domenica 19 dicembre 2010

Olanda, lo spinello libero solo per i residenti, la Corte di Giustizia Europea ne vieta dal 16.12.2010 l'acquisto ai forestieri

CAUSA-137/09
CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA - Sentenza del 16.12.2010

Spinello libero solo per i residenti in Olanda. La Corte di giustizia dell'Unione europea, infatti, ha stabilito il divieto di vendita di cannabis e dei suoi derivati per i non resident
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SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

16 dicembre 2010 (*)

«Libera prestazione dei servizi − Libera circolazione delle merci − Principio di non discriminazione − Provvedimento di un’autorità pubblica locale che riserva l’accesso ai coffeeshop ai residenti olandesi − Commercializzazione di droghe dette “leggere” − Commercializzazione di bevande analcoliche e di alimenti − Obiettivo diretto a contrastare il turismo della droga e i disturbi da esso provocati − Ordine pubblico − Tutela della sanità pubblica − Coerenza − Proporzionalità»

Nel procedimento C‑137/09,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Raad van State (Paesi Bassi) con decisione 8 aprile 2009, pervenuta in cancelleria il 15 aprile 2009, nella causa

Marc Michel Josemans

contro

Burgemeester van Maastricht,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. J. N. Cunha Rodrigues, presidente di sezione, dai sigg. A. Arabadjiev, A. Rosas (relatore), A. Ó Caoimh e dalla sig.ra P. Lindh, giudici,

avvocato generale: sig. Y. Bot

cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 29 aprile 2010,

considerate le osservazioni presentate:

– per il sig. Josemans, dall’avv. A. Beckers, advocaat;

– per il Burgemeester van Maastricht, dall’avv. S.A.R. Lely, advocaat;

– per il governo dei Paesi Bassi, dalle sig.re C. Wissels e M. Noort nonché dal sig. J. Langer, in qualità di agenti;

– per il governo belga, dalla sig.ra C. Pochet e dal sig. L. Goossens, in qualità di agenti;

– per il governo tedesco, dai sigg. M. Lumma e J. Möller, in qualità di agenti;

– per il governo francese, dalla sig.ra E. Belliard, dal sig. G. de Bergues e dalla sig.ra A. Czubinski, in qualità di agenti;

– per la Commissione europea, dai sigg. H. van Vliet e I. Rogalski, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 15 luglio 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 12 CE, 18 CE, 29 CE e 49 CE.

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia pendente tra il sig. Josemans, gestore del coffeeshop Easy Going, e il Burgemeester van Maastricht (Sindaco del Comune di Maastricht), perché quest’ultimo ha disposto la chiusura temporanea del locale a seguito di due accertamenti dai quali risulta che all’interno di tale locale erano state ammesse persone non residenti nei Paesi Bassi in violazione delle disposizioni vigenti in tale Comune.

Contesto normativo

La normativa dell’Unione

3 La necessità della lotta alla droga, in particolare, reprimendo il traffico illecito della stessa e prevenendo il consumo di stupefacenti nonché la tossicodipendenza, è stata riconosciuta da diversi atti e strumenti dell’Unione.

4 Il primo ‘considerando’ della decisione quadro del Consiglio 25 ottobre 2004, 2004/757/GAI, riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti (GU L 335, pag. 8), enuncia che il traffico illecito di stupefacenti rappresenta una minaccia per la salute, la sicurezza e la qualità di vita dei cittadini dell’Unione europea, oltre che per l’economia legale, la stabilità e la sicurezza degli Stati membri.

5 Ai sensi dell’art. 2, n. 1, lett. a), della decisione quadro 2004/757, ciascuno Stato membro provvede affinché siano punite le seguenti condotte intenzionali allorché non autorizzate: la produzione, la fabbricazione, l’estrazione, la preparazione, l’offerta, la commercializzazione, la distribuzione, la vendita, la consegna a qualsiasi condizione, la mediazione, la spedizione, la spedizione in transito, il trasporto, l’importazione o l’esportazione di stupefacenti. Il n. 2 di tale articolo precisa che sono escluse dal campo di applicazione della presente decisione quadro le condotte descritte al n. 1, se tenute dai loro autori soltanto ai fini del loro consumo personale quale definito dalle rispettive legislazioni nazionali.

6 Ai sensi dell’art. 1 del protocollo sull’integrazione dell’acquis di Schengen nell’ambito dell’Unione europea, allegato dal Trattato di Amsterdam al Trattato sull’Unione europea e al Trattato che istituisce la Comunità europea, tredici Stati membri dell’Unione, tra cui il Regno dei Paesi Bassi, sono autorizzati a instaurare tra loro, nell’ambito giuridico e istituzionale dell’Unione nonché dei Trattati UE e CE, una cooperazione rafforzata nel campo di applicazione dell’acquis di Schengen, come definito all’allegato di detto protocollo.

7 La convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni (GU 2000, L 239, pag. 19), firmata a Schengen (Lussemburgo) il 19 giugno 1990, rientra nell’acquis di Schengen così definito.

8 L’art. 71, n. 1, di tale convenzione dispone che le parti contraenti si impegnano, relativamente alla cessione diretta o indiretta di stupefacenti e di sostanze psicotrope di qualsiasi natura, compresa la cannabis, nonché alla detenzione di detti prodotti e sostanze allo scopo di cederli o di esportarli, ad adottare, conformemente alle vigenti convenzioni delle Nazioni Unite, tutte le misure necessarie a prevenire ed a reprimere il traffico illecito degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope.

9 Ai nn. 2-4 di tale articolo, sono precisate le varie misure che le parti si impegnano ad adottare nell’ambito della prevenzione e della repressione in particolare dell’esportazione e dell’importazione illecite di stupefacenti e di sostanze psicotrope, compresa la cannabis, nonché in quello della cessione, della fornitura e della consegna di detti prodotti e sostanze. Ai sensi del n. 5 di tale medesimo articolo, le parti si adopereranno con ogni mezzo per prevenire e lottare contro gli effetti negativi della domanda illecita di stupefacenti e di sostanze psicotrope.

10 Alcuni strumenti dell’Unione, quali la risoluzione del Consiglio 29 novembre 1996 sui provvedimenti da adottare per fronteggiare il problema del turismo della droga all’interno dell’Unione europea (GU C 375, pag. 3), nonché l’azione comune 17 dicembre 1996 adottata [dal Consiglio] sulla base dell’articolo K.3 del Trattato sull’Unione europea, relativa al ravvicinamento delle legislazioni e delle prassi degli Stati membri dell’Unione europea ai fini della lotta contro la tossicodipendenza e della prevenzione e lotta contro il traffico illecito di droga (GU L 342, pag. 6), riguardano esplicitamente la lotta al turismo della droga.

11 L’Unione ha aderito alla convenzione delle Nazioni unite contro il traffico illecito di stupefacenti e di sostanze psicotrope, conclusa a Vienna il 20 dicembre 1988 (Recueil des traités des Nations unies, vol. 1582, n. 1-27627). Secondo la dichiarazione allegata alla decisione del Consiglio 22 ottobre 1990, 90/611/CEE, relativa alla conclusione, a nome della Comunità economica europea, della convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e di sostanze psicotrope (GU L 326, pag. 56), la Comunità è competente in materia di politica commerciale per quanto riguarda le sostanze frequentemente utilizzate per la fabbricazione illecita di stupefacenti o di sostanze psicotrope.

La normativa nazionale

12 Conformemente alla legge del 1976 sugli stupefacenti (Opiumwet 1976), sono vietati la detenzione, il commercio, la coltivazione, il trasporto, la fabbricazione, l’importazione e l’esportazione di stupefacenti, ivi compresa la cannabis e i suoi derivati. Tali atti sono punibili con sanzioni penali, a meno che la sostanza o il prodotto in questione non sia utilizzato per scopi medici, scientifici o educativi, e a condizione di averne ricevuto previa autorizzazione.

13 Il Regno dei Paesi Bassi applica una politica di tolleranza relativamente alla vendita e al consumo di cannabis. Tale politica si basa sulla distinzione tra, da un lato, le droghe cosiddette «pesanti» che comportano rischi inaccettabili per la salute e, dall’altro, le droghe cosiddette «leggere» le quali, benché considerate «a rischio», non suscitano le stesse preoccupazioni.

14 La politica di tolleranza è stata attuata nell’ambito delle direttive emanate dal College van procureurs-generaal (Collegio dei procuratori generali). Le autorità competenti si sono basate sul principio dell’opportunità dell’azione penale per condurre una politica di repressione selettiva. Al fine di garantire l’efficienza del perseguimento penale, la vendita di cannabis è tollerata in quantità rigorosamente limitate e in circostanze controllate, accordando dunque priorità alla repressione di altri delitti ritenuti più pericolosi.

15 Tale politica di tolleranza si traduce in particolare nell’apertura dei coffeeshop. In tali locali, che rientrano nella categoria degli esercizi di ristorazione, la cannabis è venduta e consumata al pari degli alimenti e delle bevande analcoliche. La vendita di bevande alcoliche, invece, è vietata.

16 Le autorità locali possono autorizzare i coffeeshop nel rispetto di alcuni criteri. Per tali locali è necessaria una licenza di esercizio e il soddisfacimento degli stessi requisiti di gestione e di igiene applicabili agli altri esercizi di ristorazione.

17 Le condizioni alle quali la commercializzazione di cannabis nei coffeeshop può essere tollerata sono definite, a livello nazionale, dalle direttive dell’Openbaar Ministerie (Pubblico Ministero). Tali condizioni, note come «criteri AHOJG», sono le seguenti:

«A (“affichering”) la droga non può essere oggetto di messaggi pubblicitari; H (“harddrugs”) nessuna droga pesante può essere venduta; O (“overlast”) il coffeeshop non può essere fonte di disturbo; J (“jeugdigen”) è vietata la vendita di droga ai minori (di età inferiore a 18 anni) nonché il loro accesso ai locali; G (“grote hoeveelheden”) in qualunque transazione è vietata la vendita di una quantità superiore ai 5 grammi per persona. Inoltre, la scorta commerciale (“handelsvoorraad”) tollerata di un coffeeshop non deve eccedere i 500 grammi».

18 Il Comune di Maastricht ha attuato una politica in materia di cannabis definendo, in particolare, talune condizioni rigorose per la tolleranza di un numero limitato di coffeeshop. All’epoca dei fatti cui si riferisce la causa principale, tale numero era pari a quattordici.

19 Al fine di ridurre il turismo della droga, se non di contrastarlo, il Gemeenteraad (Consiglio comunale) di tale Comune, con decisione 20 dicembre 2005, ha introdotto un criterio di residenza nel regolamento generale del Comune di Maastricht (Algemene plaatselijke verordening Maastricht), nella sua versione del 2006 (in prosieguo: l’«APV»). Tale modifica è entrata in vigore il 13 gennaio 2006.

20 Ai sensi dell’art. 2.3.1.3e, primo comma, dell’APV, al titolare di un locale di cui all’art. 2.3.1.1, primo comma, lett. a), punto 3, di tale medesimo regolamento è vietato far accedere o sostare nel suo locale persone diverse dai residenti. La nozione di «locale» è definita da quest’ultima disposizione come uno spazio accessibile al pubblico nel quale un’impresa, servendosi eventualmente di distributori automatici, fornisce alimenti e/o bevande analcoliche da consumarsi sul posto. La nozione di «residente» si riferisce, ai sensi dell’art. 2.3.1.1, primo comma, lett. d), di detto regolamento, alle persone che hanno la loro residenza effettiva nei Paesi Bassi.

21 L’art. 2.3.1.3e, secondo comma, dell’APV prevede che il Burgemeester van Maastricht possa decidere che le disposizioni del primo comma non si applicheranno ad uno o più tipi di locali indicati in tale regolamento, nell’intero Comune o in una o più parti del medesimo da lui precisate. Con ordinanza 13 luglio 2006 il Burgemeester van Maastricht ha esonerato, nell’intero Comune di Maastricht, talune categorie di locali dall’obbligo di negare l’accesso ai non residenti: vale a dire tutti i locali di cui all’art. 2.3.1.1, primo comma, lett. a), punto 3, ad eccezione dei coffeeshop, delle sale da tè e simili, indipendentemente dalla loro denominazione.

22 In virtù dell’art. 2.3.1.5 a, lett. f), dell’APV, il Burgemeester van Maastricht può disporre la chiusura, in via provvisoria o definitiva, di un locale di cui all’art. 2.3.1.1, primo comma, lett. a), punto 3), di detto regolamento qualora il titolare del locale agisca in violazione dell’art. 2.3.1.3e, primo comma, del medesimo regolamento.

Causa principale e questioni pregiudiziali

23 Il sig. Josemans gestisce, nel Comune di Maastricht, il coffeeshop «Easy Going» locale in cui vengono vendute e consumate droghe leggere, bevande analcoliche nonché alimenti.

24 Il coffeeshop «Easy Going» rientra nella politica di tolleranza applicata dal Regno dei Paesi Bassi riguardo alla commercializzazione di cannabis. La vendita di quest’ultima, pur essendo illecita, non è perseguibile penalmente se avviene in un coffeeshop autorizzato e se sono rispettate determinate condizioni, segnatamente i criteri AHOJG.

25 A seguito di due accertamenti da cui risulta che all’interno del coffeeshop in questione erano state ammesse persone non residenti nei Paesi Bassi, in violazione dell’art. 2.3.1.3e, primo comma, dell’APV, che introduce il criterio della residenza, il Burgemeester van Maastricht, con ordinanza 7 settembre 2006, ha disposto la chiusura temporanea di tale locale.

26 Il sig. Josemans ha impugnato tale ordinanza. Poiché l’impugnazione è stata respinta dal Burgemeester van Maastricht con decisione 28 marzo 2007, il sig. Josemans ha presentato ricorso dinanzi al Rechtbank Maastricht (Tribunale dipartimentale di Maastricht). Con sentenza 1° aprile 2008, tale giudice ha annullato la citata decisione e ha revocato l’ordinanza 7 settembre 2006. Il divieto previsto dall’APV di ammettere nei coffeeshop persone non residenti nei Paesi Bassi rappresenta, secondo tale giudice, una discriminazione indiretta in base alla nazionalità, in contrasto con l’art. 1 della Costituzione di tale Stato. Non vi sarebbe invece alcuna violazione del diritto dell’Unione. Dalle sentenze 5 luglio 1988, causa 289/86, Vereniging Happy Family Rustenburgerstraat (Racc. pag. 3655), e 29 giugno 1999, causa C‑158/98, Coffeeshop «Siberië» (Racc. pag. I‑3971), emergerebbe che il commercio di stupefacenti esula dall’ambito di applicazione del Trattato CE.

27 Il sig. Josemans e il Burgemeester van Maastricht, rispettivamente il 5 e l’8 maggio 2008, hanno impugnato tale sentenza dinanzi al Raad van State. Il Burgemeester van Maastricht contesta l’interpretazione della Costituzione olandese. Il sig. Josemans sostiene, dal canto suo, che la normativa di cui trattasi nella causa principale comporta una disparità di trattamento ingiustificata tra i cittadini dell’Unione e che, più in particolare, le persone non residenti nei Paesi Bassi non possono acquistare prodotti legali nei coffeeshop, in violazione del diritto dell’Unione.

28 Pertanto, il Raad van State ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se una regolamentazione come quella di cui trattasi nella causa principale, vertente sull’accesso di non residenti ai coffeeshop, rientri integralmente o parzialmente nell’ambito di applicazione del Trattato CE e, in particolare, della libera circolazione delle merci o della libera prestazione dei servizi oppure del principio di non discriminazione di cui all’art. 12[CE], in combinato disposto con l’art. 18 CE.

2) Nei limiti in cui siano applicabili le disposizioni del Trattato CE relative alla libera circolazione delle merci o alla libera prestazione dei servizi, se il divieto di ammissione dei non residenti ai coffeeshop costituisca un mezzo idoneo e proporzionato per ridurre il turismo della droga e il disturbo da esso provocato.

3) Se il divieto di discriminazione tra cittadini in base alla nazionalità, di cui all’art. 12 CE, in combinato disposto con l’art. 18 CE, sia applicabile alla regolamentazione dell’accesso di non residenti ai coffeeshop qualora non trovino applicazione le disposizioni del Trattato CE sulla libera circolazione delle merci e la libera prestazione dei servizi.

4) In caso di risposta affermativa, se la relativa discriminazione indiretta tra residenti e non residenti sia giustificata e se il divieto di ammissione di non residenti ai coffeeshop rappresenti un mezzo idoneo e proporzionato per ridurre il turismo della droga e il disturbo da esso provocato».

Sulle questioni pregiudiziali

Osservazioni preliminari

29 Con la sua domanda di pronuncia pregiudiziale il giudice del rinvio intende chiarire se il diritto dell’Unione osti a una regolamentazione comunale, quale quella controversa nella causa principale, che vieta l’ammissione di persone non residenti nei Paesi Bassi ai coffeeshop situati nel Comune in questione. Essa fa riferimento più in particolare alla libera circolazione delle merci disciplinata dagli artt. 28 CE e segg., alla libera prestazione dei servizi enunciata dagli artt. 49 CE e segg., nonché al principio di non discriminazione in base alla nazionalità, sancito dall’art. 12 CE, in combinato disposto con l’art. 18 CE, relativo alla cittadinanza dell’Unione.

30 È opportuno ricordare, innanzitutto, come emerge dai punti 15-17 della presente sentenza, che i coffeeshop sono locali che rientrano nella categoria degli esercizi di ristorazione nei quali la cannabis è venduta a consumatori che abbiano compiuto almeno 18 anni. Un locale del genere richiede una licenza di esercizio e deve, inoltre, soddisfare tutti i criteri AHOJG.

31 È pacifico che la cannabis venduta nei coffeeshop non rientra nel circuito rigorosamente sorvegliato dalle competenti autorità in vista dell’uso per scopi medici o scientifici.

32 Se è pur vero, secondo il governo dei Paesi Bassi, che esistono locali del genere la cui attività è dedicata esclusivamente alla commercializzazione della cannabis, tuttavia, in molti coffeeshop, sono vendute e consumate altresì bevande analcoliche e alimenti. Secondo la decisione di rinvio, ciò si verifica, segnatamente, nel caso del coffeeshop «Easy Going».

33 Di conseguenza, occorre valutare, con riferimento alle disposizioni indicate nella domanda di pronuncia pregiudiziale, da un lato, l’attività consistente nella commercializzazione della cannabis nei coffeeshop e, dall’altro, la questione se la vendita di bevande analcoliche e di alimenti, in tali locali, possa avere un’incidenza sulla risposta da dare al giudice del rinvio.

Sulla prima questione

34 Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se un gestore di coffeeshop, nell’ambito della sua attività consistente nella commercializzazione, da un lato, di stupefacenti non rientranti nel circuito rigorosamente sorvegliato dalle competenti autorità in vista dell’uso per scopi medici o scientifici e, dall’altro, di bevande analcoliche e di alimenti, possa avvalersi degli artt. 29 CE, 49 CE e/o 12 CE, quest’ultimo in combinato disposto con l’art. 18 CE, al fine di opporsi a una regolamentazione comunale, quale quella di cui trattasi nella causa principale.

35 Per quanto attiene alla commercializzazione della cannabis, il sig. Josemans ritiene che tale attività rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione e che la regolamentazione di cui trattasi nella causa principale sia contraria al principio di non discriminazione in base alla nazionalità. Il Burgemeester van Maastricht, nonché i governi dei Paesi Bassi, belga, tedesco e francese sostengono, invece, che l’attività in questione non rientra né nell’ambito di applicazione delle libertà di circolazione né in quello del principio di non discriminazione, tenuto conto dell’esistenza di un divieto di messa in vendita di stupefacenti. La Commissione europea ritiene che, per statuire sulla domanda di decisione pregiudiziale, non sia necessario pronunciarsi sulla commercializzazione della cannabis.

36 In tale contesto occorre ricordare che, poiché la nocività degli stupefacenti, compresi quelli a base di canapa, quali la cannabis, è generalmente ammessa, la loro commercializzazione è vietata in tutti gli Stati membri, fatta eccezione per un commercio rigorosamente controllato in vista dell’uso per scopi medici e scientifici (v., in tal senso, sentenze 5 febbraio 1981, causa 50/80, Horvath, Racc. pag. 385, punto 10; 26 ottobre 1982, causa 221/81, Wolf, Racc. pag. 3681, punto 8; 26 ottobre 1982, causa 240/81, Einberger, Racc. pag. 3699, punto 8; 28 febbraio 1984, causa 294/82, Einberger, Racc. pag. 1177, punto 15; 5 luglio 1988, causa 269/86, Mol, Racc. pag. 3627, punto 15, e Vereniging Happy Family Rustenburgerstraat, cit., punto 17).

37 Tale situazione giuridica è in linea con diversi strumenti internazionali a cui gli Stati membri hanno cooperato o aderito, quali la convenzione unica delle Nazioni unite sugli stupefacenti, conclusa a New York il 30 marzo 1961, modificata dal protocollo del 1972 recante modifica della convenzione unica del 1961 (Recueil des traités des Nations unies, vol. 520, n. 7515; in prosieguo: la «convenzione unica»), e la convenzione delle Nazioni unite sulle sostanze psicotrope, conclusa a Vienna il 21 febbraio 1971 (Recueil des traités des Nations unies, vol. 1019, n. 14956). Le misure previste da queste ultime sono state successivamente rafforzate e completate dalla convenzione conclusa a Vienna il 20 dicembre 1988, a cui tutti gli Stati membri nonché l’Unione hanno aderito. Tra le sostanze e i prodotti indicati in tali convenzioni figura la cannabis.

38 Nel preambolo della convenzione unica, le parti si dichiarano consapevoli del dovere che incombe loro di prevenire e di combattere la tossicodipendenza, pur riconoscendo che l’utilizzazione medicinale degli stupefacenti permane indispensabile per alleviare il dolore e che le misure volute devono essere adottate per assicurare che siano disponibili stupefacenti a questo scopo. In forza dell’art. 4 di tale convenzione, le parti adottano tutte le misure necessarie per limitare esclusivamente a fini medicinali e scientifici la produzione, la fabbricazione, l’esportazione, l’importazione, la distribuzione, il commercio, l’impiego e la detenzione degli stupefacenti (v. citate sentenze Wolf, punto 9, e 26 ottobre 1982, Einberger, punto 9).

39 Per quanto riguarda più in particolare il diritto dell’Unione, l’art. 2, n. 1, lett. a), della decisione quadro 2004/757 prevede che ciascuno Stato membro provveda, in particolare, affinché siano punite le seguenti condotte intenzionali allorché non autorizzate: l’offerta, la commercializzazione, la distribuzione, la vendita, la consegna a qualsiasi condizione e la mediazione di droghe. Ai sensi del n. 2 di tale articolo, sono escluse dal campo di applicazione della presente decisione quadro le condotte descritte al n. 1, se tenute dai loro autori soltanto ai fini del loro consumo personale, quale definito dalle rispettive legislazioni nazionali. L’art. 1, punto 1, di tale atto precisa che la nozione di «droga» comprende tutte le sostanze contemplate dalla convenzione unica e dalla convenzione delle Nazioni unite sulle sostanze psicotrope, conclusa a Vienna il 21 febbraio 1971.

40 Inoltre, in forza dell’art. 71, n. 1, della convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985, gli Stati aderenti alla medesima si sono impegnati, tanto relativamente alla cessione diretta o indiretta di stupefacenti e di sostanze psicotrope di qualsiasi natura, compresa la cannabis, quanto alla detenzione di detti prodotti e sostanze allo scopo di cederli o di esportarli, ad adottare, conformemente alle vigenti convenzioni delle Nazioni Unite, tutte le misure necessarie a prevenire ed a reprimere il traffico illecito degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope.

41 Ne deriva che gli stupefacenti non presenti nel circuito rigorosamente sorvegliato dalle competenti autorità in vista dell’uso per scopi medici o scientifici rientrano, per loro stessa natura, in un divieto di importazione e di commercializzazione in tutti gli Stati membri (v., in tal senso, citate sentenze Wolf, punto 10; 26 ottobre 1982, Einberger, punto 10; 28 febbraio 1984, Einberger, punto 15; Mol, punti 15 e 18; Vereniging Happy Family Rustenburgerstraat, punti 17 e 20, nonché Coffeeshop «Siberië», punto 14). La circostanza che taluni Stati membri qualifichino gli stupefacenti come droghe «leggere» non è idonea a rimettere in discussione tale affermazione (v., in tal senso, sentenza Vereniging Happy Family Rustenburgerstraat, cit., punto 25).

42 Dato il divieto di immissione nel circuito economico e commerciale dell’Unione di stupefacenti non rientranti in un siffatto circuito rigorosamente sorvegliato, un gestore di coffeeshop non può avvalersi delle libertà di circolazione o del principio di non discriminazione, per quanto riguarda l’attività consistente nella commercializzazione di cannabis, al fine di opporsi a una regolamentazione comunale, quale quella di cui trattasi nella causa principale.

43 Tale conclusione non può essere contraddetta dalla circostanza che, come emerge dai precedenti punti 12-14, il Regno dei Paesi Bassi applica una politica di tolleranza nei confronti della vendita di cannabis sebbene il commercio di stupefacenti sia vietato in tale Stato membro. Infatti, dalla giurisprudenza della Corte risulta che un siffatto divieto non viene meno per il solo fatto che le autorità incaricate di applicarlo, tenendo conto in particolare delle disponibilità limitate di uomini e di mezzi, mettano in secondo piano la repressione di un determinato tipo di commercio di stupefacenti poiché considerano più pericolosi altri tipi di commercio. Tale comportamento non può affatto portare ad equiparare il traffico illecito di stupefacenti al circuito economico rigorosamente sorvegliato dalle autorità competenti nel campo medico e scientifico. Infatti, quest’ultimo traffico è effettivamente legalizzato, mentre il traffico illecito, anche se è tollerato, resta vietato (v., in tal senso, sentenza Vereniging Happy Family Rustenburgerstraat, cit., punto 29).

44 Riguardo alla commercializzazione di bevande analcoliche e di alimenti nei coffeeshop, il sig. Josemans, il governo tedesco e la Commissione ritengono che la Corte debba valutare gli effetti della regolamentazione di cui trattasi nella causa principale sull’esercizio di tale attività. Il governo tedesco sottolinea che tali prodotti devono essere consumati sul posto. La Commissione dubita che i non residenti ne acquistino con l’intento di esportarli nei loro Stati di residenza. Pertanto, le disposizioni applicabili sarebbero quelle che disciplinano la libera prestazione dei servizi ai sensi dell’art. 49 CE, e non quelle sulla libera circolazione delle merci ai sensi dell’art. 29 CE.

45 Il Burgemeester van Maastricht, nonché i governi dei Paesi Bassi, belga e francese sostengono, dal canto loro, che la commercializzazione di bevande analcoliche e di alimenti, in tali locali, è del tutto secondaria rispetto a quella della cannabis e non può avere alcuna incidenza sulla soluzione della causa principale.

46 Quest’ultima tesi non può essere accolta. Pur riconoscendo che i coffeeshop sono principalmente dedicati alla vendita e al consumo di cannabis, nondimeno, la commercializzazione, in tali locali, di bevande analcoliche e di alimenti rappresenta, di regola, un’attività economica non trascurabile. Rispondendo ad un quesito posto dalla Corte, il governo dei Paesi Bassi ha precisato, all’udienza, che tale attività rappresenta generalmente tra il 2,5% e il 7,1% del fatturato dei coffeeshop del Comune di Maastricht. Per quanto riguarda, in particolare, la situazione economica del coffeeshop «Easy Going», secondo le indicazioni fornite dal sig. Josemans, la quota del fatturato di tale locale ascrivibile alla vendita di tali prodotti è compresa tra tali valori.

47 Pertanto, occorre esaminare se, ed eventualmente, in che misura la regolamentazione di cui trattasi nella causa principale possa incidere, per quanto riguarda la commercializzazione di bevande analcoliche e di alimenti, sull’esercizio delle libertà di circolazione disciplinate dagli artt. 29 CE e 49 CE ovvero possa ledere il principio di non discriminazione «in base alla nazionalità» ai sensi dell’art. 12 CE, in combinato disposto con l’art. 18 CE.

48 Per stabilire se una siffatta attività si riferisca alla libera circolazione delle merci o alla libera prestazione dei servizi, occorre ricordare che la nozione di locale è definita, all’art. 2.3.1.1, primo comma, lett. a), punto 3, dell’APV, come uno spazio accessibile al pubblico nel quale un’impresa, servendosi eventualmente di distributori automatici, fornisce alimenti e/o bevande analcoliche da consumarsi sul posto.

49 In tale contesto, come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 76 delle sue conclusioni, risulta che la commercializzazione di bevande analcoliche e di alimenti nei coffeeshop costituisca un’attività di ristorazione, caratterizzata da un insieme di elementi e di atti nell’ambito dei quali i servizi predominano rispetto alla cessione del bene stesso (v., per analogia, sentenza 10 marzo 2005, causa C‑491/03, Hermann, Racc. pag. I‑2025, punto 27).

50 Poiché l’aspetto della libera circolazione delle merci è del tutto secondario rispetto a quello della libera prestazione dei servizi, e dal momento che la prima può essere ricollegata alla seconda, la Corte esamina la regolamentazione di cui trattasi nella causa principale soltanto con riferimento a quest’ultima libertà fondamentale (v., in tal senso, sentenze 24 marzo 1994, causa C‑275/92, Schindler, Racc. pag. I‑1039, punto 22; 25 marzo 2004, causa C‑71/02, Karner, Racc. pag. I‑3025, punto 46; 14 ottobre 2004, causa C‑36/02, Omega, Racc. pag. I‑9609, punto 26; 3 ottobre 2006, causa C‑452/04, Fidium Finanz, Racc. pag. I‑9521, punto 34, nonché 1° luglio 2010, causa C‑233/09, Dijkman e Dijkman-Laveleije, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 33).

51 Per quanto riguarda l’applicabilità dell’art. 12 CE, che sancisce il principio generale del divieto di ogni discriminazione fondata sulla nazionalità, va osservato che tale disposizione tende ad applicarsi autonomamente soltanto nelle situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione per le quali il Trattato CE non stabilisca regole specifiche di non discriminazione (v., in particolare, sentenze 30 maggio 1989, causa 305/87, Commissione/Grecia, Racc. pag. 1461, punti 12 e 13; 11 ottobre 2007, causa C‑443/06, Hollmann, Racc. pag. I‑8491, punto 28, nonché 10 settembre 2009, causa C‑269/07, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑7811, punto 98).

52 Dal momento che, nell’ambito della libera prestazione dei servizi, il principio di non discriminazione è stato attuato dall’art. 49 CE, l’art. 12 CE non è applicabile in circostanze come quelle di cui alla causa principale.

53 Riguardo all’applicabilità dell’art. 18 CE, che enuncia in maniera generale il diritto, per ogni cittadino dell’Unione, di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, occorre constatare che tale disposizione trova specifica espressione nelle disposizioni che garantiscono la libera prestazione dei servizi (v., in particolare, sentenze 6 febbraio 2003, causa C‑92/01, Stylianakis, Racc. pag. I‑1291, punto 18; 11 settembre 2007, causa C‑76/05, Schwarz e Gootjes-Schwarz, Racc. pag. I‑6849, punto 34, nonché 20 maggio 2010, causa C‑56/09, Zanotti, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 24). Dal momento che i cittadini dell’Unione che non risiedono nei Paesi Bassi e desiderano recarsi nei coffeeshop, nel Comune di Maastricht, per consumarvi prodotti legali devono essere considerati «destinatari» di servizi, ai sensi dell’art. 49 CE, non è necessario che la Corte si pronunci sull’interpretazione dell’art. 18 CE.

54 Di conseguenza, si deve risolvere la prima questione dichiarando che, nell’ambito della sua attività consistente nella commercializzazione di stupefacenti non rientranti nel circuito rigorosamente sorvegliato dalle competenti autorità in vista dell’uso per scopi medici o scientifici, un gestore di coffeeshop non può avvalersi degli artt. 12 CE, 18 CE, 29 CE ovvero 49 CE per opporsi a una regolamentazione comunale, quale quella di cui trattasi nella causa principale, che vieta l’ammissione di persone non residenti nei Paesi Bassi a tali locali. Riguardo all’attività consistente nella commercializzazione di bevande analcoliche e di alimenti in tali medesimi locali, gli artt. 49 CE e segg. possono essere utilmente invocati da un tale gestore.

Sulla seconda questione

55 La seconda questione è stata sottoposta per l’ipotesi in cui le disposizioni che disciplinano la libera circolazione delle merci ovvero quelle relative alla libera prestazione dei servizi siano applicabili nelle circostanze della causa principale. Essa intende chiarire, in sostanza, se una regolamentazione comunale, come quella di cui trattasi nella causa principale, costituisca una limitazione all’esercizio di una di tali libertà, e, eventualmente, se il citato provvedimento possa essere giustificato dall’obiettivo diretto a contrastare il turismo della droga e il disturbo da esso provocato, e, infine, se esso rappresenti un provvedimento proporzionato con riguardo a tale obiettivo.

56 Alla luce della soluzione fornita alla prima questione, si deve valutare tale questione con riferimento solo agli artt. 49 CE e segg., limitandosi all’esame degli effetti di detta regolamentazione sulla commercializzazione, nei coffeeshop, di bevande analcoliche e di alimenti.

57 È pacifico che, in forza della regolamentazione di cui trattasi nella causa principale, all’interno dei coffeeshop sono ammessi soltanto i «residenti». Tale nozione indica, ai sensi dell’art. 2.3.1.1, primo comma, lett. d), dell’APV, qualunque persona che ha la sua residenza effettiva nei Paesi Bassi. Pertanto, i gestori di tali locali non possono fornire servizi di ristorazione alle persone residenti in altri Stati membri e queste ultime sono escluse dalla fruizione di tali servizi.

58 Dalla giurisprudenza della Corte risulta che il principio della parità di trattamento, del quale l’art. 49 CE è specifica espressione, vieta non soltanto le discriminazioni palesi basate sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi forma di discriminazione dissimulata che, mediante il ricorso ad altri criteri distintivi, produca, in pratica, lo stesso risultato (v., in particolare, sentenze 5 dicembre 1989, causa C‑3/88, Commissione/Italia, Racc. pag. 4035, punto 8; 16 gennaio 2003, causa C‑388/01, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑721, punto 13; 30 giugno 2005, causa C‑28/04, Tod’s e Tod’s France, Racc. pag. I‑5781, punto 19, nonché 7 luglio 2005, causa C‑147/03, Commissione/Austria, Racc. pag. I‑5969, punto 41).

59 Ciò avviene, in particolare, nel caso di una misura che preveda una distinzione basata sul criterio della residenza, in quanto quest’ultimo rischia di operare principalmente a danno dei cittadini di altri Stati membri, considerato che il più delle volte i non residenti sono cittadini di altri Stati membri (v., in particolare, sentenze 29 aprile 1999, causa C‑224/97, Ciola, Racc. pag. I‑2517, punto 14; 16 gennaio 2003, Commissione/Italia, cit., punto 14; 1° ottobre 2009, causa C‑103/08, Gottwald, Racc. pag. I‑9117, punto 28, nonché 13 aprile 2010, causa C‑73/08, Bressol e a., non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 45).

60 Tuttavia, occorre esaminare se siffatta restrizione possa essere oggettivamente giustificata da interessi legittimi riconosciuti dal diritto dell’Unione.

61 Il governo tedesco ritiene che la regolamentazione di cui trattasi nella causa principale sia giustificata dalle disposizioni di deroga previste dall’art. 46, n. 1, CE, in combinato disposto con l’art. 55 CE, vale a dire le ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica. Il Burgemeester van Maastricht nonché il governo belga deducono le ragioni di ordine pubblico e di pubblica sicurezza in via subordinata. Secondo il governo dei Paesi Bassi, la necessità di contrastare il turismo della droga rappresenta un obiettivo di interesse generale ai sensi della giurisprudenza iniziata con la sentenza 20 febbraio 1979, causa 120/78, Rewe-Zentral, detta «Cassis de Dijon» (Racc. pag. 649).

62 Pur riconoscendo l’importanza della lotta al turismo della droga, la Commissione sostiene che, avendo un carattere discriminatorio, la citata regolamentazione può essere compatibile con il diritto dell’Unione soltanto se essa rientra in una disposizione espressa di deroga, vale a dire l’art. 46 CE, in combinato disposto con l’art. 55 CE. Le deroghe previste da tali disposizioni dovrebbero essere interpretate restrittivamente. Per quanto attiene più in particolare alle ragioni di ordine pubblico, queste potrebbero essere invocate solamente in caso di minaccia effettiva e sufficientemente grave ad un interesse fondamentale della collettività (v., in particolare, sentenza 27 ottobre 1977, causa 30/77, Bouchereau, Racc. pag. 1999, punto 35).

63 Nel caso di specie, è pacifico che la regolamentazione di cui trattasi nella causa principale è orientata a porre fine ai disturbi causati dal grande numero di turisti desiderosi di acquistare o consumare cannabis nei coffeeshop nel Comune di Maastricht. Secondo le informazioni fornite dal Burgemeester van Maastricht all’udienza, i quattordici coffeeshop di tale Comune attirerebbero circa 10 000 visitatori al giorno e poco più di 3,9 milioni all’anno, il 70% dei quali non risiederebbe nei Paesi Bassi.

64 Il Burgemeester van Maastricht e il governo dei Paesi Bassi osservano che i problemi connessi alla vendita di droghe leggere presenti in tale Comune, quali le differenti forme di disturbo e di criminalità, nonché il numero crescente di punti vendita illegali di droghe, compresi quelli di droghe pesanti, si sono aggravati con il turismo della droga. I governi belga, tedesco e francese si riferiscono alle turbative all’ordine pubblico che tale fenomeno, ivi compresa l’esportazione illegale di cannabis, provoca negli Stati membri diversi dal Regno dei Paesi Bassi, in particolare negli Stati con essi confinanti.

65 Si deve osservare che la lotta al turismo della droga ed i disturbi che esso provoca si collocano nel contesto della lotta alla droga. Essa si collega sia al mantenimento dell’ordine pubblico sia alla tutela della salute dei cittadini, e ciò a livello tanto degli Stati membri quanto dell’Unione.

66 Tenuto conto degli impegni assunti dall’Unione e dai suoi Stati membri, non vi è alcun dubbio che gli obiettivi succitati rappresentano un legittimo interesse idoneo a giustificare, in linea di principio, una limitazione degli obblighi imposti dal diritto dell’Unione, ancorché derivanti da una libertà fondamentale quale la libera prestazione dei servizi.

67 Ciò premesso, occorre ricordare, come risulta dai punti 11, 37 e 38 della presente sentenza, che la necessità di contrastare la droga è stata sancita da svariate convenzioni internazionali ai quali gli Stati membri, ed anche l’Unione, hanno cooperato e aderito. Nei preamboli di tali strumenti sono ricordati il pericolo rappresentato, in particolare, dalla domanda e dal traffico illecito di stupefacenti e di sostanze psicotrope per la salute e il benessere degli individui, nonché gli effetti nocivi che tali fenomeni hanno sui fondamenti economici, culturali e politici della società.

68 Inoltre, la necessità di contrastare la droga, in particolare mediante la prevenzione della tossicodipendenza e la repressione del traffico illecito di tali prodotti o sostanze, è stata sancita rispettivamente dall’art. 152, n. 1, CE, nonché dagli artt. 29 UE e 31 UE. Riguardo alle disposizioni del diritto derivato, il primo ‘considerando’ della decisione quadro 2004/757 enuncia che il traffico illecito di stupefacenti rappresenta una minaccia per la salute, la sicurezza e la qualità di vita dei cittadini dell’Unione oltre che per l’economia legale, la stabilità e la sicurezza degli Stati membri. Del resto, come emerge dal punto 10 della presente sentenza, alcuni strumenti dell’Unione riguardano esplicitamente la prevenzione del turismo della droga.

69 Tuttavia, provvedimenti restrittivi della libera prestazione dei servizi possono essere giustificati dall’obiettivo volto alla lotta al turismo della droga e ai disturbi da esso provocati soltanto se essi sono idonei a garantire la realizzazione di tale obiettivo e non eccedono quanto necessario per conseguirlo (v., in tal senso, sentenze Omega, cit., punto 36; 11 dicembre 2007, causa C‑438/05, International Transport Workers’ Federation e Finnish Seamen’s Union, Racc. pag. I‑10779, punto 75, nonché 14 febbraio 2008, causa C‑244/06, Dynamic Medien, Racc. pag. I‑505, punto 42).

70 In tale contesto, occorre ricordare che un provvedimento restrittivo può essere considerato idoneo a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito solo se risponde realmente all’intento di raggiungerlo in modo coerente e sistematico (v., in tal senso, sentenze 10 marzo 2009, causa C‑169/07, Hartlauer, Racc. pag. I‑1721, punto 55; 19 maggio 2009, cause riunite C‑171/07 e C‑172/07, Apothekerkammer des Saarlandes e a., Racc. pag. I‑4171, punto 42, nonché 8 settembre 2009, causa C‑42/07, Liga Portuguesa de Futebol Profissional e Bwin International, Racc. pag. I‑7633, punti 59-61).

71 Il sig. Josemans mette in discussione l’idoneità e la proporzionalità della regolamentazione di cui trattasi nella causa principale. Quest’ultima riguarderebbe esclusivamente i coffeeshop. Orbene, in applicazione dei criteri AHOJG, tali locali, contrariamente ai punti vendita illegali di droghe attivi nel Comune di Maastricht, sarebbero costretti a lottare contro i disturbi causati dalla loro clientela. Inoltre, detta regolamentazione spingerebbe i turisti della droga verso un circuito illegale.

72 La Commissione solleva dubbi in merito alla necessità della regolamentazione di cui trattasi nella causa principale, nonché in merito alla coerenza della stessa. Essa sottolinea che i provvedimenti nazionali diretti a contrastare i disturbi causati dal consumo di droghe dovrebbero basarsi su criteri oggettivi e non discriminatori. In tale contesto, essa ricorda la sentenza 18 maggio 1982, cause riunite 115/81 e 116/81, Adoui e Cornuaille (Racc. pag. 1665), vertente sul diritto di soggiorno e di stabilimento delle prostitute, nonché la giurisprudenza che ne deriva.

73 Il Burgemeester van Maastricht nonché i governi dei Paesi Bassi, belga e tedesco ritengono, al contrario, che la regolamentazione di cui trattasi nella causa principale costituisca un mezzo idoneo e proporzionato per contrastare il turismo della droga e i disturbi da esso provocati. Il Burgemeester van Maastricht e il governo dei Paesi Bassi rilevano che i differenti provvedimenti adottati dai comuni che applicano una politica di tolleranza nei confronti dei coffeeshop, per fronteggiare tale fenomeno, non hanno consentito il raggiungimento dell’obiettivo perseguito.

74 Nel caso di specie, è innegabile che la politica di tolleranza applicata dal Regno dei Paesi Bassi riguardo alla vendita di cannabis induce persone residenti in altri Stati membri a spostarsi verso tale Stato, e più in particolare verso i comuni in cui i coffeeshop sono tollerati, in particolare nelle zone al confine, per acquistare e consumare tale stupefacente. Peraltro, stando agli elementi risultanti dal fascicolo, una parte di tali persone effettuerebbe acquisti di cannabis, in tali locali, in vista di un’esportazione illegale di tale droga in altri Stati membri.

75 È innegabile che un divieto di ammissione dei non residenti ai coffeeshop, quale quello oggetto della controversia nella causa principale, costituisce un provvedimento idoneo a limitare in modo sostanziale il turismo della droga e, di conseguenza, a ridurre i problemi da esso causati.

76 Ciò premesso, occorre sottolineare che il carattere discriminatorio della regolamentazione di cui trattasi nella causa principale, di per sé, non significa necessariamente che essa persegue incoerentemente l’obiettivo voluto. Se è pur vero che la Corte ha statuito, nella citata sentenza Adoui e Cornuaille, che uno Stato membro non può far valere utilmente le ragioni di ordine pubblico nei confronti di un comportamento di un non cittadino, se esso non adotta misure repressive o altre misure concrete ed effettive qualora tale stesso comportamento sia posto in essere dai propri cittadini, tuttavia, la causa principale si inserisce in un contesto giuridico differente.

77 Infatti, come è stato ricordato al precedente punto 36, la commercializzazione di stupefacenti è vietata in tutti gli Stati membri, in applicazione del diritto internazionale e di quello dell’Unione, fatta eccezione per un commercio rigorosamente controllato di tali prodotti o sostanze in vista del loro uso per scopi medici e scientifici. Al contrario, il comportamento oggetto della sentenza citata al punto precedente, vale a dire la prostituzione, ad eccezione della tratta di esseri umani, non è vietato dal diritto internazionale o da quello dell’Unione. Infatti, esso è tollerato o disciplinato in molti Stati membri (v., in tal senso, sentenza 20 novembre 2001, causa C‑268/99, Jany e a., Racc. pag. I‑8615, punto 57).

78 Orbene, non può essere dichiarato incoerente il fatto che uno Stato membro adotti provvedimenti adeguati per fronteggiare un afflusso notevole di residenti provenienti da altri Stati membri e desiderosi di fruire della commercializzazione, tollerata in tale Stato, di prodotti che, per loro stessa natura, rientrano in un divieto di messa in vendita in tutti gli Stati membri.

79 Per quanto attiene alla portata della regolamentazione di cui trattasi nella causa principale, occorre ricordare che la stessa si applica soltanto ai locali la cui attività principale consiste nella commercializzazione di cannabis. Essa non osta affatto a che una persona non residente nei Paesi Bassi si rechi, nel Comune di Maastricht, in altri esercizi di ristorazione per ivi consumare bevande analcoliche e alimenti. Secondo il governo dei Paesi Bassi, tali locali sarebbero oltre 500.

80 Riguardo alla possibilità di adottare provvedimenti meno restrittivi della libera prestazione dei servizi, emerge dagli atti che, nei comuni che applicano una politica di tolleranza nei confronti dei coffeeshop, sono state attuate diverse misure per contrastare il turismo della droga e il disturbo da esso provocato, quali la limitazione del numero di coffeeshop o degli orari di apertura di tali locali, l’attuazione di un sistema che consente ai clienti di accedere ai locali mediante carte oppure la riduzione della quantità di cannabis acquistabile per persona. Secondo le indicazioni fornite dal Burgemeester van Maastricht e dal governo dei Paesi Bassi, tali misure si sono tuttavia rivelate insufficienti e inefficaci rispetto all’obiettivo perseguito.

81 Per quanto riguarda più in particolare la possibilità di consentire l’accesso ai coffeeshop ai non residenti, pur negando loro la vendita di cannabis, occorre rilevare che non è facile controllare e sorvegliare con precisione che tale prodotto non venga servito ai non residenti né venga da essi consumato. Inoltre, si potrebbe temere che un siffatto approccio favorisca il commercio illegale o la rivendita di cannabis da parte dei residenti ai non residenti all’interno dei coffeeshop.

82 Orbene, non si può negare agli Stati membri la possibilità di perseguire l’obiettivo diretto a contrastare il turismo della droga e il disturbo da esso provocato mediante l’introduzione di regole generali che siano facilmente gestite e controllate dalle autorità nazionali (v., per analogia, sentenza 10 febbraio 2009, causa C‑110/05, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑519, punto 67, nonché 4 giugno 2009, causa C‑142/05, Mickelsson e Roos, Racc. pag. I‑4273, punto 36). Nel caso di specie, nessun atto del fascicolo lascia presumere che l’obiettivo perseguito potrebbe essere garantito ad un livello quale quello risultante dalla regolamentazione di cui trattasi nella causa principale, consentendo l’accesso ai coffeeshop ai non residenti pur negando loro la vendita di cannabis.

83 Tutto ciò premesso, occorre constatare che una regolamentazione quale quella di cui trattasi nella causa principale è idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo diretto a contrastare il turismo della droga e il disturbo da esso provocato, e non eccede quanto necessario per conseguirlo.

84 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve risolvere la seconda questione dichiarando che l’art. 49 CE deve essere interpretato nel senso che una regolamentazione, quale quella di cui trattasi nella causa principale, rappresenta una limitazione alla libera prestazione dei servizi sancita dal Trattato CE. Tale limitazione è tuttavia giustificata dall’obiettivo diretto a contrastare il turismo della droga e il disturbo da esso provocato.

Sulla terza e quarta questione

85 La terza e quarta questione sono state sollevate in via subordinata e sono relative all’applicazione del principio di non discriminazione in base alla nazionalità sancito dall’art. 12 CE, in combinato disposto con l’art. 18 CE che disciplina la libera circolazione dei cittadini dell’Unione.

86 In considerazione della soluzione fornita alla prima questione, non è necessario procedere alla soluzione di tali questioni.

Sulle spese

87 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

1) Nell’ambito della sua attività consistente nella commercializzazione di stupefacenti non rientranti nel circuito rigorosamente sorvegliato dalle competenti autorità in vista dell’uso per scopi medici o scientifici, un gestore di coffeeshop non può avvalersi degli artt. 12 CE, 18 CE, 29 CE ovvero 49 CE per opporsi a una regolamentazione comunale, quale quella di cui trattasi nella causa principale, che vieta l’ammissione di persone non residenti nei Paesi Bassi a tali locali. Riguardo all’attività consistente nella commercializzazione di bevande analcoliche e di alimenti in tali medesimi locali, gli artt. 49 CE e segg. possono essere utilmente invocati da un tale gestore.

2) L’art. 49 CE deve essere interpretato nel senso che una regolamentazione, quale quella di cui trattasi nella causa principale, rappresenta una limitazione alla libera prestazione dei servizi sancita dal Trattato CE. Tale limitazione è tuttavia giustificata dall’obiettivo diretto a contrastare il turismo della droga e il disturbo da esso provocato.

Firme

* Lingua processuale: l’olandese.

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

Yves Bot

presentate il 15 luglio 2010 (1)

Causa C-137/09

Marc Michel Josemans

contro

Burgemeester van Maastricht

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Raad van State (Paesi Bassi)]

«Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Libera prestazione dei servizi – Ambito di applicazione ratione materiae – Vendita di stupefacenti – Provvedimento di una pubblica autorità locale che riserva l’accesso ai coffeeshop ai soli residenti olandesi – Lotta contro il turismo della droga – Obblighi che incombono agli Stati membri in forza degli artt. 4 TUE e 72 TFUE – Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen – Art. 71, n. 5 – Tutela dell’ordine pubblico nazionale e dell’ordine pubblico europeo»




I – Introduzione

A – Presentazione generale della causa

1. Il principio della libera prestazione dei servizi garantito dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea è applicabile alla vendita di sostanze stupefacenti? In altri termini, il responsabile di un coffeeshop può invocare tale principio per legittimare la sua attività e il cittadino di uno Stato membro può avvalersi di tale libertà per fare uso di droga in un altro Stato membro?

2. Dietro tali semplici questioni se ne profilano altre, più delicate. Intendiamo costruire un’Europa nell’ambito della quale produttore, distributore o destinatario possano liberamente avvalersi delle libertà di circolazione garantite dal Trattato per coltivare, trasportare, offrire oppure consumare droga? Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia che stiamo costruendo oggi ambisce a servire gli interessi del commercio della droga?

3. Sono queste, in sostanza, le questioni sollevate dal presente rinvio pregiudiziale.

4. La causa in esame si colloca nel quadro dell’inasprimento della politica di tolleranza adottata dal Regno dei Paesi Bassi riguardo alla vendita di cannabis nei coffeeshop. Il Burgemeester van Maastricht (sindaco di Maastricht), consapevole delle ripercussioni transfrontaliere di tale politica e delle numerose turbative arrecate all’ordine pubblico a causa della massiccia e crescente frequentazione di tali locali, ha deciso di riservare l’accesso a questi ultimi ai soli residenti olandesi (in prosieguo: il «provvedimento controverso»). Un siffatto provvedimento, ove riguardasse un comune locale di ristorazione destinato unicamente alla vendita di prodotti di consumo legali, costituirebbe un palese ostacolo alle libertà di circolazione garantite dal Trattato. Orbene, tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, poiché, a sostanziale differenza degli snack-bar e degli altri locali di ristorazione rapida, nei quali vengono vendute bevande analcoliche e panini da asporto, l’attività principale dei coffeeshop consiste nella vendita di sostanze stupefacenti la cui commercializzazione è vietata dall’insieme degli Stati membri.

5. Il Raad van State (Consiglio di Stato) dei Paesi Bassi chiede pertanto alla Corte se un provvedimento di questo tipo rientri nell’ambito di applicazione ratione materiae del diritto dell’Unione e, in particolare, dei principi e delle libertà fondamentali garantiti dal Trattato. Esso chiede alla Corte, se del caso, se tale provvedimento possa essere giustificato da motivi di lotta al turismo della droga e ai disturbi da esso provocati.

6. Nelle presenti conclusioni sosterrò, in primo luogo, che la misura emanata da un ente locale, nellìambito del suo regolamento generale di polizia, che riserva l’accesso ai coffeeshop ai soli residenti olandesi non rientra nell’ambito di applicazione del Trattato e, segnatamente, della libera prestazione dei servizi. Spiegherò a tal proposito che la libertà di cui all’art. 56 TFUE non può in nessun caso legittimare il commercio di sostanze stupefacenti, le quali, anche se tollerate da uno degli Stati membri dell’Unione, non possono beneficiare dei vantaggi del mercato comune.

7. In secondo luogo, suggerirò alla Corte di esaminare la conformità del provvedimento controverso anche da un’altra prospettiva, in uno spirito di cooperazione con il giudice nazionale. Infatti, tenuto conto dell’oggetto della controversia e dell’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale, ritengo indispensabile un’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione che riguardano specificamente la tutela dell’ordine pubblico e la lotta contro la domanda illecita di stupefacenti.

8. In esito a questo esame, sosterrò che tale provvedimento, che è diretto a combattere il turismo della droga e le attività criminali ad esso conseguenti, costituisce per lo Stato l’espressione non soltanto del diritto ad esso riconosciuto di mantenere l’ordine pubblico interno ai sensi degli artt. 4 TUE e 72 TFUE, ma altresì del dovere di quest’ultimo di contribuire alla salvaguardia dell’ordine pubblico europeo ai sensi dell’art. 71, n. 5, della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen (2).

B – La cannabis

9. Attualmente, circa 4 milioni di giovani europei consumano quotidianamente cannabis e la coltivazione di tale sostanza stupefacente è un fenomeno che concerne 19 Stati membri. Il modello di consumo ad essa relativo è in evoluzione e stanno comparendo sul mercato nuove forme di cannabis; ritengo pertanto importante ricordare di che tipo di droga si tratta e quali sono i suoi effetti sulla salute dei consumatori.

1. Un’ampia varietà di cannabis

10. La marijuana, o erba, è il nome che viene dato alle foglie e ai frutti della cannabis i quali, tagliati e triturati, vengono fumati puri o mescolati al tabacco. L’hashish, invece, è la resina prodotta dalle foglie e dalle cime mature della pianta. Quest’ultima è dalle quattro alle otto volte più attiva della marijuana. Le sostanze psicotrope contenute nell’hashish sono cannabinoidi, il più importante dei quali è il delta 9‑tetraidrocannabinolo (in prosieguo: il «THC»). Gli effetti della cannabis si manifestano con una dose assorbita di 0,05 mg/kg di THC, e una sigaretta o uno spinello di marijuana, per fare un esempio, ne contiene da 2 a 5 mg.

11. Il tenore di THC varia in misura notevole in ragione dell’origine dei prodotti, delle stagioni e dei metodi di produzione. Oltre alle varietà classiche provenienti dall’Africa del Nord (in particolare dal Marocco), dall’Asia e dal Medio Oriente, i venditori o gli spacciatori propongono oggi nuove preparazioni di cannabis a consumatori ancora scarsamente informati in merito all’aumento della tossicità delle stesse (3). Secondo gli studi realizzati, mentre il tasso medio di concentrazione di THC della marijuana e dell’hashish importati è rispettivamente del 7% e del 18,2%, quello della marijuana di origine olandese (nederwiet o hennep) è pari a circa il 20,4% e quello dell’hashish derivato dalla marijuana olandese (nederhasj) è dell’ordine del 39,3% (4).

12. Analogamente, sono comparsi sul mercato nuovi prodotti a base di marijuana, ai quali sono stati aggiunti cannabinoidi di sintesi o tagliati con sostanze nocive quali piombo, cera, polvere di vetro, medicinali o persino sabbia (5). Ciò consente di aumentarne il peso in funzione della vendita e di potenziare gli effetti dell’ebbrezza.

2. Un consumo che comporta rischi per la salute umana

13. Se è vero, come vedremo, che la politica di tolleranza adottata dal governo olandese si basa su una distinzione tra il consumo e i rispettivi pericoli delle «droghe leggere» e delle «droghe pesanti», tale dicotomia è, a mio avviso, ormai priva di pertinenza alla luce delle nuove forme di cannabis presenti sul mercato e dei rischi che il loro consumo comporta per la salute umana.

14. La pericolosità e gli effetti nocivi della cannabis sui consumatori e sul tessuto sociale sono ormai appurati. Se è vero che gli effetti psichici legati al consumo di tale sostanza sono, in linea di principio, temporanei e reversibili nel caso di un consumatore occasionale, essi compaiono, tuttavia, sin dal primo spinello, potenziano gli effetti dell’alcool e del tabacco e possono indurre uno stato di ebbrezza da cannabis che, associato alla guida dell’auto, può dar luogo a conseguenze drammatiche. I quattro ministri olandesi incaricati della politica in materia di droga lo hanno espressamente riconosciuto nella loro lettera dell’11 settembre 2009 indirizzata al Parlamento olandese (6).

15. Come dimostrato da numerosi studi scientifici (7), un uso intenso e prolungato della cannabis può comportare ripercussioni fisiche e psichiche particolarmente dannose. Poiché la cannabis contiene una quantità di catrame e di monossido di carbonio sette volte superiore rispetto al tabacco, un uso cronico di tale sostanza espone il fumatore a maggiori rischi di tossicità polmonare e di cancro delle vie aerodigestive superiori (8). Il consumo di cannabis determina una fatica fisica e intellettuale che riduce le capacità di concentrazione, di memorizzazione e di apprendimento, a detrimento dell’attività professionale o scolastica. Il consumo abituale di tale sostanza può quindi portare a fratture sociali che si traducono, nell’adulto, in maggiori difficoltà ad occupare un posto di lavoro regolare e stabile mentre, nei più giovani, in assenteismo scolastico, causa di marginalizzazione e di depressione per taluni di essi. Inoltre, l’uso di cannabis può determinare sintomi psichiatrici quali allucinazioni, oltre ad essere parimenti imputato della comparsa di alcuni tipi di schizofrenia. In questo caso, il collegamento della schizofrenia all’abuso di cannabis va rinvenuto nella presenza di disturbi più precoci e più frequenti, nel maggiore disinserimento sociale e nei maggiori rischi di depressione e di propensione al suicidio. È evidente che tali rischi aumentano in base alla modalità di assunzione, alla durata, alla vulnerabilità personale dell’utilizzatore e alla quantità di prodotto inalato.

16. Infine, il consumo di cannabis espone coloro che ne fanno uso a droghe più potenti. Se è vero che la teoria cosiddetta «della droga ponte» o «della scalata» è criticata da taluni, resta comunque il fatto che una persona che abbia già sperimentato gli effetti allucinogeni della cannabis sarà più facilmente disposta a provare droghe dalle proprietà più intense.

17. È proprio in considerazione della pericolosità e degli effetti nocivi della cannabis che essa viene oggi stigmatizzata da numerose convenzioni internazionali ed europee.

II – Contesto normativo

A – Il diritto dell’Unione

1. La lotta contro la droga

a) Il Trattato sull’Unione europea e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

18. Conformemente all’art. 3, n. 1, TUE, «[l]’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli».

19. In forza dell’art. 3, n. 2, TUE, «[l]’Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima».

20. In forza dell’art. 4, n. 2, TUE, l’Unione «[r]ispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni (...) di mantenimento dell’ordine pubblico».

21. Il benessere, la coesione sociale, la salute e la sicurezza delle persone costituiscono altrettanti obiettivi che guidano l’azione dell’Unione nella lotta contro la droga e nella realizzazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia di cui all’art. 67 TFUE.

22. In tale contesto, l’azione dell’Unione è essenzialmente rivolta alla riduzione dell’offerta e della domanda, e riunisce, da un lato, misure di prevenzione e di lotta contro il traffico illecito di stupefacenti e la criminalità organizzata e, dall’altro, misure di prevenzione della tossicodipendenza.

i) La lotta contro il traffico illecito di stupefacenti e la criminalità organizzata

23. Conformemente all’art. 67, n. 3, TFUE, la lotta contro il traffico illecito di stupefacenti e la criminalità organizzata si traduce in un maggior coordinamento e cooperazione tra forze di polizia e autorità giudiziarie degli Stati membri, nonché in un ravvicinamento delle legislazioni penali di questi ultimi.

24. Ciò nondimeno, in conformità dell’art. 72 TFUE, gli Stati membri continuano ad essere responsabili per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna.

25. Il traffico illecito di stupefacenti e la criminalità organizzata figurano espressamente tra gli «eurocrimini» contemplati dall’art. 83, n. 1, TFUE. Tale disposizione consente al Parlamento europeo e al Consiglio di stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni.

ii) La prevenzione della tossicodipendenza

26. La prevenzione della tossicodipendenza rientra nell’ambito dell’art. 168, n. 1, TFUE e dell’art. 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (9), ai termini dei quali nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana.

27. Ai sensi dell’art. 168 TFUE, tali azioni devono, in particolare, completare le politiche nazionali volte a ridurre gli effetti nocivi per la salute umana derivanti dall’uso di stupefacenti, comprese l’informazione e la prevenzione.

b) L’acquis di Schengen

28. La convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen prevede, al suo art. 71, quanto segue:

«1. Le Parti contraenti si impegnano, relativamente alla cessione diretta o indiretta di stupefacenti e di sostanze psicotrope di qualsiasi natura, compresa la cannabis, nonché alla detenzione di detti prodotti e sostanze allo scopo di cederli o di esportarli, ad adottare, conformemente alle vigenti convenzioni delle Nazioni Unite (...), tutte le misure necessarie a prevenire ed a reprimere il traffico illecito degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope.

2. Le Parti contraenti si impegnano a prevenire ed a reprimere, mediante provvedimenti amministrativi e penali, l’esportazione illecita di stupefacenti e di sostanze psicotrope, compresa la cannabis, nonché la cessione, la fornitura e la consegna di detti prodotti e sostanze (...).

3. Allo scopo di lottare contro l’importazione illegale di stupefacenti e di sostanze psicotrope, compresa la cannabis, le Parti contraenti potenziano i controlli della circolazione delle persone e delle merci nonché dei mezzi di trasporto alle frontiere esterne (…).

4. Al fine di assicurare l’osservanza delle disposizioni del presente articolo, le Parti contraenti opereranno una sorveglianza specifica dei luoghi notoriamente usati per il traffico di droga.

5. Per quanto riguarda la lotta contro la domanda illecita di stupefacenti e di sostanze psicotrope di qualsiasi natura, compresa la cannabis, le Parti contraenti si adopereranno con ogni mezzo per prevenire e lottare contro gli effetti negativi della domanda illecita. Ciascuna Parte contraente è responsabile delle misure adottate a tal fine».

29. All’atto finale della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen è stata allegata una dichiarazione comune relativa all’art. 71, n. 2, della convenzione medesima. Tale dichiarazione ha il seguente tenore:

«Se una Parte contraente deroga al principio di cui all’articolo 71, paragrafo 2 nel quadro della sua politica nazionale di prevenzione e di trattamento della tossicodipendenza, tutte le Parti contraenti prendono le misure amministrative e penali necessarie per prevenire e reprimere l’importazione e l’esportazione illegali di stupefacenti e di sostanze psicotrope in particolare verso il territorio delle altre Parti contraenti».

c) Il diritto derivato

30. La risoluzione del Consiglio 29 novembre 1996 (10) ha identificato in maniera chiara il problema del turismo della droga all’interno dell’Unione e ha previsto i primi provvedimenti per fronteggiare tale fenomeno.

31. Gli Stati membri hanno poi riaffermato, nell’ambito di un’azione comune del 17 dicembre 1996 (11), la loro determinazione ad eliminare il traffico illecito di droga lottando in particolare contro la domanda illecita di stupefacenti, gli enormi guadagni derivanti da tale traffico e il turismo della droga (12). Essi si sono inoltre impegnati a qualificare come reato, qualora l’atto sia stato compiuto intenzionalmente, il fatto di incitare o indurre pubblicamente dei terzi, con qualsiasi mezzo, all’uso o alla produzione illecita di prodotti stupefacenti e, al riguardo, vigilano in particolare sull’uso di Internet (13).

32. In seguito, in forza dell’art. 2, n. 1, lett. a), della decisione quadro del Consiglio 25 ottobre 2004, 2004/757/GAI (14), ciascuno Stato membro si è impegnato a provvedere affinché siano punite la produzione, la fabbricazione, l’estrazione, la preparazione, l’offerta, la commercializzazione, la distribuzione, la vendita, la consegna a qualsiasi condizione, la mediazione, la spedizione, la spedizione in transito, il trasporto, l’importazione o l’esportazione di stupefacenti qualora tali condotte siano intenzionali allorché non autorizzate (15).

33. Il programma di Stoccolma, adottato dal Consiglio il 2 dicembre 2009 (16), prevede, per quanto riguarda la strategia di sicurezza interna dell’Unione, che l’intensificazione delle azioni a livello europeo, unitamente ad un migliore coordinamento con le azioni condotte a livello regionale e nazionale, è essenziale per garantire la protezione da minacce transnazionali. Tale programma precisa, inoltre, che la criminalità organizzata e il traffico di stupefacenti sono tra le altre sfide persistenti alla sicurezza interna dell’Unione e che la criminalità transfrontaliera è diventata una problematica urgente che esige una risposta chiara e globale (17).

34. Infine, il quadro d’azione dell’Unione è costituito da vari piani volti ad applicare la strategia da essa definita in materia di lotta contro la droga per il periodo 2005-2012. Il piano d’azione attuale (18) stabilisce cinque obiettivi prioritari, ossia il coordinamento a livello nazionale ed europeo delle politiche antidroga (19), la riduzione della domanda di stupefacenti, la riduzione e la repressione dell’offerta di stupefacenti, la cooperazione internazionale e il miglioramento della ricerca in questo ambito.

2. Le libertà fondamentali riconosciute ai cittadini dell’Unione

35. La cittadinanza dell’Unione conferisce a ciascun cittadino degli Stati membri diritti fondamentali ed individuali. Ogni cittadino dell’Unione può pertanto avvalersi dell’art. 18 TFUE, che vieta qualsivoglia discriminazione fondata sulla nazionalità, in tutte le situazioni che ricadono nella sfera di applicazione rationae materiae del diritto dell’Unione(20).

36. Tali situazioni comprendono, anzitutto, quelle che ricadono nell’ambito dell’art. 21 TFUE (21).

37. Tale disposizione enuncia, in maniera generale, il diritto, per ogni cittadino dell’Unione, di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai Trattati e le disposizioni adottate in applicazione degli stessi. Si tratta di una libertà fondamentale, sancita all’art. 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che i cittadini dell’Unione possono esercitare indipendentemente dall’esercizio di un’attività economica. Pertanto, un cittadino di uno Stato membro che circola o soggiorna nel territorio dell’Unione può avvalersi del diritto sancito all’art. 18 TFUE, di non subire discriminazioni in ragione della sua nazionalità.

38. Tali situazioni comprendono anche quelle rientranti nell’esercizio della libera prestazione dei servizi sancita all’art. 56 TFUE (22).

39. Secondo una giurisprudenza costante, da un lato, il diritto alla libera prestazione dei servizi (23) può essere invocato da un’impresa nei confronti dello Stato in cui essa è stabilita, qualora essa fornisca servizi a destinatari stabiliti in un altro Stato membro. Dall’altro, tale diritto comprende la libertà per i destinatari dei servizi, fra i quali i turisti, di recarsi in un altro Stato membro per fruire ivi di un servizio, senza essere ostacolati da restrizioni (24). Ai sensi dell’art. 52, n. 1, TFUE, al quale rinvia l’art. 62 TFUE, tale libertà può, tuttavia, formare oggetto di restrizioni fondate su motivi relativi alla tutela dell’ordine pubblico, della pubblica sicurezza e della sanità pubblica.

40. Infine, il principio di non discriminazione di cui all’art. 18 TFUE è stato attuato e reso concreto nel settore della libera circolazione delle merci. Gli artt. 34 TFUE e 35 TFUE vietano rispettivamente le restrizioni quantitative all’importazione e le restrizioni quantitative all’esportazione, nonché qualsiasi misura di effetto equivalente fra gli Stati membri. Tuttavia, ai sensi dell’art. 36 TFUE, alcune restrizioni possono essere giustificate anche, segnatamente, da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di tutela della salute e della vita delle persone.

B – Gli impegni internazionali

41. La convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e di sostanze psicotrope, conclusa a Vienna il 20 dicembre 1988 (25), rafforza ed integra le misure previste dalla convenzione unica delle Nazioni Unite sugli stupefacenti, conclusa a New York il 30 marzo 1961 (26), e dalla convenzione delle Nazioni Unite sulle sostanze psicotrope, conclusa a Vienna il 21 febbraio 1971 (27).

42. Tutti gli Stati membri e l’Unione sono parti della convenzione delle Nazioni Unite del 1988 (28).

43. L’art. 3, n. 1, di tale convenzione è così formulato:

«Ciascuna Parte adotta i provvedimenti necessari per attribuire il carattere di reato, nella sua legislazione interna, qualora l’atto sia stato commesso intenzionalmente:

«a) i) alla produzione, alla fabbricazione, all’estrazione, alla preparazione, all’offerta, alla messa in vendita, alla distribuzione, alla vendita, alla consegna a qualsiasi condizione, alla mediazione, alla spedizione, alla spedizione in transito, al trasporto, all’importazione o all’esportazione di qualsiasi sostanza stupefacente o psicotropa in violazione delle disposizioni della Convenzione del 1961 così come emendata o della Convenzione del 1971;

(…)

c) iii) all’incitamento o all’induzione in forma pubblica con qualsiasi mezzo, a commettere uno [di tali] reati o a fare illecitamente uso di sostanze stupefacenti o psicotrope».

44. La cannabis figura nell’elenco delle sostanze stupefacenti di cui alla convenzione delle Nazioni Unite del 1988.

C – La normativa olandese

45. Conformemente alla legge sugli stupefacenti del 1976 (Opiumwet, in prosieguo: la «legge sugli stupefacenti»), sono vietati la detenzione, il commercio, la coltivazione, il trasporto, la fabbricazione, l’importazione e l’esportazione di stupefacenti. Tali atti sono punibili con sanzioni penali avuto riguardo a tutti i tipi di droghe, ivi compresa la cannabis e i suoi derivati, a meno che queste non siano utilizzate per scopi medici, scientifici o educativi, e a condizione di averne ricevuto previa autorizzazione.

46. La politica di tolleranza adottata dal Regno dei Paesi Bassi relativamente alla vendita e al consumo di «droghe leggere» è il risultato di un lungo processo di elaborazione, i cui orientamenti sono stati definiti, segnatamente, nel rapporto del 1972 della commissione Baan (29) e nella relazione del 1995 «Politica in materia di droga nei Paesi Bassi: continuità e cambiamento» (30).

47. Questa politica si basa sulla distinzione tra droghe cosiddette «pesanti», che comportano rischi inaccettabili per la salute, come gli oppiacei, la cocaina, la codeina, l’eroina, l’estasi, l’olio di cannabis o le anfetamine e l’LSD (lista I), e droghe cosiddette «leggere», che comprendono la cannabis e i suoi derivati e non suscitano le stesse preoccupazioni, benché siano comunque considerate «a rischio» (lista II) (31).

48. Poiché i rischi collegati al consumo delle «droghe leggere» sono «accettabili», la strategia seguita dal legislatore è più sfumata rispetto a quella adottata nei confronti delle droghe pesanti. La detenzione di «droghe leggere» per uso personale è depenalizzata e la loro vendita, sebbene in quantità rigorosamente limitate e in circostanze controllate, è tollerata. L’intento del legislatore è quello di evitare di stigmatizzare ed emarginare i consumatori di «droghe leggere» e quello di tenere separato il mercato delle «droghe leggere» da quello delle «droghe pesanti», creando in tal modo una barriera sociale al passaggio dalle prime alle seconde.

49. La politica di tolleranza è stata attuata, segnatamente, nell’ambito delle direttive emanate dal collegio dei procuratori generali. Tali direttive, che hanno forza di legge, fissano le priorità del pubblico ministero per quanto riguarda le inchieste e i procedimenti penali per violazioni alla legge sugli stupefacenti (32). Le autorità giudiziarie si sono quindi fondate sul principio dell’opportunità dell’azione penale per condurre una politica di repressione selettiva, senza esercitare sistematicamente tale azione in caso di spaccio al minuto di stupefacenti e accordando priorità alla repressione del traffico di stupefacenti e della criminalità organizzata.

50. Le autorità olandesi hanno pertanto tollerato la vendita di modiche quantità di prodotti derivati dalla canapa nei centri giovanili da parte di rivenditori accreditati (huisdealer). Esse hanno successivamente esteso tale politica ai coffeeshop che vendevano su base commerciale (op commerciële basis) agli adulti.

51. Ai sensi della normativa olandese, i coffeeshop sono locali accessibili al pubblico che rientrano nella categoria dei fast food (horeca), come snack bar o friggitorie, dove si possono consumare alimenti, ma nei quali è vietata la vendita di bevande alcoliche. Le autorità locali, vale a dire il sindaco, il pubblico ministero e il capo della polizia, possono autorizzare l’apertura di tali coffeeshop alle seguenti condizioni.

52. Anzitutto, l’apertura dei coffeeshop è subordinata al rilascio di una licenza. I coffeeshop devono soddisfare gli stessi requisiti di gestione e di igiene applicabili ai locali di ristorazione. Per contro, come è stato sottolineato in udienza, tale licenza non copre la vendita di cannabis, la quale, ricordiamolo, resta tecnicamente un reato.

53. Inoltre, le condizioni alle quali la vendita di cannabis nei coffeeshop può essere tollerata sono definite dalle direttive del pubblico ministero. Tali condizioni, note come «criteri AHOJ-G», sono:

– A (affichering): nessuna pubblicità nel locale. Solo indicazioni sommarie;

– H (harddrugs): divieto di proporre e/o vendere droghe pesanti;

– O (overlast): il locale non deve arrecare disturbo; per disturbo deve intendersi quello derivante dalla circolazione e dalla sosta nelle vicinanze del coffeeshop, il rumore e l’inquinamento che questo comporta, nonché la presenza dei clienti o di tossicodipendenti che si aggirano nei paraggi;

– J (jeugdigen): i minori (di età inferiore agli anni 18) non sono ammessi nei coffeeshop, ed è vietato vendere loro stupefacenti;

– G (grote hoeveelheden): il gestore non può vendere alla stessa persona più di 5 grammi di cannabis al giorno, quantità normalmente venduta per uso personale.

54. Infine, la «scorta commerciale» di cannabis tollerata in un coffeeshop non può in alcun caso eccedere i 500 grammi.

55. L’attuazione di tale politica è affidata alle autorità locali. Il sindaco, il procuratore e il capo della polizia, nell’ambito di una concertazione tripartita, fissano le priorità della città per quanto riguarda la vendita di «droghe leggere» sul territorio comunale. I criteri AHOJ-G rappresentano le condizioni essenziali minime di detta politica e le autorità locali possono emanare una normativa più rigorosa attraverso la fissazione di ulteriori condizioni, come si è verificato nella causa principale. Dette norme sono soggette al controllo del giudice amministrativo.

56. L’art. 13b della legge sugli stupefacenti conferisce numerosi poteri alle amministrazioni comunali affinché i disturbi e le turbative causati in violazione delle disposizioni di tale legge siano sanzionati (33). Il sindaco può quindi ordinare la chiusura di un coffeeshop, in via provvisoria o definitiva, se il gestore non ha rispettato i criteri summenzionati.

57. Il Burgemeester van Maastricht ha pertanto deciso di tollerare un numero limitato di coffeeshop nel suo comune, contrariamente ad altri comuni che non stabiliscono alcun limite oppure applicano la tolleranza zero.

58. Dal 2004, come ricordato nel settembre 2009 dai ministri competenti, il Regno dei Paesi Bassi mira a rafforzare la propria legislazione relativa all’apertura dei coffeeshop, nonché ad intensificare le misure destinate a contrastare la criminalità organizzata (34). Tale Stato, di concerto con i comuni interessati, tenta anche di fornire una risposta ai problemi causati dalle ripercussioni transfrontaliere della sua politica e di ridurre le turbative all’ordine pubblico e alla pubblica sicurezza causate dal rilevante e crescente afflusso di turisti della droga sul suo territorio. Oltre a problemi di circolazione e sosta, le numerose denunce presentate dai residenti riguardano non solo il rumore e il disagio arrecati dagli assembramenti dei consumatori di cannabis che assumono stupefacenti in pubblico, ma altresì i disturbi causati dalle reti di criminalità organizzata collegate ai coffeeshop e occasionati dalla presenza di spacciatori e tossicodipendenti che, in taluni casi, abbandonano siringhe usate o si introducono negli androni degli edifici (35). Tali difficoltà si concentrano segnatamente nelle zone di confine con la Germania, la Francia e il Belgio. In particolare, secondo le informazioni fornite in udienza dal Burgemeester van Maastricht, i 14 coffeeshop di tale comune attirerebbero circa 10 000 visitatori al giorno, 74 000 alla settimana e poco più di 3,9 milioni l’anno. Inoltre, il 70% di tali visitatori non sarebbe residente nei Paesi Bassi.

59. Secondo il governo olandese, le misure proposte devono consentire di tornare allo scopo originario dei coffeeshop, concepiti come punti vendita ad uso dei residenti, nei quali questi ultimi possono acquistare e, eventualmente, consumare cannabis, in un contesto sicuro e tranquillo. Su invito del governo olandese, le autorità pubbliche hanno quindi rafforzato la propria normativa, limitando il numero di coffeeshop nelle rispettive località e optando per una politica di estinzione, come sembra essere il caso del comune di Maastricht (36). Altri hanno deciso di ridurre gli orari di apertura del locale (chiusura nel fine settimana o di sera) o di limitare la quantità di cannabis venduta o tenuta in magazzino. Infine, alcuni hanno stabilito un criterio di distanza, il quale vieta che i coffeeshop siano aperti nelle vicinanze di alcune istituzioni, come scuole od ospedali psichiatrici. Secondo il Burgemeester van Maastricht, sembra che tali misure non abbiano consentito di diminuire in modo significativo il turismo della droga.

60. La misura controversa si inserisce in tale contesto. Essa, vietando l’accesso ai coffeeshop ai non residenti, rappresenta una misura pilota (37) tramite la quale il comune tenta di ridurre il turismo della droga e l’insieme dei disturbi da esso provocati.

61. La misura controversa, fondata sul criterio della residenza, è stata adottata il 20 dicembre 2005 dal Gemeenteraad (Consiglio comunale) del comune di Maastricht ed è entrata in vigore il 13 gennaio 2006. Come ha osservato il Burgemeester van Maastricht in udienza, l’applicazione della stessa è stata sospesa in considerazione del rinvio pregiudiziale proposto dinanzi alla Corte.

62. Ai sensi dell’art. 2.3.1.3 e, n. 1, del regolamento generale locale di Maastricht (Algemene plaatslijke verordening), nella versione del 2006 (in prosieguo: l’«APV»), al titolare di un locale di cui all’art. 2.3.1.1, n. 1, lett. a), punto 3, APV è vietato ammettere o far sostare nel locale persone diverse dai residenti. La nozione di locale è definita da quest’ultima disposizione come uno spazio accessibile al pubblico in cui vengono forniti cibi e/o bevande analcoliche a fini professionali, eventualmente per mezzo di un distributore automatico, che i clienti non sono tenuti a consumare sul posto (38). La nozione di residente si riferisce, ai sensi dell’art. 2.3.1.1, n. 1, lett. d), APV, alle persone che hanno effettiva residenza nei Paesi Bassi.

63. L’art. 2.3.1.3 e, n. 2, APV prevede che il Burgemeester può stabilire che il disposto del primo comma di tale articolo non si applichi ad uno o più tipi di locali di cui all’APV, nell’intero comune o in una o più parti del medesimo, da esso stesso indicati.

64. Con decisione 13 luglio 2006, il Burgemeester van Maastricht ha stabilito che la misura controversa non valeva per i locali del comune di cui l’art. 2.3.1.1, n. 1, lett. a), punto 3, APV, ad eccezione dei coffeeshop, delle sale da tè e simili, indipendentemente dalla loro denominazione.

65. Ai sensi dell’art. 2.3.1.5 a, lett. f), APV, il Burgemeester può decidere di chiudere, in via provvisoria o definitiva, uno dei locali di cui all’art. 2.3.1.1, n. 1, lett. a), punto 3, APV qualora il titolare del medesimo agisca in violazione della misura controversa.

III – Fatti e procedimento principale

66. Con decisione 7 aprile 1994, il sig. Josemans otteneva l’autorizzazione per gestire, a Maastricht, il coffeeshop «Easy Going», locale in cui, oltre a bevande analcoliche e a spuntini, venivano vendute e consumate «droghe leggere». Tale autorizzazione era stata rilasciata a condizione che fossero rispettate le condizioni fissate dall’APV.

67. Nel corso di due controlli in data 16 febbraio e 8 maggio 2006, le autorità di polizia del comune di Maastricht constatavano che in tale locale erano stati ammessi cittadini dell’Unione non residenti nei Paesi Bassi, in violazione del criterio della residenza fissato dalla misura controversa.

68. Con decisione 7 settembre 2006, il Burgemeester van Maastricht ha pertanto deciso, in applicazione dell’APV, di chiudere in via provvisoria detto locale.

IV – Il rinvio pregiudiziale

69. Il Raad van State ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se un regime come quello in esame nella fattispecie, vertente sull’accesso di non residenti ai coffeeshop, rientri integralmente o parzialmente nell’ambito di applicazione del [TFUE], segnatamente nella libera circolazione dei beni e/o dei servizi, oppure nel divieto di discriminazione di cui all’art. [18 TFUE] in combinato disposto con l’art. [21 TFUE].

2) Nei limiti in cui siano applicabili le disposizioni del [TFUE] relative alla libera circolazione dei beni e/o dei servizi, se un divieto di ammissione dei non residenti ai coffeeshop costituisca un mezzo idoneo e proporzionato per ridurre il turismo della droga e il disturbo da esso provocato.

3) Se il divieto di discriminazione dei cittadini sulla base della nazionalità, di cui all’art. [18 TFUE] in combinato disposto con l’art. [21 TFUE], sia applicabile al regime relativo all’ammissione di non residenti ai coffeeshop qualora e nei limiti in cui non trovino applicazione le disposizioni del [TFUE] sulla libera circolazione dei beni e dei servizi.

4) In caso di risposta affermativa, se la relativa discriminazione indiretta tra residenti e non residenti sia giustificata e se il divieto di ammissione di non residenti ai coffeeshop rappresenti un mezzo idoneo e proporzionato per ridurre il turismo della droga e il disturbo da esso provocato».

V – Analisi

70. Le questioni pregiudiziali sollevate dal giudice del rinvio comprendono due interrogativi, che esaminerò nel seguente ordine.

71. Il primo concerne la questione se un provvedimento adottato da una pubblica autorità locale nell’ambito del suo regolamento generale di polizia, che riserva l’accesso ai coffeeshop ai soli residenti olandesi, rientri nell’ambito di applicazione ratione materiae del diritto dell’Unione e, in particolare, del principio di non discriminazione, della libera circolazione delle persone, della libera prestazione dei servizi e della libera circolazione delle merci ai sensi dell’art. 35 TFUE.

72. Il secondo riguarda la questione se, eventualmente, un provvedimento di questo tipo costituisca una restrizione all’uno o all’altro di detti principi fondamentali che possa giustificarsi in base a ragioni di lotta al turismo della droga e ai disturbi da esso provocati.

A – Osservazioni preliminari

73. Prima di procedere all’esame delle questioni pregiudiziali sottoposte dal giudice del rinvio, desidero svolgere un’osservazione preliminare riguardo alle disposizioni comunitarie che a mio avviso richiedono un’interpretazione.

74. Nella sua decisione, il giudice del rinvio identifica quattro disposizioni del Trattato che potrebbero, a suo giudizio, ostare al provvedimento controverso. Al riguardo, esso prende in considerazione il principio di non discriminazione enunciato all’art. 18 TFUE, il principio della libera circolazione delle persone riconosciuto all’art. 21 TFUE, il principio della libera circolazione delle merci ai sensi dell’art. 35 TFUE e, infine, il principio della libera prestazione dei servizi di cui all’art. 56 TFUE.

75. A mio parere, rispetto ai quattro principi invocati dal giudice nazionale, occorrerà, eventualmente, esaminare la conformità del provvedimento controverso soltanto alla luce della libera prestazione dei servizi di cui all’art. 56 TFUE.

76. Infatti, tale provvedimento riguarda principalmente una prestazione di servizi. Ai sensi dell’APV, i coffeeshop sono locali di ristorazione, accessibili al pubblico, nei quali vengono venduti alimenti e bevande analcoliche, conformemente alla licenza rilasciata dal comune per la gestione degli stessi. Tali merci possono essere consumate in loco oppure portate via. Se anche vi sono situazioni in cui i clienti esportano la merce acquistata, tale attività si configura comunque come accessoria e non separabile dalla vendita stessa, e pertanto non giustifica l’esame del provvedimento controverso con riguardo al principio della libera circolazione delle merci e, in particolare, all’art. 35 TFUE (39).

77. Peraltro, poiché il principio della libera prestazione dei servizi è espressione specifica del principio di non discriminazione e costituisce altresì un’applicazione particolare del diritto per ogni cittadino dell’Unione di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri, non sarà necessario che la Corte si pronunci sugli artt. 18 TFUE e 21 TFUE (40).

78. Per contro, suggerisco alla Corte di interpretare un complesso di norme che il giudice del rinvio non ha espressamente menzionato nelle sue questioni pregiudiziali.

79. La circostanza che formalmente il giudice del rinvio abbia formulato la questione pregiudiziale facendo riferimento a talune disposizioni del diritto dell’Unione non osta a che la Corte fornisca al giudice nazionale tutti gli elementi di interpretazione che possono essere utili per la soluzione della causa di cui è investito, anche qualora tali disposizioni non siano espressamente indicate nelle questioni pregiudiziali sottoposte ad essa dal detto giudice. A tal proposito la Corte è tenuta a trarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio gli elementi di diritto dell’Unione che richiedano un’interpretazione tenuto conto dell’oggetto della controversia (41).

80. Nella fattispecie, va subito detto che la questione sollevata dal giudice nazionale non riguarda tanto la vendita di prodotti di consumo legali quanto invece quella di sostanze stupefacenti. La causa principale verte sulle conseguenze di una tale tolleranza e, in particolare, sui provvedimenti che possono essere adottati al fine di preservare l’ordine pubblico dalle turbative causate dal turismo della droga. Orbene, tali preoccupazioni sono espressamente sottese agli artt. 4 TUE e 72 TFUE e, a mio avviso, sono oggetto specifico dell’art. 71, n. 5, della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen. Propongo pertanto alla Corte di interpretare le dette disposizioni al fine di dare al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di valutare la conformità del provvedimento di cui è causa e di dirimere la controversia per cui è stato adito.

B – Sull’esclusione del provvedimento controverso dall’ambito di applicazione dell’art. 56 TFUE

81. In pratica, l’attività principale dei coffeeshop consiste nella vendita e nel consumo di cannabis, differendo in tal modo sensibilmente dagli snack-bar e dagli altri locali di ristorazione rapida, nei quali i clienti acquistano bevande analcoliche e panini da asporto. Si tratta della loro funzione precipua e l’impostazione che devo seguire nel presente procedimento dev’essere credibile e realistica.

82. Il principio della libera prestazione dei servizi garantito dal Trattato è applicabile alla vendita di sostanze stupefacenti? In altri termini, il responsabile di un coffeeshop può invocare tale principio per legittimare la sua attività? Il cittadino di uno Stato membro può avvalersi di detta libertà per fare uso di droga in un altro Stato membro?

83. A mio avviso tali questioni vanno tutte risolte in senso negativo.

84. L’instaurazione del mercato interno e l’emanazione della relativa normativa pongono senza dubbio alcune difficoltà relativamente agli stupefacenti. Sebbene gli impegni internazionali siano chiari, sono stati comunque necessari diversi interventi della Corte per fissare il principio secondo cui gli stupefacenti, compresa la cannabis, non sono una merce come le altre e non sono soggetti alla normativa prevista per il mercato interno quando la loro commercializzazione è illecita (42).

85. Alla luce delle norme del mercato interno, gli stupefacenti non rientrano tutti nella medesima categoria. Si tratta di una differenza riconducibile non alla natura delle merci, bensì all’utilizzo finale delle stesse. Pertanto, secondo una giurisprudenza costante, gli stupefacenti che hanno applicazioni mediche o scientifiche sono regolati dalla normativa del mercato interno (43).

86. Orbene, così non è per gli stupefacenti importati illegalmente ovvero destinati a fini illeciti. Questo principio è stato sancito dalla Corte dopo che alcuni Stati membri hanno tentato di applicare la normativa doganale e fiscale a tali prodotti.

87. Questa, adita da trafficanti di droga tedeschi condannati a pesanti sanzioni doganali per traffico di stupefacenti (eroina), enuncia, nella sentenza Horvath (44), il principio dell’inapplicabilità della tariffa doganale comune ai prodotti che ricadono sotto un divieto assoluto di importazione e di messa in circolazione in tutti gli Stati membri dell’Unione. La Corte afferma che l’«istituzione della tariffa doganale comune fa venir meno la competenza del singolo Stato membro ad applicare dei dazi doganali agli stupefacenti importati di contrabbando (...), pur lasciandogli piena facoltà di reprimere penalmente i reati commessi, con tutte le conseguenze che essi implicano, anche nel campo pecuniario». Secondo la Corte, gli stupefacenti introdotti in contrabbando giustificano non la riscossione di dazi doganali, bensì soltanto l’adozione di misure nazionali strettamente repressive.

88. Tale giurisprudenza è stata confermata e precisata. Nelle sentenze Wolf (45) ed Einberger (46), la Corte afferma che il divieto di riscuotere dazi doganali sugli stupefacenti discende dal fatto che questi ultimi non sono idonei ad essere inseriti nel circuito economico dell’Unione. La Corte ha precisato, infatti, che «nessun debito doganale sorge all’atto dell’importazione degli stupefacenti che non fanno parte del circuito economico strettamente sorvegliato dalle competenti autorità per essere destinati ad uso medico e scientifico» (47). Essa stabilisce in tal modo la distinzione tra stupefacenti importati in vista di un uso autorizzato a scopo medico e scientifico e quelli importati illegalmente, di contrabbando. Inoltre, la Corte rileva che le importazioni di sostanze stupefacenti nell’Unione sono del tutto estranee agli scopi perseguiti dalla normativa doganale. Quest’ultima contribuisce agli obiettivi di cui all’art. 3 TUE e partecipa in tal modo allo sviluppo del commercio internazionale e alla riduzione degli intralci per gli scambi (48). Pertanto, la normativa doganale è intesa ad essere applicata agli stupefacenti soltanto nei limiti in cui essi sono compresi nel circuito economico dell’Unione, cioè quando sono importati legalmente. Per quanto riguarda gli altri stupefacenti, la tariffa doganale comune, base giuridica della valutazione in valore delle merci, è inapplicabile, poiché si tratta di un’attività illecita che non si pone in concorrenza con le attività lecite.

89. Qualche anno più tardi tale soluzione sarà trasposta dalla Corte all’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA»). Sebbene secondo la Corte il principio della neutralità fiscale su cui la direttiva in materia d’IVA si fonda non consenta una differenziazione generalizzata tra le transazioni lecite e quelle illecite, esiste una deroga a tale principio, vale a dire quella del caso in cui il divieto che grava su un’attività è talmente assoluto che non può instaurarsi alcuna concorrenza con un’attività lecita.

90. La circolazione illecita di stupefacenti all’interno dell’Unione è estranea agli scopi perseguiti dal sistema comune dell’IVA e costituisce oggetto di un divieto assoluto. Per tale ragione, essa non può entrare in concorrenza con nessun’altra attività lecita e nemmeno dar luogo alla percezione di tributi (49). Tale soluzione sarà applicata a più riprese a situazioni diverse, quali l’importazione nell’Unione di morfina e la sua rivendita in uno Stato terzo (50) o la vendita di anfetamine sul territorio dell’Unione (51). Infine, nella sentenza Vereniging Happy Family Rustenburgerstraat (52), la Corte ha dichiarato che tale ragionamento vale del pari per la cessione illegale di stupefacenti a base di canapa, i quali, «anche se in taluni Stati membri sono qualificati droghe “leggere”, sono colpiti da un divieto legale assoluto d’importazione e di smercio nel[l’Unione] (53)».

91. Tale giurisprudenza, che si fonda sulle caratteristiche specifiche degli stupefacenti e sugli obiettivi perseguiti dall’Unione, mi sembra perfettamente trasponibile al caso in esame.

92. Infatti, come la normativa doganale e fiscale europea, il principio della libera prestazione di servizi è uno strumento che consente all’Unione di raggiungere gli obiettivi che essa si è posta. In particolare, tale principio deve contribuire alla realizzazione di uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia fondato sulla promozione della pace, dei suoi valori e del benessere dei suoi popoli (54). A tal fine, la libera prestazione dei servizi deve contribuire a migliorare la qualità di vita dei cittadini dell’Unione dando loro la possibilità di accedere ad una scelta di prodotti e di servizi di migliore qualità e con modalità più economiche. Essa deve altresì consentire loro di vivere in una società in cui sia garantito un progresso economico e sociale equilibrato e duraturo. Inoltre, come emerge chiaramente dall’art. 168 TFUE, la libera prestazione dei servizi deve poter garantire un livello elevato di protezione della salute umana e il suo esercizio deve consentire, in particolare, di ridurre gli effetti nocivi per la salute dei cittadini dell’Unione derivanti dall’uso di stupefacenti.

93. In questi termini, l’attività di vendita di cannabis non gode di alcuna legittimità. Tale attività, vietata da tutti gli Stati membri, banalizza un consumo di prodotti che sono sempre più diversificati, nonostante il rafforzamento delle legislazioni. Laddove tollerata, essa tende a «democratizzare» l’uso di sostanze stupefacenti la cui nocività per la salute umana è riconosciuta. Essa incide sulle funzioni sociali e cognitive vitali delle persone, come la concentrazione e l’attenzione, aggrava alcuni problemi di salute mentale, quali ansia e depressione, e comporta per tale motivo un costante aumento delle richieste di trattamento legate al suo consumo.

94. Peraltro, siffatta attività, che avrebbe dovuto essere mantenuta entro limiti rigorosamente definiti, causa le turbative all’ordine pubblico sopra descritte. Tali disturbi, collegati al turismo della droga, costituiscono altrettante minacce alla sicurezza e al benessere dei cittadini dell’Unione e giustificherebbero, conformemente alle direttive del pubblico ministero olandese, la chiusura pura e semplice dei coffeeshop.

95. Dette turbative sono peraltro alimentate da ulteriori fenomeni, anch’essi contrari a tali direttive.

96. In tal senso, sebbene in linea di principio la pubblicità nei coffeeshop sia vietata, essa ha trovato, grazie ad Internet, un nuovo canale, più dinamico e di portata mondiale. Se pure tale strumento consente di progredire nell’ambito della comunicazione e dello scambio di informazioni, esso tuttavia serve anche a pubblicizzare questo tipo di locali, agevolando in tal modo la vendita e il consumo di droghe illecite. Un certo numero di coffeeshop dispone di un proprio sito Internet sul quale figura il «menu» proposto dal locale, ma in cui viene altresì offerto un servizio di consegna a domicilio di cannabis o di semi di cannabis. Il catalogo è dettagliato, il pagamento avviene in modo sicuro e la consegna è discreta. È chiaro che una pubblicità di questo tipo non solo è un incitamento a consumare cannabis, ma anche a coltivarla illegalmente in totale contraddizione, a mio avviso, con gli impegni sottoscritti dagli Stati membri nel quadro della Convenzione delle Nazioni Unite del 1988 e dell’azione comune 96/750/GAI (55).

97. Inoltre, sebbene la vendita di droghe pesanti nei coffeeshop sia vietata, questi ultimi rappresentano comunque un polo di attrazione per gli spacciatori, in tal modo favorendo, anziché impedendo, il passaggio dalle «droghe leggere» alle «droghe pesanti». A tal proposito, mi chiedo in quale misura un uso intenso e prolungato di cannabis di tipo forte e tagliata con sostanze nocive come il piombo, la cera o medicinali scaduti non costituisca una minaccia altrettanto grave del consumo di LSD per la salute e il benessere dell’individuo.

98. Infine, seppure il gestore in linea di principio non possa vendere alla stessa persona più di 5 grammi di cannabis al giorno, (secondo il governo olandese si tratta della quantità normalmente prevista per uso personale), mi sembra che un individuo possa liberamente recarsi presso gli altri 13 coffeeshop del comune di Maastricht al fine di acquistarvi una quantità di gran lunga superiore a quella normalmente consentita per il suo uso personale.

99. La delimitazione di tale attività presenta, inoltre, contraddizioni.

100. Infatti, sebbene la vendita di cannabis sia tollerata entro i limiti posti dalle direttive del pubblico ministero olandese, la coltivazione, il trasporto, la fabbricazione, l’importazione e l’esportazione di stupefacenti restano attività vietate dalla legge sugli stupefacenti, suscettibili di sanzioni penali, con la conseguenza che, come indicato dal governo olandese in udienza, il gestore di un coffeeshop si rifornisce a suo rischio e pericolo. Tale governo, nel rispondere alle domande della Corte, ha finito con il convenire che il sistema in questione era «giuridicamente (…) pressoché inspiegabile». Tale politica, quindi, non disciplinando tali «concatenazioni di attività» facilita la diversione verso circuiti illeciti e accresce il rischio che la cannabis venduta nei coffeeshop sia di pessima qualità e tagliata.

101. Infine, conformemente all’APV, i clienti dei coffeeshop non sono tenuti a consumare la cannabis in loco (56), possono infatti portarla via. Se è vero che taluni acquistano modiche quantità di cannabis destinata al loro uso personale, è anche vero che altri ne acquistano di più e, contrariamente ai residenti olandesi, sono passibili di procedimenti penali per esportazione o importazione illecita di stupefacenti.

102. Secondo quanto ci è stato spiegato in udienza, i limiti della politica di tolleranza adottata dal Regno dei Paesi Bassi sono perfettamente illustrati nel processo del 3 novembre 2009, intentato dalle autorità olandesi contro il coffeeshop «CheckPoint» ubicato a Terneuzen, al confine con il Belgio. Detto coffeeshop disponeva di uno stock di oltre 200 kg di cannabis e accoglieva più di 3 000 clienti al giorno, essenzialmente belgi e francesi, i quali venivano serviti dopo essersi muniti di un biglietto numerato. I 17 imputati sono perseguiti per appartenenza ad un gruppo criminale organizzato e per traffico di stupefacenti nonché, segnatamente, per esportazione di cannabis, poiché hanno venduto cannabis a stranieri.

103. Tali elementi dimostrano, se ve ne fosse bisogno, che l’attività di vendita di cannabis non contribuisce in alcun modo al benessere dei cittadini dell’Unione, provoca gravi turbative all’ordine pubblico e mina le basi di un sistema economico legale consentendo alle organizzazioni criminali di penetrare il mercato. Chiunque coltivi, produca, fabbrichi, trasporti, importi, esporti, offra ovvero ceda per qualsiasi finalità sostanze stupefacenti si pone così palesemente al di fuori del contesto economico legalizzato del mercato interno che non può che essere perseguito penalmente, anziché beneficiare dei vantaggi derivanti da tale mercato comune.

104. Tale attività, ancorché tollerata da uno Stato membro, non può quindi assolutamente rientrare nell’ambito di applicazione della libera prestazione di servizi garantita dall’art. 56 TFUE.

105. Se si dovesse ammettere il contrario e corroborare la tesi sostenuta dal sig. Josemans, ciò equivarrebbe ad affermare che le libertà di circolazione garantite dal Trattato sono in definitiva applicabili a tutti i prodotti che possono essere valutati sul mercato e a tutti i servizi che possono essere offerti nell’ambito dello stesso, indipendentemente dalla loro legalità e dagli impegni assunti dagli Stati membri. In tal modo, avvalendosi dell’esercizio delle libertà fondamentali, si finirebbe col legittimare il commercio di sostanze stupefacenti. Tale ragionamento deve essere respinto poiché potrebbe applicarsi allo stesso modo alla tratta degli esseri umani, alla prostituzione minorile o alla pornografia pedofila e ciò costituirebbe una breccia inammissibile nella costruzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia fondato sullo Stato di diritto e sul rispetto dei diritti fondamentali.

106. Ritengo pertanto che il provvedimento controverso, che riserva l’accesso ai coffeeshop ai soli residenti olandesi, non rientri nell’ambito di applicazione della libera prestazione dei servizi di cui all’art. 56 TFUE.

107. A mio parere, questa conclusione non può essere rimessa in discussione dalla circostanza che i coffeeshop vendono anche prodotti di consumo legali, quali alimenti e bevande analcoliche.

108. L’impostazione che devo seguire nel presente procedimento dev’essere credibile e realistica. La questione sollevata dal giudice nazionale non riguarda tanto la vendita dei prodotti accessori, quanto quella di sostanze stupefacenti ai fini, in linea di principio, del consumo personale. Infatti, i coffeeshop non nascono come locali di consumo come gli altri, dove le persone si recano per bere bevande analcoliche o per acquistare panini; essi rappresentano invero luoghi molto particolari in cui è possibile acquistare e consumare cannabis. Tale specificità, che non è possibile ignorare, si evince molto chiaramente da due constatazioni.

109. La prima riguarda la natura del problema che si pone nel caso di specie. Esso è infatti riconducibile ad una politica penale fondata sulla valutazione del principio dell’opportunità dell’azione penale che, alle condizioni stabilite dalle autorità giudiziarie del Regno dei Paesi Bassi, giustifica, sul piano nazionale, l’atteggiamento di tolleranza adottato. Orbene, tale valutazione riguarda unicamente la vendita di cannabis poiché non risulta che ad oggi la vendita di tè abbia mai occasionato attività criminose, né che sia oggetto di repressione penale. Il commercio di prodotti di consumo legali mi pare dunque irrilevante e costituisce, a mio avviso, un falso problema.

110. La seconda constatazione riguarda il locale stesso dei coffeeshop. Contrariamente agli altri locali del settore della piccola ristorazione, per l’apertura di un coffeeshop è necessario non soltanto ottenere una licenza di esercizio, ma soprattutto soddisfare l’insieme dei criteri AHOJ-G. Al fine dell’apertura e del mantenimento dell’attività di questo tipo di locali rileva soltanto il rispetto di tali criteri. Orbene, ciascuno dei suddetti criteri, presi isolatamente, consente di comprendere la specificità di tali locali e di concludere che l’attività dei coffeeshop risulta, in pratica, esclusivamente dedicata alla vendita e al consumo di cannabis. I risultati finanziari forniti dal sig. Josemans dimostrano tale realtà. Mentre per quanto riguarda la vendita di cannabis il fatturato realizzato dal coffeeshop Easy Going è stato, per il primo trimestre del 2010, di EUR 10 milioni, la vendita di prodotti di piccola ristorazione ha generato un fatturato di EUR 552 400 (57). Come confermato dal governo olandese in udienza, quest’ultima attività rappresenta in genere tra il 2,5 e il 7,1% del fatturato totale realizzato dai coffeeshop del comune di Maastricht (nella fattispecie, per Easy Going, il 5,5%), ossia una quota abbastanza trascurabile. Mi sembra evidente che un turista che abbia percorso decine ovvero centinaia di chilometri per recarsi a Maastricht entrerà in un coffeeshop per acquistare hashish o marijuana piuttosto che per bere un tè, considerato che il comune di Maastricht dispone di oltre 500 locali di ristorazione rapida (58).

111. Di conseguenza, considerata la percentuale alquanto trascurabile e accessoria rappresentata dalla vendita dei prodotti di consumo legali, ritengo che sarebbe artificioso dissociare l’esame della conformità del provvedimento controverso in funzione di questi due tipi di attività. Infatti, con il pretesto che siffatto provvedimento potrebbe costituire una restrizione alla libera prestazione di un servizio accessorio, si corre il rischio che le disposizioni del Trattato finiscano per tutelare gli interessi del commercio della droga.

112. In considerazione dell’insieme di questi elementi, invito pertanto la Corte a rispondere che un provvedimento adottato da una pubblica autorità locale nell’ambito del suo regolamento generale locale, che riserva l’accesso ai coffeeshop ai soli residenti olandesi, non rientra nell’ambito di applicazione della libera prestazione dei servizi di cui all’art. 56 TFUE.

C – Sulla conformità del provvedimento controverso alla luce degli obblighi incombenti allo Stato membro in forza del mantenimento dell’ordine pubblico nazionale e dell’ordine pubblico europeo

113. Vista l’importanza di tale causa per il funzionamento dell’Unione e in uno spirito di cooperazione con il giudice nazionale, ritengo sia ora necessaria un’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione che riguardano specificamente la tutela dell’ordine pubblico e la lotta contro la domanda illecita di stupefacenti.

114. Il provvedimento controverso si propone di contrastare un fenomeno nevralgico quale il turismo della droga. Tale turismo si è sviluppato con la soppressione dei controlli alle frontiere intracomunitarie e si è ampliato grazie alla politica liberale praticata dal Regno dei Paesi Bassi in materia di uso e di vendita di cannabis.

115. Tale fenomeno causa importanti turbative ai Paesi Bassi e, in particolare, alle sue regioni di confine, al punto da rappresentare un’«inammissibile violazione alle condizioni abitative e di vita» dei residenti (59). Il provvedimento controverso intende ridimensionare i problemi di circolazione e di sosta, nonché ridurre il rumore e il disagio arrecati dagli assembramenti di fumatori e dalla loro intrusione negli androni degli edifici. Esso si propone inoltre di dare una risposta ai disturbi e alle violenze urbane che possono essere occasionati dalla presenza in città di spacciatori, tossicodipendenti e gruppi criminali organizzati (60).

116. Al riguardo, l’adozione del provvedimento controverso s’impone sulla base degli artt. 4 TUE e 72 TFUE. Ricordo che, in forza di tali disposizioni, gli Stati membri rimangono responsabili del mantenimento dell’ordine pubblico nel loro territorio e che, secondo una giurisprudenza costante, restano liberi di determinare le misure idonee a mantenerlo, conformemente alle loro necessità nazionali (61). Se è pacifico che la nozione di ordine pubblico dev’essere interpretata restrittivamente e può essere invocata solamente in caso di minaccia effettiva e sufficientemente grave ad uno degli interessi fondamentali della società, non vi è dubbio che il turismo della droga, con riferimento alle turbative che da esso causate, rientri in tale nozione (62).

117. Tuttavia, il turismo della droga causa gravi disturbi anche all’ordine pubblico dell’Unione. Infatti, questa denominazione ingannevole nasconde, in realtà, il traffico internazionale di stupefacenti e alimenta attività criminali organizzate che, come riconosciuto dal Consiglio nel programma di Stoccolma, minacciano la sicurezza interna dell’Unione (63). Tali ripercussioni sono ancora più gravi in quanto compromettono l’efficacia delle misure maggiormente repressive adottate dagli Stati membri confinanti. Tale fenomeno ricomprende incontestabilmente una dimensione europea ed internazionale e l’impegno di contrastarlo assunto dagli Stati membri va ricercato in quella direzione.

118. Se è vero che non esiste, come indicato dalla giurisprudenza, una «scala uniforme di valori in merito alla valutazione dei comportamenti che possono considerarsi contrari all’ordine pubblico» (64), ciò non toglie che uno degli obiettivi dell’Unione consista nella costituzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia in cui sia garantito, conformemente all’art. 3, n. 2, TUE un livello elevato di sicurezza dei cittadini dell’Unione. A tal fine, gli Stati membri hanno deciso di combattere il turismo della droga in tutti i suoi aspetti e mediante diversi approcci.

119. Oltre alla conclusione di accordi bilaterali e multilaterali, incoraggiata dalla risoluzione del 1996 (65), e al ravvicinamento delle prassi dei servizi di polizia e doganali di cui all’azione comune 96/750/GAI (66), gli Stati membri si sono impegnati ad adottare tutte le misure necessarie a prevenire il traffico illecito degli stupefacenti nell’ambito della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen.

120. In particolare, ai sensi dell’art. 71, n. 5, di tale convenzione, in cui la cannabis è espressamente menzionata, gli Stati membri hanno l’obbligo di adoperarsi con ogni mezzo per prevenire e lottare contro la domanda illecita di stupefacenti e gli effetti negativi della stessa. Conformemente a tale disposizione, «ciascuna Parte contraente è responsabile» delle misure adottate a tal fine. Orbene, è giocoforza constatare che il provvedimento controverso è pienamente in linea con tale impegno (67).

121. In un contesto in cui il turismo della droga è in continua crescita e scardina le basi su cui deve fondarsi lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, il provvedimento controverso mira a limitare le conseguenze sopra menzionate. Esso è pertanto conforme agli obblighi che incombono allo Stato membro ai sensi degli artt. 4 TUE e 72 TFUE nonché ai sensi dell’art. 71, n. 5, della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen. È soltanto in questo che va rinvenuta la ragione giuridica della sua necessaria conformità.

122. È innegabile che il turismo della droga generi e, comunque, favorisca il traffico illecito transfrontaliero degli stupefacenti e che, al contempo, da esso conseguano anche altre attività criminali. La lotta contro tali fenomeni deve, quindi, costituire contemporaneamente uno scopo primario che il diritto dell’Unione persegue nonché un problema condiviso da ciascuno degli Stati membri. Il legislatore dell’Unione ne ha preso atto: l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam (68) e quella del Trattato di Lisbona danno infine un’altra dimensione alla lotta contro il traffico illecito di stupefacenti e la criminalità organizzata. Consapevole del fatto che si tratta di sfere di criminalità particolarmente gravi, che presentano una dimensione transnazionale derivante dal loro carattere o dalle loro implicazioni o dalla necessità di combatterle su basi comuni, il legislatore dell’Unione riconosce la necessità di garantire un’armonizzazione minima delle legislazioni nazionali per quanto riguarda la definizione di dette attività e delle sanzioni ad esse applicabili (69). Tali disposizioni hanno inserito il traffico illecito di stupefacenti tra quelli che oggi sono definiti «eurocrimini», i quali, ai sensi del programma di Stoccolma, minacciano la sicurezza interna dell’Unione e pertanto, ricordiamolo, costituiscono una «problematica urgente, che esige una risposta chiara e globale» (70). Tale è il motivo per cui, a mio avviso, il provvedimento controverso sarebbe valido anche in assenza di turbative all’ordine pubblico interno, sulla base del solo obbligo di contribuire alla salvaguardia dell’ordine pubblico europeo.

123. Nella presente causa detto provvedimento deve pertanto essere considerato legittimo ai sensi delle disposizioni summenzionate, poiché esso rappresenta non soltanto l’esplicitazione del diritto riconosciuto ad uno Stato di tutelare il proprio ordine pubblico interno, ma altresì dell’obbligo dello stesso, nei confronti degli altri Stati membri, di contribuire alla salvaguardia dell’ordine pubblico europeo conformemente agli impegni sottoscritti.

124. In considerazione dell’insieme di questi elementi, propongo alla Corte di indicare al giudice del rinvio che gli artt. 4 TUE, 72 TFUE e 71, n. 5, della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen non ostano ad un provvedimento, adottato da una pubblica autorità locale nell’ambito del suo regolamento generale locale, che riserva l’accesso ai coffeeshop ai soli residenti olandesi, qualora tale misura costituisca per detta autorità l’espressione del diritto ad essa riconosciuto di preservare l’ordine pubblico interno dalle turbative causate dal turismo della droga e/o l’adempimento del suo dovere di contribuire alla salvaguardia dell’ordine pubblico europeo.

VI – Conclusione

125. Alla luce alle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere come segue alle questioni pregiudiziali sollevate dal Raad van State:

«1) Un provvedimento adottato da una pubblica autorità locale nell’ambito del suo regolamento generale locale, che riserva l’accesso ai coffeeshop ai soli residenti olandesi, non rientra nell’ambito di applicazione della libera prestazione dei servizi di cui all’art. 56 TFUE.

2) Gli artt. 4 TUE, 72 TFUE e 71, n. 5, della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmata a Schengen il 19 giugno 1990, non ostano ad un siffatto provvedimento qualora esso costituisca per l’autorità pubblica l’espressione del diritto ad essa riconosciuto di preservare l’ordine pubblico interno dalle turbative causate dal turismo della droga e/o l’adempimento del suo dovere di contribuire alla salvaguardia dell’ordine pubblico europeo».

1 – Lingua originale: il francese.

2 – Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni (GU 2000, L 239, pag. 19), firmata a Schengen il 19 giugno 1990 (in prosieguo: la «convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen»).

3 – Nel gennaio 2009, il governo britannico ha deciso di rafforzare le misure repressive applicabili fino a quel momento all’offerta e al traffico di cannabis a causa della comparsa sul mercato dello «skunk», una varietà di cannabis che, grazie alle tecniche orticole utilizzate, ha una concentrazione di THC da quattro a cinque volte superiore a quella delle preparazioni classiche (v. circolare 001/2009 del Ministero dell’Interno britannico intitolata «Controlled drugs: reclassification of cannabis», disponibile sul sito Internet: http://www.homeoffice.gov.uk/about-us/home-office-circulars/circulars-2009/?showall=true).

4 – V. Pijlman, F.T.A., Rigter, S.M., Hoek, J., Goldschmidt, H.M.J. e Niesink, R.J.M., «Strong increase in total delta-THC in cannabis preparations sold in Dutch coffee shops», Addiction Biology, giugno 2005, vol. 10, pag. 171. V., inoltre, relazione n. 321 della commissione d’inchiesta sulla politica nazionale di lotta contro le droghe illecite, creata con una risoluzione adottata dal Senato il 12 dicembre 2002, disponibile sul sito Internet del Senato francese; «An overview of cannabis potency in Europe», European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction, Lisbona, 2004, e «2006 World Drug Report», United Nations Office on Drugs and Crime, vol. 1: Analysis, pag. 27.

5 – V. relazione annuale resa congiuntamente dall’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (OEDT) e dall’Europol, pubblicata il 23 aprile 2010, disponibile sul sito Internet dell’Osservatorio.

6 – «Letter outlining drugs policy», che conferma la relazione del comitato di esperti sulla politica in materia di droga «New emphasis in Dutch drugs policy», disponibile sul sito Internet del Ministero olandese della Sanità, del Benessere e dello Sport: http://english.minvws.nl/en/kamerstukken/vgp/2009/letter-outlining-drugs-policy.asp. V., in particolare, punto 3 di tale lettera.

7 – V., in particolare, prima parte, II, A., punto 2, della relazione n. 321 della commissione d’inchiesta menzionata alla nota 4, intitolata «Gli effetti della cannabis: la fine del mito delle droghe “leggere”»; Yücel, M., Solowij, N. e a., «Regional brain abnormalities associated with long-term heavy cannabis use», Arch Gen Psychiatry, giugno 2008, vol. 65, n. 6, pag. 694; van Ours, J.C. e Williams, J., «Cannabis use and mental health problems», Center Discussion Paper n. 2009-60, luglio 2009; Solowij, N., Stephens, R.S., Roffman, R.A. e a., «Cognitive functioning of long-term heavy cannabis users seeking treatment», JAMA, marzo 2002, vol. 287, n. 9, pag. 1123, e Karila, L., Cazas, O., Danel, T. e Reynaud, M., «Conséquences à court et long terme d’une exposition prénatale au cannabis», Journal de gynécologie obstétrique et biologie de la reproduction, gennaio 2006, vol. 35, n. 1, pag. 62. V., inoltre, il quadro espressamente delineato dal Consiglio dell’Unione europea nel suo progetto di risoluzione sulla cannabis adottato il 7 luglio 2004 al fine di definire la nuova strategia dell’Unione europea in materia di droga, disponibile sul sito Internet del registro pubblico dei documenti del Consiglio: http://register.consilium.europa.eu.

8 – V. «Cannabis: quels effets sur le comportement et la santé?», Institut National de la Santé et de la Recherche Médicale (INSERM), Parigi, 2001, pag. 429. V., inoltre, aggiornamenti di tale analisi sul sito Internet dell’INSERM: http://www.inserm.fr.

9 – GU 2010, C 83, pag. 389.

10 – Risoluzione sui provvedimenti da adottare per fronteggiare il problema del turismo della droga all’interno dell’Unione europea (GU C 375, pag. 3).

11 – Azione comune 96/750/GAI adottata dal Consiglio sulla base dell’art. K. 3 del Trattato sull’Unione europea, relativa al ravvicinamento delle legislazioni e delle prassi degli Stati membri dell’Unione europea ai fini della lotta contro la tossicodipendenza e della prevenzione e lotta contro il traffico illecito di droga (GU L 342, pag. 6).

12 – Art. 3 di tale azione.

13 – Art. 9 di tale azione.

14 – Decisione quadro riguardante la fissazione di norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti (GU L 335, pag. 8).

15 – In forza dell’art. 2, n. 2, della decisione quadro 2004/757/GAI, dette condotte sono escluse dal campo di applicazione della stessa se tenute dai loro autori soltanto ai fini del loro consumo personale quale definito dalle rispettive legislazioni nazionali.

16 – Programma di Stoccolma – Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini (GU 2010, C 115, pag. 1).

17 – V. punto 4.1 di tale programma.

18 – Piano d’azione dell’UE in materia di lotta contro la droga (2009-2012), del 20 dicembre 2008 (GU C 326, pag. 7).

19 – Al riguardo, la Commissione si è impegnata a presentare, nel corso del 2010, una comunicazione sulla coerenza tra gli aspetti interni ed esterni dell’azione antidroga.

20 – V. sentenze 20 settembre 2001, causa C-184/99, Grzelczyk, Racc. pag. I-6193, e 1° ottobre 2009, causa C-103/08, Gottwald, Racc. pag. I-9117, punto 24 e giurisprudenza ivi citata.

21 – V. sentenza 13 aprile 2010, causa C-73/08, Bressol e a. e Chaverot e a. (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

22 – V., inoltre, sentenze 5 marzo 2009, causa C-222/07, UTECA, Racc. pag. I-1407, punti 37 e 38, nonché giurisprudenza ivi citata, e 13 aprile 2010, causa C-91/08, Wall (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

23 – Ai sensi dell’art. 57 TFUE, «sono considerate come servizi le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone». Tali servizi comprendono in particolare attività di carattere commerciale.

24 – V., in particolare, sentenze 19 gennaio 1999, causa C-348/96, Calfa (Racc. pag. I-11, punto 16 e giurisprudenza ivi citata); 29 aprile 1999, causa C-224/97, Ciola (Racc. pag. I-2517, punto 11 e giurisprudenza ivi citata); 3 giugno 2010, causa C-203/08, Sporting Exchange (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 23 e giurisprudenza ivi citata), e causa C‑258/08, Ladbrokes Betting & Gaming e Ladbrokes International (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 15 e giurisprudenza ivi citata).. È anche importante ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, la libera prestazione dei servizi costituisce un’applicazione specifica del diritto, per ogni cittadino dell’Unione, di circolare e soggiornare nel territorio degli Stati membri (v., a tal proposito, sentenza 20 maggio 2010, causa C-56/09, Zanotti, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).

25 – Raccolta dei Trattati delle Nazioni Unite, 1990, vol. 1582, n. 1-27627, in prosieguo: la «convenzione delle Nazioni Unite del 1988».

26 – Convenzione come modificata dal Protocollo del 1972 (Raccolta dei Trattati della Nazioni Unite, vol. 520, n. 7515). La cannabis rientra tra le sostanze ritenute particolarmente soggette ad abuso e in grado di produrre effetti nocivi.

27 – Raccolta dei Trattati della Nazioni Unite, vol. 1019, n. 14956.

28 – Per quanto riguarda l’Unione, v. decisione del Consiglio 22 ottobre 1990, 90/611/CEE, relativa alla conclusione, a nome della Comunità economica europea, della Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e di sostanze psicotrope (GU L 326, pag. 56).

29 – V. relazione governativa della commissione Baan [werkgroep Verdovende Middelen, Achtergronden en risico’s van druggeebruik (Baan rapport), Den Haag, Staatssecretaris van Sociale Zaken en Volksgezondheid en van de Minister van Justicie, 1972].

30 – La relazione è stata pubblicata dal governo olandese (Ministero degli Affari esteri e a., 1995).

31 – Idem.

32 – V., in particolare, direttive del pubblico ministero olandese in materia di indagini e di procedimenti penali per le violazioni di cui alla legge sugli stupefacenti (Nederlandse Staatscourant 1980, n. 137); del 21 ottobre 1994, (Nederlandse Staatscourant 1994, n. 203), e del 10 settembre 1996 (Nederlandse Staatscourant 1996, n. 187).

33 – V., inoltre, art. 174a della legge sui comuni (Gemeentewet), legge sulle zone urbane (misure speciali) (Wet bijzondere maatregelen grootstedelijke problematiek) e art. 16 della legge relativa all’edilizia (Woningwet).

34 – V. lettera sulla cannabis (cannabisbrief) che i tre ministri responsabili della politica in materia di droga hanno inviato al parlamento olandese il 23 aprile 2004 e che quest’ultimo ha approvato il 30 giugno 2004, nonché lettera dell’11 settembre 2009 citata alla nota 6.

35 – Come il Burgemeester van Maastricht ha aggiunto in udienza, l’82% degli abitanti del comune di Maastricht subisce notevoli disturbi a causa dell’afflusso dei turisti della droga.

36 – Osservazioni formulate dal Burgemeester van Maastricht in udienza.

37 – Ciò risulta chiaramente dalle lettere dei ministri competenti del 23 aprile 2004 e dell’11 settembre 2009 menzionate alla nota 34, nonché dai dibattiti in udienza.

38 – Come emerge dalle osservazioni orali fornite in udienza dal Burgemeester van Maastricht e dal governo olandese.

39 – Sentenza 10 marzo 2005, causa C-491/03, Hermann (Racc. pag. I-2025, punti 21 e 27).

40 – V. giurisprudenza cit. alla nota 22.

41 – Sentenze 11 marzo 2008, causa C-420/06, Jager (Racc. pag. I-1315, punti 46 e 47); 5 marzo 2009, causa C-350/07, Kattner Stahlbau (Racc. pag. I-1513, punti 24-26), e 27 ottobre 2009, C-115/08, ČEZ (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 81 e giurisprudenza ivi citata).

42 – V., in proposito, in riferimento alla giurisprudenza citata ai punti 85-90 delle presenti conclusioni, la tesi di V. Havy «La politique de l’Union européenne en matière de stupéfiants», Collection droit de l’Union européenne, Bruylant, Bruxelles, 2008, pag. 406.

43 – V., in particolare, sentenza 28 marzo 1995, causa C-324/93, Evans Medical e Macfarlan Smith (Racc. pag. I-563).

44 – Sentenza 5 febbraio 1981, causa 50/80 (Racc. pag. 385). La causa in questione riguardava la determinazione del dazio doganale da applicare ad una partita di eroina acquistata sul mercato nero di Amsterdam e scoperta al passaggio della frontiera olandese-tedesca.

45 – Sentenza 26 ottobre 1982, causa 221/81 (Racc. pag. 3681), relativa alla determinazione dei dazi doganali applicabili a partite di eroina e di cocaina comperate al mercato nero in Germania e nei Paesi bassi dall’attore nella causa principale e da lui rivendute in violazione della legge tedesca sugli stupefacenti.

46 – Sentenza 26 ottobre 1982, causa 240/81 (Racc. pag. 3699), relativa alla determinazione dei dazi doganali da applicare a partite di morfina che, dopo essere state illegalmente importate in Germania, sono state vendute in Svizzera, trasgredendo la legge tedesca sugli stupefacenti.

47 – Citate sentenze Horvath (punto 16) e Einberger (punto 16).

48 – Citate sentenze Horvath (punto 13) e Einberger (punto 13).

49 – Ciò vale altresì per l’ipotesi del denaro falso. V., a tal proposito, sentenza 6 dicembre 1990, causa C-343/89,Witzemann (Racc. pag. I-4477).

50 – Sentenza 28 febbraio 1984, causa 294/82, Einberger (Racc. pag. 1177).

51 – Sentenza 5 luglio 1988, causa 269/86, Mol (Racc. pag. 3627).

52 – Sentenza 5 luglio 1988, causa 289/86 (Racc. pag. 3655).

53 – Punto 25.

54 – Art. 3 TUE.

55 – Ricordo che, in forza dell’art. 3, n. 1, lett. c) punto iii), della Convenzione delle Nazioni Unite del 1988 e dell’art. 9 dell’azione comune 96/750/GAI, gli Stati membri si sono impegnati a qualificare come reato il fatto, fra l’altro, di incitare o di indurre pubblicamente dei terzi a produrre o a fare illecitamente uso di cannabis, nonché ad essere particolarmente vigili per quanto riguarda l’uso di Internet.

56 – V. art. 2.3.1.1, n. 1, lett. a), punto 3, APV.

57 – In udienza il sig. Josemans ha ulteriormente precisato che il fatturato medio annuo di una sala da tè sita a Maastricht era, nel 2007, dell’ordine di EUR 200 000.

58 – È su tale fondamento che il comune di Maastricht ha, a mio avviso, disposto un divieto di accesso al locale. Infatti, non sarebbe coerente né efficace autorizzare l’accesso a migliaia di persone per poi rifiutare loro la vendita una volta entrate nel locale; sarebbe, anzi, addirittura pericoloso.

59 – V. punto 5 della lettera dei tre ministri incaricati della politica in materia di droga del 2004, menzionata alla nota 34.

60 – Riferimento alla medesima lettera.

61 – Ai sensi di una costante giurisprudenza, il diritto dell’Unione non vincola gli Stati membri ad osservare una «scala uniforme di valori» in merito alla valutazione dei comportamenti che possono considerarsi contrari all’ordine pubblico (v., in proposito, sentenza 20 novembre 2001, causa C-268/99, Jany e a., Racc. pag. I‑8615, punto 60 e giurisprudenza ivi citata). Infatti, secondo la Corte, gli Stati membri sono gli unici in grado di valutare i rischi di minaccia all’ordine pubblico sul proprio territorio. Tali circostanze non solo variano da un paese all’altro e da un’epoca all’altra, ma parimenti in funzione del contesto sociale dello Stato in questione nonché dell’importanza che quest’ultimo attribuisce ad un obiettivo legittimo con riguardo al diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenze 4 dicembre 1974, causa 41/74, van Duyn, Racc. pag. 1337, punto 18; 9 dicembre 1997, causa C-265/95, Commissione/Francia, Racc. pag. I-6959, punto 33; 15 giugno 1999, causa C-394/97, Heinonen, Racc. pag. I-3599, punto 43, e 14 marzo 2000, causa C-54/99, Église de scientologie, Racc. pag. I‑1335, punto 17 e giurisprudenza ivi citata).

62 – V., in proposito, sentenze Calfa, cit., e 29 aprile 2004, cause riunite C-482/01 e C‑493/01, Orfanopoulos e Oliveri (Racc. pag. I-5257), nelle quali la Corte ha ammesso che la lotta contro il traffico di stupefacenti rientra nell’ambito del mantenimento dell’ordine pubblico. V., inoltre, sentenza Heinonen, cit., in cui la Corte ha ritenuto che la lotta contro le diverse forme di criminalità legate al consumo di alcol mira a proteggere la sicurezza interna dello Stato. In quel caso il governo finlandese aveva giustificato il proprio provvedimento restrittivo in materia di importazione di bevande alcoliche col fatto che il consumo di detto prodotto, che era sensibilmente aumentato, aveva comportato, in particolare, la diffusione della guida in stato di ubriachezza, l’aumento e l’aggravamento della violenza, nonché la comparsa e la moltiplicazione di mercati illegali.

63 – V. punto 4.1 del programma di Stoccolma, cui fa riferimento la nota 16.

64 – V. sentenza Jany e a., cit. (punto 60 e giurisprudenza ivi citata).

65 – V. nota 10. In detta risoluzione, il Consiglio ha invitato gli Stati membri a concludere accordi bilaterali o multilaterali al fine di sviluppare lo scambio di informazioni e di buone pratiche nonché di migliorare la cooperazione nell’ambito della lotta contro il turismo della droga. A prescindere che sia a livello bilaterale ovvero multilaterale, il Regno dei Paesi Bassi e gli Stati membri confinanti devono quindi delineare strategie efficaci per risolvere i problemi di ordine pubblico e di sicurezza che hanno in comune e organizzare la loro cooperazione. Pertanto, nell’ambito del loro Accordo bilaterale di cooperazione tra polizie, firmato all’Aia il 20 aprile 1998, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica francese hanno deciso di coordinare le loro azioni per combattere il turismo della droga e le strutture che esso cela [Accordo sulla cooperazione nell’ambito della polizia e della sicurezza tra il governo della Repubblica francese e il governo dei Paesi Bassi (decreto 29 aprile 1999, n. 99-350, recante pubblicazione di tale accordo, JORF del 6 maggio 1999, pag. 6797) nonché akkord bettreffende samenwerking op het gebied van politie en veiligheid tussen de regering van de France Republiek en de regering van Nederland (Nederlandse Staatscourant 1998, n. 81)].

66 – V. nota 11. In forza degli artt. 1-3 di tale azione comune, ricordo che gli Stati membri si sono impegnati a ravvicinare le loro legislazioni e le prassi dei loro servizi di polizia, doganali e giudiziari al fine di lottare contro i flussi illeciti intracomunitari di prodotti stupefacenti e, segnatamente, contro il turismo della droga.

67 – Art. 75 di detta convenzione.

68 – V., in particolare, art. 31 UE nonché la decisione-quadro 2004/757/GAI.

69 – Art. 83, n. 1, TFUE.

70 – V. nota 63.

Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Raad van State (Paesi Bassi) il 15 aprile 2009 - 1. M.M. Josemans 2. Burgemeester van Maastricht

(Causa C-137/09)

Lingua processuale: l'olandese

Giudice del rinvio

Raad van State

Parti

Ricorrenti: 1. M.M. Josemans

2. Burgemeester van Maastricht

Questioni pregiudiziali

Se un regime, come quello in esame nella fattispecie, vertente sull'accesso di non residenti ai coffeeshops, rientri integralmente o parzialmente nell'ambito di applicazione del Trattato CE, segnatamente della libera circolazione dei beni e/o dei servizi, oppure del divieto di discriminazione di cui all'art. 12, in combinato disposto con l'art. 18 del Trattato CE.

Nei limiti in cui siano applicabili le disposizioni del Trattato CE relative alla libera circolazione dei beni e/o dei servizi, se un divieto di ammissione dei non residenti ai coffeeshops come disposto dall'art. 2.3.1.3e, 1º comma, dell'APV (Algemene plaatselijke verordening, regolamento generale locale di Maastricht), in combinato disposto con la decisione del sindaco 13 luglio 2006, costituisca un mezzo idoneo e proporzionale per ridurre il turismo della droga e il disturbo da esso provocato.

Se il divieto di discriminazione dei cittadini dell'Unione sulla base della nazionalità, di cui all'art. 12, in combinato disposto con l'art. 18 del Trattato CE, sia applicabile al regime relativo all'ammissione di non residenti ai coffeeshops, qualora e nei limiti in cui non trovino applicazione le disposizioni del Trattato CE sulla libera circolazione dei beni e dei servizi.

In caso di risposta affermativa, se la relativa discriminazione indiretta tra residenti e non residenti sia giustificata e se il divieto di ammissione di non residenti ai coffeeshops rappresenti un mezzo idoneo e proporzionale per ridurre il turismo della droga e il disturbo da esso provocato.

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