Consiglio di Stato , sez. V, decisione 08.01.2009 n° 25
E' legittimo l’esercizio del potere sindacale contemplato dall’art. 378 della legge 20.3.1865 n. 2248 all. F, il quale configura, non già un provvedimento repressivo in materia edilizia riservato ai dirigenti del comune, bensì una ipotesi di autotutela possessoria iuris publici in tema di strade sottoposte all’uso pubblico (Cons. Stato, sez. IV, 7.9.2006 n. 5209), che, in quanto tale, trova il suo unico presupposto nella necessità di ripristinare l’uso pubblico della strada.
Anche in subiecta materia in quanto autotutela sussiste l'obbligo della comunicazione dell’avvio del procedimento. Quanto ai termini preventivi della comunicazione, non esiste un termine minimo purchè sia congruo in relazione al contesto.
Consiglio di Stato
Sezione V
Decisione 20 maggio 2008 - 8 gennaio 2009, n. 25
(Presidente Iannotta - Relatore Monticelli)
Sul ricorso in appello n. 6443/2007, proposto dal sig. P. G., rappresentato e difeso dall’avv. Rodolfo Ludovici, con domicilio eletto in Roma, via Dardanelli n. 25 presso la società Omuake s.r.l.,
contro
il Comune di Barete, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Carlo Benedetti ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Alessandra Scarnati in Roma, corso Rinascimento n. 24,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo, sede dell’Aquila 18 dicembre 2006 n. 983.
Visto il ricorso con i relativi allegati.
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Barete.
Visti gli atti tutti della causa.
Nominato relatore il Consigliere Caro Lucrezio Monticelli.
Uditi!Fine dell'espressione imprevista, alla pubblica udienza del 20 maggio 2008 , l’Avv. Ludovici e l’Avv. Scarnati, quest’ultimo per delega di Benedetti!Fine dell'espressione imprevista;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
Fatto
Nella sentenza n. 983/2006 il Tar Abruzzo-L’Aquila, pronunciandosi su ricorso n. 494/2003 proposto dal sig. P. G., ha così esposto i fatti di causa:
“Con ricorso notificato in data 24.09.2003 l’istante assume di essere proprietario di un fondo al quale si perveniva tramite sentiero pedonale denominato Fonte di Mette.
Precisa, poi, che il suo dante causa, Sig. Loreto G., oltre cinquanta anni orsono recintò la sua proprietà chiudendo anche il sentiero in parola.
Negli anni 1955/56 venne poi realizzata nella zona la strada intercomunale Pizzoli - S. Giovanni in Paganica che rese del tutto inutilizzabile l’antico sentiero.
La situazione dei luoghi, secondo il ricorrente, rimaneva immutata fino ai giorni nostri ed anzi dal Tribunale Penale di L’Aquila venne accertato, con sentenza n. 198 del 7.3.2000 (passata in giudicato in data 7.6.2000) che: 1) il ricorrente non aveva posto in essere alcuna recinzione, entrando nel possesso dei beni senza apporvi modifiche; 2) la recinzione era stata apposta in epoca remota e, sicuramente oltre cinquanta anni orsono; 3) il sentiero Fonte di Mette da tempo non più visibile ed inutilizzato conduce ad una scarpata posta in essere con lavori di costruzione di una strada.
Veniva dunque emanata la epigrafata ordinanza sindacale della quale l’istante si duole per i motivi di cui appresso.
1) Violazione di legge (art. 7 della L. 241/90).
Nel caso di specie il Comune ha informato il ricorrente in ordine alla chiusura della strada solamente cinque giorni prima dell’emissione del provvedimento.
2) Eccesso di potere per travisamento ed errore nella valutazione dei fatti, per errore e carenza di istruttoria per carenza o errata motivazione.
L’atto impugnato è stato emanato sul falso presupposto che il ricorrente abbia recintato dei terreni, chiudendo un tratto di strada.
Il che non risponde al vero in quanto (come accertato dalla dianzi richiamata sentenza) trattasi di un antico sentiero “le cui tracce si sono man mano cancellate fino a sparire quasi del tutto”; sentiero interrotto fin dal 1955/56 dalla strada intercomunale di Pizzoli, S. Giovanni di Paganica, non iscritto negli elenchi delle strade pubbliche (ex art. 17, L. 2248/1865).
Non è dunque ravvisabile alcuna motivazione di ordine pubblico o di pubblico interesse alla riapertura.
3) Violazione di legge (art. 378 L. 2248/1865, art. 1168 e 1170 c.c.). Carenza di legittimazione.
L’istante non ha operato alcuna modifica dei luoghi di interesse i quali, dal 1950, sono stati mantenuti nella identica situazione nella quale li aveva lasciati il Sig. Loreto Gino G..
Peraltro l’ordinanza non poteva essere emessa dopo un lungo lasso di tempo.
4) Eccesso di potere per errore nell’istruttoria. Violazione di legge. Incompetenza. Travisamento.
L’ordinanza è stata emessa da organo incompetente in quanto alla emissione della stessa doveva provvedere un organo dirigenziale dell’Ente.
Né sussiste alcun interesse pubblico alla riapertura della vecchia mulattiera, diventata intransitabile.
5) Violazione di legge. Eccesso di potere per errore nei presupposti. Sviamento.
Non esiste alcuna servitù di pubblico passaggio ed i terreni sono di proprietà del ricorrente.
Chiede quindi l’istante l’annullamento dell’impugnato provvedimento con il favore delle spese.
Con memoria depositata in data 9.06.2004 parte ricorrente ribadisce il proprio assunto precisando che della strada di che trattasi si è persa ogni traccia e che essa viene ricordata solo nelle planimetrie catastali.
Insiste quindi per l’accoglimento del ricorso con vittoria di spese.
Con ulteriore memoria il ricorrente ribadisce, in particolare, che la recinzione oggetto dell’ordinanza impugnata è stata realizzata alcuni decenni orsono dai precedenti proprietari, e che egli si è limitato ad effettuare solamente lavori di ordinaria manutenzione.
Si riporta quindi alle già formulate richieste con il favore delle spese.
Con memoria di costituzione depositata in data 14.10.2003 il Comune di Barete ha puntualmente contestato le deduzioni di parte ricorrente concludendo per la reiezione del ricorso con il favore delle spese.
Con successiva memoria depositata in data 11.03.2006 il Comune di Barete ha riepilogato i termini della vicenda e, pur censurando alcune inesattezze del funzionario verificatore, ha concluso per la reiezione del ricorso con il favore delle spese.
Alla pubblica udienza del 22 Marzo 2006 la causa è passata in decisione.”.
Ciò premesso, il Tar ha respinto il ricorso, ritenendo infondate le censure dedotte.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto appello (ric. n. 6443/2003) il sig. G., contestando le argomentazioni svolte dal Tar a sostegno della sua decisione.
Si è costituito in giudizio il Comune di Barete che ha concluso per l’infondatezza dell’appello.
Diritto
1. In ordine logico va esaminato preliminarmente il motivo d’appello con cui viene riproposta la censura di primo grado, con la quale si era lamentato che non era stata consentitita all’interessato un’idonea partecipazione al procedimento, in quanto si era data comunicazione dell’avvio del procedimento solo cinque giorni prima della adozione dell’ordinanza in contestazione (con il quale era stato ordinato di riaprire la strada che si asseriva essere stata abusivamente chiusa con una recinzione) e si era fatto comunque presente che la decisione era stata già presa.
La doglianza è priva di pregio.
Va in primo luogo condiviso l’assunto del Tar secondo cui il termine assegnato doveva ritenersi congruo, considerato che la vicenda, svoltasi peraltro in una realtà territoriale molto circoscritta, era ben nota all’interessato (vedasi, tra l’altro, la richiesta di dismissione di parte della strada comunale che verrà citata più avanti).
Si deve poi rilevare che la circostanza che fosse stato preannunciato il provvedimento che sarebbe stato adottato non comportava l’inutilità delle eventuali osservazioni presentate, perché l’amministrazione sarebbe stata in ogni caso tenuta a dimostrare di averle tenute in debita considerazione.
2. L’appellante assume poi che, come risulterebbe da una sentenza del Tribunale Penale dell’Aquila e da una consulenza tecnica disposta in primo grado, non vi sarebbero stati i presupposti per l’emissione dell’ordinanza impugnata, in quanto:
1) la recinzione era stata realizzata da alcuni decenni e che egli si sarebbe limitato ad effettuare lavori di manutenzione;
2) non esisteva agli atti del comune alcuna delibera o scrittura nella quale sono elencate le strade pubbliche comunali;
3) in un verbale d’accordo, sottoscritto in data 22.10.1977, dall’allora Sindaco e da altri amministratori, nonché da alcuni proprietari dei terreni in località Fonte di Mette si afferma “pertanto la strada esistente di accesso al fabbricato... resterà sempre di proprietà Gregari”;
4) alcuni testi avrebbero asserito che per l’utilizzo della strada in questione occorreva l’autorizzazione dei proprietari.
Al riguardo va innanzi tutto rilevato che la sentenza del giudice penale non assume un valore decisivo nel presente giudizio, perché il Comune di Barete non aveva partecipato al relativo giudizio (vedasi in proposito l’art. 654 c.p.p.).
Altrettanto è a dirsi per quanto riguarda le valutazioni espresse nella consulente tecnica, essendo le stesse soggette alla verifica dell’organo giudicante, sulla base della documentazione acquisita al giudizio.
Ciò posto, va evidenziato che sulla base di detta documentazione deve giungersi alla conclusione che la strada in questione era di natura pubblica.
Ciò, come rettamente sottolineato dal comune appellato, emerge in primo luogo dalle mappe catastali.
Né una tale realtà è smentita, come vorrebbe l’appellante dal sopracitato verbale d’accordo.
Infatti il predetto comune ha ben rilevato che detto verbale fa riferimento ad altra strada di accesso alla proprietà dell’appellante, come emerge dalle particelle catastali menzionate nel verbale stesso.
Risulta anzi che il Sig. P. G. aveva presentato in data 12.11.96 al Comune di Barete una richiesta di dismissione di una porzione della strada comunale di “Fonte di Mette”, riconoscendo così la natura pubblica della strada in questione.
Come emerge poi dalla nota n. 32 in data 25.1.1995 del Comando Stazione Pizzoli del Corpo forestale dello Stato e dalla relazione n. 1790 in data 10.9.2003 dell’ufficio tecnico del Comune di Barete, l’uso della strada da parte della popolazione locale era stato impedito da una recinzione realizzata sulla strada stessa.
Si legittimava petanto l’esercizio del potere sindacale contemplato dall’art. 378 della legge 20.3.1865 n. 2248 all. F, il quale configura, non già un provvedimento repressivo in materia edilizia (riservato, come sottolineato dall’appellante, ai dirigenti del comune), bensì una ipotesi di autotutela possessoria iuris publici in tema di strade sottoposte all’uso pubblico (Cons. Stato, sez. IV, 7.9.2006 n. 5209), che, in quanto tale, trova il suo unico presupposto nella necessità di ripristinare l’uso pubblico della strada senza necessità di ulteriori motivazioni (come vorrebbe invece l’appellante).
Potere che, contrariamente a quanto asserito dall’interessato, non poteva che essere esercitato nei confronti del medesimo, che aveva il godimento e la disponibilità del bene e che provvedeva altresì alla sua manutenzione.
3. L’appello va dunque respinto.
Sussistono ragioni, in considerazione della particolarità della fattispecie, per compensare integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), respinge l’appello in epigrafe.
Spese del grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Libero Professionista, esercente la professione forense nel Foro di Brindisi, distretto Corte d'Appello di Lecce (Italy)- già Magistrato, abilitato innanzi alle Giurisdizioni Superiori (Corte di Cassazione, Corte Costituzionale)
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