venerdì 14 gennaio 2011

Sanzioni amministrative,opposizione al Giudice di Pace ed appello con rito ordinario

Tribunale di Busto Arsizio Sezione distaccata di Gallarate
Sentenza 14 maggio 2010, n. 195

Avverso le sentenze pronunciate dal Giudice di Pace a seguito di opposizione a sanzione amministrativa è ammesso l'appello ai sensi dell'art.26 del Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, che ha abrogato l’ultimo comma dell’art. 23, Legge n. 689/1981, con atto di citazione in quanto, in assenza di una specifica disciplina in sede di gravame va seguito il rito ordinario, vale a dire l’ordinaria disciplina prevista dal c.p.c., segnatamente gli artt. 341 segg. c.p.c., tra cui l’art. 342 in base al quale il giudizio di appello deve essere introdotto con atto di citazione e non già con ricorso (cfr Trib. Roma, Sez. XIII, Sent. 06-11-2008; in maniera conforme Trib. Benevento Sent. 11-02-2009; Trib. Torino Sez. III, Sent. 3l-10-2008; Trib. Torino, Sez. III, Sent. 18-06-2007; Trib. Verona Sent. 29-03-2007).


Tribunale di Busto Arsizio

Sezione distaccata di Gallarate

Sentenza 14 maggio 2010, n. 195

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice del Tribunale Ordinario di Busto Arsizio, sezione distaccata di Gallarate, dott. Valeria Conforti in funzione di giudice d’appello, all’udienza del 14 maggio 2010 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e diritto della decisione, la seguente:

SENTENZA

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RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

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Tanto premesso, l’eccezione preliminare sollevata dall’appellata è fondata e pertanto l’appello va dichiarato inammissibile in quanto proposto dopo la decorrenza dei termini perentori di legge per impugnare.

In primo luogo giova osservare che l’odierna controversia d’appello è stata introdotta con ricorso ex art. 23, legge 689/1981, sulla scorta dell’orientamento seguito da taluni Tribunali e supportato anche da un’autorevole dottrina, secondo cui l’introduzione del doppio grado del giudizio in materia di sanzioni amministrative, non seguita da puntuali disposizioni in ordine alle regole procedurali da applicare in secondo grado ed in primo luogo in merito a quale sia la forma dell’atto introduttivo, dovrebbe indurre a ritenere persistente il regime giuridico speciale disegnato nell’art. 23, legge 689/198l anche in appello e ciò, in virtù del principio di ultrattività del rito seguito in primo grado (cfr. Trib. Viterbo sent. 24 gennaio 2008).

Secondo l’indirizzo in parola all’applicazione del rito speciale anche in sede di gravame non sarebbe di ostacolo il disposto dell’art. 359 c.p.c. in base al quale "nei procedimenti d’appello davanti alla Corte o al Tribunale si osservano in quanto applicabili, le norme dettate per il procedimento di primo grado davanti al Tribunale" giacché il rinvio operato da tale norma non sarebbe agli artt. 163 ss., bensì ad ogni norma dettata per il procedimento di primo grado davanti al Tribunale.

Tra queste vi sono anche quelle di cui agli artt. 22 e 23 della legge 689/81, applicabili in primo grado davanti al Tribunale per le materie previste dai commi secondo e terzo dell’art. 22 bis legge 689/81, per cui a1 procedimento d’appello avanti alla Corte ed al Tribunale, nella materie di rispettiva competenza, deve applicarsi il rito speciale.

A tale orientamento, se ne contrappone un altro maggiormente diffuso nella giurisprudenza di merito e pienamente condiviso da questo giudice alla stregua del quale, in assenza di una specifica disciplina in sede di gravame va seguito il rito ordinario, vale a dire l’ordinaria disciplina prevista dal c.p.c., segnatamente gli artt. 341 segg. c.p.c., tra cui l’art. 342 in base al quale il giudizio di appello deve essere introdotto con atto di citazione e non già con ricorso (cfr Trib. Roma, Sez. XIII, Sent. 06-11-2008; in maniera conforme Trib. Benevento Sent. 11-02-2009; Trib. Torino Sez. III, Sent. 3l-10-2008; Trib. Torino, Sez. III, Sent. 18-06-2007; Trib. Verona Sent. 29-03-2007).

Le ragioni per le quali il decidente ritiene condivisibile questa soluzione è in via principale l’assenza di fondamento normativo del c.d. principio di ultrattività del rito, anche se speciale, seguito in primo grado, e cioè di un principio di omogeneità dei riti nei diversi gradi di giudizio a fronte, invece, della sicura valenza di altri principi che militano per la tesi seguita.

Segnatamente, la natura di "rito generale ordinario" della disciplina dettata dagli artt. 339 c.p.c. quale rito idoneo a regolare tutti i gravami di merito laddove, difetti, come nel caso in oggetto, una diversa volontà del legislatore. (cfr. Cass. 13564/2003); ed, ancora, il principio della prevalenza del rito ordinario sui riti speciali alla luce del combinato disposto degli arti. 359 e 40 comma terzo c.p.c., tenuto altresì conto della settorialità e peculiarità del rito di cui all’art. 23 legge 689/81.

Tutti questi elementi inducono ad optare in definitiva per una diversa lettura del rinvio operato dall’art. 359 c.p.c. che si ritiene, pertanto, limitato alla sola disciplina codicistica di cui agli artt. 163 s.s.

Va rilevato che di recente la Corte di Cassazione sembra avere avallato l’orientamento in parola; con ordinanza n. 14520 del giugno 2009 la Suprema Corte ha profilato l’applicabilità delle norme previste dal capo I del titolo III del codice di procedura civile e non già delle disposizioni del rito speciale di cui alla legge 689/1981 attesa la complessità del giudizio di gravame per cui esso deve svolgersi dinanzi al Tribunale secondo le regole ordinarie che rendono necessaria la difesa tecnica e che si armonizzano con la disciplina dettata in materia di appello dal capo II del titolo III del codice di procedura civile.

Appare chiaro che diretta conseguenza di questa opzione ermeneutica è quella di ritenere che nella fattispecie, il gravame sia stato erroneamente introdotto con ricorso anziché con citazione.

Ciò nondimeno potrebbe operare il generale principio di conservazione dell’atto nullo - che non consente di comminare alcuna sanzione allorquando l’atto abbia raggiunto il suo scopo di cui all’art. 156 3° comma c.p.c. ed il connesso principio di conversione dell’atto proposto per errore ex art. 159 c. III, c.p.c, con salvezza degli effetti prodotti dall’atto, in questo caso dall’impugnazione.

E’ principio consolidato, infatti, quello per cui la proposizione dell’atto di appello con ricorso piuttosto che con citazione non vale ad incidere sull’ammissibilità dell’impugnazione.

Ciò a condizione però che il gravame comunque introdotto sia tempestivo, e detta tempestività in ipotesi del genere (gravame da introdurre con atto di citazione in base alla regola dell’art. 352 c.p.c. ed erroneamente introdotto con ricorso) va valutata in base alla data della notificazione dell’atto alla controparte unitamente al provvedimento di fissazione dell’udienza. Ed infatti ai fini della costituzione di un valido rapporto processuale secondo il modello della citazione ex art. 342 c.p.c. non è idoneo il deposito del ricorso, pur se tempestivo, occorrendo che l’atto venga portato a conoscenza della parte entro i termini perentori di cui agli artt. 325, 326, 327, c.p.c, nella forma legale della notificazione (cfr Cass. Civ. 23412/08; 844/06 4498/09).

Ora, risulta per tabulas che l’odierno appellante a fronte della sentenza del Giudice di Pace depositata in data 21.02.2008 e non notificata è stato depositato in data 6.04.2008 ma noificato solo in data in 8 maggie 2009 e dunque oltre il termine c.d. "lungo" previsto dall’art. 327 c,p.c. per proporre l’appello, allorquando la sentenza era già passata in giudicato.

Segue, pertanto, la necessaria declaratoria d’inammissibilità dell’appello.

Non può infatti ritenersi operante il diverso principio per cui ai fini dell’ammissibilità dell’appello, a prescindere dal tipo di atto utilizzato per introdurre l’impugnazione, bisognerebbe avere riguardo al rispetto dei termini in base al modello impugnatorio concretamente prescelto e dunque nel caso in oggetto alla data di deposito.

Trattasi di soluzione operata in chiave sostanziale dalla giurisprudenza nel diverso caso dell’impugnativa di delibera condominiale (Cassazione civile, sez. II, 30 luglio 2004, n. 14560) che, tuttavia, nell’ipotesi in esame dove viene in rilievo un giudizio di gravame avverso un provvedimento che tende a divenire definitivo se non impugnato, porterebbe a vulnerare e rendere incerto il momento del passaggio in giudicato della sentenza, anche nell’ottica della parte vittoriosa la quale, pur non avendo ricevuto la notifica dell’atto d’impugnazione non potrebbe essere certa della definitività del provvedimento.

Alla luce delle considerazioni esposte l’appello deve essere dichiarato inammissibile.

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P.Q.M

definitivamente pronunciando sull’appello proposto, ogni avversa istanza disattesa e respinta così statuisce:

1) dichiara inammissibile l’appello

2) spese compensate

Gallarate il 14 maggio 2010

IL GIUDICE

giovedì 13 gennaio 2011

usucapione, fondo rustico

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
sentenza n. 305/2010
IL TRIBUNALE DI BRINDISI
SEZIONE DISTACCATA DI FRANCAVILLA FONTANA

in composizione monocratica, nella persona del Giudice designato, dott. Giuseppe Marseglia,
nella causa civile di primo grado iscritta al R.G.C. n. 362/08

visti gli atti di causa ed udita la discussione orale ex art. 28l-sexies c.p.c. all'udienza del 16.12.2010,
pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con atto di citazione ritualmente notificato, Tizio conveniva in giudizio tutti gli odierni convenuti, in qualità di comproprietari per successione dal comune capostipite Caio (deceduto il 23.12.1988, si veda a riprova 1o stato di famiglia originario versato in atti), del fondo rustico sito in agro di Erchie, C.da “Bianchi”, censito in N.C.T. al foglio 26, p.l1a 72 ed esteso per are 44 e centiare 26, R.A. € 6,86, R.A. € 15,49, esponendo di aver esercitato sin dal 1972, in modo pacifico, pubblico, continuativo e senza opposizione alcuna il possesso completo del fondo in questione nel disinteresse dei convenuti e dei 1oro danti causa, e chiedendo, di conseguenza, che fosse riconosciuto e dichiarato in suo favore l’acquisto del diritto di proprietà del cespite per
intervenuta usucapione, con vittoria di spese in caso di opposizione.
Dichiarata la contumacia di tutti i convenuti, la causa veniva istruita mediante produzioni documentali e prove testimoniali, all’esito delle quali 1a domanda può ritenersi fondata e, dunque, meritevole di accoglimento.
Com’è noto, requisito legalmente richiesto ai fini dell'usucapione ordinaria su beni immobili è dato dal suo possesso ventennale, possesso che deve ulteriormente rivestire i requisiti della continuità, della non interruzione, della pacificità e della pubblicità (artt. 1158-1163-1167 c.c.). Ai fini poi dell'accertamento del diritto usucapito (es. proprietà, usufrutto, ecc.) occorre far riferimento al tipo di attività fattualmente svolta sul bene, onde accertare ad immagine di quale diritto detta attività viene ad essere esercitata.
Ciò premesso, dalle risultanze processuali emerge che 1’attore ha posseduto uti dominus, per oltre venti anni, l’intero cespite oggetto del presente giudizio, sullo stesso esercitando in modo esclusivo, continuo, ininterrotto, pacifico, pubblico e non equivoco 1a propria signoria di fatto.
Difatti, i testi escussi all’udienza del 17.9.2009 e della cui attendibilità non v'è motivo di dubitare, hanno confermato che il fondo risulta solo formalmente intestato a Caio per un probabile errore al Catasto, ma è stato da sempre posseduto dall’attore, che a sua volta negli anni 70 lo aveva ricevuto dal padre e che ha provveduto sempre a coltivarlo percependo anche l’indennità comunitaria per la produzione olivicola.
Tali risultanze istruttorie, unitamente alla mancanza di contestazioni da parte dei convenuti sono anzi rimasti tutti contumaci, consentono a questo giudicante di ritenere anzitutto sussistente, nella specie, questione di usucapione non già di qualunque altro diritto reale limitato, quanto, piuttosto, del diritto di proprietà del predetto immobile, tenuto conto altresì che, come la Suprema Corte ha più volte precisato, in mancanza di una diversa prova deve ritenersi che il potere di fatto sia
esercitato nella specie più efficace, vale a dire con l'immagine della proprietà.
Nè, del resto, sono emersi elementi tali a far ritenere che l'attore abbia acquisito e/o mantenuto il possesso con violenza o clandestinità, avendo anzi i testi precisato che in famiglia tutti (compreso il defunto Caio) erano convinti che fosse di sua proprietà.
Dalle argomentazioni fino ad ora esposte consegue la dichiarazione che l’odierno attore è divenuto pieno proprietario, a titolo di usucapione, del fondo rustico sito in agro di Erchie, C.da “Bianchi”, censito in N.C.T. al foglio 26, p.lla 72 ed esteso per are 44 e centiare 26, R.A. € 6,86, R.A. € l5,49, avendolo posseduto uti dominus per oltre un ventennio.
Nulla deve invece essere disposto circa la trascrizione della presente sentenza nei registri immobiliari, in quanto tali adempimenti si configurano come semplici oneri a carico della parte interessata, attivabili pertanto, successivamente all’emanazione della presente sentenza, dietro sua autonoma iniziativa a cui il conservatore non potrebbe opporsi (si veda sul punto Cass. civ., II sez., n. l6583 dell'11.8.2005 in relazione all’art. 2651 c.c.).
Sussistono giusti motivi, vista la mancanza di opposizione, per compensare integralmente le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione, deduzione disattesa, così provvede:
• dichiara che Tizio (c.f. xxxxxxxxxxx), nato a Erchie (Br) il 9999999, è divenuto pieno proprietario, a titolo di usucapione, del fondo rustico sito in agro di Erchie, C.da “Bianchi", censito in N.C.T. al foglio 26, p.lla 72 ed esteso per are 44 e centiare 26, R.A. € 6,86, R.A. € l5,49, avendolo posseduto uti dominus per oltre un ventennio;
• compensa integralmente le spese di lite tra le parti.
Francavilla Fontana, 16.12.2010.
Sentenza pubblicata con la sottoscrizione del presente verbale ed immediatamente depositata in cancelleria.

Il Giudice
(Dott. Giuseppe Marseglia)

venerdì 7 gennaio 2011

Cartella esattoriale, nullità

Commissione Tributaria Provinciale

Lecce Sezione II Sentenza 15 marzo 2010, n. 206


I vizi di notifica sollevati sono incontestabili e la L. n. 890/1982 va osservata anche in relazione alla notifica delle cartelle di pagamento in vitù del rinvio che l’art. 26 del D.P.R. n. 602/73 fa agli artt. 148 e 149 c.p.c. .Tuttavia, ai sensi dell’art. 159, comma 3, c.p.c., non si può ignorare che se il vizio di un atto impedisce un determinato effetto, l’atto può tuttavia produrre gli altri effetti ai quali è idoneo. Detta considerazione rappresenta la più chiara espressione del principio di conservazione degli effetti dell’atto nullo. Pertanto, un contribuente destinatario di un atto impositivo affetto dagli stessi vizi di notifica eccepiti da parte ricorrente è nelle condizioni di comprendere le ragioni della pretesa impositiva e di proporre ricorso sana i vizi di notifica ai sensi dell’art. 156 c.p.c. per avere l’atto impositivo raggiunto lo scopo per il quale è stato emesso.

In relazione all’eccezione di cui al precedente punto 2), vi è da considerare che le argomentazioni dell’Ufficio non bastano a dimostrare l’avvenuta notifica degli avvisi bonari al ricorrente. L’interrogazione anagrafica non può sostituire la ricevuta della lettera raccomandata a mezzo della quale si avvisano i contribuenti delle irregolarità rilevate dall’Ufficio. In ordine alla ricostruzione sistematica delle norme applicabili fatta da parte ricorrente, la stessa non può non essere condivisa da questo collegio. Infatti, l’art. 1, comma 2 del Decreto Ministeriale 03.09.1999 n. 321 disciplina il contenuto del ruolo. L’art. 6 del medesimo Decreto stabilisce che “il contenuto minimo della cartella di pagamento è costituito dagli elementi che, ai sensi dell’articolo 1, comma 1 e 2, devono essere elencati nel ruolo, ad eccezione della data di consegna del ruolo stesso al concessionario e del codice degli articoli di ruolo e dell’ambito”. L’art. 25 del D.P.R. n. 602/73 richiama la disciplina del citato Decreto. Pertanto non è possibile non condividere la tesi secondo la quale andavano obbligatoriamente indicati in cartella e nei ruoli, a pena di nullità, gli estremi degli avvisi bonari e le loro rispettive date di notifica in quanto elementi essenziali del ruolo e quindi, della cartella. Di converso, condivisibile appare anche la tesi secondo la quale il mancato ricevimento degli avvisi bonari in questione determina la nullità della cartella in quanto atti necessari a garantire il diritto di partecipazione al procedimento amministrativo al fine di consentire ai contribuenti di poter operare i necessari controlli sull’operato dell’Amministrazione Finanziaria (CTP Salerno 13 novembre 2001, n. 232; CTR Piemonte 29 maggio, n. 35; CTP Torino 3 aprile 2000, n. 31; CTR Veneto 24 novembre 1997, n. 100).

In ordine all’eccezione di cui al precedente punto 3), vi è da rilevare il difetto di calcolo degli interessi ed in relazione alle modalità di determinazione delle sanzioni. L’assunto dell’Ufficio circa l’assenza di vizi propri del ruolo o della cartella non è dunque condivisibile trattandosi di vizi propri del ruolo o della cartella. Il contenuto della cartella non consente di poter operare qualsivoglia controllo dell’operato della Amministrazione Finanziaria. Non vi è dunque trasparenza dell’operato dell’Ufficio in violazione del diritto di difesa del contribuente. Ne segue che gli importi iscritti a ruolo potrebbero essere probabili ma non anche ceri e dovuti. A ben osservare, l’art. 12, comma 3 (“l’ammontare dell’imposta dovuta nonché quello degli interessi, delle soprattasse e delle pene pecuniarie”) e l’art. 25 nonché la “ratio” dell’abrogato art. 17 del D.P.R. n. 602/73 consente l’iscrizione a ruolo dell’importo dovuto e non anche di somme non dovute. Nel caso di specie l’A.F. aveva dunque l’obbligo di provare la legittimità del proprio operato in tema di interessi, esternando l’iter seguito nella determinazione degli stessi. Fondata è dunque l’eccezione del ricorrente perché al medesimo non è consentito di capire come l’Ufficio abbia operato. Vi è lesione del diritto alla difesa perché il contenuto della cartella in esame non consente al contribuente di operare alcun controllo. In tal senso si è già espressa la Suprema Corte di Cassazione secondo la quale “è illegittima la cartella dei pagamenti che riporta in maniera criptica i soli codici del tributo richiesto, non comprendendo il contribuente la ricostruzione dell’operato dell’Ufficio attraverso difficili operazioni interpretative di codici enumerazioni” (Corte di Cassazione Sez. Tributaria del 16 settembre 2005, n. 18415). Nel caso di specie non è sufficiente l’assunto dell’Ufficio contenuto nelle controdeduzioni e ribadito in udienza, secondo il quale gli interessi sarebbero stati calcolati secondo le disposizioni di legge. Fondata è dunque l’eccezione del ricorrente secondo il quale la determinazione degli interessi richiesti è solo un atto di fede.

In ordine all’eccezione di cui al punto 4) circa la lamentata assenza degli estremi del responsabile del procedimento amministrativo questa Commissione non lo ritiene motivo di nullità.

Infine, in ordine all’eccezione di cui al punto 5) non vi è decorrenza dei termini per l’iscrizione a ruolo a causa della proroga dei termini previsti per le dichiarazioni presentate negli anni 2001 e 2002.




LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE

DI LECCE

SEZIONE 02

Sentenza n. 206/02/10

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Avverso la cartella di pagamento n. 059 2006 00xxx, per ruolo emesso dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Lecce 2, per IVA,IRAP,Addizionale regionale IRPEF e ritenute IRPEF, relativamente agli anni di imposta 2000 e 2001, unitamente a sanzioni e interessi, rappresentato e difeso dal dott. xxx, giusta procura in calce al ricorso introduttivo, proponeva tempestivo ricorso eccependo:

1) vizi di notifica non sanabili attraverso l’art. 156 c.p.c. il ricorrente eccepisce l’inesistenza della notifica a causa della relata in bianco. Lo stesso eccepisce altresì la violazione dell’art. 3, commi 1 e 2 della L. n. 890/82 per non avere il messo speciale compilato la relata in conformità a detti commi. Il ricorrente asserisce inoltre che la inesistenza della relata di notifica comporta la inesistenza dell’atto impositivo trattandosi di un atto amministrativo sostanziale e recettizio che viene alla luce solo con il completamento rituale di ogni singola fase del procedimento di nascita dell’atto;

2) che “la cartella richiama avvisi bonari individuati nei loro estremi ma non nella loro data di presunta notifica ed un avviso bonario del tutto ignoto non individuato nei suoi estremi e senza alcuna riproduzione del contenuto, né allegazione alcuna. Si è dunque, a pena di nullità, in piena violazione della L. n. 212/00” (in diritto punto n. 6).In fatto il ricorrente eccepisce che trattasi di tre atti richiamati e mai ricevuti. Asserendo dunque il mancato ricevimento dei tre avvisi bonari, il ricorrente ha eccepito la nullità della cartella e del ruolo sia perché andavano indicati i loro estremi in cartella, compresi i dati della avvenuta notifica, sia perché il mancato ricevimento dell’avviso bonario ha pregiudicato di partecipare al procedimento amministrativo;

3) che “l’Ufficio iscrive inoltre a ruolo somme a titolo di interessi senza alcuna spiegazione circa la base di calcolo, il tasso ed il periodo di mora,atteso altresì che i tassi possono essere diversi. … nulla è noto in tema di calcolo degli interessi e pertanto, non è assolutamente vero che quanto riportato in cartella, corrisponda agli importi riportati negli atti richiamati perché ignoti. … gli importi iscritti a ruolo interessi sono semplicemente ignoti ab origine, in pieno difetto di motivazione dei ruoli e della cartella”. Il contribuente lamenta dunque la violazione dell’art. 12 e 25 del D.P.R. n. 602/73.

4) l’assenza di elementi essenziali della cartella e del ruolo in ossequio a quanto previsto dall’art. 7, comma 2, lett c), della L. n. 212/00, ancorchè detta previsione sia considerata dal legislatore “tassativa”. Il contribuente asserisce che la legge n. 212/00 ha integrato il contenuto tassativo dell’art. 25 del D.P.R. n. 602/73 che nel caso di specie, è stato palesemente violato, a pena di nullità della cartella e del ruolo. Mancherebbero dunque gli estremi del responsabile del procedimento amministrativo e l’indicazione dell’autorità amministrativa alla quale potersi rivolgere in sede di autotutela.;

5) la decorrenza dei termini al 31.12.2005 per la notifica della cartella.

L’ufficio di Lecce 2, nelle sue controdeduzioni asserisce:

- la propria estraneità in merito ad eventuali vizi della cartella;

- le avvenute comunicazioni meglio note come avvisi bonari, argomentando con quanto risulta dall’interrogazione anagrafica;

- l’irrilevanza delle eccezioni relative agli elementi essenziali della cartella e del ruolo giacché la cartella è stata redatta in conformità alla normativa vigente;

- la proroga dei termini per l’iscrizione a ruolo per le dichiarazioni presentate negli anni 2001 e 2002 .

SOBARIT s.p.a. costituitasi in giudizio sostiene:

- la sanatoria di eventuali vizi di notifica per avere il ricorrente presentato il ricorso;

- il difetto di legittimazione passiva per quanto attiene ai vizi del ruolo asserendo altresì di redattola cartella in conformità a quanto previsto dall’art. 25 del D.P.R. n. 602/73 e dai modelli approvati con decreto dal Ministero delle Finanze del 31.12.1996 e successive modificazioni e/o integrazioni.

Il ricorso è fondato e va accolto.

In relazione alle eccezioni di cui al precedente punto 1), relative ai vizi di notifica, la tesi di parte ricorrente, pur ricca di spunti giurisprudenziali e dottrinali, a giudizio di questo Collegio non è condivisibile e va censurata. I vizi di notifica sollevati sono incontestabili e la L. n. 890/1982 va osservata anche in relazione alla notifica delle cartelle di pagamento in vitù del rinvio che l’art. 26 del D.P.R. n. 602/73 fa agli artt. 148 e 149 c.p.c. .Tuttavia, ai sensi dell’art. 159, comma 3, c.p.c., non si può ignorare che se il vizio di un atto impedisce un determinato effetto, l’atto può tuttavia produrre gli altri effetti ai quali è idoneo. Detta considerazione rappresenta la più chiara espressione del principio di conservazione degli effetti dell’atto nullo. Pertanto, un contribuente destinatario di un atto impositivo affetto dagli stessi vizi di notifica eccepiti da parte ricorrente è nelle condizioni di comprendere le ragioni della pretesa impositiva e di proporre ricorso sana i vizi di notifica ai sensi dell’art. 156 c.p.c. per avere l’atto impositivo raggiunto lo scopo per il quale è stato emesso.

In relazione all’eccezione di cui al precedente punto 2), vi è da considerare che le argomentazioni dell’Ufficio non bastano a dimostrare l’avvenuta notifica degli avvisi bonari al ricorrente. L’interrogazione anagrafica non può sostituire la ricevuta della lettera raccomandata a mezzo della quale si avvisano i contribuenti delle irregolarità rilevate dall’Ufficio. In ordine alla ricostruzione sistematica delle norme applicabili fatta da parte ricorrente, la stessa non può non essere condivisa da questo collegio. Infatti, l’art. 1, comma 2 del Decreto Ministeriale 03.09.1999 n. 321 disciplina il contenuto del ruolo. L’art. 6 del medesimo Decreto stabilisce che “il contenuto minimo della cartella di pagamento è costituito dagli elementi che, ai sensi dell’articolo 1, comma 1 e 2, devono essere elencati nel ruolo, ad eccezione della data di consegna del ruolo stesso al concessionario e del codice degli articoli di ruolo e dell’ambito”. L’art. 25 del D.P.R. n. 602/73 richiama la disciplina del citato Decreto. Pertanto non è possibile non condividere la tesi secondo la quale andavano obbligatoriamente indicati in cartella e nei ruoli, a pena di nullità, gli estremi degli avvisi bonari e le loro rispettive date di notifica in quanto elementi essenziali del ruolo e quindi, della cartella. Di converso, condivisibile appare anche la tesi secondo la quale il mancato ricevimento degli avvisi bonari in questione determina la nullità della cartella in quanto atti necessari a garantire il diritto di partecipazione al procedimento amministrativo al fine di consentire ai contribuenti di poter operare i necessari controlli sull’operato dell’Amministrazione Finanziaria (CTP Salerno 13 novembre 2001, n. 232; CTR Piemonte 29 maggio, n. 35; CTP Torino 3 aprile 2000, n. 31; CTR Veneto 24 novembre 1997, n. 100).

In ordine all’eccezione di cui al precedente punto 3), vi è da rilevare il difetto di calcolo degli interessi ed in relazione alle modalità di determinazione delle sanzioni. L’assunto dell’Ufficio circa l’assenza di vizi propri del ruolo o della cartella non è dunque condivisibile trattandosi di vizi propri del ruolo o della cartella. Il contenuto della cartella non consente di poter operare qualsivoglia controllo dell’operato della Amministrazione Finanziaria. Non vi è dunque trasparenza dell’operato dell’Ufficio in violazione del diritto di difesa del contribuente. Ne segue che gli importi iscritti a ruolo potrebbero essere probabili ma non anche ceri e dovuti. A ben osservare, l’art. 12, comma 3 (“l’ammontare dell’imposta dovuta nonché quello degli interessi, delle soprattasse e delle pene pecuniarie”) e l’art. 25 nonché la “ratio” dell’abrogato art. 17 del D.P.R. n. 602/73 consente l’iscrizione a ruolo dell’importo dovuto e non anche di somme non dovute. Nel caso di specie l’A.F. aveva dunque l’obbligo di provare la legittimità del proprio operato in tema di interessi, esternando l’iter seguito nella determinazione degli stessi. Fondata è dunque l’eccezione del ricorrente perché al medesimo non è consentito di capire come l’Ufficio abbia operato. Vi è lesione del diritto alla difesa perché il contenuto della cartella in esame non consente al contribuente di operare alcun controllo. In tal senso si è già espressa la Suprema Corte di Cassazione secondo la quale “è illegittima la cartella dei pagamenti che riporta in maniera criptica i soli codici del tributo richiesto, non comprendendo il contribuente la ricostruzione dell’operato dell’Ufficio attraverso difficili operazioni interpretative di codici enumerazioni” (Corte di Cassazione Sez. Tributaria del 16 settembre 2005, n. 18415). Nel caso di specie non è sufficiente l’assunto dell’Ufficio contenuto nelle controdeduzioni e ribadito in udienza, secondo il quale gli interessi sarebbero stati calcolati secondo le disposizioni di legge. Fondata è dunque l’eccezione del ricorrente secondo il quale la determinazione degli interessi richiesti è solo un atto di fede.

In ordine all’eccezione di cui al punto 4) circa la lamentata assenza degli estremi del responsabile del procedimento amministrativo questa Commissione non lo ritiene motivo di nullità.

Infine, in ordine all’eccezione di cui al punto 5) non vi è decorrenza dei termini per l’iscrizione a ruolo a causa della proroga dei termini previsti per le dichiarazioni presentate negli anni 2001 e 2002.

Sussistono dunque valide ragioni per compensare le spese di giudizio.

P.Q.M.

La Commissione accoglie il ricorso, annulla la cartella di pagamento impugnata compensando le spese di giudizio.

Lecce, 28/11/2007.

Depositata in segreteria il 15 marzo 2010.

Garante privacy, linee guida per l'informazione giuridica, deliberazione 02.12.2010

GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI, DELIBERAZIONE 2 dicembre 2010

Linee guida su trattamento dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalita' di informazione giuridica. (10A15610)

(GU n. 2 del 4-1-2011)

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

NELLA riunione odierna, in presenza del prof. Francesco Pizzetti, presidente, del dott. Giuseppe Chiaravalloti, vice presidente, del dott. Mauro Paissan e del dott. Giuseppe Fortunato, componenti e del dott. Daniele De Paoli, segretario generale;

VISTO il Codice in materia di protezione dei dati personali (d. lg. 30 giugno 2003, n. 196), anche in riferimento all'art. 154, comma 1, lett. h);

ESAMINATE le istanze (segnalazioni, richieste di chiarimenti e quesiti) pervenute riguardo al trattamento di dati personali effettuato attraverso la pubblicazione, da parte di uffici giudiziari, riviste giuridiche e altri soggetti, su supporti cartacei e informatici, nonché mediante reti di comunicazione elettronica, di sentenze e altri provvedimenti emessi dall'Autorità giudiziaria;

RILEVATA l'esigenza di individuare un quadro unitario di misure e di accorgimenti necessari e opportuni, volti a fornire orientamenti utili per tutti i soggetti interessati, pubblici e privati;

VALUTATO l'esito della consultazione indetta con case editrici e operatori del settore dell'informazione giuridica; considerate le risultanze dell'audizione svolta;

VISTA la documentazione in atti;

VISTE le osservazioni dell'Ufficio, formulate dal segretario generale ai sensi dell'art. 15 del regolamento del Garante, n. 1/2000;

RELATORE il dott. Giuseppe Chiaravalloti;

DELIBERA:

1. di adottare le "Linee guida" contenute nel documento allegato quale parte integrante della presente deliberazione;

2. di inviare copia del presente provvedimento al Ministero della giustizia e al Consiglio superiore della magistratura, per opportuna conoscenza nonché – per quanto di rispettiva competenza – per l'adozione di ogni iniziativa ritenuta idonea alla massima diffusione presso gli uffici giudiziari interessati;

3. ai sensi dell'art. 143, comma 2, del Codice, di trasmettere al Ministero della giustizia-Ufficio pubblicazione leggi e decreti copia del presente provvedimento, unitamente alle menzionate "Linee guida", per la loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

Roma, 2 dicembre 2010.

IL PRESIDENTE
Pizzetti

IL RELATORE
Chiaravalloti

IL SEGRETARIO GENERALE
De Paoli


Linee guida in materia di trattamento di dati personali nella riproduzione di provvedimenti giurisdizionali per finalità di informazione giuridica - 2 dicembre 2010.

1. Premessa

1.1 Scopo delle linee guida
Scopo delle presenti linee guida, che fanno seguito a richieste di chiarimenti e a quesiti posti da case editrici e operatori del settore dell'informazione giuridica, e tengono conto della consultazione indetta con tali soggetti, è di fornire orientamenti utili a uffici giudiziari, editori di riviste giuridiche specializzate e ogni altro soggetto, pubblico e privato, che svolge attività di riproduzione di sentenze e altri provvedimenti giurisdizionali, su supporti cartacei e informatici, nonché mediante reti di comunicazione elettronica, per finalità di informazione giuridica, al fine di garantire il rispetto dei princìpi in materia di protezione dei dati personali ai sensi del d. lg. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia protezione dei dati personali; d'ora in avanti: Codice).

Le presenti linee guida intendono anche fornire agli interessati che hanno rivolto al Garante numerose segnalazioni, indicazioni in ordine ai diritti loro attribuiti e ai limiti e condizioni per il loro esercizio, come previsti in particolare dagli artt. 51 e 52 del Codice.

1.2 Ambito considerato
I predetti orientamenti e indicazioni riguardano esclusivamente l'attività di informatica giuridica, intesa come attività di riproduzione e diffusione di sentenze o altri provvedimenti giurisdizionali in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica, ovvero di documentazione, studio e ricerca in campo giuridico, su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, compresi i sistemi informativi e i siti istituzionali dell'Autorità giudiziaria (artt. 51 e 52 del Codice).

Sono, pertanto, esclusi dall'ambito di applicazione delle presenti linee guida i trattamenti effettuati presso gli uffici giudiziari di ogni ordine e grado, il Consiglio superiore della magistratura, gli altri organi di autogoverno e il Ministero della giustizia, "per ragioni di giustizia", intendendosi per tali, per quanto qui interessa, i trattamenti di dati personali direttamente correlati alla trattazione giudiziaria di affari e di controversie (art. 47, comma 2, del Codice).(1)

Le presenti linee guida non incidono, quindi, sulle norme processuali che l'autorità giudiziaria deve rispettare e applicare nello svolgimento delle attività e nell'adempimento degli obblighi derivanti dall'esplicazione delle funzioni giurisdizionali, come previsti dalle pertinenti disposizioni codicistiche. Non riguardano, in particolare, l'attività di redazione degli originali delle sentenze e degli altri provvedimenti giurisdizionali e il loro contenuto (art. 52, comma 1, del Codice), né la loro pubblicazione mediante il deposito nelle cancellerie e segreterie giudiziarie, secondo le disposizioni che disciplinano tali attività (artt. 133 e ss. c.p.c.; artt. 125 e ss. c.p.p.).
Restano ferme anche le disposizioni processuali concernenti la visione e il rilascio di estratti e di copie di atti e documenti (art. 51, comma 1, del Codice).

Sono esclusi, infine, dall'ambito di applicazione delle presenti linee guida i trattamenti effettuati nell'esercizio dell'attività giornalistica, disciplinata da specifiche disposizioni sulla protezione dei dati personali (artt. 136 e ss. del Codice; Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica, provv. del Garante 29 luglio 1998, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 3 agosto 1998, n. 179).

2. Diffusione delle sentenze e degli altri provvedimenti giurisdizionali
La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali costituisce fonte preziosa per lo studio e l'accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell'esercizio del potere giurisdizionale.(2)

Il Codice favorisce la più ampia diffusione delle sentenze e degli altri provvedimenti dell'Autorità giudiziaria per i quali sia stato assolto, mediante il deposito nella cancellerie e nelle segreterie giudiziarie, l'onere della pubblicazione previsto dalle disposizioni dei codici di procedura civile e penale.(3)

La conoscenza di tali provvedimenti può, infatti, essere realizzato, in primo luogo, dalla stessa Autorità giudiziaria "anche attraverso il sistema informativo e il sito istituzionale della medesima autorità nella rete Internet" (art. 51, comma 2), osservando alcune cautele previste dallo stesso Codice (art. 52, commi da 1 a 6), volte alla tutela dei diritti e della dignità degli interessati.

Con l'osservanza di tali cautele, è inoltre "ammessa la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali" (art. 52, comma 7).

Alle cautele previste dal Codice rinvia anche l'art. 56, comma 2, del d. lg. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell'amministrazione digitale) che, con riferimento alle "sentenze e alle altre decisioni del giudice amministrativo e contabile, rese pubbliche mediante deposito in segreteria", ne prevede la pubblicazione anche sul sito istituzionale della rete Internet "osservando le cautele previste dalla normativa in materia di tutela dei dati personali". Il comma 2-bis della medesima disposizione aggiunge che "i dati identificativi delle questioni pendenti, le sentenze e le altre decisioni depositate in cancelleria o segreteria dell'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado sono, comunque, rese accessibili ai sensi dell'articolo 51 del codice in materia di protezione dei dati personali approvato con decreto legislativo n. 196 del 2003".

3. La procedura di anonimizzazione dei provvedimenti giurisdizionali
L'art. 52 pone alcune cautele alla libera diffusione dei provvedimenti giurisdizionali.

In particolare, prevede una particolare procedura, descritta nei commi da 1 a 4, attraverso la quale ogni interessato può chiedere, con istanza depositata presso la cancelleria o segreteria dell'ufficio giudiziario avanti al quale si svolge il giudizio, che le sue generalità e ogni altro dato idoneo a identificarlo siano omessi in caso di riproduzione del provvedimento. I dati presi in considerazione dalla norma sono i dati identificativi, vale a dire, oltre alle generalità, ogni altro dato idoneo a identificare direttamente l'interessato (art. 4, comma 1, lett. c) del Codice).
3.1 La richiesta dell'interessato (art. 52, comma 1)
La richiesta può essere presentata da ogni interessato, ovvero dalla persona fisica, persona giuridica, ente o associazione cui si riferiscono i dati personali (art. 4, comma 1, lett. l) del Codice).

Sono quindi legittimati a inoltrare l'istanza non solo le parti di un giudizio civile, o l'imputato in un processo penale, ma anche qualsiasi altro soggetto - quale, ad esempio, un testimone o un consulente - reso identificabile nel provvedimento attraverso l'indicazione delle generalità o di altri dati identificativi.

Rimane fermo che l'eventuale omissione può riguardare solo l'interessato che ha proposto la relativa richiesta, e non altri soggetti.

La richiesta è sottoposta ad alcune condizioni e limiti.

In primo luogo, l'istanza deve essere rivolta all'ufficio giudiziario procedente, avanti al quale si svolge il giudizio, mediante il suo deposito nella cancelleria o segreteria giudiziaria. Va evidenziato che il deposito deve avvenire "prima che sia definito il relativo grado di giudizio", vale dire a procedimento in corso. Un'istanza proposta dopo la definizione del giudizio (ad esempio, dopo l'emissione della sentenza) resterebbe priva di effetto.

La richiesta deve contenere l'esplicita istanza che la cancelleria o la segreteria riportino, sull'originale della sentenza o del provvedimento, un'annotazione che specifichi che in caso di riproduzione del provvedimento non può essere riportata l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del richiedente.

Inoltre la richiesta deve essere espressamente motivata, poiché in essa l'interessato deve specificare i "motivi legittimi" che la giustificano, quali la delicatezza della vicenda oggetto del giudizio o la particolare natura dei dati contenuti nel provvedimento (ad esempio, dati sensibili).

Peraltro, l'omissione dei dati dell'interessato non può avvenire per qualsiasi utilizzo delle copie del provvedimento, ma solo ove questo venga riprodotto in qualsiasi forma (cartacea, informatica o su altro supporto):

- per esclusive finalità di informazione giuridica, come definita al punto 1.2 che precede;

- su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica.

La procedura prevista dall'art. 52 è quindi finalizzata a ottenere l'omissione dei dati solo in caso di riproduzione del provvedimento per l'indicata specifica finalità.
3.2 La decisione sulla richiesta (art. 52, comma 2)
La competenza a decidere sulla richiesta spetta all'Autorità giudiziaria presso cui pende il giudizio e che deve pronunciare la sentenza o adottare il provvedimento.

La decisione assume la forma di un decreto, riportato in calce all'istanza. La decisione può essere adottata in tempi anche molto brevi, poiché la norma prescrive che la decisione sia assunta "senza ulteriori formalità".

In caso di rigetto della richiesta, ovviamente nessuna annotazione va apposta sull'originale del provvedimento.

3.3 Anonimizzazione disposta d'ufficio: in particolare, i dati sensibili
La disposizione di cui al comma 2 aggiunge che l'annotazione sull'originale della sentenza può essere disposta dal magistrato, per le medesime finalità di informazione giuridica, anche d'ufficio, cioè senza richiesta di parte.

La norma ora richiamata fa carico all'Autorità giudiziaria di una specifica responsabilità nell'attenta valutazione dell'opportunità dell'anonimizzazione dei provvedimenti.

Tale responsabilità è fortemente accentuata nei casi in cui vengono in rilievo dati personali dotati di particolare significatività che, se indiscriminatamente diffusi, possono determinare negative conseguenze sui vari aspetti della vita sociale e di relazione dell'interessato (ad esempio, in ambito familiare o lavorativo).

É questo sicuramente il caso in cui nel provvedimento siano contenuti dati sensibili (art. 4, comma 1, lett. d) del Codice), che sono oggetto nella normativa del Codice di particolari forme di tutela e, fra questi, dati idonei a rivelare lo stato di salute o la vita sessuale degli interessati.

Ciò, anche in considerazione delle limitazioni che, proprio in ambito giudiziario, vengono poste alla stessa difesa dei diritti in giudizio, laddove si richiede che il diritto dell'interessato alla riservatezza di tali dati possa essere sacrificato solo ove il diritto azionato sia "di rango pari" a quello dell'interessato medesimo, "ovvero consistente in un diritto o libertà fondamentale e inviolabile" (art. 26, comma 4, lett. c) del Codice).

Relativamente ai dati idonei a rivelare lo stato di salute (con riferimento ai quali sono giunte al Garante numerose segnalazioni degli interessati che ne hanno lamentato la diffusione e la conseguente agevole reperibilità anche attraverso i comuni motori di ricerca), anche altre disposizioni del Codice pongono, con carattere di generalità, uno specifico divieto di diffusione, valevole per i soggetti sia pubblici, sia privati (artt. 22, comma 8 e 26, comma 5 del Codice).

La salvaguardia dei diritti degli interessati attraverso un oscuramento delle loro generalità non pregiudica la finalità di informazione giuridica, sottesa alla diffusione del provvedimento, che il Codice intende salvaguardare, ma può risultare necessaria, nell'ottica di un corretto bilanciamento dei diversi interessi, rimesso alla responsabilità dell'Autorità giudiziaria procedente, per tutelare la sfera di riservatezza degli interessati.
Spetta quindi all'Autorità giudiziaria farsi carico, prima della definizione del procedimento, di valutare attentamente tale profilo, nella prospettiva di un'efficace tutela dei diritti e della dignità delle persone coinvolte nei procedimenti giudiziari.

3.4 L'attuazione della richiesta (art. 52, comma 3)
Come già rilevato, ove con il decreto la richiesta dell'interessato venga accolta, spetta alla cancelleria o alla segreteria giudiziaria darvi esecuzione, apponendo sull'originale del provvedimento, all'atto del deposito da parte del magistrato, anche con un timbro, un'annotazione che riporti l'indicazione dell'art. 52 del Codice e la dizione: "In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi di …". L'indicazione dell'art. 52 ha lo scopo di escludere che il divieto possa essere esteso a ipotesi di diffusione diverse rispetto a quella della riproduzione del provvedimento per finalità di informazione giuridica.

Oltre all'obbligo ora evidenziato, non emergono ulteriori incombenti a carico degli uffici giudiziari.

In particolare, non incombe sulle cancellerie e segreterie l'onere di cancellare materialmente i dati dell'interessato sulle copie dei provvedimenti rilasciate a chi ne abbia diritto e che riportino la menzionata annotazione.

Ciò, in primo luogo, in quanto il rilascio della copia costituisce attività di comunicazione (art. 4, comma 1, lett. l) del Codice(4)), e non di diffusione dei dati (lett. m), comma cit.(5)), per ciò stesso esclusa dal dettato dell'art. 52.

Inoltre, come già rilevato, le disposizioni in esame non incidono in alcun modo sugli adempimenti svolti dalle cancellerie e dalle segreterie giudiziarie che, in quanto connessi allo svolgimento dei processi, comportano trattamenti effettuati per ragioni di giustizia. Il rilascio di copie, attività direttamente disciplinata dalle norme codicistiche, rientra in tale ambito, come pure, ad esempio, l'invio della sentenza all'ufficio deputato alla sua registrazione.

Spetta a chi riceve la copia provvedere all'omissione dei dati ove intenda riprodurla e diffonderla per finalità di informazione giuridica.

3.5 Il divieto di diffusione dei provvedimenti (art. 52, comma 4)
I primi tre commi dell'art. 52 descrivono la procedura finalizzata all'apposizione dell'annotazione volta all'omissione dei dati.

In caso di accoglimento della richiesta, il comma 4 prescrive di omettere l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi dell'interessato in caso di diffusione, per le descritte finalità, dei provvedimenti giurisdizionali che rechino detta annotazione.

La prescrizione è rivolta in primo luogo all'Autorità giudiziaria, alla quale già il secondo comma dell'art. 51, nello stabilire il principio della libera accessibilità a chiunque dei provvedimenti giurisdizionali, anche attraverso il sistema informativo e il sito istituzionale nella rete Internet, impone l'osservanza delle cautele previste dall'art. 52.
La prescrizione è rivolta anche a tutti gli altri soggetti, terzi rispetto all'Autorità giudiziaria, che svolgono attività di diffusione dei provvedimenti per finalità di informazione giuridica.

Va sottolineato che la prescrizione si riferisce espressamente anche alla diffusione delle massime giuridiche estratte dai provvedimenti sull'originale dei quali sia apposta l'annotazione sull'omissione dei dati.

Ne consegue che anche in caso di riproduzione delle sole massime deve essere posta la dovuta attenzione, attraverso l'esame della copia dell'originale del provvedimento, che le stesse risultino prive delle generalità e di altre informazioni idonee a identificare gli interessati che abbiano ottenuto dall'Autorità giudiziaria di vedere omessi i dati che li riguardano.

4. Il divieto ex lege di diffusione (art. 52, comma 5)

4.1 Caratteristiche specifiche
Il comma 5 dell'art. 52 del Codice pone uno specifico, ulteriore, divieto di diffusione dei dati dei minori e delle parti nei procedimenti giudiziari in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone.

Si tratta di una tutela più ampia rispetto a quella posta dai primi quattro commi del medesimo articolo. La norma impone, infatti, di omettere, nei casi ivi considerati, non solo le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti tutelati, - come prevede il quarto comma - ma anche gli "altri dati anche relativi a terzi dai quali può desumersi anche indirettamente l'identità" di tali soggetti.

Inoltre l'obbligo opera "in ogni caso", cioè, come pure precisa testualmente la norma, ancorché la sentenza o l'altro provvedimento giudiziale oggetto di diffusione non riporti l'annotazione di cui al comma 2 dell'art. 52. Si tratta di un divieto assoluto; neppure il consenso dei soggetti interessati può determinare l'inapplicabilità dell'obbligo in esame.
Benché si tratti di un incombente non espressamente imposto dalla norma, si ritiene comunque opportuno che l'Autorità giudiziaria provveda d'ufficio, attraverso la già descritta procedura, all'annotazione sull'originale del provvedimento dell'obbligo di anonimizzazione, al fine di evitare illecite divulgazioni dovute a dubbi sull'oggetto o sui contenuti dei provvedimenti, o anche a mera negligenza.

Con l'espressione "chiunque", la norma del Codice intende riferirsi a qualunque soggetto che effettua trattamenti di dati personali a fini di informazione giuridica, attività che è l'oggetto specifico della disciplina di cui al capo III del titolo I della parte seconda del Codice, come si evince anche dalla rubrica.

La disposizione non riguarda trattamenti che abbiano diverse finalità. Tra gli altri, non si applica, quindi, ai trattamenti effettuati nello svolgimento dell'attività giornalistica (ad esempio, alla cronaca giudiziaria), che rimangono disciplinati dalle pertinenti disposizioni in materia di protezione dei dati personali (su cui v. punto 1.1).

I soggetti tutelati sono i minori coinvolti in qualunque tipo di procedimento giudiziario e le parti, limitatamente ai procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato civile delle persone di cui al Libro I del Codice Civile (quali, ad esempio: matrimonio e sue vicende, filiazione, adozione, ordini di protezione contro gli abusi familiari, azioni di stato, richieste di rettificazione di sesso).

Va rilevato che in quest'ultimo caso la legge utilizza il termine "parti", non "interessati", come nel primo comma dell'art. 52. Pertanto, la disposizione riguarda solo le parti processuali dei procedimenti giurisdizionali in materia di famiglia o di status personale. Eventuali altri soggetti coinvolti in tali procedimenti e che si ritengano interessati a ottenere l'oscuramento delle loro generalità e di altri dati identificativi contenuti nei relativi provvedimenti (ad esempio, i testimoni), devono ricorrere alla procedura di anonimizzazione disciplinata dai primi quattro commi dell'art. 52.

L'obbligo di omissione dei dati identificativi delle parti dei procedimenti in materia di famiglia e di status sussiste anche nei casi in cui la controversia attenga a rapporti di tipo patrimoniale o economico.

La tutela in esame si aggiunge a quella prevista dall'art. 734-bis c.p. ("Divulgazione delle generalità o dell'immagine di persona offesa da atti di violenza sessuale"), che viene espressamente richiamato, il quale punisce chiunque divulghi, nell'ambito di determinati delitti a sfondo sessuale (soprattutto, ma non solo, relativi a minori)(6), anche attraverso mezzi di comunicazione di massa, le generalità o l'immagine della persona offesa senza il suo consenso.

4.2 Casi particolari
In relazione a quesiti che sono stati posti con riferimento ad alcuni particolari profili del divieto posto dal comma 5 dell'art. 52, deve essere, in primo luogo, chiarito che il divieto di diffusione delle generalità, degli altri dati identificativi e degli ulteriori dati che consentano di identificare i minori o le parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone non può, ovviamente, trovare applicazione ove la lettura della sentenza o di altro provvedimento non permetta, facendo applicazione dell'ordinaria diligenza, di individuare il coinvolgimento di un minore o delle parti dei menzionati procedimenti.
chiarito, si precisa che:

- la disposizione intende fare riferimento non solo alla sentenza o altro provvedimento emessi nel procedimento in cui è coinvolto il minore o in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone, ma anche a qualsiasi sentenza o altro provvedimento che contenga dati personali, anche di terzi, che consentono, "anche indirettamente", di svelare l'identità delle persone tutelate;

- la norma richiede ai soggetti che diffondono i provvedimenti per finalità di informazione giuridica di esercitare un'ordinaria diligenza nell'esame del testo delle sentenze e degli altri provvedimenti. In particolare, rientrano nell'oggetto del divieto le informazioni che, nella valutazione della fattispecie concreta, permettano di risalire agevolmente all'identificazione del minore o delle parti nei giudizi in questione (ad esempio, i nominativi dei genitori del minore o la scuola da questo frequentata, o l'indirizzo dell'abitazione delle parti processuali);

- il divieto di diffusione dei nomi dei minori e delle parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone concerne anche il divieto di farne cenno nell'ambito di massime giuridiche che sono tratte da sentenze o altri provvedimenti che, se diffusi in forma integrale, devono essere anonimizzati. Ciò, anche se, di per sé, la massima non rivela che è tratta da un provvedimento emesso in un procedimento in cui sono coinvolti un minore oppure le parti nelle materie dei rapporti di famiglia e di stato delle persone (ad esempio, perché enuncia un principio di diritto di carattere processuale). Anche in tali casi, infatti, le massime sono idonee a svelare l'identità dei soggetti tutelati (si pensi al caso in cui altra rivista - o anche la medesima, in altra parte o fascicolo - pubblichi il testo integrale della sentenza anonimizzata, e l'incrocio fra la pubblicazione della sentenza e della massima consenta di svelare l'identità dei soggetti protetti);

- per la medesima ragione, analogo divieto di diffusione dei dati dei minori e delle parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone sussiste anche relativamente alla pubblicazione di tali dati nell'ambito di un elenco di sentenze o di altri provvedimenti, anche senza massimazione, ove si tratti di sentenze o altri provvedimenti che, in caso di diffusione in forma integrale, devono essere anonimizzati perché idonei a svelare l'identità dei soggetti protetti.
5. Il lodo (art. 52, comma 6)
Il comma 6 dell'art. 52 estende le altre disposizioni dell'articolo "anche in caso di deposito del lodo ai sensi dell'art. 825 del codice di procedura civile".

Si applica, quindi, anche a tale particolare pronuncia, come espressamente previsto dalla disposizione, la procedura di anonimizzazione dei provvedimenti, con le regole poste riguardo alla presentazione della richiesta dall'interessato (comma 1), alla decisione degli arbitri, anche d'ufficio (comma 2), all'apposizione dell'annotazione (comma 3), e al divieto di diffusione (comma 4), oltre che, ovviamente, il divieto ex lege di cui al comma 5.

Poiché il lodo può essere redatto "in uno o più originali" (art. 824 c.p.c.), l'annotazione, ove disposta, va ovviamente riportata su tutti gli originali.

Il Codice aggiunge che "in modo analogo" provvede anche il collegio arbitrale costituito preso la camera arbitrale per i lavori pubblici ai sensi dell'articolo 32 della legge 11 febbraio 1994, n. 109. Tale disposizione deve ritenersi ora applicabile all'arbitrato previsto del d. lg. 12 aprile 2006, n. 163 ("Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE"), che ha abrogato la legge n. 109/1994, e il cui art. 241, nel sostituire l'art. 32, opera espresso riferimento all'art. 825 c.p.c..

_______________

(1) Art. 47, comma 2, del Codice:
"Agli effetti del presente codice si intendono effettuati per ragioni di giustizia i trattamenti di dati personali direttamente correlati alla trattazione giudiziaria di affari e di controversie, o che, in materia di trattamento giuridico ed economico del personale di magistratura, hanno una diretta incidenza sulla funzione giurisdizionale, nonché le attività ispettive su uffici giudiziari. Le medesime ragioni di giustizia non ricorrono per l'ordinaria attività amministrativo-gestionale di personale, mezzi o strutture, quando non è pregiudicata la segretezza di atti direttamente connessi alla predetta trattazione".

(2) Tali princìpi si rinvengono nelle Raccomandazioni del Consiglio d'Europa R(2001)2 e R(2001)3, adottate dal Comitato dei Ministri il 20 febbraio 2001, con le quali gli Stati membri sono stati invitati ad adottare ogni misura necessaria per favorire l'accesso dei cittadini agli archivi legislativi e giurisprudenziali attraverso l'uso delle tecnologie dell'informazione.

(3) La Relazione parlamentare di accompagnamento al testo del Codice afferma che "gli articoli 51 e 52 contengono norme tendenti ad agevolare lo sviluppo dell'informatica giuridica nel rispetto dei principi in materia di protezione dei dati personali".

(4) Art. 4, comma 1, lett. l) del Codice:
""comunicazione", il dare conoscenza dei dati personali a uno o più soggetti determinati diversi dall'interessato, dal rappresentante del titolare nel territorio dello Stato, dal responsabile e dagli incaricati, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione".

(5) Art. 4, comma 1, lett. m) del Codice:
""diffusione", il dare conoscenza dei dati personali a soggetti indeterminati, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione".

(6) Si tratta dei delitti previsti dagli articoli 600-bis, 600-ter e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies c.p.c..

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