SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE V PENALE
Sentenza 24 giugno 2011, n. 25453
",,Vero è che il privato, che ritenga di poter subire un pregiudizio dall'iniziativa del vicino ha la possibilità di adire l'autorità competente, ma è pur vero che l'intervento della forza pubblica può rivelarsi, ove davvero possibile, del tutto vano, qualora quell'attività sia legittima sul piano amministrativo (per il possesso di titolo autorizzazione), e nondimeno illecita sul versante civilistica, per l'inosservanza delle anzidette prescrizioni. Nel qual caso, al privato resterebbe solo l'esperimento delle azioni civili previste a tutela della proprietà ed anche del possesso, ma pure in siffatta prospettiva avrebbe innegabile diritto a documentare, con ogni mezzo (non esclusa appunto la ripresa fotografica o filmata), l'epoca dell'altrui costruzione, essendo, peraltro, risaputo che, ai fini dell'ordinaria azione di nunciazione (denuncia di nuova opera) di cui all'art. 1170 c.c., è necessario il rispetto del termine di un anno dall'inizio della nuova opera.
L'insussistenza del reato di cui all'art. 615 bis va venir meno, come è ovvio, anche il reato di cui all'art. 660 c.p., posto che, nella formulazione dell'addebito, le molestie sono state configurate solo mediante l'attività di ripresa fotografica e filmata per petulanza e comunque per altro biasimevole motivo, che, per quanto si è detto, non è ipotizzabile nel caso di specie e non è neppure, diversamente, ipotizzato...".
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE V PENALE
Sentenza 24 giugno 2011, n. 25453
Svolgimento del processo
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza del 22 novembre 2007, con la quale il Tribunale di Cassino aveva dichiarato R.P. e R. A. colpevoli dei reati di cui all'art. 660 c.p. perchè, con più azioni consecutive di un disegno criminoso, filmando e fotografando l'attività che si svolgeva sulla proprietà di P. - M., per petulanza e comunque per altro biasimevole motivo, recavano a C.E. molestia e disturbo (sub a); ed art. 110 c.p. e art. 615 bis c.p. perchè, in concorso tra loro, mediante l'uso di una telecamera e di una macchinetta fotografica, si procurava indebitamente immagini attinenti alla vita privata di M.M. e dei componenti della sua famiglia, effettuando riprese visive nell'abitazione di loro proprietà e nelle adiacenze della stessa (sub b) e, per l'effetto, assorbita per R. A. nel delitto sub b) la contravvenzione a lei contestata sub a), li aveva condannati - con la concessione delle attenuanti generiche - alla pena di mesi quattro di reclusione ciascuno, con i benefici di legge, nonchè al risarcimento dei danni in favore delle persone offese M. e P., costituitesi parte civile, da liquidarsi in separata sede.
>Avverso la sentenza anzidetta il difensore ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motivo.
Motivi della decisione
1. - Il primo motivo d'impugnazione deduce errata e falsa applicazione dell'art. 615 bis c.p. in relazione all'art. 606 c.p.p., lett. b), con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato in contestazione, tenuto conto che le riprese erano state effettuate per l'esigenza di documentare un illecito civile commesso in danno degli imputati. Il secondo motivo lamenta omesso esame dell'istanza di applicazione dell'art. 51 c.p., in relazione all'art. 606 c.p.p., lett. e) c.p.p.
Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di legge, illogicità della motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), con riferimento al preteso ruolo di istigatore attribuito a R.P.
Il quarto motivo deduce, ai sensi dell'art. 192 c.p.p., erronea valutazione delle risultanze processuali; illogicità manifesta;
omesso esame delle deduzioni difensive espresse nell'atto di gravame.
Il quinto motivo si duole dell'omesso esame dell'eccezione difensiva relativa alla mancanza del corpus e della prova del reato contestato, mancando in atti le riprese in contestazione, ai sensi dell'art. 606, lett. b) ed e). Il sesto motivo lamenta che siano state confermate le statuizioni civili.
2. - Nella griglia delle censure dedotte rilievo pregiudiziale - per evidenti ragioni di ordine logico-giuridico - assume la doglianza relativa alla sussistenza del reato di cui all'art. 615 bis c.p. 3. - All'esame della quaestio iuris giova, certamente, una sintetica puntualizzazione della fattispecie, in rapporto alla quale deve essere verificata la ritenuta sussumibilità nel paradigma della norma sostanziale anzidetta.
Orbene, risulta accertato in atti che R.A., su sollecitazione del padre P., effettuò riprese fotografiche e videofilmate dell'attività edificatoria in corso nella contigua proprietà della persona offesa, consistente nella realizzazione di un muretto di confine. Secondo la formulazione del capo d'imputazione, siffatta condotta integrerebbe gli estremi del reato di interferenze illecite nella vita privata, di cui all'art. 615 bis, in quanto avrebbe captato immagini della vita privata altrui, nella specie esteriorizzatasi attraverso l'anzidetta iniziativa edificatoria.
4. - Se così è, balza evidente l'insussistenza del fatto-reato in contestazione.
Ed invero, la perspicua formulazione della norma sostanziale, racchiusa nel comma 1 dell'articolo anzidetto, descrive la condotta di chiunque, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell'art. 614....
La parola chiave nel tessuto lessicale della previsione normativa è certamente l'avverbio indebitamente, la cui valenza semantica fa evidente richiamo alla mancanza di un titolo giustificativo potiore rispetto al diritto alla riservatezza che la norma è volta, chiaramente, a tutelare. Ossia, in un astratto bilanciamento di interessi, il legislatore ha inteso privilegiare la privacy a condizione, però, che l'attività di intrusione mediante riprese fotografiche o filmate sia, di per sè, indebita.
Il connotato di indebito implica mancanza di qualsivoglia ragione giustificativa della condotta dell'agente, che, di conseguenza, sia da ritenere ispirata dalla sola finalità di gratuita intrusione nella vita privata altrui; ed implica, altresì, mancanza di espedienti di sorta per superare eventuali protezioni che l'avente diritto alla riservatezza abbia, all'uopo, appositamente frapposto, a schermo della propria intimità.
Proprio in quest'ultima prospettiva, questa Corte regolatrice ha statuito che la ripresa fotografica da parte di terzi lede la riservatezza della vita privata ed integra il reato di cui all'art. 615-bis c.p., sempre che vengano ripresi comportamenti sottratti alla normale osservazione dall'esterno, essendo la tutela del domicilio limitata a ciò che si compie in luoghi di privata dimora in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile ad estranei.
Ne consegue che se l'azione, pur svolgendosi in luoghi di privata dimora, può essere liberamente osservata senza ricorrere a particolari accorgimenti, il titolare del domicilio non può vantare alcuna pretesa al rispetto della riservatezza. (Fattispecie relativa ad una ripresa fotografica dalla strada pubblica di due persone che uscivano di casa e si trovavano in un cortile visibile dall'esterno) (cfr. Cass. sez. 6, 1 ottobre 2008, n. 40577, rv. 241213). La logica della statuizione in parola fa perno sul concetto di agevole osservabilità dall'esterno di quanto si compia in uno degli spazi protetti dall'art. 614 c.p. sull'evidente presupposto, a contrario, che colui che, pur trovandosi in uno di quei luoghi, si esponga, per libera scelta, all'osservazione altrui non può, per ciò solo, invocare la particolare tutela dell'art. 615 bis.
Orbene, la struttura del fatto, come descritta dai giudici di merito, non escludeva certamente l'anzidetta condizione dell'agevole osservabilità.
Sennonchè, la fattispecie in esame presentava un altro profilo, che valeva ad escludere il carattere abusivo dell'attività di interferenza, consentendo di individuare un ulteriore connotato utile alla compiuta definizione della nozione di indebito, nell'accezione recepita dal legislatore.
In ultima analisi, non sembra, infatti, revocabile in dubbio che la tutela apprestata dal legislatore postuli la liceità dell'attività svolta in ambito privato, potendo, diversamente, l'intrusione nell'altrui privacy ritenersi comunque coonestata, tanto più in presenza di un diritto, il cui esercizio si intenda garantire o la cui violazione si voglia accertare o prevenire.
Ed invero, anche ad ammettere, sia pure con innegabile forzatura linguistica, che l'attività di costruzione di un muro di confine costituisca, davvero, fatto afferente all'imperscrutabile vita privata altrui, la realizzazione del manufatto in prossimità di un confine prediale postula il rispetto delle prescrizioni civilistiche.
Vero è che il privato, che ritenga di poter subire un pregiudizio dall'iniziativa del vicino ha la possibilità di adire l'autorità competente, ma è pur vero che l'intervento della forza pubblica può rivelarsi, ove davvero possibile, del tutto vano, qualora quell'attività sia legittima sul piano amministrativo (per il possesso di titolo autorizzazione), e nondimeno illecita sul versante civilistica, per l'inosservanza delle anzidette prescrizioni. Nel qual caso, al privato resterebbe solo l'esperimento delle azioni civili previste a tutela della proprietà ed anche del possesso, ma pure in siffatta prospettiva avrebbe innegabile diritto a documentare, con ogni mezzo (non esclusa appunto la ripresa fotografica o filmata), l'epoca dell'altrui costruzione, essendo, peraltro, risaputo che, ai fini dell'ordinaria azione di nunciazione (denuncia di nuova opera) di cui all'art. 1170 c.c., è necessario il rispetto del termine di un anno dall'inizio della nuova opera.
5. - L'insussistenza del reato di cui all'art. 615 bis va venir meno, come è ovvio, anche il reato di cui all'art. 660 c.p., posto che, nella formulazione dell'addebito, le molestie sono state configurate solo mediante l'attività di ripresa fotografica e filmata per petulanza e comunque per altro biasimevole motivo, che, per quanto si è detto, non è ipotizzabile nel caso di specie e non è neppure, diversamente, ipotizzato.
6. - Per quanto precede, la sentenza impugnata deve essere annullata, con la formula espressa in dispositivo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.
Libero Professionista, esercente la professione forense nel Foro di Brindisi, distretto Corte d'Appello di Lecce (Italy)- già Magistrato, abilitato innanzi alle Giurisdizioni Superiori (Corte di Cassazione, Corte Costituzionale)
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