sabato 29 novembre 2008

Usucapione, ammissibile per costruzione su fondo altrui con conseguente venir meno dell'accessione maturata in capo al proprietario

Cassazione civile, sez. II, sentenza 23.07.2008 n. 20288

Usucapione della costruzione su fondo altrui, conseguenza della venuta meno dell'acquisto per accessione del proprietario

"Nel caso in cui l'attore di una costruzione eseguita (con materiali propri) sul fondo altrui l'abbia posseduta "uti dominus" per il tempo necessario ad usucapire, l'acquisto della proprietà dell'opera, per accessione, a favore del proprietario del fondo viene meno per successivo acquisto della proprietà del manufatto e del suolo, verificatosi in virtù di usucapione a favore del costruttore".

La Suprema Corte Civile
Sezione II
Svolgimento del processo
Con citazione del 17.2.1994 S. B. e A. M. convenivano in giudizio davanti al Tribunale di S. M. E. e B. A. per chiedere la rimozione di una sopraelevazione e di una struttura metallica realizzate nel 1992 a distanza illegale dall'attiguo fabbricato attoreo dotato di parete finestrata. I convenuti, costituitisi, sostenevano la regolarità delle opere ed in via riconvenzionale chiedevano la condanna degli attori alla demolizione della parte di costruzione che violava la distanza legale.
Acquisiti documenti e disposta ctu, rimaste infruttuose le trattative di conciliazione, il nuovo difensore dei convenuti, con memoria 13.1.2000 contestava la legittimazione degli attori posto che la loro veranda, rispetto alla quale sarebbero state violate le distanze, era stata edificata su una soletta di proprietà dei convenuti e, quindi, era di proprietà di questi ultimi per accessione.
Con sentenza 26.11.2001 la sezione stralcio rigettava le domande delle parti, dichiarava inammissibile l'ulteriore riconvenzionale dei convenuti e compensava le spese.
Proposto appello dagli originali attori, si costituivano gli appellati, svolgendo appello incidentale.
La Corte di appello di Torino, con sentenza 12 novembre 2003 rigettava le impugnazioni e compensava le spese, osservando che la veranda era stata costruita sulla soletta del M. e che per il principio generale dell'accessione, in mancanza di costituzione negoziale di un diritto di superficie, non era ipotizzabile l'acquisizione da parte di un terzo di detta posizione a titolo originario per possesso oltre il ventennio.
Ricorrono S. e A. con un motivo, illustrato da memoria, resistono le controparti proponendo ricorso incidentale condizionato.
Motivi della decisione
Con unico motivo si denunziano violazione degli artt. 167, 180 e 183 c.p.c., difetto e contraddittorietà di motivazione per avere la sentenza ritenuto la questione sollevata nell'ultima fase del giudizio di primo grado né domanda nuova né eccezione in senso proprio ma mera eccezione in senso ampio e per non avere considerato l'avvenuta usucapione.
La prima parte della censura è infondata.
La sentenza, premesso che era preliminare la trattazione della questione riproposta ai sensi dell'art. 346 c.p.c. da parte appellata con riferimento alla sussistenza della legittimazione attiva delle controparti ad esercitare l'"actio negatoria servitutis", posto che la veranda, rispetto alla quale sarebbero state violate le distanze, sarebbe di proprietà degli appellati per il principio generale dell'accessione, in quanto costruita sulla soletta di copertura della proprietà sottostante; riferito che il Tribunale l'aveva ritenuta una domanda nuova, inammissibile per mancata accettazione del contraddittorio ed implicitamente rinunciata per la mancata riproposizione dell'eccezione in sede di precisazione delle conclusioni; ha concluso trattarsi di eccezione introdotta in corso di giudizio per paralizzare l'azione avversaria ed in applicazione del principio generale dell'accessione ha ritenuto non ipotizzabile l'acquisizione da parte di un terzo di una posizione giuridica soggettiva a titolo originario a seguito di possesso prolungato per oltre un ventennio.
Questa Corte Suprema (Cass. 18.7.2002 n. 10441) ha, invero, affermato la proponibilità di eccezioni riconvenzionali nuove anche in appello, statuendo in particolare che non introducono una nuova pretesa ma sono rivolte essenzialmente al rigetto di quelle di controparte per cui possono essere proposte per la prima volta in appello, non potendo il silenzio o l'inerzia della parte interessata, mantenuti in primo grado, costituire comportamenti valutabili come rinunzia alla facoltà di avvalersene.
"A fortori" possono essere proposte in primo grado, non trattandosi di domanda che, se proposta in appello, sarebbe stata inammissibile per il divieto di "jus novorum" ex art. 345 cpc, pur nella sua previgente formulazione.
L'eccezione riconvenzionale può essere proposta anche in appello e, quindi, andava esaminata.
Il principio secondo cui l'interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti da luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato vizi riconducibili nell'ambito degli artt. 112 e 345 c.p.c., a norma dei quali il giudice deve, rispettivamente, pronunziare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa e dichiarare inammissibili di ufficio le domande nuove; in tali casi, infatti deducendosi "errores in procedendo", la Corte di Cassazione è giudice anche del fatto ed ha, quindi, il potere dovere di procedere direttamente all'esame ed all'interpretazione degli atti processuali ed, in particolare, delle istanze e deduzioni delle parti. (Cass. 12.11.2002 n. 15858, Cass. 8.8.2003 n. 12022, Cass. 20.4.2004 n. 7533).
Per la proposizione di una eccezione sostanziale non si richiede che la parte impieghi formule sacramentali ma è sufficiente qualsiasi deduzione anche implicita, incorre, pertanto in "error in procedendo" il giudice di merito che ometta di esaminare l'eccezione riconvenzionale implicita (Cass. 29.4.2004 n. 8225).
Ciò premesso, posto che la proponibilità di eccezioni riconvenzionali nuove anche in appello (ed "a fortiori" in primo grado) deve ritenersi consentita anche nel caso in cui venga, per l'effetto, ampliato il "thema decidendum", purché siano dirette all'esclusivo fine di ottenere la reiezione della domanda avversaria, non introducendo una nuova pretesa, ma essendo rivolte essenzialmente al rigetto di quella della controparte (Cass. 18.7.2002 n. 10441, cit., Cass. 13.4.1999 n. 3618); ne consegue che la prima parte della censura non merita accoglimento, posto che solo nuove domande (e non eccezioni) non possono proporsi in appello e se proposte debbono essere dichiarate inammissibili di ufficio; addirittura, qualora il giudice di appello abbia omesso di rilevare la violazione dello "jus novorum", ciò deve essere rilevato d'ufficio dalla S.C., anche ove fosse stato accettato il contraddittorio (Cass. 2.8.2000 n. 10129, 22.4.1998 n. 4075).
La Corte di appello è incorsa, invece, in errore nel ritenere che la veranda, essendo stata anteriormente acquisita per accessione al patrimonio dei convenuti, non poteva essere usucapita.
Al riguardo è sufficiente richiamare la decisione di questa Suprema Corte (Cass. n. 3191/1980) che ha affermato il seguente principio: "Nel caso in cui l'attore di una costruzione eseguita (con materiali propri) sul fondo altrui l'abbia posseduta "uti dominus" per il tempo necessario ad usucapire, l'acquisto della proprietà dell'opera, per accessione, a favore del proprietario del fondo viene meno per successivo acquisto della proprietà del manufatto e del suolo, verificatosi in virtù di usucapione a favore del costruttore".
Col ricorso incidentale condizionato si censura la sentenza impugnata per avere la Corte di appello ritenuto in astratto ipotizzatale l'acquisto per usucapione della veranda da parte degli attori, perché l'avevano costruita da oltre venti anni, mentre per l'acquisto costoro avevano l'onere di provare anche il possesso dell'immobile per tale periodo.
La censura è infondata.
In sentenza si legge: "è doveroso dare atto del fatto che dalle deposizioni testimoniali acquisite al procedimento risulta che l'opera è stata realizzata anni or sono, oltre un ventennio prima rispetto all'inizio del procedimento. Ciononostante...non è ipotizzarle l'acquisizione, da parte di un terzo, di detta posizione giuridica soggettiva a titolo originario a seguito di un possesso prolungato per oltre un ventennio".
Questa Corte Suprema (Cass. n. 1530/2000) ha ritenuto che, in tema di usucapione di immobili, la realizzazione da parte del possessore, di una costruzione sullo stesso, è indicativa dell'"animus sibi habendi", incompatibile con l'intenzione di esercitare un potere di fatto sul bene corrispondente al contenuto di un diritto diverso da quello di proprietà.
In definitiva va accolto per quanto in motivazione il ricorso principale, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello per accertare se dalla usucapita veranda sia stata o non rispettata la distanza legale dalla costruzione eseguita dai convenuti.

P.Q.M.

La Corte accoglie per quanto in motivazione il ricorso principale.

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