Stante
la illegittimità della condotta della stazione appaltante e tenuto
conto della già intervenuta esecuzione del servizio, la seconda
graduata, pur senza aver inteso impugnare l'atto amministrativo di
aggiudicazione, è legittimata a promuovere il ricorso volto
all’accertamento del suo diritto al risarcimento del danno nella
misura per mancato utile economico (50% dell’importo ora indicato a
titolo di danno curriculare; il 30 % del medesimo importo innanzi
indicato a titolo di mancato incremento di fatturato ovvero per dano
esistenziale; l’importo per i costi e le spese sostenute per la
gara da valutarsi in via equitativa e l’ulteriore somma a titolo di
interessi e rivalutazione sulle voci indicate)
T.A.R.
Lazio
- Roma
Sezione
II
Sentenza
3 maggio 2011, n. 3766
N.
03766/2011 REG.PROV.COLL.
N. 08128/2010 REG.RIC.
N. 08128/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione
Seconda)
ha
pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso numero di registro generale 8128 del 2010, proposto da:
Soc Happy Age Srl, rappresentata e difesa dall'avv. Gianluca Caporaso, con domicilio eletto presso Giulio Cimaglia in Roma, viale G. Marconi n. 57;
Soc Happy Age Srl, rappresentata e difesa dall'avv. Gianluca Caporaso, con domicilio eletto presso Giulio Cimaglia in Roma, viale G. Marconi n. 57;
contro
Comune
di Roma, rappresentato e difeso dall'Enrico Maggiore, domiciliato per
legge in Roma, via Tempio di Giove, 21;
nei
confronti di
Soc
Nika Tour Srl, rappresentata e difesa dall'avv. Filippo Croce', con
domicilio eletto presso Filippo Croce' in Roma, viale Angelico, 163;
per
la condanna del Comune intimato al risarcimento, a favore della
ricorrente, del danno derivante dall'illegittima aggiudicazione, nei
confronti della controinteressata, della procedura pubblica per
l'affidamento dei soggiorni estivi (anno 2010), nonché per
l’annullamento del diniego d’autotutela, formatosi per silentium,
sulla diffida attorea ex art. 243-bis del Dlg 12 aprile 2006 n. 163,
ed ove occorra dell’aggiudicazione definitiva , della graduatoria
di gara e della determinazione dirigenziale di presa d’atto dei
lavori del seggio di gara;
Visti
il ricorso e i relativi allegati;
Visti
gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Roma e della Soc
Nika Tour Srl;
Viste
le memorie difensive;
Visti
tutti gli atti della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 9 marzo 2011 il dott. Salvatore
Mezzacapo e uditi per le parti i difensori come specificato nel
verbale;
Ritenuto
e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
E DIRITTO
Il
Comune di Roma ha bandito una procedura ad evidenza pubblica per la
realizzazione di soggiorni estivi per anziani autosufficienti e
parzialmente autosufficienti residenti nel proprio territorio per
l’anno 2010, da realizzarsi nel periodo 28 giugno – 4 settembre
2010.
La
odierna ricorrente si è collocata al secondo posto con il punteggio
di 78/100, preceduta dalla Nika Tour s.r.l.con punti 80/100,
proclamata quindi aggiudicataria del servizio.
La
ricorrente ha quindi diffidato il Comune di Roma dal procedere
all’affidamento del servizio all’aggiudicataria poiché priva del
requisito previsto a pena di esclusione delle “precedenti
esperienze positive nell’organizzazione dei viaggi e vacanze per
gruppi di almeno 4 anni”; invitando l’amministrazione ad
aggiudicare la gara alla seconda graduata.
Rimanevano,
tuttavia, prive di qualsivoglia riscontro sia il citato atto di
diffida che l’informativa ex art. 243 del Codice degli appalti
ricevuta dall’amministrazione in data 7 luglio 2010.
Affermata
dunque la illegittimità della condotta della stazione appaltante e
tenuto conto della già intervenuta esecuzione del servizio, la
seconda graduata ha quindi proposto il presente ricorso volto
all’accertamento del suo diritto al risarcimento del danno nella
misura di euro 18.214,00 atitolo di mancato utile economico; il
50% dell’importo ora indicato a titolo di danno curriculare; il 30
% del medesimo importo innanzi indicato a titolo di mancato
incremento di fatturato ovvero per dano esistenziale; l’importo per
i costi e le spese sostenute per la gara da valutarsi in via
equitativa e l’ulteriore somma a titolo di interessi e
rivalutazione sulle voci indicate.
Si
sono costituiti in giudizio il Comune di Roma e la società
aggiudicataria della gara contestando la tesi di parte ricorrente in
ordine alla asserita illegittimità degli atti di gara e concludendo
perché il proposto ricorso venga respinto.
Alla
pubblica udienza del 9 marzo 2001 il ricorso viene ritenuto per la
decisione in esito alla discussione orale.
Il
ricorso è fondato e va, pertanto, accolto nei limiti e con le
precisazioni di seguito indicate.
E’
opportuno premettere come l'esame dell’odierna fattispecie vada
condotto alla luce della nuova normativa di cui agli articoli 30 e 34
del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (recante, all’allegato
1, il “Codice del processo amministrativo”, in vigore dal 16
settembre 2010 ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. cit.), che, in
quanto norme processuali, sono immediatamente applicabili (cfr., in
tal senso, Consiglio di Stato, sez. V, 06 dicembre 2010, n. 8550).
E,
comunque, coma ha osservato l’Adunanza Plenaria del Consiglio di
Stato 23 marzo 2011 n. 3, i principi affermati dal d.lgs. n. 104 del
2010 (segnatamente, “quello dell'assenza di una stretta
pregiudiziale processuale e quello dell'operatività di una
connessione sostanziale di tipo causale tra rimedio impugnatorio e
azione risarcitoria”, di cui meglio in seguito) sono ricavabili
anche dal quadro normativo vigente prima dell'entrata in vigore del
codice.
Va
preliminarmente osservato, infatti, essendosi in presenza di azione
volta esclusivamente all’accertamento del diritto al risarcimento
del danno cagionato dall’azione asseritamente illegittima
dell’amministrazione, senza dunque che sia stato tempestivamente
chiesto anche l’annullamento dell’atto produttivo di danno, che
l'art. 30 del codice del processo amministrativo ha previsto, ai fini
che qui rilevano, che l'azione di condanna al risarcimento del danno
può essere proposta in via autonoma (comma 1) entro il termine di
decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto
si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il
danno deriva direttamente da questo (comma 3, primo periodo).
Come
ha osservato la citata Adunanza Plenaria, la norma citata, da leggere
in combinazione con il disposto del comma 4 dell'art. 7 - il cui
inciso finale prevede la possibilità che le domande risarcitorie
aventi ad oggetto il danno da lesione di interessi legittimi e di
altri diritti patrimoniali consequenziali siano introdotte in via
autonoma - sancisce, dunque, l'autonomia, sul versante processuale,
della domanda di risarcimento rispetto al rimedio impugnatorio. Detta
autonomia è confermata, per un verso, dall'art. 34, comma 2, secondo
periodo, che considera il giudizio risarcitorio quale eccezione al
generale divieto, per il giudice amministrativo, di conoscere della
legittimità di atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare con
l'azione di annullamento; e, per altro verso, dal comma 3 dello
stesso art. 34, che consente l'accertamento dell'illegittimità a
fini meramente risarcitori allorquando la pronuncia costitutiva di
annullamento non risulti più utile per il ricorrente (osserva
inoltre la Plenaria che “Questo
reticolo di norme consacra, in termini netti, la reciproca autonomia
processuale tra i diversi sistemi di tutela, con l'affrancazione del
modello risarcitorio dalla logica della necessaria "ancillarità"
e "sussidiarietà" rispetto al paradigma caducatorio”).
Seguendo
il condivisibile avviso interpretativo della citata Plenaria, deve
quindi essere osservato che il codice, pur negando la sussistenza di
una pregiudizialità di rito, “ha
mostrato di apprezzare, sul versante sostanziale, la rilevanza
eziologica dell'omessa impugnazione come fatto valutabile al fine di
escludere la risarcibilità dei danni che, secondo un giudizio
causale di tipo ipotetico, sarebbero stati presumibilmente evitati in
caso di tempestiva reazione processuale nei confronti del
provvedimento potenzialmente dannoso”.
Ed
infatti, il terzo comma dell'art. 30 del codice dispone, al secondo
periodo, che, nel determinare il risarcimento, "il
giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento
complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei
danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza,
anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti".
E’
stato quindi osservato che la citata disposizione, pur non evocando
in modo esplicito il disposto dell'art. 1227, comma 2, del codice
civile, afferma che l'omessa attivazione degli strumenti di tutela
previsti “costituisce,
nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato
valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di
solidarietà, ai fini dell'esclusione o della mitigazione del danno
evitabile con l'ordinaria diligenza. E tanto in una logica che vede
l'omessa impugnazione non più come preclusione di rito ma come fatto
da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla
sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile”
(Ad. Plen.n. 3/2011 cit.).
In
altri termini, emerge dal codice del processo amministrativo la
regola secondo cui la tenuta, da parte del danneggiato, di una
condotta, attiva od omissiva, contraria al principio di buona fede ed
al parametro della diligenza, che consenta la produzione di danni che
altrimenti sarebbero stati evitati secondo il canone della causalità
civile imperniato sulla probabilità relativa recide, in tutto o in
parte, il nesso casuale che, ai sensi dell'art. 1223 c.c., deve
legare la condotta antigiuridica alle conseguenze dannose risarcibili
(di qui innanzitutto, secondo l’insegnamento dell’Adunanza
Plenaria citata, la rilevanza sostanziale, sul versante prettamente
causale, dell'omessa o tardiva impugnazione come fatto che preclude
la risarcibilità di danni che sarebbero stati presumibilmente
evitati in caso di rituale utilizzazione dello strumento di tutela
specifica predisposto dall'ordinamento a protezione delle posizioni
di interesse legittimo onde evitare la consolidazione di effetti
dannosi). Va pure osservato che la stessa citata sentenza n. 3 del
2001 opportunamente e condivisibilmente rileva che “la
latitudine del generale riferimento ai mezzi di tutela e al
comportamento complessivo consente di soppesare l'ipotetica incidenza
eziologica non solo della mancata impugnazione del provvedimento
dannoso ma anche dell'omessa attivazione di altri rimedi
potenzialmente idonei ad evitare il danno, quali la via dei ricorsi
amministrativi e l'assunzione di atti di iniziativa finalizzati alla
stimolazione dell'autotutela amministrativa (cd. invito
all'autotutela)”.
Emerge con chiarezza il dato della rilevanza sostanziale delle
condotte negligenti, eziologicamente pregnanti. Rilevanza sostanziale
invero confermata anche dall'art. 124 del codice del processo
amministrativo e dell'art. 243 bis del codice dei contratti pubblici
di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.
La
prima disposizione sancisce, al comma 2, questa volta recando un
riferimento esplicito alla normativa civilistica, che "la
condotta processuale della parte che, senza giustificato motivo, non
ha proposto la domanda di cui al comma 1" (ossia la domanda di
conseguire l'aggiudicazione e il contratto) "o non si è resa
disponibile a subentrare nel contratto è valutata dal Giudice ai
sensi dell'art. 1227 del codice civile".
Inoltre,
l'art. 243 bis del codice dei contratti pubblici, aggiunto dall'art.
6 del decreto legislativo 20 marzo 2010, n. 53, come modificato
dall'art. 3 dell'allegato 4 allo stesso decreto legislativo n.
104/2010, nel disciplinare l'istituto dell'informativa in ordine
all'intento di proporre ricorso giurisdizionale, stabilisce, al comma
5, che l'omissione della comunicazione di cui al comma 1, finalizzata
alla stimolazione dell'autotutela, costituisce comportamento
valutabile ai sensi dell'art. 1227 del codice civile.
Con
più specifico riferimento al citato art. 1227 del codice civile,
l’Adunanza Plenaria citata ha pure osservato che “l'obbligo
di cooperazione di cui al comma 2 dell'art. 1227 ha fondamento
proprio nel canone di buona fede ex art. 1175 c.c. e, quindi, nel
principio costituzionale di solidarietà”
per cui “si
deve concludere che anche le scelte processuali di tipo omissivo
possono costituire in astratto comportamenti apprezzabili ai fini
della esclusione o della mitigazione del danno laddove si appuri,
alla stregua del giudizio di causalità ipotetica…., che le
condotte attive trascurate non avrebbero implicato un sacrificio
significativo ed avrebbero verosimilmente inciso, in senso preclusivo
o limitativo, sul perimetro del danno”.
Di qui la preferenza espressa, rispetto al tradizionale indirizzo che
esclude, per definizione, la sincadabilità delle condotte
processuali ai sensi del capoverso dell'art. 1227 c.c., per “un
più duttile criterio interpretativo che, in coerenza con le clausole
generali in materia di correttezza, buona fede e solidarietà di cui
la norma in esame è espressione, consenta la valutazione della
condotta complessiva, anche processuale, del creditore, con riguardo
alle specificità del caso concreto”,
con la conseguenza che “applicando
detto criterio interpretativo, si deve allora ritenere che la mancata
impugnazione di un provvedimento amministrativo possa essere ritenuto
un comportamento contrario a buona fede nell'ipotesi in cui si appuri
che una tempestiva reazione avrebbe evitato o mitigato il danno”.
Ancora
la citata Plenaria esclude ogni violazione del canone della buona
fede “laddove
la decisione di non fare leva sullo strumento impugnatorio sia frutto
di un'opzione discrezionale ragionevole e non sindacabile in quanto
l'interesse all'annullamento oggettivamente non esista, sia venuto
meno e, in generale, non sia adeguatamente suscettibile di
soddisfazione. Si consideri, a titolo esemplificativo, l'ipotesi in
cui il provvedimento sia stato immediatamente eseguito producendo una
modificazione di fatto irreversibile; o quella in cui i tempi tecnici
del processo non consentano, ragionevolmente, di praticare, in modo
efficiente, il rimedio della tutela ripristinatoria; o, ancora, le
situazioni in cui, per effetto di specifica previsione di legge (cfr.
l'art. 246, comma 4, del codice dei contratti pubblici, da ultimo
confluito nell'art. 125, comma 3, del codice del processo
amministrativo), il mezzo dell'annullamento non possa soddisfare, in
termini reali, l'aspirazione al conseguimento del bene della vita
desiderato. Dette evenienze, ostative al soddisfacimento in natura
della posizione azionata, possono maturare nel corso del giudizio in
guisa da produrre la concentrazione in itinere della domanda sul solo
profilo del risarcimento sulla base della regola giurisprudenziale
prima ricordata, oggi canonizzata dall'art. 34, comma 3, del codice
del processo amministrativo”.
Se
queste sono dunque la coordinate interpretative al cui interno
occorre muoversi, rileva innanzitutto il Collegio, con esame
ovviamente in via incidentale non essendo stato nei prescritti
termini di decadenza chiesto l’annullamento degli atti di gara, la
illegittimità della disposta aggiudicazione della gara di che
trattasi alla aggiudicataria Nika Tour s.r.l. per difetto di un
requisito prescritto, a pena di esclusione, dalla lex specialis.
Il
bado prevedeva, infatti, al punto 6, quale requisito, di “avere
precedenti esperienze positive nell’organizzazione dei viaggi e
vacanze per gruppi di almeno 4 anni”,
laddove dalla visura della Camera di commercio, relativa alla società
aggiudicataria del servizio, in atti del presente giudizio, risulta
inequivocamente che l’inizio dell’attività di impresa risale al
10 aprile 2007. In altri termini, sono sussistono dubbi in
ordine al mancato possesso, da parte dell’aggiudicataria, di un
requisito il cui possesso era espressamente richiesto a pena di
esclusione. Non sussistono dubbi, cioè, sulla illegittimità della
procedura di gara che avrebbe quindi dovuto vedere la odierna
ricorrente, seconda graduata, legittimamente aggiudicataria della
gara medesima. Ma, com’è noto, il risarcimento del danno derivante
da lesione di interesse legittimo, a carico della P.A., non
costituisce un semplice effetto automatico dell'accertamento
giurisdizionale della illegittimità del provvedimento adottato,
richiedendo esso la verifica positiva di specifici requisiti, quali
l'accertamento dell'imputabilità dell'evento dannoso alla
responsabilità dell'Amministrazione, l'esistenza di un danno
patrimoniale ingiusto, il nesso causale tra l'illecito compiuto e il
danno subito, e una condotta dell'Amministrazione caratterizzata
dalla colpa (cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 02 febbraio 2011 , n.
974). Elementi questi la cui ricorrenza nel caso di specie è agevole
riscontrare per essere agevole il riscontro del vizio che ha segnato
l’attività amministrativa, il che rende certamente colposa la
condotta della stazione appaltante. Così come il danno di cui si
chiede il risarcimento è, con ogni evidenza, diretta conseguenza
della condotta accertata per come illegittima.
Né,
nel caso di specie, può ritenersi che la condotta di parte
ricorrente, con specifico riferimento alla omessa tempestiva
impugnazione degli atti di gara, possa essere valutata, giusta quanto
innanzi considerato, ai fini della esclusione o della mitigazione del
danno evitabile con l'ordinaria diligenza.
Deve,
infatti, innazitutto essere rilevato che la ricorrente ha sia
diffidato - con nota del 10 giugno 2010 - la stazione appaltante dal
procedere all’affidamento del servizio all’aggiudicataria che
notificato alla stessa informativa in data 2 luglio 2010, ex art. 243
del Codice degli appalti, in entrambi i casi rappresentando
all’amministrazione le ragioni della ritenuta illegittimità della
sua condotta. Così come deve pure rilevarsi che il servizio di che
trattasi andava realizzato nel periodo 28 giugno – 4 settembre
2010, per cui se tempestiva era la diffida inoltrata dalla
ricorrente, verosimilmente la proposizione di tempestiva impugnativa
intesa all’annullamento degli atti di gara rischiava di non essere
di alcuna utilità sul piano del conseguimento di un risarcimento in
forma specifica. In definitiva, l’omessa impugnativa degli atti di
gara non rileva, nel caso di specie, ai fini dell'esclusione o della
mitigazione del danno, che deve dunque essere risarcito.
Ammontare
del danno che il Collegio reputa, in via equitativa, di fissare –
avuto riguardo ai valori monetari in gioco - in euro 20.000,00, in
detto importo ricomprendendo sia il danno per il mancato utile
economico che il danno cd. curriculare. Sulla detta somma, spettante
a titolo di risarcimento danni (da mancata aggiudicazione della gara)
spetta la rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT,
trattandosi di debito di valore, fino al deposito della sentenza;
sulla somma così rivalutata si computeranno gli interessi legali
calcolati esclusivamente dalla data di deposito della sentenza fino
all'effettivo soddisfo (cfr. T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 14 settembre
2010 , n. 3458).
Conclusivamente,
ribadite le svolte considerazioni, il Collegio accoglie il proposto
ricorso e per l’effetto condanna il Comune di Roma al pagamento in
favore della odierna ricorrente, a titolo di risarcimento del danno,
degli importi innanzi indicati.
Sussistono
tuttavia giuste ragioni per compensare integralmente fra le parti le
spese del presente giudizio.
P.Q.M.
definitivamente
pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie ai
sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, condanna
il Comune di Roma al pagamento in favore della società ricorrente,
dell’importo di euro 20.000,00 atitolo di risarcimento del
danno più accessori, come da motivazione.
Spese
compensate.
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2011 con
l'intervento dei magistrati:
Luigi
Tosti, Presidente
Carlo
Modica de Mohac, Consigliere
Salvatore
Mezzacapo, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL
PRESIDENTE
DEPOSITATA
IN SEGRETERIA
Il
03/05/2011
IL
SEGRETARIO
(Art.
89, co. 3, cod. proc. amm.)
Nessun commento:
Posta un commento