mercoledì 23 novembre 2011

Processo Civile, conversione d'ufficio se il rito risulta erroneo


" L’ordinanza di conversione del rito può essere pronunciata anche d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza: essa, pertanto, può essere pronunciata anche prima della prima udienza stessa, dopo l’instaurazione del processo che, nel modulo processuale introdotto dal ricorso, coincide con il deposito dello stesso (v. art. 39, comma III, c.p.c. come modificato dall’art. 45, comma III, lett. a legge 18 giugno 2009 n. 69). Si reputa, quindi, opportuno disporla immediatamente per evidenti ragioni di economia processuale.
L’art. 4, comma I, del decreto 150/2011, pur regolando la conversione, non ne esplicita le modalità, soprattutto là dove come, nel caso di specie, l’atto presenti delle omissioni che non lo rendono conforme al modello introduttivo previsto dal processo applicabile. E’ chiaro che, in casi del genere, il giudice non può limitarsi a pronunciare la conversione ma, in analogia con quanto prescrive l’art. 4, comma III, d.lgs. 150/2011, deve provvedere a disporre la integrazione degli atti per ripristinare l’architettura procedimentale applicabile.
Nel caso in cui, come nell’ipotesi attuale sub iudice, il ricorso sia erroneamente presentato con il rito camerale, invece che con il rito sommario, il giudice, pronunziando la conversione, deve onerare il ricorrente di integrare l’atto introduttivo con le omissioni rilevate che lo rendono inidoneo a conformarsi al modello processuale applicabile ovvero a depositare altro atto giudiziale introduttivo in riedizione, con emenda dei vizi; nell’uno e nell’altro caso, il ricorrente avrà l’onere di notificare alla parte resistente, l’atto iniziale originario, il decreto del giudice e l’integrazione/sanatoria."



Tribunale di Varese
Sezione I Civile
Ordinanza 9-10 novembre 2011, n. 10658
Con ricorso depositato in Cancelleria in data 8 novembre 2011, il ricorrente (cittadino italiano dal 2008), con l’assistenza dell’Avv. .., impugna il provvedimento emesso in data 26 agosto 2011, dalla Ambasciata d’Italia di Abidjan, di diniego del rilascio del visto per il ricongiungimento familiare in favore della minore affidata al ricorrente, …. nata in Sierra Leone il … 2004.
Deduce di avere conosciuto la minore insieme alla sig.ra …, sua moglie, in occasione di un viaggio a Serra Leone, incontro dante causa di un affidamento da parte del Ministero degli Affari sociali in loco, emesso in data 25 febbraio 2011. Affidamento che la resistente non ha ritenuto valido ai fini del visto, trattandosi di provvedimento per cui necessaria la valutazione ex art. 67 l- 218/1995 della Corte di Appello competente (v. provvedimento del 26 agosto 2011).
Il ricorso è presentato secondo formule processuali erronee.
Ai sensi dell’art. 20, comma I, d.lgs. 1 settembre 2011 n. 150, è prevista l’applicazione del rito sommario di cognizione per le controversie previste dall’art. 30, comma VI, del d.lgs. 286/1998 (non modificato dal D.L. 89/11), disposizione normativa dove oggi si legge: “contro il diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonchécontro gli altri provvedimenti dell'autorità amministrativa in materia di diritto all'unità familiare, l'interessato può adire l’autorità giudiziaria ordinaria”. In virtù della norma sopra richiamata, è, dunque, applicabile la disciplina di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c., giusta gli artt. 3, 20, comma I, d.lgs. 150/2011 e, per l’effetto, la procedura del rito sommario di cognizione (con esclusione dei commi II e III dell’art. 702-ter c.p.c.: v- già sul punto: Trib. Varese, sez. I civ., decreto 24 ottobre 2011 n. 10192 in www.guidaaldiritto.it).
Ebbene, nel caso di specie, il ricorso è presentato senza le indicazioni di cui all’art. 163 c.p.c. (per quanto richiamato dall’art. 702-bis c.p.c.) e, soprattutto, senza l’avvertimento di cui all’art. 163, comma III, n. 7 c.p.c., così potendosi ritenere che, in effetti, il ricorrente ha introdotto la lite secondo la formula processuale previgente, che prescriveva di attingere al bacino del rito camerale ex artt. 737 c.p.c. e ss. (art. 30, comma VI, d.lgs. 286/1998 nel testo anteriore alla modifica apportata dall’art. 34 d.lgs. 150/2011).
Reputa questo giudice che, in ipotesi del genere, possa trovare applicazione l’art. 4 del d.lgs. 150/2011. La disposizione legislativa, al comma I, prevede che “quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dal decreto 150/2011, il giudice dispone il mutamento del rito con ordinanza”. Una prima lettura superficiale dell’enunciato normativo potrebbe indurre a ritenere che il cd. switch procedimentale (mutamento del rito) possa trovare applicazione solo trai riti tipizzati come generali dal decreto 150 (es. introduzione di una casa con il rito lavoro e conversione in rito sommario). Ne discenderebbe che, negli altri casi (es. introduzione con rito camerale di un procedimento per cui previsto il rito sommario, come nel caso di specie) dovrebbe trovare applicazione la disciplina in tema di ammissibilità dello strumento processuale o validità dell’atto giudiziale con esclusione, quindi, della possibilità di conversione (es. dichiarando nullo il ricorso introduttivo del giudizio ex art. 164 c.p.c. o per violazione dell’art. 125 c.p.c., con i provvedimenti conseguenti). La ratio legis sottesa all’art. 4, tuttavia, emergente in modo chiaro dai lavori parlamentari e dalla Relazione Illustrativa, depone nel senso di ritenere, invece, applicabile l’art. 4 ad ogni caso in cui il rito scelto non sia quello previsto dalla Legge. In primo luogo, sembra chiara in tal senso la lettera dell’art. 4 che discorre di “forme diverse” in generale, quindi estendendosi ad ogni modello processuale vigente nell’Ordinamento. In secondo luogo, l’interpretazione de qua è imposta da una lettura assiologica dell’enunciato normativo in esame. L’art. 4 della legge delegata introduce, a ben vedere, una disciplina ad hoc per far fronte al caso della erronea introduzione di un processo affinché essa non determini, per ciò solo, l’arresto della macchina procedimentale, in quanto l’Ordinamento tende a conservare gli atti giudiziali finché è possibile attribuirgli effetti giuridici e nei limiti in cui siano idonei a raggiungere lo scopo loro affidato. Essa salvaguarda, dunque, il «principio fondamentale degli Autori classici secondo cui il processo deve tendere ad una sentenza di merito» (v. Corte cost. 77/2007).
L’ordinanza di conversione del rito può essere pronunciata anche d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza: essa, pertanto, può essere pronunciata anche prima della prima udienza stessa, dopo l’instaurazione del processo che, nel modulo processuale introdotto dal ricorso, coincide con il deposito dello stesso (v. art. 39, comma III, c.p.c. come modificato dall’art. 45, comma III, lett. a legge 18 giugno 2009 n. 69). Si reputa, quindi, opportuno disporla immediatamente per evidenti ragioni di economia processuale.
L’art. 4, comma I, del decreto 150/2011, pur regolando la conversione, non ne esplicita le modalità, soprattutto là dove come, nel caso di specie, l’atto presenti delle omissioni che non lo rendono conforme al modello introduttivo previsto dal processo applicabile. E’ chiaro che, in casi del genere, il giudice non può limitarsi a pronunciare la conversione ma, in analogia con quanto prescrive l’art. 4, comma III, d.lgs. 150/2011, deve provvedere a disporre la integrazione degli atti per ripristinare l’architettura procedimentale applicabile.
Nel caso in cui, come nell’ipotesi attuale sub iudice, il ricorso sia erroneamente presentato con il rito camerale, invece che con il rito sommario, il giudice, pronunziando la conversione, deve onerare il ricorrente di integrare l’atto introduttivo con le omissioni rilevate che lo rendono inidoneo a conformarsi al modello processuale applicabile ovvero a depositare altro atto giudiziale introduttivo in riedizione, con emenda dei vizi; nell’uno e nell’altro caso, il ricorrente avrà l’onere di notificare alla parte resistente, l’atto iniziale originario, il decreto del giudice e l’integrazione/sanatoria.
Nessun provvedimento va, invece, emesso quanto alla regolarizzazione fiscale degli atti, in quanto, giusta l’art. 20, comma IV, dlgs 150/2011, gli atti del procedimento odierno “sono esenti da imposta di bollo e di registro e da ogni altra tassa”.
P.q.m.
Letto e applicato l’art. 4, comma I, d.lgs. 150/2011
Dispone il mutamento del rito, da camerale (ex art. 737 e ss c.p.c.) a sommario di cognizione ex artt. 702-bis e ss. c.p.c., rito applicabile alla controversia in virtù gli artt. 20 decreto legislativo 1 settembre 2011 n. 150 e 30, comma VI, decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286. Per l’effetto, dispone che parte ricorrente provveda alla integrazione dell’atto introduttivo del giudizio o alla sua riedizione secondo il rito applicabile, con atto da depositare in Cancelleria entro e non oltre la data del 30 novembre 2011;
Letti e applicati gli artt. 20 d.lgs. 150/11, 30 d.lgs. 286/1998, 702-bis c.p.c.
Fissa l’udienza di comparizione delle parti in data 25 gennaio 2012 ore 9.00. L’udienza si terrà presso il Tribunale di Varese, P.zza Cacciatori delle Alpi n. 1, Piano Primo, stanza n. 102, Ufficio del Giudice dr. Giuseppe Buffone.
Invita la parte resistente a costituirsi entro e non oltre dieci giorni prima dell’udienza.
Dispone che, a cura di parte ricorrente, il ricorso originario, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza e all’atto di integrazione, sia notificato ai convenuti almeno trenta giorni prima della data fissata per la sua costituzione.
Manda alla cancelleria perché si comunichi.
Varese lì 9 novembre 2011.
Il Giudice 

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