi in danno alla
vita di relazione, era "degno di
valutazione
patrimoniale autonoma, indipendentemente dal danno biologico".
il
motivo di ricorso e infondato, perché, come ha affermato la sentenza
impugnata, il danno estetico subito dalla
ricorrente,
"inteso come danno alla vita di relazione, è stato
autonomamente.... liquidato in primo gradò'. Ed invero il
tribunale
ha liquidato per tale danno "l'ulteriore somma di L. 20.000.000"
(oltre il danno biologico per invalidità
permanente).
7.
- Con il sesto ed ultimo motivo del ricorso principale la Sesta
deduce la "violazione dell'art. 345 c.p.c. e
comunque
omessa valutazione della richiesta avanzata a, tenore della norma
citata", lamentando che la sentenza
impugnata
non si è pronunziata sulla richiesta di risarcimento dei danni
sofferti dopo la sentenza di primo grado a
seguito
di "ricoveri ed interventi effettuati.... a causa dell'incidente
in oggetto".
Il
motivo di ricorso è fondato.Come risulta dalle conclusioni
trascritte nell'epigrafe della sentenza impugnata la Sesta,
nell'appello incidentale, ha
chiesto
"il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza impugnata
(ex art. 345 c.p.c.)", che sono stati anche
precisati.
La Corte di appello non ha pronunziato su questa domanda, che ha
omesso di considerare nella
motivazione
della sentenza impugnata, in cui si è limitata a disattendere la
domanda di "rivalutazione ed interessi
dalla
sentenza di primo grado al saldo" (pronunzia - quest'ultima -
non impugnata nella ricorrente).
La
domanda di risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza di primo
grado è ammissibile in appello, ai sensi
dell'espresso
disposto dell'art. 345, primo comma, c.p.c., in deroga al divieto
generale di domande nuove, trattandosi
di
domanda che dipende strettamente da quella iniziale (Cass. 24 agosto
1998 n. 8364).
Quindi
la Corte di appello avrebbe dovuto prendere in esame detta domanda
della Sesta. La decisione sulla stessa
deve
rimessa al giudice di rinvio.
8.
- Occorre ora passare al ricorso incidentale proposto da Eugenio e
Tiberio sempronio, rispettivamente proprietario e
conducente
del motoveicolo scontratosi con il furgone del Comune.
Con
il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa
applicazione dell'art. 2054, secondo comma, c.c.
nonché
motivazione contraddittoria della sentenza impugnata relativamente
all'accertamento della corresponsabilità
del
conducente sempronio in ordine allo scontro. I ricorrenti osservano
che tale accertamento contraddice gli elementi di
fatti
raccolti nell'istruttoria, da cui si desume che il sempronio ha
osservato tutte le norme della circolazione stradale ed ha
adoperato
le cautele dell'uomo di normale diligenza perché egli viaggiava
nella propria corsia di marcia ad una
velocità
non superiore ai 50 Km-h prevista dalla segnaletica.
Il
motivo di ricorso è infondato.
Come
questa Corte ha già affermato (v., di recente, Cass. 5 maggio 2000
n. 5671), nel caso di scontro tra veicoli,
l'accertamento
in concreto di responsabilità di uno dei conducenti non comporta il
superamento della presunzione di
colpa
concorrente posta dal secondo comma dell'art. 2054 c.c., essendo a
tal fine necessario accertare in pari tempo
che
l'altro conducente abbia fatto tutto il possibile per evitare
l'incidente, restando operante la presunzione posta dal
primo
comma dello stesso art. 2054. Conseguentemente, l'infrazione, anche
grave, come l'inosservanza del diritto di
precedenza,
commessa da uno dei conducenti non dispensa il giudice dal verificare
anche il comportamento
dell'altro
conducente al fine di accertare se possa ritenersi raggiunta la prova
liberatoria prevista dal primo comma
dell'art.
2054.
Nel
caso di specie, la Corte di appello, confermando l'accertamento del
Tribunale, ha ritenuto che il conducente del
motoveicolo
non abbia provato di avere fatto tutto il possibile per evitare lo
scontro con il furgone adibito al servizio
di
nettezza urbana. La Corte ha ritenuto che, tenuto conto dell'ampiezza
delle strade percorse dai due veicoli, il sempronio
"era
in grado di avvistare.... il mezzo con cui si scontrò" e che
egli pertanto non ha dimostrato di avere tenuto una
velocità
particolarmente moderata (come quella imposta in prossimità dei
crocevia: art. 102, secondo comma, codice
stradale
del 1959, vigente all'epoca del fatto) e di non avere potuto
procedere ad "rallentamento o arresto della
proprio
moto".
Trattasi
di accertamento di fatto rientrante nei poteri del giudice del
merito. I ricorrenti, ponendo in discussione gli
elementi
probatori valutati conformemente dai due giudici di merito,
prospettano una diversa interpretazione degli
stessi
che è preclusa in questa sede di legittimità.
9.
- Con il secondo motivo i ricorrenti, deducendo la violazione
dell'art. 91 c.p.c., lamentano che essi siano stati
condannati
a pagare le spese del giudizio di appello nei confronti
dell'appellante Marchetta, pur non avendo essi
"contraddetto
i motivi di gravame dallo stesso formulati accolti dalla Corte di
appello, onde non sussiste una loro
soccombenza
rispetto alla detta parte nel giudizio di appello.
Il
motivo di ricorso è fondato.
Come
risulta anche dalle conclusioni formulate dal sempronio nel giudizio
di appello, costoro hanno chiesto la riforma
della
sentenza di primo grado per sentire dichiarare esclusivo responsabile
dell'incidente il Comune di Albano,
concordando
quindi con la domanda dell'appellante principale Caio di esclusione
della sua responsabilità
(affermata
invece dal Tribunale). Consegue che Eugenio e Tiberio sempronio non
possono essere considerati soccombenti
rispetto
alla domanda dell'appellante Caio. Essi, invece, sono stati
condannati dalla Corte di appello a pagare la
metà
delle spese del giudizio di appello a favore dell'appellante Caio,
perché la Corte li ha implicitamente
inclusi
nella dizione generica di "appellati" (usata sia in
dispositivo che in motivazione) senza distinguerli rispetto
alle
parti appellate (Sesta, Comune ed Assitalia) che avevano chiesto la
conferma della sentenza di primo grado in
ordine
all'individuazione dei soggetti condannati.
Consegue
che la detta condanna dei sempronio viola il principio della
soccombenza e va perciò cassata, con la
conseguenza
che la condanna, pronunziata dalla sentenza impugnata, al rimborso
della metà delle spese di lite
anticipate
dal Caio va limitata alla Sesta, al Comune ed alle Assicurazioni
d'Italia, con esclusione dei due sempronio.
10.
- La sentenza impugnata, come si è detto, va cassata anche in ordine
ai punti censurati dal terzo, dal quarto e dal
sesto
motivo del ricorso della Sesta, con conseguente rinvio della causa ad
altra sezione della Corte di appello di
Roma
per decidere sulle domande della Sesta a cui si riferiscono i tre
motivi accolti.
Il
giudizio proseguirà soltanto nei confronti del Comune di Albano e di
Eugenio e Tiberio sempronio, poiché il ricorso
principale
della Sesta non è stato proposto, come si è detto, contro Le
Assicurazioni d'Italia.
11.
- In ordine alle spese del giudizio di cassazione, il giudice di
rinvio si pronunzierà sulle spese della Sesta.
12.
- Il giudizio si conclude, invece, per Le Assicurazioni d'Italia, a
seguito del rigetto del primo motivo del ricorso
incidentale
dei sempronio, e per il Caio, poiché l'accoglimento del secondo
motivo del ricorso dei sempronio (che concernela condanna alle spese
pronunziata dalla Corte di appello a favore del Caio) comporta
soltanto la cassazione
della
condanna dei sempronio al pagamento di metà delle spese del giudizio
di appello, senza necessità di un giudizio di
rinvio.
Sussistono
giusti motivi per compensare le spese del giudizio di cassazione nei
rapporti che coinvolgono le parti per
le
quali il giudizio si conclude. Vanno quindi compensate le spese
dell'Assitalia nei rapporti con i sempronio (soccombenti
rispetto
alla detta società) e le spese del Caio nei rapporti con i sempronio
(soccombenti in ordine al secondo motivo
del
ricorso incidentale).
Inizio
documento
P.Q.M.
La
Corte riunisce i ricorsi, accoglie il terzo, il quarto ed il sesto
motivo del ricorso principale ed il secondo motivo
del
ricorso incidentale, respinge gli altri motivi dell'uno e dell'altro
ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione
ai
motivi accolti.
Così
deciso a Roma il 16 aprile 2002.
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