lunedì 4 dicembre 2006

Fascicolo del fabbricato: legittimità e limiti alla sua istituzione

TAR Lazio, sez. II, sentenza 13.11.2006 n° 12320

T.A.R.

Lazio

Sezione II

Sentenza 13 novembre 2006, n. 12320

(Pres. La Medica – Est. Russo)

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO, SEZ. II

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 5627/2004, proposto dal Confederazione italiana della proprietà edilizia – CONFEDILIZIA, con sede in Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché dal dott. G. R., rappresentati e difesi dal prof. Vittorio ANGIOLINI e dall’avv. Chiara PARMEGGIANI ed elettivamente domiciliati in Roma, alla circonvallazione Clodia n. 29;

CONTRO

il COMUNE DI ROMA, in persona del sig. Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Rodolfo MURRA ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via del Tempio di Giove n. 21

E NEI CONFRONTI

- della REGIONE LAZIO, in persona del sig. Presidente pro tempore della Giunta regionale, controinteressata, rappresentata e difesa dall’avv. Luigi ULISSI ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via M. Clementi n. 68 e

- dell’Associazione Liberi amministratori di Condomini – ALAC, con sede in Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, interventrice ad adiuvandum, rappresentata e difesa dall’avv. Pietro RICCI ed elettivamente domiciliata in Roma, alla circonvallazione Clodia n. 29;

PER L’ANNULLAMENTO

della deliberazione n. 27 del 24 febbraio 2004, pubblicata all’Albo pretorio dal 2 al 16 marzo 2004, con cui il Consiglio comunale di Roma ha provveduto all’istituzione del fascicolo del fabbricato, nonché d’ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio delle parti intimate;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore all’udienza pubblica del 14 giugno 2006 il Cons. dott. Silvestro Maria RUSSO e uditi altresì, per le parti, solo gli avvocati PARMEGGIANI e MURRA;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO

In virtù dell’art. 1 della l. reg. Lazio 12 settembre 2002 n. 31, i Comuni del Lazio hanno facoltà d’istituire un fascicolo per ogni fabbricato esistente o di nuova costruzione, in relazione alla necessità di conoscere lo stato di conservazione del patrimonio edilizio e d’individuare le eventuali situazioni di rischio per gli edifici pubblici e privati.

Ancorché il successivo art. 3 prevedesse l’emanazione d’un apposito regolamento in materia, la Regione Lazio non v’ha provveduto, ma il Comune di Roma ha ritenuto d’emanare il provvedimento istitutivo di detto fascicolo, stante l’inclusione del territorio comunale tra le aree a rischio sismico, nonché la necessità d’avere contezza dello stato del patrimonio edilizio.

Sicché, con deliberazione n. 27 del 24 febbraio 2004, pubblicata all'Albo pretorio dal 2 al 16 marzo 2004, il Consiglio comunale di Roma ha provveduto all’istituzione del fascicolo del fabbricato, da tenere a disposizione per ogni controllo delle Autorità competenti. Avverso tale statuizione si gravano allora, con il ricorso in epigrafe, la CONFEDILIZIA e consorte innanzi a questo Giudice. I ricorrenti deducono in punto di diritto: A) – la violazione degli artt. 1, 3 e 6 della l.r. 31/2002 e l’eccesso di potere sotto vari profili, essendo mancata la previa e necessaria emanazione del regolamento regionale d’attuazione; B) – l'illegittimità del contenuto del fascicolo di fabbricato secondo la deliberazione impugnata ed il relativo regolamento, che pretende adempimenti ulteriori e più gravosi rispetto a quanto stabilito dalla l.r. 31/2002; C) – l'illegittimità costituzionale della l.r. 31/2002 con riferimento agli artt. 3, 33, 41, 42, 97 e 117 Cost. Con motivi aggiunti depositati il 6 luglio 2005, i ricorrenti impugnano altresì il regolamento di cui alla deliberazione della Giunta regionale del Lazio n. 6 del 14 aprile 2005, recante attuazione dell’art. 3 della l.r. 31/2003, deducendo ulteriori profili di censura.

Resiste in giudizio il Comune intimato, che eccepisce il difetto di legittimazione (per potenziale conflitto di interessi con alcuni suoi associati) in capo alla CONFEDILIZIA, l’inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum dell’ALAC (l’obbligo d’istituzione del fascicolo non gravando sugli amministratori di condomini), il precedente rigetto, da parte della Sezione, di un’analoga domanda anteriormente all’entrata in vigore della l.r. 31/2002 e, nel merito, l’infondatezza della pretesa attorea. Anche la Regione Lazio s’è costituito nel presente giudizio, concludendo per il rigetto della pretesa azionata in questa sede. Interviene ad adiuvandum l’ALAC, una delle associazioni di categoria degli amministratori di condominio con sede in Roma, che deduce in punto di diritto l’eccessiva gravosità degli adempimenti posti a carico degli amministratori stessi.

Alla pubblica udienza del 14 giugno 2006, su conforme richiesta delle parti, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.

DIRITTO

1. – Viene all’odierno esame del Collegio l’impugnazione, da parte di CONFEDILIZIA e del dott. G. R., della deliberazione n. 27 del 24 febbraio 2004, pubblicata all’Albo pretorio dal 2 al 16 marzo 2004, con cui il Consiglio comunale di Roma ha provveduto, giusta la facoltà al riguardo concessa ai Comuni del Lazio dall’art. 1 della l. reg. Lazio 12 settembre 2002 n. 31, all’istituzione del fascicolo del fabbricato per ogni fabbricato esistente o di nuova costruzione, in relazione alla necessità di conoscere lo stato di conservazione del patrimonio edilizio e d’individuare le eventuali situazioni di rischio per gli edifici pubblici e privati.

2. – Va disattesa l’eccezione d’inammissibilità, per conflitto di interessi tra l’associazione di categoria ricorrente ed alcuni suoi associati, sollevata dal Comune di Roma.

A tal riguardo, è jus receptum che la legittimazione delle associazioni di categoria a proporre ricorso giurisdizionale va esclusa quando l'associazione stessa adisca questo Giudice per far valere gli interessi solo d’una parte dei suoi componenti e trascurando quelli, eventualmente, di segno contrario (cfr., per tutti, Cons. St., IV, 30 maggio 2005 n. 2804; id., 14 giugno 2005 n. 3113). Poiché, quindi, le associazioni di categoria sono legittimate ad agire in giudizio a tutela degli interessi della collettività di cui sono entri di riferimento (così Cons. St., V, 17 luglio 2004 n. 5138), per escluderne la processuale non basta predicare che il provvedimento impugnato sia non lesivi della categoria unitariamente considerata ma solo di alcuni dei soggetti associati. Occorre, piuttosto, che il conflitto di interessi non solo non sia meramente potenziale, ma riguardi una vicenda in cui in concreto la statuizione amministrativa gravata soddisfi una parte facilmente individuabile di associati rispetto agli altri. Nella specie, non solo il preteso conflitto è solo ipotizzato, ma soprattutto non è neppure indicato in che cosa, tra quali soggetti associati e con riguardo a quale vi-zio censurato si sostanzi, mera petizione di principio essendo l’astratta possibilità che forse vi sia qualcuno che s’avvantaggi dell’atto impugnato.

Parimenti da respingere è l’eccezione d’inammissibilità che il Comune intimato solleva, perché l’impugnata istituzione non grava sugli amministratori di condominio, nei confronti dell’intervento ad adiuvandum spiegato dall’ALAC, una delle associazioni di categoria di tali amministratori. Nel processo amministrativo, siffatto intervento può esser svolto anche da soggetti aventi un mero interesse di fatto all'accoglimento dell'impugnativa proposta dal ricorrente, purché la posizione giuridica fatta valere dall'interventore sia dipendente, secondaria oppure accessoria rispetto all'interesse fatto valere in giudizio dal ricorrente stesso (giurisprudenza consolidata: cfr., da ultimo, Cons. St., IV, 30 maggio 2005 n. 2795; id., 1° marzo 2006 n. 1002). Nella specie, se è materialmente vero che l’impugnata deliberazione non addossi agli amministratori di condominio l’obbligo d’ adottare il fascicolo di fabbricato, non per ciò solo essi sono immuni da responsabilità, soprattutto per la custodia dello stesso. Non è allora chi non veda come tale onere, oltre ad aggravare di per sé la posizione degli amministratori, dipenda dall’adozione del fascicolo da parte dei proprietari, sicché sono soddisfatti i presupposti legittimanti l’intervento adesivo e, in particolare, appunto la dipendenza della situazione soggettiva dell’ interventore da quella parte principale.

3. – Nel merito e per una miglior comprensione delle vicende di causa, reputa opportuno il Collegio rammentare che l’istituzione del fascicolo di fabbricato già aveva dato luogo ad un contenzioso in relazione alla deliberazione consiliare n. 166 del 4 novembre 1999, che l’aveva a suo tempo previsto e che poi fu sospesa dal Consiglio di Stato (sez. V) con l'ordinanza n. 2714 del 2 luglio 2002.

Intervenne quindi la l.r. 31/2002, il cui art. 1 attribuì ai Comuni del Lazio la facoltà d’istituire un fascicolo per ogni fabbricato esistente o di nuova costruzione. Tanto in relazione alla necessità di conoscere lo stato conservativo del patrimonio edilizio, di provvedere alla individuazione di situazioni a rischio relative a fabbricati pubblici e privati e di programmare eventuali interventi di ristrutturazione e di manutenzione degli stessi, onde prevenire rischi di eventi calamitosi. Detta facoltà, a sua volta, era conformata dal successivo art. 3, che stabilì la potestà regolamentare regionale per fissare: A) – lo schema del fascicolo del fabbricato; B) – i termini di scadenza per il completamento del fascicolo stesso nelle aree di particolare rischio; C) – le procedure di compilazione del fascicolo ed il relativo aggiornamento; D) – l'anagrafe degli immobili e le caratteri-stiche; E) – le modalità ed i principi delle convenzioni che i Comuni a-vrebbero potuto stipulare con gli Ordini ed i Collegi professionali; F) – le modalità d’individuazione delle zone a rischio, per le quali è necessario ed indispensabile la redazione del fascicolo stesso.

Non avendo la Regione tempestivamente emanato il regolamento ex art. 3, il Comune di Roma, con l’impugnata deliberazione n. 27/2004, v’ha provveduto in via autonoma. Al riguardo, il Comune prescrive pure i dati sulla situazione geologica, geotecnica ed agroforestale dell’area, sulla presenza di servitù e di corsi d’acqua, sulla giacitura del terreno, sul grado di conservazione delle strutture e sulla raccolta e smaltimento fognario – idrico ed adduzione antincendio, oltre che una relazione tecnica di sintesi. È prevista altresì la possibilità che il tecnico incaricato ex art. 4, c. 2 della l.r. 31/2003, in caso di necessità ed in base ad adeguati motivi, proponga un’ulteriore fase d’approfondimento conoscitivo per svolgere specifici controlli specialistici e, se del caso, a seguito dei conseguenti risultati, per eseguire interventi idonei a rimettere in sicurezza il fabbricato.

Nelle more del presente giudizio è intervenuto il regolamento d'attuazione dell’art. 3 della l.r. 31/2002, di cui alla deliberazione della Giunta regionale del Lazio n. 6 del 14 aprile 2005 ed impugnato dai ricorrenti con i motivi aggiunti depositati il 6 luglio 2005. Il regolamento specifica il contenuto del predetto fascicolo per i fabbricati esistenti, per quelli di nuova costruzione e per quelli nelle area di particolare rischiosità, fissandone gli schemi minimi essenziali, da integrare, se del caso, in funzione delle caratteristiche e delle esigenze dei singoli Comuni. In relazione, poi, all’art. 7, c. 1 della l.r. 31/2002, l’art. 5 del DR 6/2005 impone al proprietario, nella redazione del fascicolo, di servirsi a proprie spese d’un tecnico abilitato, il quale, a sua volta, può discrezionalmente avvalersi di tutti quegli specialisti che egli reputa opportuni sia per la formazione del fascicolo stesso, sia per i relativi aggiornamenti, fermo il suo potere d’imporre misure adeguate per qualunque situazione ritenuta anche potenzialmente pericolosa, nonché l’assenza di qualsivoglia contributo a rimborso delle spese affrontate dai proprietari a tal riguardo. Inoltre, l’art. 2 del DGR 6/2005 impone al proprietario di fornire tutte le informazioni riguardanti la situazione progettuale, urbanistica, catastale, strutturale, impiantistica ed autorizzativa del fabbricato. Sono comprese pure le verifiche di natura storica, circa le modificazioni del fabbricato nel corso del tempo, nonché di natura geologica ed ambientale, con riguardo all’interazione tra le strutture portanti ed il suolo ed sottosuolo dalle stes-se interessato, ivi compresa, se del caso, la verifica dei requisiti geomorfologici dell'area di sedime e dell'area ad essa adiacente, nonché dell'incidenza sulla sicurezza statica della presenza di apparati aerei e radicali della vegetazione arbustiva e arborea.

Questo essendo per sommi capi il quadro di riferimento, si può passare all’esame del merito della controversia, esaminandone i motivi d’ impugnazione, per comodità di lettura, secondo la scansione proposta al ri-guardo dai ricorrenti.

4. – Per ciò che attiene al gravame introduttivo, questo non è certo divenuto improcedibile relativamente al primo motivo, con cui i ricorrenti censurarono l’assenza della previa emanazione del regolamento ex art. 3 della l. r. 31/2002.

Anzi, attesi i principi posti dalla legge n. 31 e, soprattutto, degli adempimenti connessi all’emanazione di detto regolamento, non v’erano serie ragioni d’urgenza o d’indifferibilità che costringessero il Comune intimato, secondo gli ordinari canoni di proporzionalità e ragionevolezza dell'agire amministrativo, a provvedere immediatamente, senz’attendere l'emanazione la necessaria intermediazione dell’atto fonte regolamentare.

Prova di ciò è facile riscontrare nell’ampia articolazione del DGR 6/ 2005, rispetto all’estrema semplicità sul punto del regolamento annesso all’impugnata deliberazione consiliare n. 27/2004. Non è chi non veda come la questione non sia meramente quantitativa, posto che il DR 6/2005 ha fornito per la prima volta, tra l’altro, i contenuti minimi dello schema di fascicolo nei vari contesti e ha individuato il modus operandi nelle aree a rischio, oltre a determinare i limiti in capo ai Comuni circa i dati aggiuntivi da immettere nel fascicolo stesso. Parimenti indubbio è che il disposto regolamentare attenga a quegli adempimenti delineati sì con tanta urgenza, ma con un contenuto non del tutto coerente con i profili che poi solo la fonte regolamentare, e non la deliberazione consiliare impugnata, aveva il compito di fissare traendoli dalla l.r. 31/2002. La tempestiva osservanza del provvedimento comunale non implica di per sé sola, se intervenuta prima dell’entrata in vigore del DGR 6/2005, l'effettività dell’adempimento degli obblighi ex l. 31/2002. L’art. 2, c. 7 del DGR 6/2005 si premura di precisare, per i proprietari che adottarono il fascicolo di fabbricato prima dell’ emanazione di tal regolamento, che essi sono in regola con gli adempimenti della legge n. 31 alla duplice condizione che i contenuti del fascicolo e della relativa scheda siano conformi alle indicazioni del regolamento e sia accertata l'assunzione di responsabilità da parte del professionista redigente, in caso contrario occorrendo l’aggiornamento del fascicolo limitatamente alle integrazioni necessarie.

Sicché la doglianza in questione non solo non s’appalesa superata dal jus superveniens, ancorché questo abbia conformato in senso ulteriormente lesivo la posizione dei ricorrenti, tanto da spingerli ai citati motivi aggiunti. Essa, addirittura, coglie nel segno nell’affermare che il Comune di Roma non avesse titolo per evadere dalla gerarchia delle fonti posta, in soggetta materia, dall’art. 3 della legge n. 31. Il provvedimento comunale s’è rivelato essere, nella realtà determinata dalla corretta scansione delle fonti, non già una semplificazione o un’opportuna accelerazione a (pretesa) tutela della sicurezza, bensì un inutile dispendio d’attività amministrativa (ché i dati essenziali del fascicolo sono contenuti nel regolamento regionale) ed un altrettanto vana duplicazioni di adempimenti in capo ai proprietari. Non solo costoro son stati costretti a fornire al Comune atti e notizie sui loro edifici di per sé acquisiti o facilmente conoscibili da parte della P.A. —essendo o di provenienza di questa o emanati da altre Autorità—, ma neppure son sicuri che il loro adempimento si riveli conforme alla l.r. 31/2002, ove se ne riscontri lo scostamento rispetto al DR 6/2005.

5. – Ad una conclusione al quanto più articolata ritiene il Collegio di pervenire in ordine al secondo motivo del ricorso introduttivo, anche per verificare la permanenza dell’attualità dell'interesse qui azionato.

Invero, se per la relazione di sintesi non si riscontra più quella censurata insussistenza della base normativa per la sua previsione all'interno del fascicolo di fabbricato —la relativa doglianza spostandosi, se del caso, sull’art. 2, c. 5 del DR 6/2005—, circa l’elenco dei dati di cui all’art. 2, c. 1 del regolamento comunale l’entrata in vigore del DR 6/2005 ulteriormente ne dimostra l’intempestività sotto il profilo del contenuto. Rettamente i ricorrenti censurano detto art. 2, c. 1, laddove impone la fornitura di dati urbanistico-tecnici non solo in gran parte acquisiti o promananti dal me-desimo Comune, ma addirittura ulteriori rispetto alle previsioni dell’art. 2, c. 1 del DGR 6/2005. Segnatamente per ciò che concerne la situazione geologica-geotecnica-agroforestale, la presenza di servitù e la giacitura del terreno, che l’art. 2 della l.r. 31/2002 espressamente non richiede, l'obbligo così imposto dal Comune s’appalesa, secondo i normali canoni di ragionevolezza che presiedono alla pur lata discrezionalità nella fissazione del contenuto del fascicolo, ultra vires rispetto agli scopi perseguiti dalla legge e privi d’una razionale giustificazione alla luce di esigenze peculiari o significative del territorio romano.

Certo, la doglianza attorea sulla seconda fase dell’approfondimento conoscitivo sullo stato del fabbricato non ha alcun pregio, in parte qua l’ impugnato regolamento comunale essendo meramente ripetitivo di quan-to all’uopo stabilito dall’art. 4, c. 2 della l.r. 31/2002.

Non così si deve dire per le misure agevolative in materia tributaria recate dalla deliberazione consiliare n. 27/2004. L’art. 7, c. 4 della legge prevede che il Comune possa accordare riduzioni in relazione all' imposta comunale sugli immobili (ICI), intendendo per tali quelle ulteriori a quanto già previsto per legge e, soprattutto, con riguardo ai rilevanti oneri di redazione del fascicolo di cui al precedente c. 1. Viceversa, l’art. 7, c. 5 del regolamento comunale impugnato prevede che i soggetti, in regola con gli adempimenti sul fascicolo di fabbricato, possono fruire di "… spe-cifiche detrazioni ICI ovvero in sede di eventuale addizionale comunale IRPEF, nel rispetto degli equilibri di bilancio…".

Ebbene, mentre è ragionevole la previsione di non concedere contributi comunali a chi evada dall’obbligo del fascicolo, la previsione tributaria è frutto d’un evidente equivoco, nella misura in cui la legge l’àncora (o, perlomeno, la riferisce) agli oneri di redazione ed il Comune, invece e senza base normativa, lo sottopone alla condizione dell’avvenuto adempimento. E ciò è stato statuito dal Comune dimenticando che, nell’impugnata deliberazione, quest’ultimo è generale e necessitato, sicché l'agevolazione tributaria o sarà altrettanto generale per tutti i contribuenti, oppure non sarà mai. L’un caso ne dimostra, impossibile essendo un'interpretazione adeguatrice per la rigidezza del dato testuale, la patente illegittimità, perché il Comune dovrà prevedere una tal agevolazione in difetto d’una capacità contributiva veramente differenziata, atta a premiare vicende meritevoli d’un diverso regime tributario. L’altro caso si pone in aperta violazione dell’art. 7, c. 4 della l. 31/2002 che, pur nella latitudine della previsione agevolativa, non consente una tal facoltà nega-tiva.

Anzi il Collegio non può esimersi dal condividere la doglianza di cui al primo motivo aggiunto, strettamente connessa a quanto fin qui esposto, con cui i ricorrenti lamentano l’aggravio finanziario posto in capo ai proprietari in sede di redazione del fascicolo. È vero che l’art. 7, c. 1 della legge pone a loro carico gli oneri di tal redazione, ma in vista degli eventuali benefici tributari che il successivo c. 4 consente ai Comuni d’accordar loro. Viceversa, l’art. 5 del DGR 6/2005 stabilisce a loro carico il pagamento e del tecnico abilitato e di tutti gli specialisti di cui questi intenda avvalersi nella compilazione del fascicolo, mentre il successivo art. 10, pur avendo il regolamento posto termini rigorosi per la redazione nei vari casi contemplati, non fissa alcuna dotazione finanziaria annuale in vista di agevolazioni al riguardo. In ogni caso, ne destina gli eventuali ammontari, la cui specificità è annunciata ma non predeterminata, soltanto agli enti e per gli interventi e controlli, non certo a favore dei proprietari se non nei peculiarissimi casi, che ciascun Comune può vagliare, di cui al c. 5.

6. – Pure da accogliere è la censura attorea in ordine al contenuto del fascicolo come indicato dall’art. 2 del DGR 6/2005.

Non sfugge certo al Collegio che, di per sé, l’indicazione delle modificazioni subite da ciascun fabbricato nel corso del tempo non è un particolare aggravio, ma solo nei limiti degli interventi più recenti. Solo così, la prescrizione può esser considerata una forma utile di collaborazione con l’ente e non una probatio diabolica d’ogni tipo di modifica verificatasi anche in tempi assai lontani o in fabbricati d’antica costruzione. Per ogni altro significato, invece, detto art. 2 si pone in contrasto con l’analoga disposizione dell’art. 4, c. 1, I per. della legge, la cui semplice formulazione testuale ("… le eventuali modificazioni e gli adeguamenti eventualmente intervenuti nel tempo…"), secondo un criterio di razionalità e proporzionalità, devesi appunto intendere nel senso del facile reperimento dei dati storici rilevanti.

Non diversamente deve il Collegio concludere, con ciò condividendo la censura formulata dai ricorrenti, per le verifiche d’indole geologico-ambientali, di cui, per vero, il medesimo art. 4 espressamente non parla e della cui coerenza con le finalità del fascicolo v’è un serio dubbio, essenzialmente perché tali dati non sono nella disponibilità dei proprietari e si risolvono in accertamenti tecnici di straordinaria complessità, i cui risultati sono in varia guisa già in possesso di Regione e Comuni e delle Amministrazioni statali competenti, perlomeno già al momento della redazione degli strumenti urbanistici e dei pian territoriali e di salvaguardia paesistico-ambientale.

7. – Del pari fondata è la censura contro l’art. 2, c. 6 del DR 6/2005, laddove questo consente agli enti d’integrare il contenuto minimo del fascicolo in relazione alle caratteristiche ed alle esigenze di ciascuno di essi.

La norma in questione, nella sua apparente semplicità, offre invece agli enti la facoltà illimitata d’individuare proprie peculiarità e, quindi, d' aggravare gli oneri in capo ai proprietari senza limiti e, quel ch’è peggio, senza un reale contraddittorio con i tecnici chiamati a collaborare con il redattore del fascicolo e tutto ciò in assenza di qualsivoglia base nella fonte primaria.

Ora, la legge non è indifferente alle peculiarità del territorio regionale, tant’è che l’art. 3, c. 1, lett. f) conferisce ai Comuni la potestà d’individuare le aree a rischio, perché ne hanno diretta consapevolezza fin dalla predisposizione degli strumenti urbanistici e degli atti ricognitivi del rischio geologico (artt. 28 e 29 della l.r. 30 luglio 1998 n. 21) e nell’esercizio delle funzioni in difesa del suolo (per il rischio idrogeologi-co) a’sensi dell’art. 10, c. 1 della l.r. 11 dicembre 1998 n. 53. Ma, appunto per questo, la disposizione regolamentare impugnata, evidente frutto d’una non ben meditata confezione che dimentica l’esistenza di queste e altre norme regionali vigenti, erra nell’assegnare una così vasta potestà a Comuni ai quali già dette norme conferiscono ampi poteri d’accertamento e verifica per la salvaguardia ambientale, geologica, idrica, urbanistico-territoriale e forestale, anche nelle aree edificate. Non è chi non veda come, se non la totalità, la gran parte dei dati sull’inserimento territoriale del fabbricato, che gli atti impugnati pongono a carico dei proprietari, da lungo tempo siano conosciuti o facilmente conoscibili dalla Regione e dagli enti locali i quali, nelle materie testé elencate ed i cui riscontri entrano nella redazione del fascicolo, sono collegati in rete da una fittissima congerie di piani variamente gerarchizzati ed intersecantisi tra loro e di organismi di collaborazione per la definizione e la vigilanza dell’assetto del territorio, non solo nelle linee generali, ma anche nelle singole micro-aree rilevanti.

Ciò induce il Collegio, che deve condividere l’assunto dei ricorrenti su tale aspetto, ad una riflessione di fondo sulle finalità della l.r. 31/2002 com’è stata intesa dalle impugnate fonti attuative. Non si tratta, come sarebbe virtuoso leggendo la l. 31/2002 nell’ambito delle norme sulla sicurezza del territorio e dell’edilizia, di pervenire, anche attraverso la collaborazione dei cittadini, a completare quei soli aspetti di peculiare o particolare conoscenza, relativa a singole unità abitative, che la fitta trama pianificatoria talvolta non può acquisire. V’è piuttosto agli occhi dei ricorren-ti, visione, questa, che il Collegio reputa fondata perché forza lo spirito della legge n. 31, l’illegittimo tentativo degli enti intimati di scaricare gli oneri di tal conoscenza, che è per sua natura interdisciplinare, sui soggetti privati che non possiedono la mole dei dati dell'assetto del territorio e devono così acquistarli dal mercato e riversarli ad Amministrazioni già deputate, per missione loro affidata dalla legge, ad acquisire ed elaborare in via autonoma i dati stessi.

Né vale obiettare che, in fondo, tutto ciò serve alla massimizzazione della sicurezza e ad evitare tragedie quali quelle connesse a crolli di interi edifici, in quanto, nei casi di specie, mancò non già il fascicolo di fabbricato, bensì un attento controllo pubblico che sarebbe stato necessario esercitare per tempo e che la P.A. aveva e ha titolo di svolgere indipendentemente dall’esistenza del fascicolo stesso.

7. – Infine, i ricorrenti sollevano numerose questioni di legittimità costituzionale dell’intera legge n. 31, delle quali chiedono a questo Giudice la rimessione alla Corte costituzionale, all’uopo invocando, quale precedente intermini, la sentenza n. 315 del 28 ottobre 2003

Giova al riguardo rammentare che, con la citata sentenza, il Giudice delle leggi ha dichiarato costituzionalmente illegittimi l’art. 4 e l’art. 5, commi 2 e 3 della l. reg. Camp. 22 ottobre 2002 n. 27, il cui art. 1 aveva istituito, a fini di salvaguardia della pubblica e privata incolumità, "… il registro storico-tecnico-urbanistico di ogni fabbricato pubblico e privato, ubicato sul territorio regionale, nel quale è dichiarato lo stato di conser-vazione e di manutenzione del fabbricato stesso e delle aree e manufatti di pertinenza…". Il successivo art. 2 stabiliva poi che, per la tenuta e l'ag-giornamento periodico del registro, ciascun condominio o unico proprietario nominasse un tecnico, denominato tecnico incaricato, mentre l'art. 4 a sua volta individuava in maniera dettagliata i compiti di quest'ultimo e l'art. 5, commi 2 e 3 stabilì le sanzioni per la violazione degli obblighi previsti da detto art. 4. Ebbene, questi due ultimi gruppi di norme sono state ritenute illegittime perché violano sia il generale canone di ragionevolezza, sia il principio di buon andamento della P.A. Invero, i compiti previsti per costui sono tali da richiedere, per la loro ampiezza ed eterogeneità, la nomina non già d’un solo tecnico incaricato, bensì d’una pluralità di professionisti abilitati, secondo i rispettivi ordinamenti professionali, ad effettuare le indagini e a fornire i dati richiesti. Sicché, pure in disparte l'entità degli oneri economici imposti indistintamente a tutti i proprietari dei fabbricati —e, quindi, anche a quelli di più modeste condizioni economiche—, la disciplina legislativa finisce per risultare, nel raccordo dell'art. 2 con l'art. 4 della legge e nelle previsioni sanzionatorie, intimamente contraddittoria e, quindi, irragionevole.

Come si vede, si tratta d’un complesso di regole assai simili, quando non identiche con qualche minima variante semantica, a quelle recate dalla l.r. 31/2002, anche per la quale, ad avviso del Collegio, si possono formulare le osservazioni che il Giudice delle leggi ha svolto nella sentenza n. 315/2003. In particolare, la Corte ha statuito che "… se nessun dubbio può sussistere riguardo alla doverosità della tutela della pubblica e privata incolumità… ed al conseguente obbligo di collaborazione che per la realizzazione di tale finalità può essere imposto ai proprietari degli edifici… la previsione di siffatto obbligo e dei conseguenti oneri economici deve essere compatibile con il principio di ragionevolezza e proporzionalità e che le relative modalità di attuazione debbono essere adeguate allo scopo perseguito dal legislatore…".

Tutti questi sono per il Collegio i parametri di legittimità costituzionale che devono orientare l’interpretazione della l.r. 31/2002 in sede di riemanazione degli atti impugnati e ritenuti illegittimi. E che d'interpretazione il Collegio intende ed è tenuto a parlare e dar contezza, ancor prima d’ogni eventuale valutazione sui presupposti per la rimessione della leg-ge n. 31 alla Corte costituzionale, non par dubbio. Invero quest’ultima, in più occasioni (cfr., p.es., C. cost., ord.za 24 aprile 2002 n. 315; id., 30 set-tembre 2004 n. 305; id., 16 febbraio 2006 n. 64), ha avuto modo di affermare che, di fronte a più possibili interpretazioni, allorché su nessuna di esse s’è formato un diritto vivente, il giudice ha innanzi tutto l'obbligo di scegliere qual interpretazione intenda seguire, non potendo porre alla Corte l'alternativa senza prendere posizione e lasciando così che sia quest'ultima a scegliere. È jus receptum che una norma va dichiarata incostituzionale non perché può esser interpretata in modo da contrastare con precetti costituzionali, ma solo se non sia possibile attribuirle un significato che la renda conforme a Costituzione, donde l’inammissibilità d’una questione di legittimità proposta rispetto alla quale il giudice a quo si sia sottratto all'obbligo di motivare su tale punto (cfr., in terminis, C. cost., ord.za 3 mar-zo 2006 n. 86). In parole più semplici, la tendenza che emerge dalla più recente giurisprudenza costituzionale, da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi nella specie, è nel senso di sollecitare i giudici comuni a far uso dei propri poteri interpretativi per valutare preventivamente se esista la possibilità di superare i dubbi di costituzionalità mercé un'interpretazione c.d. "adeguatrice" della norma esaminata, che renda la stessa conforme ai principi costituzionali.

Ciò s’appalesa ancor più significativo nel caso all’esame del Collegio, non spettando certo a questo Giudice, fuori dalla valutazione testé accennata, quel potere, che ridonderebbe in giudizio di costituzionalità diffuso, che invece la Corte ha a’sensi dell’art. 27 della l. 11 marzo 1953 n. 87. Solo la Corte, ancorché ne abbia fatto un uso alquanto parco, ha potestà d'estendere la dichiarazione d’illegittimità costituzionale pronunciata nei confronti d’una disposizione impugnata ad una precedente disposizione identica a quella annullata e, comunque, soltanto nei confronti di leggi della stessa regione. Si discetta in dottrina dell'applicabilità dell'art. 27 della l. 87/1953 relativamente a disposizioni contenute in leggi di diversa Regione, ma dal contenuto identico a quello scrutinato dalla Corte, ossia d’una vicenda identica a quella per cui è causa, ma, in disparte ogni considerazione sull’assenza di contraddittorio processuale in una simile evenienza, il relativo scrutinio è solo della Corte. I giudici comuni non possono disapplicare una norma, ancorché ictu oculi identica a quella dichiarata incostituzionale in un’altra Regione, senza prima verificare i presupposti per la sua rimessione alla Corte, onde nella specie, soprattutto nella misura in cui non s’è formato un diritto vivente del tutto ostile alla previsione in sé del fascicolo di fabbricato, al Collegio non resta che valutare prioritariamente l’interpretazione adeguatrice della l.r. 31/2005, per verificare poi i requisiti di non manifesta infondatezza e di rilevanza della questione sollevata dai ricorrenti.

Reputa sul punto il Collegio che i principi posti dalla sentenza n. 315/ 2003 siano tuttora i capisaldi per dirigere l’interpretazione della legge n. 31. S’avrà allora che, anzitutto, il fascicolo di fabbricato, già in sede di regolamento d’attuazione ex art. 3, dev’esser esaminato con prudente apprezzamento se ed in qual misura costituisca, secondo i canoni di proporzionalità, razionalità ed adeguatezza, lo strumento più adatto, in ogni occasione e per tutti i tipi di edifici, per massimizzare l’obiettivo della pubblica e privata incolumità, soprattutto in presenza delle complesse regole cui ciascun fabbricato è già da tempo sottoposto per la sicurezza degli impianti elettrici, idrici, di riscaldamento, del gas, ecc. In secondo luogo, il contenuto del fascicolo non può legittimamente essere il duplicato dei dati già acquisiti o esistenti presso la P.A. e che sono richiesti sol perché essa non è in grado di ordinarli e valutarli correttamente, sicché, al più, tale contenuto può integrare e non fornire solo quella quantità di notizie semplici e di facile acquisizione che consentano alla P.A. stessa di più rapidamente elaborare i dati già in suo possesso. Correlativamente, è illegittima l’imposizione di oneri complessi e di peso eccessivo, per tutti i tipi di edifici e senza una minima discriminazione tra loro, onde s’appalesa più razionale, più che un obbligo generalizzato, altre formule connesse fin da subito a provvidenze o ad agevolazioni, atte a sveltire la redazione dei fascicoli per quegli edifici a più alto rischio ed ad incentivare formule collaborative da parte dei tecnici dei Comuni o scelti dagli enti. Infine, la legge non ammette interventi ed opere generalizzate sugli edifici di qualunque genere, età e condizione, sicché gli accertamenti, al fine d’evitare oneri eccessivi e senza riguardo al loro peso sulle condizioni economiche dei proprietari, devono esser suggeriti solo in caso d’evidente, indifferibile ed inevitabile necessità, se del caso con graduazione dei rimedi da realizzare.

8. - Questi essendo i criteri ermeneutici cui questo Giudice e, in sede di riemanazione, le Amministrazioni intimate devono attenersi nell'esecuzione della l.r. 31/2002, il ricorso in epigrafe va accolto nei termini fin qui visti, con assorbimento d’ogni altra domanda, comprese le altre questioni di legittimità costituzionale che, allo stato, s’appalesano manifestamente infondate. La novità e la complessità della questione suggeriscono l'integrale compensazione, tra tutte le parti, delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. 2°, accoglie il ricorso n. 5627/2004 in epigrafe e per l’effetto annulla, per quanto di ragione e nei sensi di cui in motivazione,

Spese compensate.

Ordina all'Autorità amministrativa d’eseguire la presente sentenza.

Così deciso in Roma, nelle Camera di consiglio del 14 giugno e dell’8 novembre 2006, con l’intervento dei sigg. Magistrati:

Domenico LA MEDICA, PRESIDENTE,

Silvestro Maria RUSSO, CONSIGLIERE, ESTENSORE,

Anna BOTTIGLIERI, PRIMO REFERENDARIO.

IL PRESIDENTE

L’ESTENSORE

Depositata in Segreteria il 13 novembre 2006.

1 commento:

Stefanaccio ha detto...

Grazie l'informazione.

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