SSUU CASS. Sentenza 14 ottobre 2008, n. 25117
"La seconda parte dell'art. 366-bis prescrive che in caso di motivo ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, l'illustrazione dello stesso deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per cui la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione"
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Sentenza 14 ottobre 2008, n. 25117
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d'appello di Trieste, ribadendo la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario e confermando la sentenza di primo grado anche nel merito, accoglieva la domanda proposta da A. V. contro la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia di risarcimento del danno dipendente dal fatto che quest'ultima aveva escluso nei confronti di detta lavoratrice un utile esito della sua partecipazione ad una procedura concorsuale per l'assunzione a tempo determinato di docenti già impegnati con contratti a termine in corsi di istruzione professionale, e poi, a seguito dell'esito positivo del giudizio amministrativo intentato dalla interessata, aveva assunto la medesima con decorrenza retroattiva dall'1.10.1992 solo ai fini giuridici, senza riconoscere alcuna prestazione economica per il periodo 28.8.1994-16.6.1996.
In particolare la Corte di merito riteneva configurabile anche la colpa dell'amministrazione.
La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. La V. ha resistito con controricorso. A seguito delle conclusioni orali del pubblico ministero, il difensore della Regione ha depositato osservazioni ex art. 379 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo, denunciando violazione delle norme e principi in materia di giurisdizione (art. 360, n. 3, c.p.c.), sostiene che nella specie sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, da ritenersi estesa alla controversia su danni patrimoniali consequenziali relativi a un rapporto di pubblico impiego, e invocabile anche per la pretesa al conseguimento di retribuzioni non percepite a causa della ritardata costituzione del rapporto di impiego.
Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, n. 3, c.p.c.). Premesso che l'esclusione della lavoratrice dall'inquadramento previsto era stata determinata dalla mancata produzione della documentazione necessaria ai fini della prova della sussistenza in capo alla medesima del requisito riguardante l'esperienza lavorativa maturata nello specifico ambito lavorativo per almeno tre anni, in quanto era stata ritenuta insufficiente la dichiarazione sostitutiva di atto notorio rilasciata da privato asseritamente datore di lavoro della medesima, si osserva che l'idoneità di tale documentazione dipendeva dal fatto che l'art. 27, primo comma, della l. n. 15/1968 aveva escluso che si fosse innovato alle norme del d.P.R. n. 686/1957 sulla presentazione dei documenti nei concorso per le carriere statali. Viene poi posta in dubbio, con varie argomentazioni, l'interpretazione del Consiglio di Stato, secondo cui era stato violato l'art. 20 della l.r. n. 17/1992, per il fatto che non si era ritenuto rilevante ai fini del requisito in questione il servizio stesso prestato quale insegnante presso l'istituto regionale per la formazione professionale, e quindi si deduce che sicuramente l'esclusione della V. dalla graduatoria non era avvenuta in base ad argomentazioni del tutto arbitrarie.
Il terzo motivo denuncia nuovamente violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, n. 3, c.p.c.). Premesso che il giudice di appello, in sostanza aderendo alla motivazione del primo giudice, aveva finito per operare una sorta di equivalenza tra illegittimità del provvedimento e colpa e aveva derivato tale illegittimità dalla violazione delle norme sull'autocertificazione, si ribadisce che in effetti l'amministrazione nella specie si è attenuta a quanto previsto dall'art. 11 del d.P.R. n. 686/1957, applicabile nella fattispecie.
Il quarto motivo, denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto, lamenta la violazione del principio secondo cui, in caso di domanda di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. per illegittimo esercizio di una funzione pubblica, l'elemento soggettivo della colpa non può ritenersi integrato sulla base del mero dato obiettivo della illegittimità del provvedimento amministrativo, ma è richiesta una più penetrante indagine in ordine alla valutazione della colpa, da valutarsi anche in relazione ad elementi quali il grado di chiarezza della norma violata.
Con il quinto motivo si denuncia ''violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, n. 5, c.p.c.) per insufficiente e contraddittoria motivazione" della sentenza impugnata in relazione all'elemento soggettivo della colpa.
Si osserva che il giudice di appello ha ritenuto sussistente l'elemento dell'imputabilità dell'evento dannoso alla esclusiva responsabilità della p.a., anche se contraddittoriamente ha affermato che non può ritenersi aprioristicamente esclusa da tale giudizio la considerazione di peculiari circostanze, quali in particolare l'opinabilità della normativa di cui alla l. n. 15/1968, al d.P.R. n. 686/1957 ed alla l.r. n. 17/1992, con ciò evidenziando che ulteriori elementi avrebbero dovuti essere valutati, diversamente da quanto è stato fatto. Né dalla motivazione della sentenza risultava che l'amministrazione avesse agito con colpa, in violazione dei principi di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, tanto più in situazioni dichiarate peculiari dallo stesso giudicante.
Preliminarmente deve rilevarsi l'inammissibilità del controricorso, in quanto tardivamente notificato, come peraltro riconosciuto dal difensore della V. che ha partecipato alla discussione orale della causa.
Sempre in via preliminare, deve rilevarsi, in adesione alla richiesta sul punto formulata dal pubblico ministero nelle sue conclusioni orali, l'inammissibilità anche del ricorso per violazione delle prescrizioni di cui all'art. 366-bis c.p.c., applicabile nella specie in relazione alla data della sentenza impugnata, depositata successivamente all'entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40.
A norma della prima parte dell'articolo citato nei casi previsti dall'art. 360, primo comma, numeri da 1) a 4), l'illustrazione di ciascun motivo del ricorso per cassazione deve concludersi a pena di inammissibilità con la formulazione di un quesito di diritto. Considerato che i primi quattro motivi ricadono indubbiamente nell'ambito di operatività della disposizione richiamata, deve rilevarsi che i quesiti formulati a conclusione dei medesimi risultano chiaramente inidonei alla luce dei criteri che questa Corte ha già avuto occasione di precisare.
Al riguardo in particolare si è osservato che il ricorrente deve necessariamente procedere all'enunciazione di un principio di diritto diverso da quello posto a base della decisione impugnata e che quindi il quesito non può risolversi in una generica istanza di decisione sull'esistenza della violazione di legge denunciata nel motivo o nell'interpello della Corte di cassazione in ordine alla fondatezza della censura illustrata nello svolgimento del motivo, ma deve porre la medesima Corte in condizione di rispondere ad esso con l'enunciazione di una regula iuris, in quanto tale suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all'esame del giudice che pronunciato la sentenza impugnata (Cfr. Cass. S.U. 3519/2008; Cass. n. 19892/2007, 11535/2008, 16569/2008).
Nella specie i quesiti consistono per il primo motivo nella mera richiesta di stabilire se in ordine alla controversia sussiste la giurisdizione ordinaria o amministrativa, per il secondo nella richiesta di stabilire se nella questione controversa trovano applicazione determinati articoli di legge, per il terzo nella richiesta di stabilire se sussiste la violazione dell'art. 2043 c.c. in relazione all'elemento soggettivo della colpa riconosciuta in capo all'Amministrazione regionale, per il quarto in una richiesta sostanzialmente identica. È evidente la mancanza della formulazione dei quesiti in riferimento a specificati principio di diritto e quindi l'inidoneità degli stessi in base ai criteri già enunciati.
La seconda parte dell'art. 366-bis prescrive che in caso di motivo ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, l'illustrazione dello stesso deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per cui la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Il quinto motivo, che come si è già visto presenta nella rubrica incertezze circa la tipologia delle censure formulate, si conclude sia con una "precisa indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione della sentenza risulta contraddittoria", sia con la formulazione del quesito di diritto. Quest'ultimo è chiaramente inidoneo, consistendo nella mera richiesta alla Corte di stabilire se "il fatto controverso sopra richiamato porti a considerare in punto la motivazione della sentenza contraddittoria e illogica". La suddetta "precisa indicazione" è formulata nei seguenti termini: «La motivazione della sentenza n. 501/2006 della Corte d'Appello di Trieste risulta essere contraddittoria per avere affermato sussistere l'elemento soggettivo della colpa in capo all'Amministrazione regionale laddove viceversa afferma a pag. 8 che "non può dirsi aprioristicamente esclusa dal giudizio di imputazione della responsabilità la considerazione di peculiari circostanze (quali in particolare la opinabilità dell'interpretazione della normativa di cui alla legge n. 15/1968, al DPR n. 696/1957 e alla legge regionale n. 17/1992), capaci di eludere una valutazione in termini di colpa della causa di illegittimità del provvedimento"». Questa formulazione non può ritenersi idonea per l'assorbente ragione che in realtà manca l'indicazione di specifici elementi di fatto (sia pure complessi) su cui verterebbe il vizio di motivazione, non essendo a tal fine adeguato il generico riferimento all'elemento della colpa, che in effetti non può ritenersi un vero e proprio fatto, ma una qualificazione formulata a conclusione di un giudizio composto di elementi di fatto ed elementi di diritto, onde la necessità della deduzione, nella specie non adeguatamente concretizzatasi, di censure di violazione delle norme di diritto in merito ai requisiti della colpa o di omesso, insufficiente o viziato esame di elementi di fatto concretamente rilevanti ai fini del giudizio sulla colpa.
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Tenute presenti le particolarità della fattispecie sul piano sostanziale e processuale, si ritiene giustificata la compensazione delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, compensa le spese del giudizio.
Libero Professionista, esercente la professione forense nel Foro di Brindisi, distretto Corte d'Appello di Lecce (Italy)- già Magistrato, abilitato innanzi alle Giurisdizioni Superiori (Corte di Cassazione, Corte Costituzionale)
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