venerdì 14 gennaio 2011

Sanzioni amministrative,opposizione al Giudice di Pace ed appello con rito ordinario

Tribunale di Busto Arsizio Sezione distaccata di Gallarate
Sentenza 14 maggio 2010, n. 195

Avverso le sentenze pronunciate dal Giudice di Pace a seguito di opposizione a sanzione amministrativa è ammesso l'appello ai sensi dell'art.26 del Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, che ha abrogato l’ultimo comma dell’art. 23, Legge n. 689/1981, con atto di citazione in quanto, in assenza di una specifica disciplina in sede di gravame va seguito il rito ordinario, vale a dire l’ordinaria disciplina prevista dal c.p.c., segnatamente gli artt. 341 segg. c.p.c., tra cui l’art. 342 in base al quale il giudizio di appello deve essere introdotto con atto di citazione e non già con ricorso (cfr Trib. Roma, Sez. XIII, Sent. 06-11-2008; in maniera conforme Trib. Benevento Sent. 11-02-2009; Trib. Torino Sez. III, Sent. 3l-10-2008; Trib. Torino, Sez. III, Sent. 18-06-2007; Trib. Verona Sent. 29-03-2007).


Tribunale di Busto Arsizio

Sezione distaccata di Gallarate

Sentenza 14 maggio 2010, n. 195

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice del Tribunale Ordinario di Busto Arsizio, sezione distaccata di Gallarate, dott. Valeria Conforti in funzione di giudice d’appello, all’udienza del 14 maggio 2010 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e diritto della decisione, la seguente:

SENTENZA

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RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

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Tanto premesso, l’eccezione preliminare sollevata dall’appellata è fondata e pertanto l’appello va dichiarato inammissibile in quanto proposto dopo la decorrenza dei termini perentori di legge per impugnare.

In primo luogo giova osservare che l’odierna controversia d’appello è stata introdotta con ricorso ex art. 23, legge 689/1981, sulla scorta dell’orientamento seguito da taluni Tribunali e supportato anche da un’autorevole dottrina, secondo cui l’introduzione del doppio grado del giudizio in materia di sanzioni amministrative, non seguita da puntuali disposizioni in ordine alle regole procedurali da applicare in secondo grado ed in primo luogo in merito a quale sia la forma dell’atto introduttivo, dovrebbe indurre a ritenere persistente il regime giuridico speciale disegnato nell’art. 23, legge 689/198l anche in appello e ciò, in virtù del principio di ultrattività del rito seguito in primo grado (cfr. Trib. Viterbo sent. 24 gennaio 2008).

Secondo l’indirizzo in parola all’applicazione del rito speciale anche in sede di gravame non sarebbe di ostacolo il disposto dell’art. 359 c.p.c. in base al quale "nei procedimenti d’appello davanti alla Corte o al Tribunale si osservano in quanto applicabili, le norme dettate per il procedimento di primo grado davanti al Tribunale" giacché il rinvio operato da tale norma non sarebbe agli artt. 163 ss., bensì ad ogni norma dettata per il procedimento di primo grado davanti al Tribunale.

Tra queste vi sono anche quelle di cui agli artt. 22 e 23 della legge 689/81, applicabili in primo grado davanti al Tribunale per le materie previste dai commi secondo e terzo dell’art. 22 bis legge 689/81, per cui a1 procedimento d’appello avanti alla Corte ed al Tribunale, nella materie di rispettiva competenza, deve applicarsi il rito speciale.

A tale orientamento, se ne contrappone un altro maggiormente diffuso nella giurisprudenza di merito e pienamente condiviso da questo giudice alla stregua del quale, in assenza di una specifica disciplina in sede di gravame va seguito il rito ordinario, vale a dire l’ordinaria disciplina prevista dal c.p.c., segnatamente gli artt. 341 segg. c.p.c., tra cui l’art. 342 in base al quale il giudizio di appello deve essere introdotto con atto di citazione e non già con ricorso (cfr Trib. Roma, Sez. XIII, Sent. 06-11-2008; in maniera conforme Trib. Benevento Sent. 11-02-2009; Trib. Torino Sez. III, Sent. 3l-10-2008; Trib. Torino, Sez. III, Sent. 18-06-2007; Trib. Verona Sent. 29-03-2007).

Le ragioni per le quali il decidente ritiene condivisibile questa soluzione è in via principale l’assenza di fondamento normativo del c.d. principio di ultrattività del rito, anche se speciale, seguito in primo grado, e cioè di un principio di omogeneità dei riti nei diversi gradi di giudizio a fronte, invece, della sicura valenza di altri principi che militano per la tesi seguita.

Segnatamente, la natura di "rito generale ordinario" della disciplina dettata dagli artt. 339 c.p.c. quale rito idoneo a regolare tutti i gravami di merito laddove, difetti, come nel caso in oggetto, una diversa volontà del legislatore. (cfr. Cass. 13564/2003); ed, ancora, il principio della prevalenza del rito ordinario sui riti speciali alla luce del combinato disposto degli arti. 359 e 40 comma terzo c.p.c., tenuto altresì conto della settorialità e peculiarità del rito di cui all’art. 23 legge 689/81.

Tutti questi elementi inducono ad optare in definitiva per una diversa lettura del rinvio operato dall’art. 359 c.p.c. che si ritiene, pertanto, limitato alla sola disciplina codicistica di cui agli artt. 163 s.s.

Va rilevato che di recente la Corte di Cassazione sembra avere avallato l’orientamento in parola; con ordinanza n. 14520 del giugno 2009 la Suprema Corte ha profilato l’applicabilità delle norme previste dal capo I del titolo III del codice di procedura civile e non già delle disposizioni del rito speciale di cui alla legge 689/1981 attesa la complessità del giudizio di gravame per cui esso deve svolgersi dinanzi al Tribunale secondo le regole ordinarie che rendono necessaria la difesa tecnica e che si armonizzano con la disciplina dettata in materia di appello dal capo II del titolo III del codice di procedura civile.

Appare chiaro che diretta conseguenza di questa opzione ermeneutica è quella di ritenere che nella fattispecie, il gravame sia stato erroneamente introdotto con ricorso anziché con citazione.

Ciò nondimeno potrebbe operare il generale principio di conservazione dell’atto nullo - che non consente di comminare alcuna sanzione allorquando l’atto abbia raggiunto il suo scopo di cui all’art. 156 3° comma c.p.c. ed il connesso principio di conversione dell’atto proposto per errore ex art. 159 c. III, c.p.c, con salvezza degli effetti prodotti dall’atto, in questo caso dall’impugnazione.

E’ principio consolidato, infatti, quello per cui la proposizione dell’atto di appello con ricorso piuttosto che con citazione non vale ad incidere sull’ammissibilità dell’impugnazione.

Ciò a condizione però che il gravame comunque introdotto sia tempestivo, e detta tempestività in ipotesi del genere (gravame da introdurre con atto di citazione in base alla regola dell’art. 352 c.p.c. ed erroneamente introdotto con ricorso) va valutata in base alla data della notificazione dell’atto alla controparte unitamente al provvedimento di fissazione dell’udienza. Ed infatti ai fini della costituzione di un valido rapporto processuale secondo il modello della citazione ex art. 342 c.p.c. non è idoneo il deposito del ricorso, pur se tempestivo, occorrendo che l’atto venga portato a conoscenza della parte entro i termini perentori di cui agli artt. 325, 326, 327, c.p.c, nella forma legale della notificazione (cfr Cass. Civ. 23412/08; 844/06 4498/09).

Ora, risulta per tabulas che l’odierno appellante a fronte della sentenza del Giudice di Pace depositata in data 21.02.2008 e non notificata è stato depositato in data 6.04.2008 ma noificato solo in data in 8 maggie 2009 e dunque oltre il termine c.d. "lungo" previsto dall’art. 327 c,p.c. per proporre l’appello, allorquando la sentenza era già passata in giudicato.

Segue, pertanto, la necessaria declaratoria d’inammissibilità dell’appello.

Non può infatti ritenersi operante il diverso principio per cui ai fini dell’ammissibilità dell’appello, a prescindere dal tipo di atto utilizzato per introdurre l’impugnazione, bisognerebbe avere riguardo al rispetto dei termini in base al modello impugnatorio concretamente prescelto e dunque nel caso in oggetto alla data di deposito.

Trattasi di soluzione operata in chiave sostanziale dalla giurisprudenza nel diverso caso dell’impugnativa di delibera condominiale (Cassazione civile, sez. II, 30 luglio 2004, n. 14560) che, tuttavia, nell’ipotesi in esame dove viene in rilievo un giudizio di gravame avverso un provvedimento che tende a divenire definitivo se non impugnato, porterebbe a vulnerare e rendere incerto il momento del passaggio in giudicato della sentenza, anche nell’ottica della parte vittoriosa la quale, pur non avendo ricevuto la notifica dell’atto d’impugnazione non potrebbe essere certa della definitività del provvedimento.

Alla luce delle considerazioni esposte l’appello deve essere dichiarato inammissibile.

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P.Q.M

definitivamente pronunciando sull’appello proposto, ogni avversa istanza disattesa e respinta così statuisce:

1) dichiara inammissibile l’appello

2) spese compensate

Gallarate il 14 maggio 2010

IL GIUDICE

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